gravidanza
La condizione (detta anche gestazione) della femmina nella specie umana nel periodo che va dall’inizio del concepimento al parto (o comunque all’espulsione del feto), e la durata stessa di tale periodo. G. a termine: quella che giunge al termine fisiologico della durata; g. abortiva: quella che s’interrompe, nella donna, prima del 180° giorno (6° mese); g. gemellare: la g. che dà origine a più di un feto (bigemina, trigemina, quadrigemina, ecc.); g. semplice: g. conseguente allo sviluppo d’un solo feto; g. nervosa (o isterica, o immaginaria): stato psicopatologico di alcune donne non fecondate, che presentano amenorrea e desiderano vivamente la maternità, interpretando come fenomeni gravidici segni e sintomi di diversa origine (meteorismo addominale, peristalsi intestinale, ecc.).
Normalmente la g. si svolge nell’utero (g. uterina o tipica), eccezionalmente nella tuba, nell’ovaio, nell’addome (g. extrauterina o ectopica). Nella donna, in genere, il feto è unico; sono poco frequenti i casi con due, tre, quattro o più feti, fino al numero eccezionale di nove. La durata media della g. fisiologica, cioè dal concepimento al parto a termine, è in genere intorno ai 270 giorni, con numerose variazioni. Le manifestazioni della g. comprendono sia le modificazioni dell’organismo materno, sia i segni della presenza del feto. Per la donna gravida (o gestante) i sintomi precoci, per altro incostanti, consistono nella scomparsa delle mestruazioni, nei cosiddetti fenomeni simpatici quali l’abbondante salivazione, la nausea, il vomito mattutino, i capogiri, le cefalee, le trasformazioni del gusto con avversione per alcuni cibi e desiderio vivo di altri (voglie), qualche volta privi di valore alimentare (cenere, carbone, ecc.). Seguono, in ordine di tempo, eventuali pigmentazioni del viso (cloasma gravidico), la tumefazione e la pigmentazione dei genitali esterni, il turgore delle mammelle, l’aumento del grasso sottocutaneo che diventa anche più succulento, una particolare eccitabilità psichica, ecc. L’aumento del volume dell’utero, apprezzabile dapprima con l’esplorazione vaginale, si rende evidente dal 4° mese con la tumefazione dell’addome. Segni caratteristici, rilevabili dal medico, sono il rammollimento del collo dell’utero (segno di Hegar) e l’ascoltazione di un soffio vascolare (soffio uterino). I segni relativi alla presenza del feto, che costituiscono indizi sicuri di g., comprendono la palpazione delle parti fetali, l’auscultazione del battito cardiaco e la percezione dei movimenti attivi.
La datazione dell’inizio del concepimento ha importanza per stabilire l’epoca del parto, la maturità presunta del feto, per problemi inerenti a eventuali malattie associate o proprie della g., per ragioni medico-legali, ecc. In via presuntiva si inizia il computo dal primo giorno dell’ultima mestruazione comparsa, aggiungendo in questo caso 280 giorni (anziché 270, dato che l’inizio del flusso mestruale precede di solito di almeno 10 giorni l’epoca del concepimento). In via obbiettiva si ricorre ad altri elementi: comparsa dei moti attivi del feto (4° mese e mezzo); palpazione del fondo dell’utero: al 4° mese si palpa sopra al pube; al 6° all’ombelico; al 9° all’epigastrio.
Lo stato gravidico comporta numerose controindicazioni nei confronti di determinati farmaci. Per es., alcuni anticoagulanti (soprattutto alcuni derivati dicumarinici) possono provocare fenomeni emorragici a carico del prodotto del concepimento; la talidomide può talora provocare focomelia; alcuni ormoni sessuali (tra cui gli steroidi androgeni) sono capaci di provocare anomalie di differenziazione degli organi genitali del feto; la morfina è estremamente tossica per quest’ultimo; i tiouracilici sono responsabili talora di casi di gozzo congenito.
La patologia propria dello stato gravidico è rappresentata dalle patologia da g., costituita da malattie come iperemesi, nefropatia gravidica, eclampsia gravidica, preeclampsia, ecc. La patologia in g. è invece rappresentata da malattie che complicano la condizione gravidica e dal reciproco influenzamento tra queste e preesistenti affezioni. Le malattie legate al feto e ai suoi annessi sono: mola vescicolare, polidramnio, oligoidramnio, amniotiti, lesioni e anomalie d’inserzione della placenta, ecc.
L’anomalia di fissazione dell’uovo dà origine alla g. ectopica, cioè alla g. che si svolge fuori del cavo uterino; l’uovo può fissarsi nella tuba (g. tubarica), nell’ovaio (g. ovarica), nell’addome (g. addominale); tra queste, la più frequente è quella tubarica (3% di tutte le g.), condizionata per lo più da infiammazioni acute e croniche della tuba (salpingiti). È difficile evenienza che una g. ectopica giunga a termine. I sintomi della g. ectopica sono poco evidenti e spesso le complicazioni insorgono prima che venga accertato lo stesso stato gravidico. Se l’uovo muore, può essere espulso (aborto) o ritenuto (aborto interno o mola tubarica); se si sviluppa, può provocare la rottura della tuba, con emorragia acuta, mortale se non operata d’urgenza, oppure trasformarsi in g. addominale per l’accollamento dell’omento alla tuba rotta. Ma anche in questo caso, giunta la g. al termine, per l’impossibilità del parto, il feto viene ritenuto e muore, con putrefazione o calcificazione (litopedio).
