GRASULFO
Duca longobardo del Friuli, primo di questo nome. Di origini ignote, successe in circostanze a oggi non chiare al fratello Gisulfo (I). Sono assai esigue le testimonianze scritte che a lui si riferiscono: anzitutto una lettera, forse databile al 581, che Gogo, maggiordomo del re Childeberto II d'Austrasia, (Epistolae Austrasicae, n. 48), gli inviò attribuendogli l'appellativo di "celsitudo" cosa che, per taluni storici, potrebbe voler significare che a quell'epoca Gisulfo (I) era già morto e G. lo aveva sostituito nell'incarico ducale. Ci è altresì nota una lettera dell'esarca Romano, indirizzata a Childeberto II, il cui invio è collocabile nel 590 circa, in cui ci si riferisce ormai a "Gisoulfus, […] dux, filius Grasoulfi" (ibid., n. 41).
Sebbene non chiaramente indicato nelle fonti quale duca del Friuli, G. - che non è menzionato da Paolo Diacono nell'Historia Langobardorum - ricoperse sicuramente tale incarico negli anni difficili seguiti alla morte di Clefi.
La situazione politica italica, già instabile per la continua tensione nei rapporti tra Bizantini e Longobardi, e tra questi ultimi e il Papato, era infatti resa ancor più caotica - specie nell'area settentrionale - sia per i poteri autonomamente esercitati dai duchi, sia a causa delle incursioni franche, sempre più penetranti e insidiose proprio a cominciare dagli anni di maggiore instabilità longobarda.
Nel 581 contingenti franchi penetrarono nella Valle dell'Adige, tra Nanno e Trento, mentre pochi anni dopo (circa 584) una spedizione di Franchi guidata da Childeberto II d'Austrasia riuscì a raggiungere la Valle Padana. Tali reiterate incursioni spinsero numerosi duchi longobardi, specie di area padana e veneta, a coalizzarsi per cercare di porre un freno a quei pericolosi tentativi di sconvolgere il loro già debole controllo sul territorio.
Nonostante questo, G. pare fosse prossimo ad abbandonare una politica che lo vedeva nettamente opposto all'asse franco-bizantino. La citata missiva di Gogo del 581 lascia intendere che la sua politica di distensione nei confronti dei Franchi e di Bisanzio fosse giunta a una svolta. L'atteggiamento politico filofranco e soprattutto filobizantino di G., che taluni storici contemporanei collocano con ragionevole approssimazione in un periodo compreso tra il 581 e il 588, è stato variamente interpretato. Tra le cause dell'orientamento politico adottato da G. la storiografia attuale indica come più che probabili le bellicose pressioni ricevute da gruppi di Avari e Slavi confinanti a Est, in zona istriana. Addirittura, accogliendo i dati offerti dalla narrazione del cronista bizantino Menandro Protettore (Historiarum fragmenta, fr. 49) - che afferma, tra l'altro, che la gran parte dei duchi longobardi si erano accordati con Bisanzio o erano in procinto di farlo -, pare che G. e l'esercito al suo comando operassero quali alleati dei Bizantini in "Histriam provinciam contra hostem" (ibid., fr. 62). G., quale debole pedina nelle mani della diplomazia bizantina in Italia, secondo recenti teorie, sarebbe stato impiegato come mediatore presso il sovrano d'Austrasia, al fine di convincere i contingenti franchi a calare in tutta sicurezza nella penisola italica. Altri, nell'elezione stessa di G. quale successore di Gisulfo (I) nell'incarico ducale friulano, suppongono un pesante ma non documentabile intervento bizantino a favore di G., e dissuasivo nei confronti di altre possibili, ma a noi ignote, candidature.
