Bambaglioli, Graziolo de'
Bonagrazia di Bambagliolo di Amico de' B., detto Graziolo, nacque a Bologna molto probabilmente intorno l'ultimo decennio del sec. XIII, da importante casato guelfo proveniente da Crevalcore e fattosi bolognese intorno al 1250.
La famiglia possedeva case nella cappella di S. Isaia, e fino alla metà del sec. XIX dette nome a un borgo tra la chiesa predetta e quella di S. Francesco; l'avo e il padre - notari come la maggior parte dei consorti - tennero in città e fuori (come s'usava) onorevoli uffici: tra il 1259 e il 1307 Amico, tra il 1305 e il 1326 Bambagliolo. Nominato anch'egli notaio il 10 luglio 1311, G. doveva aver raggiunto, a tale data, almeno una ventina d'anni; e in seguito ebbe a percorrere un ‛ cursus honorum ' professionale lento ma sicuro: notaro e ufficiale del comune di Bologna nel 1320; membro del consiglio del Popolo e poi di quello degli Anziani nel 1321 (carica cui fu eletto più volte); il 26 luglio di tale anno nominato, infine, cancelliere del comune (ufficio ricoperto fino a mezzo il 1334). Qualche anno dopo, il 7 luglio 1326, G. toglieva in moglie Giovanna di Lorenzo Bonacati, che portava in dote 300 lire di bolognini (metà dei quali in beni mobili) e gli dava poi un figlio, Giovanni.
Ma la situazione politica bolognese veniva rapidamente mutando: alla cacciata del cardinale Bertrando dal Poggetto, legato pontificio per l'Emilia e la Romagna, seguì, nel 1334, l'esilio di più che mille e cinquecento cittadini di Parte guelfa, banditi da Bologna; fra essi, molti della famiglia, fra cui G. e lo zio Uguiccione (anch'egli per qualche parte connesso ai più antichi documenti bolognesi della fortuna di Dante). Si aprì allora a G., sicuro rifugio, la corte napoletana di re Roberto d'Angiò; e a Napoli egli ottenne ben presto cariche di una certa importanza, se compare in atti quale vicario di Manfredo conte di Sartiano, capitano della città partenopea per conto di re Roberto. L'esilio si prolungò fino alla morte, avvenuta sicuramente nel 1343: in tale anno il figlio Giovanni, non ancora maggiorenne, chiedeva gli fosse assegnato un curatore.
Non v'ha dubbio che la notorietà, sul piano letterario, del cancelliere bolognese sia legata per la massima parte alla sua vivace, per non dire entusiastica attività di esegeta del poema dantesco. Composto in latino nel 1324 (ma presto diffuso anche in un volgarizzamento già noto all'Ottimo nel 1333) il commento di G., fin dalle sue prime battute, vuol essere una precisa e impegnata ‛ laudatio ' di D. poeta eccelso, verace alunno di filosofia, uomo di profonda e inclita sapienza. Se questi doni preclari sono ovviamente ricondotti alla ininvestigabile, generosa provvidenza di Dio creatore, e se D. è presentato chiaramente quale il portatore, anzi il testimone di una sapienza sublime, la ricchezza metaforica e ornata dello stile cancelleresco (come di consueto ammantato di colori e accenti biblici) non lascia dubbi che G. (come già del resto aveva fatto Iacopo) punti a inquadrare D. e là Commedia in una dimensione di poesia: altissima e religiosa poesia, nutrita però non soltanto di scienza teologica (G. non parla affatto di più o meno profetici doni o di una fideistica ‛ visione ', ma pur anche delle altre e tutte umane scienze: astrologia, filosofia morale naturale, retorica e poetica. E questo profondo patrimonio non solo di ispirata poesia ma di alta dottrina G. si propone di illustrare ed esporre, cogliendo e mettendo in rilievo sinteticamente, innanzi tutto, la problematica ‛ morale ' (il " morale negotium ") che è alla base dell'esperienza poetica di D. (questo egli fa determinando assai bene non solo il concetto di " Agens " e i rapporti tra Dante-personaggio e Virgilio-guida, ma anche disegnando i termini dell'esperienza compiuta, appunto, da D. nel suo ‛ viaggio ' oltremondano, metafora che ha in sé valore catartico di azione morale concretamente vissuta) e poi offrendo, dal c. III dell'Inferno in poi, una lettura piana e complessivamente letterale (legittimamente appesa all'iniziale dichiarazione della cosiddetta ‛ allegoria fondamentale ' del poema) che mira a dichiarare i termini concettuali e culturali del libro, e i nodi fondamentali dell'azione, senza ricorrere a inutili quanto sterili allegorismi.
