GRAVIMETRIA
. È l'insieme delle teorie e dei metodi destinati allo studio del campo gravitazionale terrestre e delle sue variazioni. La massa unitaria situata in un punto di questo campo è soggetta a due forze principali: l'attrazione newtoniana di tutte le masse costituenti la Terra e la forza centrifuga derivante dalla rotazione diurna di essa. La risultante di queste prende il nome di forza di gravità e la sua direzione si dice verticale del punto considerato. Quasi sempre, invece della forza, si considera l'accelerazione della gravità (o semplicemente la gravità) che s'indica universalmente con le lettere g o γ e si esprime in unità assolute [CGS], cui si dà il nome di Galileo abbreviato in gal. (i gal. = 1 cm. sec.; 1 milligal. = 1 mgal. = 0,001 gal.). I valori di g al livello del mare sono compresi fra 978 e 983,3 gal.
L'intensità e la direzione della gravità in un dato punto non sono costanti nel tempo, perché variano con questo le dimensioni della Terra, la distribuzione delle masse che la costituiscono e anche la velocità angolare della rotazione diurna, e ciò sia in modo secolare (cioè lentamente e press'a poco proporzionalmente al tempo) a causa dei grandi fenomeni geologici di erosione e di sedimentazione, di eventuale deriva dei continenti (teoria di A. Wegener), dei bradisismi, del rallentamento della velocità angolare per effetto dell'azione frenante delle maree, ecc.; sia in modo ciclico o periodico a periodo abbastanza lungo a causa di spostamenti ciclici di masse acquee e gassose derivanti dalla circolazione generale degli oceani e dell'atmosfera e di eventuali analoghi movimenti di materia nell'interno della Terra; sia, infine, in modo accidentale, anche periodico a breve periodo, a causa di fenomeni varî e principalmente dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche. A queste azioni devono aggiungersi le attrazioni esercitate dai corpi celesti, in particolare quelle del Sole e della Luna. Esse variano periodicamente d'intensità e direzione e producono le maree degli oceani e le cosiddette maree della crosta terrestre, la quale si deforma elasticamente, innalzandosi e abbassandosi di alcuni decimetri.
Le maree della crosta producono un'accelerazione massima inferiore a 0,03 mgal., cioè a un trentamilionesimo del valore di g; una deviazione della verticale inferiore a 0″,03 e una variazione del gradiente gravimetrico orizzontale che non supera un eötvös, cioè un miliardesimo di unità assoluta [CGS] o un ventimillesimo del valore del gradiente stesso (v. bilancia di torsione). Tutti questi valori sono notevolmente più piccoli degli errori delle misure più precise, e quindi le perturbazioni dovute alle maree della crosta possono esser trascurate nella gravimetria. Altrettanto si dica di tutte le perturbazioni secolari e a lungo periodo sopra elencate, che possono risultare sensibili solo a grandi distanze di tempo. Notevoli sono invece le accelerazioni dovute ai terremoti, che possono raggiungere il valore di g per le scosse di grado XII della scala MercalliCancani, ma il fenomeno ha carattere puramente accidentale e transitorio.
La direzione della verticale si determina con osservazioni astronomiche (v. astronomia: Astronomia geodetica); le perturbazioni periodiche cui essa e il valore di g sono soggetti a causa delle maree della crosta terrestre si misurano servendosi di pendoli orizzontali e bilance di torsione opportune (v. maree); le oscillazioni della verticale e le perturbazioni dell'intensità prodotte dai fenomeni sismici si studiano con i sismometri (v. sismologia); e infine i valori del gradiente orizzontale si determinano con la bilancia di torsione (v.). Ciò posto, qui ci si occuperà solamente del problema della determinazione del valore di g sopra definito, la cui conoscenza ha grande importanza scientifica e pratica.
Misure assolute. - Le misure di gravità possono essere assolute o relative: le prime, per le difficoltà che presentano e il tempo e le spese che richiedono, si eseguiscono solo in qualche località, alla quale poi si fa riferimento per le determinazioni relative, che sono ormai in numero di parecchie migliaia.
