grazia [plur. anche graze, nel Detto]
Quando non è termine dottrinale (v. oltre), il vocabolo indica precipuamente un complesso di qualità e di virtù - attinenti in particolare alla gentilezza degli atti e alla garbatezza dell'eloquio - che armoniosamente fuse riescono gradevoli a chi le contempla e ne rasserenano l'animo; ha molti punti di contatto con la soavità' (v.) e rientra nel vasto regno della cortesia: la quale grazia s'acquista per soavi reggimenti, che sono dolce e cortesemente parlare, dolce e cortesemente servire e operare (CV IV XXV 1).
Va tuttavia notato che D., pur al di fuori di una precisa qualificazione teologica, assegna alla g. così concepita un carattere religioso che ne tocca la sostanza, come sembra doversi dedurre dalla frase che subito segue, e in connessione causale, il passo sopra citato: E però dice Salomone a lo adolescente figlio: " Li schernidori Dio li schernisce, e a li mansueti Dio darà grazia " (§ 2); cfr. Prov. 3, 34 " Ipse [Dio] deludet illusores et mansuetis dabit gratiam ", e Ambr. Off. I XVIII 67 " Pulcra igitur virtus est verecundiae et suavis gratia, quae non solum in factis, sed etiam in ipsis spectatur sermonibus, ne modum progrediaris loquendi, ne quid indecorum sermo resonet tuum ".
Fra l'altro, la g. è dote necessaria… a bene intrare ne la porta de la gioventute (Cv IV XXV 1), in quanto non è concepibile vita perfetta senza amicizia, e la g. è generatrice di amicizia.
In altro luogo, usato al plurale insieme a vertuti, riassume le varie prerogative che acquistano amore all'uomo: Savere e cortesia, ingegno ed arte, / nobilitate, bellezza e riccore, / fortezza e umiliate e largo core, / prodezza ed eccellenza, giunte e sparte, / este grazie e vertuti in onne parte / con lo piacer di lor vincono Amore (Rime XLVII 5).
Più di una volta vale " gradimento ", " l'essere in favore " presso gli altri: E s'io di grazia ti voi far mendica, / convenesi ch'eo dica / lo tuo fallar d'onni torto tortoso (Vn VIII 9 7; v. la ripresa del vocabolo al § 12); è chi podere, grazia, onore e fama / teme di perder perch'altri sormonti (Pg XVII 118). Di conseguenza l'espressione ‛ vuota di g. ' corrisponde a " priva di gradimento ": per le note / di questa comedìa, lettor, ti giuro, / s'elle non sian di lunga grazia vòte (If XVI 129): " l'A. desidera che questa sua opera sia gradita infra le genti per lungo tempo " (Ottimo; v. anche Detto 407); e l'espressione ‛ venire in g. ' a " riuscire caro, ben accetto ": Questa gentilissima donna... venne in tanta grazia de le genti, che quando passava per via, le persone correano per vedere lei (Vn XXVI 1); questa mia donna venne in tanta grazia, che non solamente ella era onorata e laudata, ma per lei erano onorate e laudate molte (XXVI 8: lo sviluppo di quest'affermazione è nel successivo sonetto Vede perfettamente, dove le donne che scorgono in Beatrice onne salute sono invitate a ringraziare Dio di bella grazia (v. 4), il che conferma la natura spirituale del godimento da esse provato, anche se la beatitudine (la salute) non va qui intesa in senso sovrannaturale.
Come " cosa gradita " a chi la riceve, g. sta anche per " favore ", " beneficio ": Marzïa piacque tanto a li occhi miei / ... che quante grazie volse da me, fei (Pg I 87); fa noi grazia che disvele / a lui la bocca tua (XXXI 136); così in Pg XXI 3 (in cui è presente anche il valore tecnico teologico), XXIII 42, Pd IV 122 (la seconda delle due occorrenze), Fiore III 12, Detto 408. Pertanto il passo di Rime LXXXIII 19 Amor di sé mi farà grazia ancora, andrà inteso: " Amore mi concederà ancora il suo favore ".