Metodi di screening per l’identificazione delle malattie fetali
Vi sono 130 milioni di nascite al mondo ogni anno; di questi neonati, circa il 2÷3% (più di 3 milioni) presenta anomalie.
Possono essere di vario tipo: malattie genetiche, di cui quelle più comuni sono legate al cariotipo, anche se oggi è possibile accertare anomalie del DNA in modo sempre più preciso, al di sotto del limite diagnosticabile con il solo cariotipo; malattie strutturali, legate a difetti dell’anatomia del feto; malattie metaboliche, riferite a processi anomali, di solito enzimatici o della cellula, dovuti a difetti congeniti del metabolismo, o più raramente acquisiti. Le anomalie strutturali e metaboliche possono anche essere dovute a infezioni del feto.
Grazie a tecniche di screening sviluppatesi dagli anni Sessanta del 20° secolo in poi, è possibile diagnosticare già in utero molte di queste anomalie. È di vitale importanza distinguere tra screening e diagnosi prenatale. Per screening si intendono test che permettono di stabilire una percentuale di rischio. Per es., tramite ecografia e screening del siero materno, si può arrivare a dire a una donna incinta che il feto ha un rischio X (per es., il 90%) di trisomia 21 (sindrome di Down). È importante quindi che i test di screening abbiano particolari caratteristiche. Le tecniche di screening si dividono in non invasive e invasive. Gli screening non invasivi non prevedono di entrare nella cavità amniotica o nella placenta, e quindi non comportano rischi diretti per il feto. L’ecografia fetale è la tecnica non invasiva più usata. I risultati di questo screening dipendono direttamente dalla bravura e dall’attenzione dell’ecografista. La prima ecografia fetale è consigliata tra l’11a e la 14a settimana gestazionale. La translucenza nucale, ossia la distanza tra pelle e cranio nell’occipite del feto, è uno dei parametri meglio correlati ad aneuploidie, in partic. trisomie come la sindrome di Down, nelle quali questo valore risulta aumentato. La translucenza nucale permette, da sola, l’identificazione di circa il 70% di feti Down. L’ecografia in cui si misura la translucenza nucale viene spesso chiamata ecografia genetica.
La seconda ecografia (o ecografia morfologica) è consigliata tra la 18a e la 22a settimana gestazionale. In questa ecografia, più dettagliata, sono accuratamente sottoposti a screening tutti gli organi fetali più importanti per anomalie strutturali. Le anomalie più comuni e significative sono quelle cardiache, tra le quali la più frequente è il difetto del setto intraventricolare. L’ecografia di screening del secondo trimestre permette l’identificazione di oltre il 90% delle alterazioni strutturali maggiori, come per es. la spina bifida. L’identificazione delle anomalie cardiache invece è solo del 20÷50%. Per questo motivo, nelle gravidanze ad alto rischio di anomalie cardiache fetali si effettua un’ecocardiografia fetale che, se fatta da esperti ecografisti, può raggiungere il 90% di sensibilità (ossia di identificazione dell’alterazione). L’ecografia fetale può anche essere usata per screening di altre alterazioni fetali. Per es., il feto a rischio di anemia può essere studiato tramite la velocità del flusso sanguigno dell’arteria cerebrale media. L’esame può anche servire a identificare caratteristiche fetali associate a infezioni, quali per es. il citomegalovirus.
Tra gli screening non invasivi rientra anche quello mediante siero materno. Il siero delle madri di feti con anomalie cromosomiche, quali la sindrome di Down, ha, per alcune sostanze, valori differenti da quello delle madri di feti euploidi. Tra la 11a e la 14a settimana è possibile identificare circa l’85÷90% dei feti Down o con sindrome di Turner mediante lo screening del siero materno e l’ecografia fetale del primo trimestre. Tra la 15a e la 21a settimana, lo screening del siero materno del secondo trimestre permette, da solo, l’identificazione dell’85÷90% dei feti Down o con sindrome di Turner. Spesso, per arrivare a un’accuratezza di oltre il 90%, si usa lo screening sequenziale, che combina lo screening del primo e del secondo trimestre. Lo screening del siero materno può anche diagnosticare infezioni fetali, tramite PCR del batterio o virus (per es., parvovirus, citomegalovirus, ecc.), e altre anomalie fetali enzimatiche o molecolari.
Gli screening invasivi prevedono l’entrata meccanica in cavità amniotica e quindi comportano rischi per il feto. La decisione sul tipo di tecnica da usare dipende dalla malattia fetale che si vuole diagnosticare. Queste indagini invasive spesso seguono i test di screening non invasivi e sono frequentemente diagnostiche, cioè arrivano a una diagnosi certa al 100%. I test più comuni, in ordine di uso, sono: amniocentesi, villocentesi, prelievo del sangue fetale via umbilicocentesi, biopsia di organi (per es., cute, muscolo, fegato, rene, ecc.).
Questa diagnosi permette un management appropriato del feto e del neonato. In alcuni casi la diagnosi prenatale dà una possibilità più alta di sopravvivenza e di salute al feto malato. Il management può essere effettuato in due modi. Il primo è tramite la terapia fetale: per es., il feto con anemia può ricevere trasfusioni di sangue in utero che lo salvano da morte per insufficienza cardiaca. Il secondo si realizza tramite interventi sul neonato: per es., in caso di anomalie importanti, quali alcune malformazioni cardiache, il feto viene fatto nascere in centri di terzo livello, adeguati a un’immediata terapia medica e, se necessario, chirurgica del neonato.