Lo strumento fondamentale per le misure di gravità è il pendolo libero, il quale può essere filare (sferetta metallica omogenea attaccata all'estremità di un filo sottile fissato superiormente a un robusto sostegno) o composto (sbarra metallica o di altro materiale, di forme svariate, portante uno o due coltelli intorno ai quali può oscillare quando vengano appoggiati su apposito sostegno orizzontale). Il pendolo filare corrisponde in prima approssimazione al pendolo matematico o semplice, nel quale il filo è supposto senza massa e perfettamente flessibile e inestendibile, mentre la massa della sferetta si considera tutta riunita nel suo centro: se l è la sua lunghezza (distanza tra il punto di sospensione immobile e il centro della sferetta) e lo si fa oscillare nel vuoto con ampiezza infinitamente piccola in una località dove l'accelerazione della gravità ha il valore g, la durata T di un'oscillazione semplice è data da:
e la seconda formula mostra come sia possibile ottenere il valore di g misurando quelli di l e T: precisamente, g risulta espresso in gal., quando l si misuri in cm. e T in sec. di tempo medio. Le (1) valgono anche per un pendolo fisico o composto, intendendo però che l rappresenti la lunghezza ridotta l = J/m.h, dove m è la massa del pendolo, J il suo momento d'inerzia rispetto all'asse di rotazione, e h la distanza del baricentro dall'asse di rotazione stesso. Dalle (1), posto T = 1 sec., si ha la lunghezza del pendolo che batte il secondo di tempo medio: L = g/π2, la quale risulta di circa 1 m.
In linea teorica, dunque, la determinazione assoluta di g è assai semplice; ma la misura è tra le più delicate, principalmente per la difficoltà di valutare la lunghezza ridotta l. Sono necessarî a questo fine tutti gli accorgimenti della metrologia di precisione, perché dalle (1) segue che, se si vuole ottenere il valore di g con l'approssimazione di 1 mgal. ossia con l'errore relativo di circa un milionesimo, occorre conoscere l con lo stesso errore relativo e cioè con l'approssimazione di i μ quando il pendolo ha la lunghezza ridotta di circa 1 m.
Le prime misure assolute di precisione si fecero col pendolo filare semplice (J.-C. Borda [fig. 1] e J.-D. Cassini de Thury, 1792, e altri in seguito), ma F. W. Bessel preferì adoperare nel 1826 due pendolo filari di cui, invece delle lunghezze singole, occorreva misurare soltanto la loro differenza (che valeva una tesa, circa 2 m.), cosa molto più facile e sicura. Il metodo differenziale di Bessel fu seguito da altri sperimentatori, in particolare da G. Pisati ed E. Pucci, i quali, dopo averlo perfezionato nei particolari, lo usarono per la determinazione del valore di g a Roma (Scuola d'ingegneria: g = 980, 343 ± 0,005 gal.) dall'anno 1880 all'anno 1889.
Bessel aveva anche approfondito la teoria e perfezionato la costruzione del pendolo a reversione, già ideato da R. de Prony nel 1792 e da J. Bohnenberger nel 1811 e costruito e adoperato per la prima volta da H. Kater nel 1818. Questo pendolo composto si basa su un teorema di C. Huygens, secondo il quale, se un corpo oscilla intorno a un asse orizzontale con periodo T, esiste un altro asse di oscillazione parallelo al primo per il quale il periodo è ancora T, e la distanza tra i due assi è precisamente uguale alla lunghezza ridotta l del pendolo. Il pendolo a reversione ha quindi due coltelli paralleli intorno ai quali le durate di oscillazione sono quasi uguali. La misura di l ne risulta assai facilitata. La teoria di questo pendolo è stata perfezionata in tutti i particolari da F.R. Helmert nel 1898. I tipi più notevoli sono quelli costruiti da Repsold (fig. 2) (detti anche dell'Istituto geodetico prussiano) e da Brunner (su indicazioni di G. Defforges). Tra le misure di gravità eseguite col pendolo a reversione ricordiamo quella di G. Lorenzoni all'Osservatorio astronomico di Padova (1887) e quella di F. Kühnen e P. Furtwangler a Potsdam presso Berlino (dal 1898 al 1904). L'ultima determinazione è la più esatta finora eseguita: in essa vennero impiegati cinque pendoli (tra cui quello di Padova), ottenendo i valori L = 99,4239 cm., g = 981,274 gal., rispettivamente con gli errori medî di ± 3 μ e di ± 3 mgal. (errore relativo di circa 1/300000).