Col valore di " gratitudine " la g. è ricordata (Cv III VIII 10) come una delle sei passioni... propie de l'anima umana secondo Aristotele (cfr. Ret. II 7 e Tomm. Sum. theol. II II 106). In questa accezione il vocabolo, preceduto da un verbo, costituisce alcuni sintagmi equivalenti a " ringraziare ", il più comune dei quali è ‛ render g. ': non è l'affezion mia tanto profonda, / che basti a render voi grazia per grazia (Pd IV 122); Pg XI 6; Al buon Amico e a Bell'accoglienza / rende' grazie mille e mille volte (Fiore CCXXXI 10; e così CCII 1); due volte incontriamo ‛ far g. ': Gentil madonna, i' vi fo grazie mante, / che di vostr'arte mi siete cortese (Fiore CXCV 3), e a lu' fo graze (Detto 34); un po' diverso il caso di ‛ aver g. ' presso qualcuno: Taïde è, la puttana che rispuose / al drudo suo quando disse " Ho io grazie / grandi apo te?": " Anzi maravigliose! " (If XVIII 134), che propriamente vale " aver meriti " e quindi " rendersi degno di gratitudine ", ma si lega al senso di " ringraziare " attraverso la fonte latina, sia che D. abbia letto il passo originale dell'Eunuchus terenziano (" Magnas vero agere gratias Thais mihi? " / " Ingentes ", III 1-2), o si sia servito della trascrizione che di esso fece Cicerone (Amic. XXVI 98); infine, per le parole di Virgilio a Catone, dov'è riferimento a Marzia (Lasciane andar per li tuoi sette regni; / grazie riporterò di te a lei, Pg I 83), occorre tenere presente la glossa del Buti: " cioè io ringrazierò lei de la grazia che tu ci farai per suo amore "; l'Ottimo invece: " quasi a dire: questo servigio che ne farai ha merito di lode, e noi a lei di te lo faremo "; e il Tommaseo: " ti ringrazierò innanzi a Marzia ".
‛ Far g. ', in Fiore XIV 4 Schifo, tu faresti oltraggio / di non fargrazia al meo domandamento, e XV 3 egli è ben dritto cb'a vostra domanda / i' faccia grazia, ha il valore di " acconsentire ". ‛ Di g. ' ricorre in Fiore CXII 12, con voluta ambiguità tra il valore di " gratis " e di " per grazia divina ".
È ancora da considerare la locuzione ‛ per g. ' che, usata assolutamente in Pg XXVIII 136 darotti un corollario ancor per grazia, equivale a " per... liberalità " (Landino), " per giunta liberale e gratuita " (Vellutello), e in XXXI 136 Per grazia, fa noi grazia che disvele /a lui la bocca tua, più propriamente, a " per cortese degnazione " (Si noti che questo è il secondo caso di aequivocatio nel corso di un medesimo verso, dopo quello di Pd IV 122); mentre, seguita da un complemento di specificazione (in Vn XII 14 38 Pèr grazia de la mia nota soave), assume funzione preposizionale: " in virtù ".
La nozione di grazia divina in Dante. - Sotto questo concetto si delinea nel pensiero e nell'opera di D. un motivo di fondo, che sottende la sua visione della realtà in una prospettiva cosmica e provvidenziale dell'uomo di fronte a sé stesso, a Dio, al tempo e all'eterno.
La g., nella teologia scolastica, è un dono gratuito soprannaturale, concesso da Dio alla creatura razionale, in ordine alla vita eterna. Il donum Dei non è dovuto alla natura umana; supera le forze e le esigenze dell'ordine naturale. Dio è la causa efficiente, la creatura è il soggetto della g.: per conseguire un fine soprannaturale, Dio concede un mezzo soprannaturale (Tomm. Sum, theol. I II 110-111). La g., come si rivela nella Commedia, oggettivamente, ha due aspetti o caratteri fondamentali: g. ‛ attuale ', cioè un influsso divino transeunte (prende anche il nome, per una più esatta specificazione, di g. operante, cooperante, preveniente, sufficiente, efficace), e g. ‛ abituale ', cioè un dono divino permanente a modo di habitus (e comprende la g. santificante, le virtù infuse nelle facoltà dell'anima, i doni dello Spirito Santo). Per la g. santificante l'anima è partecipe della divina natura, della filiazione adottiva e ha il diritto di eredità alla vita eterna (Paul. Rom. 8, 15-17). La g, instaura nell'uomo un nuovo principio attivo, che eleva le facoltà umane all'ordine soprannaturale, ed è necessaria per la sproporzione tra la capacità dell'intelletto e l'oggetto: la rivelazione (Pg III 34-36). Una particolare g., per intuire la divina essenza, è necessaria nella visione beatifica, detta lumen gloriae in D.: lume ch'a lui veder ne condiziona (Pd XIV 48).