Tra il 584 e il 585 i duchi longobardi, davanti alla sempre più minacciosa presenza franca e alle continue, ostili iniziative bizantine, si piegarono a una pace separata con i Franchi. Accolsero infatti le esose richieste del sovrano franco versando inoltre - secondo Fredegario (III, 92) e Gregorio di Tours (VI, 42), ma non si hanno certezze in merito, ed è noto che le notizie fornite dalle loro narrazioni vanno talvolta accolte con una certa cautela - un pesante tributo aureo annuale. Ricevettero, per questo, l'apparente assicurazione che non solo Childeberto II d'Austrasia non avrebbe posto in essere atti di guerra contro i ducati longobardi del Nord della penisola, ma anche che da parte franca non ci sarebbero stati accordi di collaborazione politico-militare con l'Impero orientale ai loro danni. Ottennero, infine, di poter eleggere un proprio sovrano, che fu quindi il primo dopo i circa dieci anni di cosiddetta "anarchia ducale". Si ripristinava dunque l'istituzione monarchica, dopo anni di autonomia ducale. Divenne re Autari, figlio di Clefi, e i duchi, per consentire la restaurazione regia, stanziarono circa metà delle loro sostanze. Un assai labile accordo di pace venne stipulato da Autari con i Bizantini al fine, parrebbe, di ricomporre la dissidenza di taluni duchi ancora legati all'Impero orientale, e non è da escludere che anche G. si trovasse tra questi. Tuttavia, tali pacificazioni con Franchi e Bizantini - nonostante i promettenti sviluppi di un'accorta politica matrimoniale longobarda che aveva reso probabile l'unione di Clodosvinta, sorella del re austrasico Childeberto, con Autari - non durarono a lungo. Vi furono nuove spedizioni franche contro i territori longobardi del Nord della penisola mentre Autari, rifiutando quella pace che già si era definita assai fragile, irrompeva nel Seprio e nell'area lariana occupando l'Isola Comacina, mentre a Est procedeva contro il Friuli di G., soggetto che Autari considerava, e non senza ragione, quale duca certamente infido.
Un ducato, quello di G., che tanto diplomaticamente quanto, forse, ambiguamente, Paolo Diacono definisce genericamente solo come "Histria" (III, 27). In effetti, tra i duchi che mutarono il loro orizzonte politico riallacciando, almeno in apparenza, un sia pur blando dialogo - non è dato di sapere quanto costruttivo - con l'ambiente regio longobardo, la figura di G. gode di fama assai ambigua, che si rifletterà nei primi anni di governo di suo figlio, il duca Gisulfo (II). La posizione politica incarnata da G. risulta infatti oscillare pericolosamente tra l'esarca Romano, massimo rappresentante dell'Impero orientale nell'Italia centrosettentrionale, i pur sempre potenzialmente ostili Franchi e, infine, l'entourage regio longobardo, ancora in fase di stabilizzazione e proprio per questo alla ricerca di un ricompattamento della litigiosa gerarchia ducale.
Il brevissimo accenno a G. e la nebulosità delle poche righe che lo riguardano nell'unica missiva di quel periodo (Epistolae Austrasicae, n. 41), unitamente all'ampio margine interpretativo offerto da un altrettanto conciso e sibillino brano paolino (Historia Langobardorum, III, 27), non consentono che ipotesi sul comportamento di G. nei pericolosi frangenti descritti. Tra le ricostruzioni che la storiografia ha proposto in questi ultimi anni, largamente accolta è stata quella che, dopo un iniziale riavvicinamento di G. alla politica longobarda, vede un suo successivo riaccostamento alla fazione franco-imperiale.
Quest'ultimo repentino mutamento di fronte, non precisamente documentabile, potrebbe aver avuto quale causa scatenante la spedizione operata da Evino, duca di Trento, su ordine di Autari con finalità apparentemente antislave ma che dalla gran parte dell'attuale storiografia vengono reputate come punitive nei confronti di Grasulfo. Con l'esempio di quell'unica azione di Evino, Autari avrebbe così potuto ammonire anche altri eventuali duchi di dubbia fedeltà.
D'altra parte dalla citata lettera (del 590 circa) dell'esarca Romano si evince che in quei frangenti - ma, si ribadisce qui, la cronologia è assai incerta - le truppe bizantine pare si fossero dirette contro Grasulfo.
Il documento in questione, da sempre ritenuto di estremo interesse, consente di supporre anzitutto che G. fosse morto, o che Gisulfo (II), suo figlio, lo avesse affiancato quale coreggente nel governo ducale friulano, o lo avesse - forse temporaneamente - sostituito. In secondo luogo permette di immaginare il duplice, possibile scenario politico-militare sopra illustrato, con G. incerto tra un'alleanza con i Franchi e con l'Impero, oppure un riavvicinamento alla corte longobarda. Riguardo poi alla paternità di G. nei confronti di Gisulfo (II), il duca che gli succederà nell'amministrazione del potere nel grande ducato di Nordest, e alla errata identificazione di quest'ultimo con il primo duca di tal nome, vanno fatte alcune precisazioni. Anche e soprattutto a seguito della svista di Paolo Diacono, che nella sua Historia (IV, 39) confonde G. con il secondo duca di tale nome, attivo in Friuli tra il 625 e il 653 circa, talune interpretazioni di quel passo e relative supposizioni di storici ed eruditi del passato hanno generato non poca confusione. Muratori, per esempio, equivocando indica G., nei suoi Annali d'Italia, quale primo duca longobardo del Friuli, come pure fa De Rubeis nelle sue Dissertationes.