Da questo punto di vista, proprio per la fruttuosa limitazione dell'allegoria a quella ‛ fondamentale ' (che valga insomma a dichiarare inizialmente i termini della ‛ fictio ' sia rispetto ai personaggi principali che quanto al figurato) senza successivi cedimenti e sovrapposizioni, il commento di G. si viene in un certo senso a contrapporre al tutto programmatico allegorismo delle Chiose di Iacopo, e acquista una sua particolare, ancor oggi valida fisionomia. Ma non solo l'aderenza ad alcuni concetti espressi nell'Epistola a Cangrande, o la profonda cultura aristotelico-domenicana, sentita dal commentatore come un'esperienza tutta esistenziale (si veda ad esempio la chiosa al c. XI dell'Inferno, condotta a norma dell'Etica di Aristotele e della relativa chiosa di Tommaso) rendono pregevole, anzi ancora utile il commento: caratteristica di G. è la recisa presa di posizione polemica, a difesa dell'ortodossia dell'Alighieri, su punti e temi particolari che evidentemente erano suscettibili, per allora, di riserve sul piano teologico-dottrinale, talora in rapporto alle polemiche con l'Ascolano. Si veda ad esempio la lunga chiosa (a If VII 67 ss.) sulla Fortuna e il libero arbitrio, o quelle a XIII 104 e XXXIII 124-132 sui rapporti tra corpo e anima separata, o ancora le pagine sull'apocalittica invettiva del c. XIX dell'Inferno, ricche di una non celata adesione agl'ideali propugnati da Dante.
Si comprende come l'apologetico entusiasmo di G. potesse in qualche modo turbare (certo in rapporto alla sua posizione) chi mal riusciva a cogliere, anche sul piano politico, le esatte prospettive di cui si era animato il pensiero dantesco: non a caso fra' Guido Vernani dedicherà in quegli anni proprio al Bambaglioli, con una inscriptio ammonitrice, il De reprobatione Monarchiae. Se l'esilio arrestò l'attività di G. dantista, il Trattato delle volgari sentenze sopra le virtù morali, composto nel periodo napoletano, si muove tutto in un clima di sentenzioso moralismo, che in qualche parte risente - come un'eco lontana - della lezione dantesca: documento anch'esso di un impegno e di una consonanza di ideali che, pur nei suoi indubbi limiti sul piano dell'arte, meglio chiarisce l'orizzonte culturale (se non il senso e gli scopi) dell'importante esegesi dantesca del suo autore.
Bibl. - Edizioni: Comento alla Cantica dell'Inferno di D. A. di autore anonimo, ora per la prima volta dato in luce, a c. di G.W. Vernon, Firenze 1848 (volgarizzamento); Il commento dantesco di G. de' B. dal " Colombino " di Siviglia con altri codici raffrontato. Contributi di A. Fiammazzo all'edizione critica, Savona 1915 (testo latino in edizione semidiplomatica). Per il Trattato cfr. L. Frati, Rimatori bolognesi del Trecento, Bologna 1915, 1-49 (è ancora inedito il commento latino che G. appose al Trattato; ed. in corso presso la Facoltà di Lettere di Firenze).
Studi: L. Frati, Notizie biografiche di rimatori italiani dei secoli XIII e XIV, VII: G.B., in " Giorn. stor. " XVII (1891) 367-380; G.B. Siracusa, L'ingegno, il sapere e gl'intendimenti di Roberto d'Angiò, Torino-Palermo 1891, 35-40;F. Falco, Moralisti italiani del Trecento, Lucca 1891; L. Rocca, Di alcuni commenti della D.C. composti nei primi vent'anni dopo la morte di D., Firenze 1891, 43-77; L. Frati, G.B. esiliato a Napoli, in " Giorn. d. " I (1893) 212-213; P. Papa, in " Arch. Stor. Ital. " XXXIV (1904) 469 ss. (recensione a G. Livi, Memorie dantesche, etc., in " Nuova Antol. " 1 aprile 1904); T. Casini, Intorno a G.B., in " L'Archiginnasio " XI (1916) 165-166; G. Livi, D., suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna 1918, 79-80, 84-86, 103-105, 207-208, 257-258; ID., D. e Bologna. Nuovi studi e documenti, ibid. 1921, 34-36; L. Sighinolfi, La prima polemica dantesca a Bologna, in " Strenna storica bolognese " II (1929); F. Mazzoni, Per la storia della critica dantesca. I: Iacopo Alighieri e G.B., in " Studi d. " XXX (1951) 157-202; ID., La critica dantesca del secolo XIV, in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 292; A. Vallone, G.B., in Dizion. biogr. degli Ital. V (1963) 640-642; E. Guidubaldi, D. europeo, II, Firenze 1966, 19-25 (errato nelle valutazioni, con manifeste forzature dei testi); B. Sandkühler, Die frühen Dantekommentare und ihr Verhaltnis zur mittelalterlichen Kommentartradition, Monaco 1967; G. Messori, Il " Commentarium " di Pietro Alighieri, in Lectura Dantis Mystica, Firenze 1969, 170, n. 176.