Si può comunque dire che il concetto dantesco della g., dalla Vita Nuova alla Commedia, s'iscrive all'interno di un processo che presuppone una meditazione, un'assimilazione e una personale rielaborazione in termini visivi e di poesia. D. colloca sempre, quasi a giustificazione della sua interpretazione della realtà e del dramma umano della storia, la presenza della g., che è un dono partecipato da Dio alla creatura per la sua salvezza e la sua gloria. La responsabilità individuale, cioè l'esercizio del libero arbitrio, chiama in causa ciascuno per un'accettazione o un rifiuto della g, divina che poi si traduce, rispettivamente, in salvezza o perdizione. Nei modi e nelle figurazioni che sono propri della Commedia, attraverso la modulata seppur sempre efficace e penetrante, quasi figurale, rappresentazione dei personaggi o delle situazioni d'incontro che sono propri di D. agens, non soltanto si scoprono e sviluppano gli elementi tematici della g., ma attraverso di essi e la complessa serie di problemi e di discussioni collaterali s'individuano chiaramente le ragioni preminenti che presiedono, secondo il pensiero del poeta, alla liturgia dell'uomo nuovo, dalla g. redento e dalla g. stessa elevato all'alta dignità di figlio di Dio. L'umanesimo dantesco, se così si vuole chiamarlo, è naturalmente fondato sulla g, e celebra attraverso il mito reale e tutto interiore di Beatrice, dalla Vita Nuova alla Commedia, il rito della riconquista del bene perduto, in un processo di ascesi che è intellettuale e spirituale insieme. Così la g. presiede alla poetica del cammino, al processo itinerante che muove da essa, nella figurazione iniziale della Commedia, per riscoprirne via via il significato e il valore nei singoli momenti episodici (come nella tematica di fondo di natura teologica) dall'esperienza negativa dell'Inferno, che evidenzia gli effetti deformanti e perversi nella dannazione eterna delle anime che l'ostinato rifiuto della g. ha prodotto, per proseguire nel Purgatorio con un'esperienza di un recupero sostenuto dalla speranza e illuminato dalla certezza dell'attesa, e concludersi nel Paradiso con il glorioso trionfo delle anime beate, che è il trionfo stesso della g. divina promotrice della sublime ascesa all'eterno frui di Dio. Questa rappresentazione storica, che si potrebbe considerare esemplare nei termini e nel concetto della poetica medievale, ha un significato assai importante alla luce della teologia della g.; essa è un lumen che orienta il cammino, cioè le scelte necessarie a ogni uomo così come alla società organizzata (la città, la Chiesa e l'Impero) nel seno della quale l'uomo stesso vive quale membro attivo e responsabile che s'impegna per sé e per il mondo. In ordine a tale concetto teologico e a tale visione della realtà umana si spiega la valutazione sostanzialmente fidente e ottimistica del poeta, sostenuta dalla certezza della misericordiosa Provvidenza divina. Anche nella contemplazione delle manifestazioni più cupe e aberranti di degenerazione dell'umano e di crisi dei valori e degl'istituti della società, la chiarezza dell'intelligenza e della volontà aiutano D. a considerare con fiducia la sorte della società e a trarre da ogni esperienza, per il frutto salutifero della g., lievito e viatico per un nuovo cammino di salvezza e di redenzione per sé e per l'umanità. Ma all'interno di questo discorso sulla g. come substrato teologico dell'iter umano e come certezza irrinunciabile di una vocazione di bene e di eterna felicità si colloca, con particolare rilievo, il concetto della g. particolare, concessa al poeta, di farsi straordinario pellegrino oltremondano, scriba di un'ampia concezione figurale e simbolica che in lui s'incentra, in lui trova il protagonista battagliero e coraggioso, capace di celebrare l'epopea stessa della grazia. Per questa singolare e irripetibile esperienza, mirabilmente comparata (con maggiore effetto e insistenza proprio attraverso il modulo retorico e stilistico dell'apparente negazione: lo non Enëa, io non Paulo sono, If II 32) ai singolari esempi della più autorevole tradizione scritturale, sacra e profana, propri della cultura e della civiltà poetica medievale, D. ribadisce il rilievo di protagonista che egli si assume. È nella consolazione sublime della g. che la fede, la speranza e la carità non sono soltanto formule scolastiche, ma costituiscono la ragione rasserenante che dispone l'anima all'incontro con Dio, nel tempo e nell'eternità, per realizzare il fine a essa proprio.