La difficoltà di determinare l è accresciuta dalla scarsa precisione che si può raggiungere nella conoscenza della temperatura vera del pendolo durante le osservazioni. Altre notevoli cause di errore sono rappresentate dalle deformazioni dei coltelli e dei piani su cui essi appoggiano, dal fatto che i coltelli non sono a spigolo vivo nel senso matematico, ma piuttosto arrotondati, e quindi l'oscillazione si compie intorno a rette successivamente diverse; dall'attrito e dagli slittamenti che i coltelli possono avere sul sostegno; dall'elasticità del pendolo che quando è sospeso verticalmente si allunga e durante l'oscillazione s'inflette; dall'elasticità del supporto (Mitschwingen dei Tedeschi, constatato per la prima volta da C.S. Peirce nel 1875), il quale entra in oscillazione sotto gl'impulsi che gli vengono comunicati dal pendolo in moto, spostando così periodicamente l'asse di rotazione del pendolo e quindi modificandone il periodo; da azioni esterne accidentali o regolari, ecc.
La determinazione di T è meno difficile di quella di l e si può accrescerne la precisione facendo oscillare a lungo il pendolo. Il confronto fra questo e l'orologio si fa in generale seguendo il metodo delle coincidenze, introdotto da Borda e Cassini nel 1792, perfezionato da R. v. Sterneck nel 1887 e da altri. In principio questo procedimento corrisponde al verniero. Si supponga, per es., che il pendolo dell'orologio batta il secondo, mentre quello gravimetrico abbia una durata d'oscillazione T non molto diversa da mezzo secondo, e che in un certo istante avvenga una coincidenza, e cioè i due pendoli passino entrambi per la posizione verticale. La coincidenza successiva si verifichi dopo c secondi: in questo tempo il pendolo dell'orologio avrà compiuto c oscillazioni, mentre quello gravimetrico ne avrà fatte 2 c + 1: segue: (2 c + 1) T = c, e di qui: T = c/(2c + 1). Con il relais di v. Sterneck e meglio ancora con procedimenti di registrazione fotografica o cronografica recentemente introdotti (F. A. Vening Meinesz, H. Martin, P. Lejay e altri), si ottengono così precisioni grandissime, arrivando a determinare T con l'approssimazione di pochi centimilionesimi di secondo da osservazioni della durata di una o due ore al più.
La durata di oscillazione osservata deve essere ridotta all'ampiezza infinitesima con l'applicazione della correzione −α2T/16, dove α è l'ampiezza media espressa in radianti; a una determinata temperatura θ0 con l'applicazione della correzione statica −k (θ − θ0) e della dinamica − k′ dθ/dt, dove θ è la temperatura del pendolo durante l'osservazione e t il tempo, mentre k, k′ sono costanti che si ricavano sperimentalmente; a un determinato valore d0 della densità relativa d dell'aria in cui il pendolo oscilla (nelle misure assolute d0 = 0), applicando la eorrezione −p (d − d0), oppure −[p′(d − d0) + p″ (√d − √d0)], dove p, p′, p″ sono ancora costanti empiriche; a supporto rigido con formule e misure opportune, in gran parte dovute a italiani (A. Venturi, G. Lorenzoni, G. Silva, P. Dore) sulle quali non è qui il caso d'insistere; a secondi di tempo medio con la correzione
dove a è l'andamento dell'orologio in un giorno di tempo medio, espresso in secondi dell'orologio stesso. L'andamento a si determina con osservazioni astronomiche (v. astronomia: Astronomia geodetica), oppure con i segnali orarî radiotelegrafici, p. es. con i segnali ritmici delle stazioni di Bordeaux, Parigi, Nauen, Rugby. In quest'ultimo modo si può ottenere il valor medio di a con errore minore di 0,01 sec.; le osservazioni pendolari sono estese a tutto il periodo compreso tra due osservazioni astronomiche o ricezioni radiotelegrafiche successive per eliminare gli errori dovuti a variazioni dell'andamento.
Misure relative. - Si faccia oscillare successivamente uno stesso pendolo (invariabile) di lunghezza l in due località dove la gravità abbia i valori g0 e g1 e siano T0 e T1 le corrispondenti durate di oscillazione ridotte: dalla seconda delle (1) segue:
la quale dà il valore di g nella seconda stazione in funzione di quello nella prima (stazione di riferimento) e delle durate di oscillazioni osservate: nella formula non comparisce la lunghezza l del pendolo. È questo il principio delle determinazioni relative di gravità che datano, si può dire, dalla celebre osservazione di Richer (1672), ma che divennero veramente pratiche e precise con l'introduzione dell'apparato di R. v. Sterneck (1887), inizialmente tripode (fig. 3), poi mensola a muro, con una piastra di agata orizzontale, su cui appoggia il coltello del pendolo, anch'esso d'agata. L'apparecchio è corredato di quattro pendoli di bronzo che si fanno oscillare uno alla volta, sostituendoli successivamente; la loro lunghezza ridotta è di circa 25 cm. e quindi la durata di oscillazione di circa mezzo secondo: essa si determina col metodo delle coincidenze servendosi di un opportuno relais elettromagnetico (fig. 4), la cui prima idea risale a L. Gruber (1874). L'ancoretta del relais, mossa dall'orologio di riferimento che è provvisto di contatti elettrici, porta una fenditura che lascia apparire nel campo di un cannocchialetto lampi prodotti, a ogni apertura e chiusura del circuito dell'orologio, dalla luce che, provenendo da una lampadina fissa, è riflessa da uno specchietto rigidamente collegato col pendolo in movimento.
