grato (agg.)
Ricorre alcune volte nel Paradiso e una sola nel Purgatorio, con valore per lo più predicativo; significa quasi sempre " gradito ", " bene accetto ", " caro ": tale, nella certezza dell'appagamento, è stato il lontano digiuno di Cacciaguida, che D. ha solvuto (Pd XV 49: " Grazioso e lungo digiunare ", dice l'Ottimo; e il Tommaseo ricorda Aen. VI 687-688 " venisti tandem, tuaque exspectata parenti / vicit iter durum pietas? "); tale l'alta letizia (Pd VIII 89) che le parole di Carlo Martello ‛ infondono ' in D., nella consapevolezza della comune visione in Dio; tali i prieghi di s. Bernardo alla Vergine (XXXIII 42) o li splendori antelucani, / che tanto a' pellegrin surgon più grati, / quanto, tornando, albergan men lontani dalla " casa loro, dove sperano tosto iungere " (Buti: cfr. Pg XXVII 110).
Discusso è il passo di Pd XIV 45 Come la carne glorïosa e santa / fia rivestita, la nostra persona / più grata fia per esser tutta quanta: interpreta il Buti, seguito da Scartazzini-Vandelli: " più graziosa e più piacente "; ma si può intendere anche " più perfetta... più degna " (Torraca, Casini-Barbi, Del Lungo, Sapegno); " più gradita a Dio " (Ottimo, Tommaseo, Andreoli, Fallani) o " più gradita a noi stessi (interpretazione che parrebbe più ovviamente suggerita dalla causa del maggior gradimento, ‛ per esser la nostra persona nella sua interezza, tutta quanta ') " (Chimenz; anche Mattalia, come già il Cesari); o ancora, intendere l'aggettivo come " pieno di gratitudine " a Dio (Porena). In quest'ultimo significato, in Pd II 29 Drizza la {mente in Dio grata... / che n'ha congiunti con la prima stella.