La parola g. (dal greco χάρις, latino gratia) è termine scritturale, di cui si è venuto elaborando il concetto nella teologia medievale fino a s. Tommaso. Nell'Antico Testamento essa sembra indicare la generosità di Dio che dona e perdona e riempie e sublima tutte le umane esperienze. Come tale si manifesta nell'elezione del popolo d'Israele e nella benedizione degli eletti che riempie la vita di gioia. Nel Nuovo Testamento la g. divina si è rivelata con Gesù Cristo. Il desiderio della g. di Dio si ritrova nella tradizione delle lettere apostoliche, nelle quali è anche sottolineato il concetto secondo il quale essa è il dono per eccellenza, perché riassume in sé tutta l'azione di Dio e tutto ciò che noi possiamo augurare ai nostri fratelli nella fede. In particolare, motivo tematico in s. Paolo è quello della gratuità della g., intesa appunto come dono divino.
S. Bernardo sottolinea il rapporto tra g. e libero arbitrio (" ipsa [gratia] liberum excitat arbitrium, cum seminat cogitatum, sanat cum immutat affectum, roborat ut perducat ad actum, servat ne sentiat defectum. Sic autem ista [gratia] cum libero arbitrio operatur, ut tantum illud in primo praeveniat, in caeteris comitetur; ad hoc utique praeveniens ut iam sibi deinceps cooperetur; ita tamen, quod a sola gratia coeptum est, pariter ab utroque perficitur, ut mistim, non singillatim, simul, non vicissim per singulos profectus operentur; non partim gratia, partim liberum arbitrium, sed totum singula opera individuo peragunt; totum quidem hoc et totum illa, sed ut totum in illo, sic totum ex illa ", Tract. de grat. et lib. arb. I e XIV). Pietro Lombardo, sulla traccia agostiniana, sottolinea il rapporto tra g. divina e volontà umana, che è chiamata in causa per le opere buone da compiere e da realizzare mediante un impegno responsabile della persona che s'inserisce nel piano della Provvidenza (" Unde Augustinus in Libro De gratia et libero arbitrio: ‛ Cooperando Deus nobis perficit quod operando incipit, quia ipse, ut velimus, operatur incipiens, qui volentibus cooperatur perficiens. Ut ergo velimus operatur; cum autem volumus, et sic volumus ut perficiamus, nobis cooperatur; tamen sine illo vel operante ut velimus, vel cooperante cum volumus bona pietatis opera, nihil valemus '. Ecce his verbis satis aperitur, quae sit operans gratia, et quae cooperans: operans enim est quae praevenit voluntatem bonam, ea enim liberatur et praeparatur hominis voluntas ut sit bona, bonumque efficaciter velit; cooperans vero gratia voluntatem iam bonam sequitur adiuvando ", Sent. II 26). Il Lombardo s'indugia anche a chiarire come la gratuità del dono divino non implichi una menomazione del libero arbitrio, pur dovendosi naturalmente porre in evidenza l'incidenza motrice della g. stessa nel processo che promuove le azioni buone (" Cum ergo ex gratia dicuntur esse bona merita et incipere, aut intelligitur gratia gratis dans, id est Deus vel potius gratia gratis data, quae voluntatem hominis praevenit: non enim magnum esset si haec a Deo dicerentur esse, a quo sunt omnia. Sed potius eius gratia gratis data intelligitur, ex qua incipiunt bona merita, quae cum ex sola gratia esse dicantur, non excluditur