Con questo apparato, lo stesso v. Sterneck, il Triulzi, il Lorenzoni e altri eseguirono in pochi anni un grande numero di stazioni in Austria, Germania, Italia, Svizzera, Ungheria, con risultati veramente soddisfacenti, dai quali v. Sterneck e Helmert dedussero conseguenze importanti.
Quasi contemporaneamente G. Defforges ideava un altro apparato, sotto molti aspetti notevole, che però non ha i requisiti di praticità di quello di v. Sterneck e quindi oggi non viene più usato.
Gli apparati di v. Sterneck (costruiti inizialmente da Schneider) hanno avuto importanti perfezionamenti. Ci limitiamo a ricordare la sostituzione dei monopendoli con i bi- e i quadripendoli (M. Haid-Bamberg, 1896), che consentono di determinare l'oscillazione del supporto e anche di eliminarne praticamente l'influenza con l'impiego del metodo dell'oscillazione simultanea in opposizione di fase di due pendoli sostituibili (cioè aventi periodi quasi uguali) introdotto tra i primi da G. Lorenzoni e G. Silva (1911). Tra questi apparecchi, oltre al bipendolo Lorenzoni-Mioni (fig. 5), a recipienti pneumatici (1911) e la mensola bipendolare Mioni (1924) (fig. 6), ricordiamo la mensola a muro bipendolare (fig. 7) di V. Reina (1911) e il tri- e il quadripendolo dell'Istituto geodetico prussiano, rispettivamente ideati da O. Hecker e L. Haasemann, costruiti da M. Fechner (1907-10). Nell'ultimo decennio, importanti innovazioni si devono a F.A. Vening Meinesz col suo tripendolo a registrazione fotografica (figg. 8, 9) per misure in mare (1923-25), a G. Lenox-Conyngham con il tripendolo per misure terrestri (1926), a E. Kohlschutter con il nuovo apparato dell'Istituto geodetico prussiano (1928), a O. Meisser con il quadripendolo di alta precisione (fig. 10) dell'Istituto sismologico di Jena (1930). Gli ultimi due sono corredati di pendoli a minimo (fig. 11), in cui, secondo un'idea di J. Wilsing (1897) il coltello è nella posizione che rende minima l'influenza sulla durata di oscillazione di una variazione accidentale della lunghezza del pendolo.
Le determinazioni relative escludono le difficoltà inerenti alla misura della lunghezza ridotta del pendolo. Però occorre sempre effettuare sulle durate di oscillazione osservate le riduzioni di cui si è parlato a proposito delle misure assolute. Per render minimo l'errore dovuto a un inesatto apprezzamento della temperatura sarebbe conveniente usare pendoli di piccolo coefficiente di dilatazione; perciò si è frequentemente fatto ricorso all'invar (lega acciaio-nichelio con coefficiente di dilatazione minore di 10-6) e ora si studia l'impiego del quarzo fuso. Analogamente, visto che in località a quote differenti la densità atmosferica ha valori diversi, e anche per consentire durate di osservazione più lunghe diminuendo lo smorzamento dell'ampiezza, si sono costruiti gli apparecchi sotto campana, nei quali la densità dell'aria si può conservare a un valore prefissato, anche molto piccolo. Come si disse, il relais di v. Sterneck è stato negli ultimi apparecchi sostituito da registratori delle oscillazioni, il che, oltre ad alleviare l'osservatore, rende le misure più precise e lascia un documento che può essere conservato e riesaminato ogniqualvolta lo si creda opportuno.
Il più notevole degli apparati recenti è certo quello del Meinesz (figg. 8, 9), per misure in mare (a bordo di un sommergibile immerso a conveniente profondità), ma impiegabile con vantaggio anche in terra. Esso è basato sul principio, scoperto dallo stesso inventore, che il pendolo fittizio, la cui ampiezza è in ogni istante uguale alla differenza delle ampiezze dei due pendoli sostituibili di un bipendolo, non risulta influenzato dai movimenti orizzontali del supporto. L'apparato ha tre pendoli sostituibili oscillanti nello stesso piano, che dànno luogo a due pendoli fittizî. Con esso il Meinesz ha eseguito circa 600 determinazioni nei diversi oceani servendosi di sommergibili olandesi e americani; inoltre. circa 100 misure nel Mediterraneo sono state fatte nel 1931 da G. Cassinis e M. De Pisa col sommergibile italiano "Vettor Pisani".