Di G. si perdono le tracce, nelle fonti, intorno al 590 quando, come si è detto, dal genere di locuzione utilizzata nell'epistola dell'esarca Romano, pare indubbio che sia ormai, in ogni caso, il figlio Gisulfo (II) ad avere il potere in Friuli. Ignoriamo il luogo e la data di morte di Grasulfo.
Anche nel caso della successione ducale a G. non vi sono documenti grazie ai quali sia possibile individuare o dedurre, se non i meccanismi, almeno le circostanze in cui avvenne. Tuttavia, l'immediato favore goduto a Bisanzio dal successore di G., e il suo aperto consenso alla politica bizantina in Italia fanno pensare, com'era avvenuto circa dieci anni prima - all'avvento di G. - a una probabile interferenza orientale tesa a escludere altri possibili concorrenti al governo ducale del Friuli.
Fonti e Bibl.: Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz - L. Bethmann, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germ. et Ital. saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 97, 100 s., 107 s., 133 (III, 9, 16, 27; IV, 39); Pseudo Fredegarius, Chronicon, a cura di B. Krusch, Ibid., Script. rerum Merovingicarum, II, ibid. 1888, pp. 118, 143 s. (III, 92; IV, 45); Gregorius Turonensis, Historiarum libri X, a cura di B. Krusch - W. Lewison, ibid., I, 1, Hannoverae 1951, p. 314 (VI, 42); Epistolae Austrasicae, a cura di W. Gundlach, Ibid., Epistolae, III, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, München 1978, nn. 41 pp. 147 s., 48 pp. 152 s.; Menandros Protector, Historiae fragmenta, a cura di L. Dindorf, in Historici Graeci minores, II, Leipzig 1871, p. 120 (49, 62); L.A. Muratori, Annali d'Italia, Venezia 1744, col. 1079; B.M. De Rubeis, Dissertationes variae eruditionis, Venetiis 1754, p. 269; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Leipzig 1900, p. 83; P. Paschini, Vicende politiche e religiose del Friuli nei secoli nono e decimo, in Nuovo Archivio veneto, XX (1910), pp. 229-244; G.P. Bognetti, S. Maria foris Portas in Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L'età longobarda, II, Milano 1966, p. 163; M. Brozzi, I primi duchi longobardi del Friuli e la politica bizantina verso il Ducato, in Arheoloski Vesnik, XXI-XXII (1970-71), pp. 76 ss.; P.M. Conti, "Devotio" e "viri devoti" in Italia da Diocleziano ai Carolingi, Padova 1971, p. 140; J. Jarnut, Prosopographische und sozialgeschichtliche Studien zum Langobardenreich in Italien (568-774), Bonn 1972, pp. 134, 356 s.; M. Brozzi, Il Ducato longobardo del Friuli, Udine 1975, pp. 28 s.; P.M. Conti, Duchi di Benevento e Regno longobardo nei secoli VI e VII, in Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici, V (1976-78), pp. 242 s. n. 128, 245 n. 136, 246 s.; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 65 s.; N. Wagner, Zur Herkunft der Agilolfinger, in Zeitschrift für Bayerische Landesgeschichte, XLI (1978), p. 39; P. Delogu, Il Regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino 1980, pp. 27-29; P.M. Conti, Il Ducato di Spoleto e la storia istituzionale dei Longobardi, Spoleto 1982, p. 294; P. Paschini, Storia del Friuli, I, Udine 1990, p. 96 n. 21; H. Krahwinkler, Friaul im Frühmittelalter. Geschichte einer Region vom Ende des fünften bis zum Ende des zehnten Jahrhunderts, Wien-Köln-Weimar 1992, pp. 32 n. 12, 35 nn. 28 s., 36 n. 32, 37 n. 37, 127 n. 47; N. Christie, I Longobardi. Storia e archeologia di un popolo, Genova 1997, p. 87; V. Dreosto, Autonomia e sottomissione in Friuli. Gestione dei poteri e dualismo politico dal sec. VI al trattato del 1756, Udine 1997, pp. 17, 25.