liberum arbitrium, quia nullum est in homine, quod non sit per liberum arbitrium. Sed in bonis merendis causae principalitas gratiae attribuitur; quia principalis causa bonorum meritorum est ipsa gratia, qua excitatur liberum arbitrium et sanatur, atque adiuvatur voluntas hominis, ut sit bona ", Sent. II 27). Anche s. Bonaventura mette in rilievo il concetto della g., individuandone gli elementi definitori prevalentemente sulla traccia delle lettere apostoliche (" Sunt ergo gratiae quator actus. Primus est animam stabilire, Hebr. 13, 9: Optimum est gratia stabilire cor, non escis, quae non profuerunt ambulantibus in eis, sicut Iudaei qui se multum in escis stabilierunt. Secundus actus est animam sanctificari, I Petr. 1, 13: Propter quod, succincti lumbos mentis nostrae, sobrii et perfecte sperate in eam quae offertur vobis gratiam in revelatione Christi; sanctificatio enim est in eo quod virtutes cognitivae et amativae transferuntur in Deum. Tertius actus est animam sursum ferre, ad Tit. 3, 4-7: Cum autem benignitas et humanitas apparuit Salvatoris nostri Dei, non ex operibus iustitiae quae fecimus nos; sed secundum misericordiam suam salvos nos fecit per lavacrum regenerationis Spiritus Sancti, quem effudit in nos abunde per Iesum Christum Salvatorem nostrum, ut iustificati gratia ipsius, heredes simus secundum spem vitae aeternae; et I Petr. Benedictus Deus et Pater domini nostri Iesu Christi, qui secundum misericordiam suam regeneravit nos in spem vivam. Quartus actus est animam inclinare, Eccl. 3, 20: Quanto maior est, humilis te in omnibus, et coram Deo invenies gratiam. Primum fit per divinam fidem, secundum per divinum morem, tertium per divinam spero, quartum per divinum timorem ", Coll. in Hex. III VI). Ribadito il concetto della g. come dono di Dio, concesso all'uomo perché possa elevarsi al suo creatore, s. Bonaventura ne ripropone l'attualità edificante e ascetica (" Ipsa autem habita meretur sui ipsius augmentum in statu viae per bonum eius usum merito digli. Nam, cum solus Deus sit ipsius gratiae fontale principiurn influendi, ipse solus est principium augmentandi per modum infundentis, et gratis per modum meriti et dignitatis, et liberum arbitrium per modum cooperantis et merentis, pro eo quod liberum arbitrium cooperatur gratiae et quod est gratiae suum facit ", Brev. V 11 4), che perfeziona l'incontro della volontà umana con quella divina (" Et quoniam gratia facit voluntatem nostram divinae voluntati conformem, ipsius est disponere nos ad obtemperandum et subiacendum illis regulis iustitiae secundum dictamen legis divinitus datae ", Brev. V IX 2). S. Tommaso d'Aquino sviluppa ampiamente il concetto di gratia gratis data e gratia gratum faciens (" duplex est gratia. Una quidem per quam ipse homo Deo coniungitur; quae vocatur gratia gratum faciens. Alla vero per quam unus homo cooperatur alteri ad hoc quod ad Deum reducatur. Huius modi autem donum vocatur gratia gratis data, quia supra facultatem naturae, et supra meritum personae, homini conceditur; sed quia non datur ad hoc ut homo ipse per eam iustificetur, sed potius ut ad iustificationem alterius cooperetur, ideo non vocatur gratum faciens ", Sum. theol. I II 111 1).