Ci limitiamo a ricordare che, oltre ai pendoli liberi, per le misure relative si possono adoperare pendoli elastici (dinamicamente, P. Lejay; staticamente, A.A. Michelson, G. Ising, N. Urelius e altri) e apparati statici (P. Mohn, O. Hecker, H. Haalck).
Specialmente importanti sono le misure eseguite negli oceani Atlantico e Pacifico e nel Mar Nero da O. Hecker col termo-barometro di Mohn, opportunamente modificato (1900-1906). Ma nessuno di questi metodi raggiunge per ora la precisione e la semplicità dei precedenti.
Per il calcolo della precisione di una differenza di gravità ottenuta con il metodo di v. Sterneck e derivati si seguono varie vie, tra cui quella dovuta a E. Borrass che è usata in Italia nella forma datale da V. Reina e da G. Silva. L'errore medio di una tale differenza può scendere a circa 1 mgal. con l'uso dei comuni bipendoli, a valori ancora minori con apparecchi di alta precisione. Per misure in mare il Meinesz ha ottenuto ± 4 mgal., in gran parte dovuti alle accelerazioni verticali prodotte dal moto ondoso oceanico, sensibili anche a 30 e più metri di profondità, e all'imperfetta conoscenza delle correnti della cui velocità si deve tener conto per applicare la riduzione detta di Eötvös. Come si vede, le misure relative possono anche essere più precise di quelle assolute.
Formula di Clairaut. - Il campo gravitazionale terrestre si può figurare a mezzo delle sue linee di forza di cui la tangente in ogni punto dà la direzione della gravità (ovvero la verticale) in quel punto, e delle superficie equipotenziali, o di livello, che tagliano normalmente le linee di forza. Se W (x, y, z) costante è l'equazione di una qualunque di tali superficie riferita a un sistema di assi coordinati cartesiani rigidamente collegato con la Terra, la derivata di W presa nella direzione arbitraria s dà la componente della forza di gravità secondo tale direzione. Appoggiandosi perciò sulla teoria del potenziale e su alcune semplici ipotesi si può ottenere uno sviluppo in serie di W valevole per una superficie che racchiuda tutte le masse terrestri, e da questo ricavare uno sviluppo analogo per la gravità teorica che, per quanto concerne la gravimetria, è sufficiente limitare ai suai tre o quattro primi termini scrivendolo nella forma di Newton-Helmert:
oppure
dove ϕ, λ sono la latitudine e la longitudine di un punto generico della superficie W = cost., mentre γe, β, β sono delle costanti legate alla costituzione della Terra. La formula usata è la (3) che corrisponde a superficie equipotenziali di rotazione intorno all'asse polare (sferoidi). Quando la superficie considerata passa per un punto del livello medio del mare, le (3), (3′) dànno la gravità (teorica) γ0 a livello del mare: in questo caso però, per mettersi nelle condizioni in cui è possibile sviluppare W in serie, occorre sostituire le masse esterne alla sfera di raggio uguale al semiasse polare e avente il centro nel centro della Terra con altre interne di effetto equivalente: a ciò provvedono il metodo di condensazione di F. R. Helmert (1884) e anche altri procedimenti. Si trova così che lo sferoide rappresentato dalla (3) e passante per il livello medio del mare ha forma assai prossima a quella dell'ellissoide di rotazione con gli stessi semiassi: la differenza dei raggi vettori di due punti aventi eguale latitudine geocentrica non supera alcuni metri.
Al procedimento diretto ora accennato se ne può sostituire uno inverso appoggiandosi a un teorema di G. G. Stokes (1849), secondo il quale il campo gravitazionale all'esterno di una superficie di livello W racchiudente tutte le masse è definito in ogni punto quando, oltre la superficie W, siano assegnate la massa totale M e la velocità angolare ω. Questa via è stata seguita da molti autori assumendo per W un ellissoide di rotazione o anche a tre assi: in particolare, C. Somigliana (1928) ha dato la risoluzione completa del problema in termini finiti nel caso dell'ellissoide di rotazione.