Se scarsamente rilevanti quanto al concetto teologico sono le occorrenze di g. ricorrenti in Vn XIX 10 42, XXVI 10 4 e XXXI 11 30 per il contesto cortese in cui si trovano, ben più importanti sono quelle in Cv III VI 10 (Onde ragionevolmente si puote credere che, sì come ciascuno maestro ama più la sua opera ottima che l'altre, così Dio ama più la persona umana ottima che tutte l'altre; e però che la sua larghezza non si stringe da necessitade d'alcuno termine, non ha riguardo lo suo amore al debito di colui che riceve, ma soperchia quello in dono e in beneficio di vertù e di grazia) e nei successivi passi, nei quali è chiarita la natura della g. (E rende incontanente ragione, dicendo che quelli che hanno questa grazia, cioè questa divina cosa, sono quasi come dei, sanza macula di vizio; e ciò dare non può se non Iddio solo, appo cui non è scelta di persone, sì come le divine Scritture manifestano, Cv IV XX 3, per cui vedi Le dolci rime 115), mentre è pure sottolineata la disposizione dell'anima a riceverla (Dice adunque che Dio solo porge questa grazia a l'anima di quelli cui vede stare perfettamente ne la sua persona, acconcio e disposto a questo divino atto ricevere, XX 7) e l'effetto che ne consegue (così questo naturale appetito, che de la divina grazia surge, dal principio quasi si mostra non dissimile a quello che pur da natura nudamente viene, ma con esso, sì come l'erbate quasi di diversi biadi, si simiglia, XXII 5). A parte il significato di " benevolenza ", " atto di cortesia ", divina o umana, o " particolare favore " che la voce g. ha talvolta nella Commedia, mutuando ed esemplificando in accezione corrente e cortese il modulo teologico (If IV 78, Pd XXXI 84), sarà opportuno considerare l'assunzione specifica della voce entro la linea di azione del poema, cioè della presenza di Dio (I f XXXI 129 se 'nnanzi tempo grazia a sé nol chiama) che è nell'anima principio sicuro di vita (Pg IV 134 che surga sù di cuor che in grazia viva). I frequenti richiami nella seconda cantica sembrano insistere, tanto nell'accentuazione ammirata e stupita insieme delle anime espianti, quanto in quella dignitosamente consapevole di D. pellegrino, specificamente sul dono della divina g. che gli consente inusitatamente l'oltremondana esperienza (Pg VII 19, VIII 66, XIII 88, XIV 14 e 80, XVI 40, XVIII 105, XX 42, XXI 3, XXIV 152, XXVI 59, XXX 112; e ancora Pd V 116, XIV 90, XXII 118, XXIV 4, 58 e 118, XXV 40 e 63, XXXI 112, XXXIII 82), ma anche riluce nei peccatori che egli incontra, ne affretta e consola il cammino nella consumazione della sosta purgatoriale verso il ritorno completo a Dio. Già l'inizio della terza cantica richiama con il trasumanar l'esperienza della g. riservata al cristiano nella vita eterna (Pd I 72), così come induce a meditare sulla diversità di grado con cui essa si presenta nel Paradiso (III 89). Ed è luce eterna nella quale si effonde con la benevolenza la beatitudine delle anime sante (cfr. Pd XIV 42, XIX 38, XXII 43 e 59) che a essa riconducono, come Giustiniano, il principio delle loro opere (VI 23 a Dio per grazia piacque di spirarmi / l'alto lavoro). Così s'intende il ringraziamento propiziato da Beatrice all'inizio dei canti del cielo del Sole, che è figura di Dio, della luce della sua g. ispiratrice, nell'ordine provvidenziale, di ogni intervento inteso a riportare verso il bene l'umanità disviata e corrotta (X 54 e 83, XII 42). Particolare incidenza può avere il raccordo di fondo con la g. nei canti che celebrano la giustizia, toccando essi i problemi del libero arbitrio, della volontà divina, e quindi della salvezza e della perdizione di fronte al mistero della predestinazione (XIX e XX 71, 118 e 122). La tensione di D. pellegrino si fa più acuta procedendo nell'ascesa paradisiaca, finché negli ultimi canti compaiono talune determinazioni più rilevanti sul piano teologico (cfr. XXV 69), come il rapporto tra beatitudine, g. e desiderio che spinge al bene (XXVIII 113 del vedere è misura mercede, / che grazia partorisce e buona voglia) ovvero in una dichiarazione che in termini didatticamente più aperti e distesi ne sviluppa il problema (XXIX 62 e 65 per che le viste lor furo essaltate / con grazia illuminante e con lor merto, / sì c'hanno ferma e piena volontate; / e non voglio che dubbi, ma sia certo, / che ricever la grazia è meritorio / secondo che l'affetto l'è aperto), sottolineando l'importanza dell'impegno personale che è il segno della presenza e della responsabilità umana. Riesaminando la storia della sua vita, D. dice di sé di essere figliuol di grazia (Pd XXXI 112), in quanto poteva affermare di aver fatto personale esperienza della larghezza di grazie divine (Pg XXX 112) per il privilegio del viaggio ultraterreno (Pd V 116, X 54, XXIV 4). Nell'ascesa iniziale il poeta era stato impedito da tre fiere; per potersene liberare gli fu necessaria la g., che gli giunse con la g. preveniente (la Vergine), la g. illuminante (s. Lucia), la g. operante che aiutò la volontà nel suo atto di elezione (Beatrice). Nelle tre donne celesti, gli esegeti ritengono che si esemplifichi il passaggio dallo stato di peccato allo stato di grazia. Riacquistata, per mezzo della g., la sanità morale (Pg XXVII 140), l'anima vuole il bene, opera con efficacia (Pd V 4-6), e supplica la perseveranza finale (cfr. Tomm. Sum. theol. II II 137), chiedendo di trovarsi, al momento della morte, nello stato di g. santificante (Pd XXXIII 34-39). Determinante resta la scelta operata dalla volontà divina che le menti tutte nel suo lieto aspetto / creando, a suo piacer di grazia dota / diversamente (XXXII 65), per cui essa assume una dimensione strettamente personale (XXXII 71 Però, secondo il color d'i capelli, / di cotal grazia l'altissimo lume / degnamente convien che s'incappelli). S. Bernardo è, del resto, personaggio autorevole a richiamare come la redenzione sia la fonte della g., identificata quindi in Cristo ('l tempo de la grazia, XXXII 82) e al tempo stesso, nell'atto di accingersi a rivolgere la sua preghiera alla Vergine (che è mediatrice di g.: XXXI 101, XXXIII 14 e 25), come la g., atto di benevolenza ma anche consacrazione ultima e suprema di una dignità che realizza la pienezza dell'umana felicità, non si possa disgiungere da un'invocazione che in qualche modo, per così dire, la provochi nel misericordioso intervento divino (XXXII 147-148 Veramente, ne forse tu t'arretri / movendo l'ali tue, credendo oltrarti, / orando grazia conven che s'impetri / grazia da quella che puote aiutarti).
Nei commentatori trecenteschi della Commedia che per essere assai vicini al mondo culturale del poeta ne riflettono, in diversa misura, anche la sensibilità e l'interesse teologico, si ritrova qualche nota esplicativa intorno a questo concetto. L'Ottimo a proposito di If II 94 nota che " ottima cosa è a ciascuno mortale avere somma divozione e speranza in Dio, ed appresso avere alcuno Santo o Santa per speziale avvocato dinanzi a Dio, avvegna che alcuni dicano che questa donna è posta in figura d'una grazia antiveggente: però non le pone nome: avvegna che tutte grazie sieno per dono di Dio, lo dono dell'intelletto è spezialissimo, ed è a pochi dato ". Il Buti nell'esegesi di Pd XXVIII 112 chiarisce in termini scolastici la sostanza teologica che costituisce la dinamica della g. (" Debbesi intendere questo ordine così: La grazia preveniente eccita lo buono volere, la grazia cooperante aiuta questo buono volere e lo compie e lo conferma; e tanto quanto è l'atto del volere in accettare questa grazia che 'l muove, tanto è lo merito, sicché nella creatura è la grandezza del volere, e per conseguenza del merito, e secondo lo merito è lo intendere Iddio e secondo lo intendere è l'amare, e secondo l'amare è fruere Iddio che è essere beato "). Interessante è anche una breve nota successiva, intesa a lumeggiare il valore conquistato dall'anima beata (" Accettarono la grazia che li illuminò, et in questo stette lo loro merito; et in questo sta lo merito dell'uomo; ch'egli accetti la grazia che lo illumini e seguitala; et in questo sta lo merito onde viene più la grazia cooperante e confermante e consumante ", a Pd XXIX 62). Del resto, il Boccaccio (ediz. Padoan, pp. 64 ss.) aveva distinto, citando espressamente Pietro Lombardo, quattro tipi di g. (operante, cooperante, perseverante e salvante) e Benvenuto (a Pd XXXII 82) aveva agevolmente glossato: " tempus gratiae fuit tempus Christi ".
Tra gli esegeti che hanno posto maggiormente in luce il tema teologico della g., nei commenti alla Commedia, dall'800 a oggi, sono da ricordare: G. Cornoldi, P. Venturi, B. Lombardi, G. Poletto, D. Palmieri, G. Berthier, G.B. Parma, L. Pietrobono, F. Fallani.
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