La costante β della (3) esprime il rapporto fra l'incremento della gravità nel passaggio dall'equatore al polo e la gravità all'equatore: β = (γp − γe)/γe. Essa è legata allo schiacciamento α dello sferoide o dell'ellissoide (rapporto tra la differenza dei semiassi equatoriale e polare e il semiasse equatoriale, α − (a − b)/a) dalla formula di Clairaut:
dove χ differisce dall'unità per quantità piccole dell'ordine di a (i° ordine): e perciò la conoscenza di β e di γ permette di determinare lo schiacciamento a, e viceversa la conoscenza di a e di y. consente di ricavare il valore del coefficiente β.
Clairaut ha dato la formula nel 1738 con l'approssimazione del 1° ordine (χ = 1): nel 1884, Helmert ha tenuto conto anche dei termini del 2° ordine per lo sferoide, ottenendo
e per l'ellissoide di rotazione: nel caso dell'ellissoide, χ è funzione del solo schiacciamento α e si esprime con uno sviluppo in serie dato dal Somigliana nel 1925:
Posto α = 1/297, si ha χ (α) − 0,998365.
Riduzioni delle misure di gravità. - Per determinare i valori dei coefficienti delle formule (3) e per confrontare tra loro i valori di g nelle diverse stazioni e dedurne le necessarie conseguenze di indole geofisica, occorre applicare opportune riduzioni ai valori osservati per la gravità.
La riduzione a livello del mare o in aria libera o di H. Faye ha lo scopo di tener conto soltanto della quota della stazione. Se g è il valore osservato alla quota di H metri, quello ridotto è dato approssimativamente da
essendo R = 6371200 m. il raggio medio della Terra.
Il coefficiente di H nella formula che precede è stato anche determinato con l'esperienza a mezzo di pesate, in diverse località da P. v. Jolly (1881), M. Thiesen (1890), K. Scheel e H. Diesselhorst (1895), F. Richarz e O. Krigar Menzel (1898). I valori ottenuti sono compresi tra 2850.10-7 e 3030.10-7, differendo notevolmente dal coefficiente teorico 3086.10-7 a causa di perturbazioni locali.
La riduzione di P. Bouguer, da questo applicata per la prima volta durante la misura dell'arco di meridiano del Perù (1735-43), oltre alla quota considera il terreno interposto fra la stazione e il livello del mare, immaginato dapprima come una piastra indefinita di spessore H m. e di densità δ. Questa piastra esercita sulla massa unitaria situata nella stazione l'attrazione
essendo δm = 5,52 la densità media della Terra, e quindi, se la piastra non esistesse, il valore di g sarebbe di altrettanto più piccolo. Ma se il terreno intorno alla stazione non si può ritenere piano, occorre applicare la correzione topografica τ, anch'essa già considerata da Bouguer, per tener conto della reale conformazione della superficie fisica terrestre. Si ha allora in definitiva per la gravità a livello del mare il valore
e di solito per il computo di τ si considera il rilievo del terreno nel raggio di circa 40 km. intorno alla stazione.
Il valore di τ, piccolissimo per terreni leggermente ondulati, può raggiungere e superare 100 mgal. per determinazioni in montagna (Monte Bianco, + 123 mgal.).
Ma il problema delle riduzioni non si esaurisce qui, ché in realtà esso è molto delicato e complesso. Per es., non sembra giusto applicare senz'altro la riduzione di Bouguer, asportando delle masse che effettivamente esistono sulla Terra. Il metodo di condensazione di Helmert col quale tutte le masse situate al di fuori della superficie di livello di quota −αa ≅ − 21 km. vengono condensate su questa (1884); il metodo proposto da M. Brillouin, consistente nella riduzione in aria libera di tutte le osservazioni alla superficie di livello di quota di circa + 10 km. (1900); quello d'inversione di M. Rudzki, che sostituisce ogni massa esterna con un'altra situata sullo stesso raggio vettore (1911); il metodo di A. Prey, che, dopo aver tolto le masse sottostanti e riportato la stazione a livello del mare, rimette in posto le masse asportate (1904); il metodo isostatico, sono altrettanti esempî di modalità di riduzione sulle quali si discute oggi da parte dei geodeti e geofisici. In particolare è importante la riduzione isostatica, che si può attuare in due modi diversi a seconda che ci si basa sull'ipotesi di J. H. Pratt o su quella di G. B. Airy (v. isostasia). Il primo modo è stato seguito da J. F. Hayford e W. Bowie che a partire dal 1909 hanno effettuato ricerche di grande importanza continuate da geodeti di tutto il mondo; sul secondo sono notevoli gli studî di W. Heiskanen (1924 segg.).
Valore normale della gravità. - Molte ricerche si son condotte da Newton in poi per determinare i valori numerici dei coefficienti delle formule (3): sopra tutte notevoli sono quelle eseguite da F. R. Helmert tra il 1880 e il 1915, e - dopo il 1911 - quelle di Hayford, Bowie, Berroth, Heiskanen, che utilizzarono un materiale di osservazione sempre più abbondante e sicuro, ridotto al livello del geoide in modi diversi, e applicarono generalmente il metodo dei minimi quadrati. Si ebbero così diverse formule del tipo (3), tra cui fino a poco tempo fa le più adoperate erano quelle di Helmert del 1901 e quella di Bowie del 1916. L'Unione internazionale geodetica e geofisica, nella IV Assemblea generale di Stoccolma (1930), accoglieva la proposta italiana (sviluppo e completamento di altra analoga avanzata da W. Lambert nel 1927) di assumere per valore normale della gravità quello corrispondente all'ellissoide internazionale di Madrid (1924) (v. geodesia), fissando per la gravità all'equatore il valore di Heiskanen-Silva γe = 978,049: si ha così
Nelle formule corrispondenti allo sferoide o ellissoide a tre assi, come la (3′), i coeffìcienti ε calcolati da Helmert, Berroth, Heiskanen hanno valori tra loro notevolmente diversi e in media di 20.10-6 con errore medio di circa ± 4.10-6.
Dalla (3) si ottiene per il valore della gravità normale alla latitudine di 45° e al polo rispettivamente γ450 = 980,629 e γp = 983,203; inoltre il valore medio della gravità lungo un meridiano qualunque risulta
mentre il valore medio su tutta la Terra (Silva) è
Come è ovvio, dalla stessa (3) attraverso la formula di Clairaut si ritrova per lo schiacciamento il valore α = 1/297 corrispondente all'ellissoide internazionale. Infine, la formula
che si può stabilire con le teorie sopra ricordate tenendo l'approssimazione del primo ordine, dà una relazione assai importante tra la densità media terrestre δm e la costante dell'attrazione k: posto in essa δm = 5,52, valore risultante per la densità media della Terra dalle più accurate esperienze eseguite con sei metodi indipendenti da numerosi operatori dal 1740 al 1930, si trova k = 667.10-10 [CGS].
Anomalie della gravità. - Le differenze tra i valori osservati ' opportunamente ridotti al geoide, e quelli teorici dànno le anomalie della gravità: anomalie in aria libera g0 − γ0 (dette da Helmert anomalie totali), di Bouguer g0″ − γ0, isostatiche gi − γ0, essendo gi il valore di g ridotto per altezza, topografia e isostasia. Particolarmente importante è la conoscenza delle ultime anomalie. Se la crosta terrestre fosse esattamente e dappertutto in stato di equilibrio isostatico, per es., nel senso di Pratt-Hayford, secondo il quale è costante la pressione sull'unità d'area di una superficie di livello situata a una certa profondità sotto il geoide (profondità di compensazione di circa 100 km.), le anomalie gi − γ0 dovrebbero essere tutte nulle. Se le anomalie calcolate in questo modo per una regione piuttosto vasta sono abbastanza piccole, si può ritenere che, al di sotto di quella, la crosta sia press'a poco in stato di equilibrio isostatico; ma se sono grandi, è certo che il principio non vale. Per es., si sono trovati in buon accordo con l'ipotesi isostatica gli Stati Uniti d'America e gli oceani Atlantico e Pacifico, almeno nelle parti esplorate, mentre notevoli sono le anomalie isostatiche nell'India Inglese e nell'India Olandese (in alcune località di quest'ultima fino a + 430 mgal.), in Svizzera, nelle Antille e nel Golfo del Messico.
Non è certo possibile localizzare con le sole misure di gravità gli eccessi o i difetti di massa che producono le anomalie, né determinarne la forma e la grandezza, perché sono infinite le distribuzioni di massa che possono produrre all'esterno la medesima attrazione e lo stesso potenziale. Ma il fatto di conoscere che tali eccessi e difetti esistono e di sapere che essi devono essere p. es., situati tra la superficie della litosfera e quella di compensazione (teoria di Pratt), è già molto notevole. Se alle operazioni pendolari si uniscono quelle con la bilancia di torsione e anche misure magnetiche, e inoltre le necessarie considerazioni geologiche, il problema assume aspetti concreti con risultati della più alta importanza pratica nelle ricerche minerarie.
Immaginando che le masse perturbatrici siano condensate a livello del geoide e costituiscano su questo uno strato ideale di potenza D, Helmert, appoggiandosi a un importante teorema di H. Bruns (1878), ha dimostrato nel 1884 che, per un punto P in cui l'anomalia totale con inclusa la riduzione topografica sia Δg = g0′ − γ0 = g0 − γ4 + τ, si ha:
dove R è il raggio medio terrestre e N rappresenta la distanza tra il geoide e la superficie di riferimento (sferoide o ellissoide), misurata lungo la normale a quest'ultima condotta da P. Un'importante formula per il calmlo di N è la seguente, data da G.G. Stokes nel 1849:
dove Δgψ è il valore medio dell'anomalia Δg alla distanza sferica ψ dal punto P, e F è una funzione nota di ψ, i cui valori numerici risultano compresi tra + 1,2 e − 1,1. Per applicare la formula di Stokes sarebbe necessario conoscere i valori di Δg su tutta la Terra, ma si può procedere in modo approssimato perché il contributo maggiore è quello delle zone prossime alla stazione P. In questa e in analoghe maniere, Helmert e altri hanno potuto constatare che N è di solito molto piccolo e raggiunge solo eccezionalmente il valore di 100 m.
Sulle ondulazioni del geoide, oltre agli studî di Bruns, Helmert, Poincaré, ecc., se ne hanno di recenti assai importanti dovuti a F. Hopfner, H. Jung, W. Heiskanen, W. Lambert, F.A. Vening Meinesz e altri. Le stesse ondulazioni si possono teoricamente ricavare partendo dalle deviazioni della verticale, come hanno dimostrato O. Callandreau (1901) e C. Mineo (1928); mentre le deviazioni della verticale si mettono in relazione con le anomalie gravimetriche per mezzo di altre formule (P. Dore 1925, V. Meinesz 1928 e altri).
Bibl.: Ci limitiamo a citare i trattati più importanti, alcuni dei quali contengono estese liste bibliografiche: I. Newton, Principia; A. Clairaut, Théorie de la figure de la Terre, Parigi 1743; P. Bouguer, La figure de la Terre, Parigi 1749; G. B. Airy, Figure of the Earth, in Encyclopaedia Metropolitana, Londra 1849; H. Bruns, Die Figur der Erde, Berlino 1878; A. R. Clarke, Geodesy, Oxford 1880; F. R. Helmert, Die mathematischen und physikalischen Theorien der höheren Geodäsie, II, Lipsia 1884; id., Die Schwerkraft und die Massenverteilung der Erde, in Encycklopädie der mathematischen Wissenschaften, VI, Lipsia 1910; P. Rudzki, Die Physik der Erde, Lipsia 1911; J. B. Messerschmidt, Die Schwerebestimmung an der Erdoberfläche, Brunswick 1908; A. E. H. Love, Some probleme of geodynamics, Cambridge 1911; P. Pizzetti, Teoria meccanica della figura dei pianeti, Pisa 1913; A. Born, Isostasie und Schweremessungen, Berlino 1923; A. Prey, Einführung in die geophysik, Berlino 1922; W. Jorda e O. Eggert, Handbuch der Vermessungskunde, III, Stoccarda 1923; H. Jeffreys, The Earth, 2ª ed., Cambridge 1929; A. Berroth, Schweremessungen, in Handbuch der Physik, II, Berlino 1926; H. Schmeel-K. Jung, Figur, Schwere und Massenverteilung der Erde, in Handbuch der Experimentalphysik, XXV, ii, Lipsia 1931; E. A. Ansel e O. Meisser, Theorie und Instrumente der gravimetrischen Aufschlussmethoden, in Handbuch der Geophysik, VI, Berlino 1931; O. Meisser e altri, Beobachtungsverfahren und Apparaturen für sehr genaue relative Schwere- und Zeitmessungen, Lipsia 1931; F. Hopfner, Newe Wege zur Bestimmung der Erdfigur, Lipsia 1932.
Rapporti sulle misure relative di gravità con gli apparati pendolari: F. R. Helmert e E. Borrass, in Comptes rendus de l'Association geodésique internationale, 1900, 1903, 1906, 1909 (questo riassume anche i precedenti), 1912; E. Soler, in Comptes rendus de la Section de géodésie de l'Union géodesique et géophysique internationale, 1922, 1924, 1927, 1930.
A. Börsch, Bibliographie géodésique, Berlino 1908; I. Todhunter, History o the Theories of Attraction and the Figure of the Earth, Londra 1873.