Greci e Persiani: la vendetta degli sconfitti
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo le guerre persiane, mentre i Greci riprendono le consuete lotte intestine, senza grande attenzione per una distinzione tra coloro che avevano combattuto e coloro che avevano “medizzato”, i Persiani, pur sconfitti ancora sul piano militare, seguitano a interferire con notevole successo nelle vicende greche. I Persiani sono visti in genere come un popolo ricco ed esotico, effeminato e inaffidabile, la cui immagine si costruisce attraverso una serie di opposizioni ai presunti caratteri greci. Ciò non impedisce continue e fortunate frequentazioni tra i due popoli, specie a livello aristocratico.
Le guerre persiane hanno un enorme impatto sui Greci; sono anche decisive per dare il via all’eccezionale sviluppo di Atene, che inizia il suo “secolo breve” di dominio militare e culturale. Non hanno invece alcuna influenza sul mondo greco per quanto riguarda l’assetto politico.
La Lega ellenica, vittoriosa sul campo, si rivela per quello che è: un’unione temporanea e poco coesa al suo interno. Le poleis riprendono le loro lotte e “la libertà che i Greci avevano ottenuto era la libertà di continuare a interferire ciascuno con la libertà degli altri” (Robin Osborne). Né possiamo stupirci – memori di tante altre situazioni simili che la storia ci ha presentato – che anche la divisione tra leali ed eroici difensori della libertà e spregevoli “medizzanti” collaborazionisti, anche se destinata a riapparire di tanto in tanto, in pratica viene dimenticata e perde d’importanza.
Gli abitanti della piccola Micene, pochi anni dopo la fine della guerra, non traggono alcun vantaggio dall’aver fatto parte della coalizione antipersiana, quando vengono brutalmente assaliti da Argo, che invece durante la guerra è rimasta colpevolmente neutrale: nessuno si sogna, infatti, di accorrere in loro aiuto. E cinquant’anni dopo sono i Plateesi, il cui curriculum di lealtà è forse il più immacolato, a subire la peggiore delle sorti da parte degli Spartani, stretti alleati dei Tebani, che dei “medizzanti” sono stati i campioni. E le poche volte che ci si sofferma a riflettere su tali questioni imbarazzanti, la risposta è, ancora una volta, quella che sentiremo tante altre volte, in circostanze simili: a medizzare non sono stati – per esempio – i Tebani, ma solo i pochi che a quel tempo ne dirigevano la politica...
Le battaglie di Platea e Micale non pongono formalmente fine alla guerra. In effetti, non viene firmato alcun trattato di pace. La collocazione delle poleis dell’Asia Minore rimane “sospesa” e i Persiani non scompaiono affatto dalla storia greca.
Analizziamo in primo luogo le vicende militari. La Lega ellenica, ormai guidata da Atene – quella che noi chiamiamo Lega di Delo, o Lega delio-attica, ne è in effetti un’emanazione, anche se presto diventerà qualcosa di molto diverso –, continua la guerra e conferma la superiorità greca sul mare: la vittoria dell’Eurimedonte (466 a.C.), dove l’esercito alleato è guidato da Cimone, figlio di Milziade, pone fine, per il momento, alle ambizioni persiane di riprendere il controllo dell’Egeo, mentre, pochi anni dopo, Atene ha addirittura l’ardire di inviare un grande contingente in aiuto del principe egiziano Inaro, protagonista di una delle tante ribellioni al dominio persiano nella zona del delta del Nilo. L’impresa (460-454 a.C.) si conclude con un completo fallimento e la perdita di moltissime navi e uomini. Ma ciò non sembra turbare la sicurezza della democrazia ateniese, che proprio in quegli anni sta consolidando la sua struttura, dopo le riforme di Efialte e Pericle. Nel 449 a.C., Ateniesi e Persiani giungono a una sorta di trattato di pace (comunemente chiamato pace di Callia, dal nome dell’ambasciatore ateniese protagonista delle trattative, amico e parente di Pericle).
Non si tratta probabilmente di un vero e proprio trattato, almeno da un punto di vista giuridico (il Gran Re non può firmare trattati con entità “inferiori” come una polis), ma certo, da quel momento, i Persiani cessano (per breve tempo, come vedremo) di aspirare al controllo delle città dell’Asia Minore, ormai tutte incardinate nella Lega di Delo.
In realtà, l’ambizione di influenzare la politica greca non viene mai meno alla corte persiana. Il tramite naturale per dirigere la politica occidentale del Gran Re sono i satrapi a capo delle satrapie più vicine al mondo greco. Ne ricordiamo due, instancabili tessitori di trame fra Oriente e Occidente: Farnabazo e Tissaferne. Il primo, satrapo della Frigia ellespontina (capitale Dascilio), è protagonista degli accordi persiani con Sparta che, nella fase finale della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), portano di fatto alla vittoria la città laconica. Ma la sua presenza si fa sentire anche in seguito, in pieno IV secolo a.C., quando insieme a Conone intraprende, per la prima volta, la spedizione navale di una flotta persiana nelle acque greche, questa volta contro Sparta. Il secondo, satrapo della Lidia (capitale Sardi) è una figura più ambigua e complessa, e anche – all’apparenza – più ambiziosa. Ha il suo momento di gloria a Cunaxa, a fianco di Artaserse II contro il fratello ribelle Ciro; sarà sconfitto poi da Agesilao e poco dopo verrà fatto giustiziare dallo stesso Artaserse.
Non è facile seguire i complessi rapporti tra la corte del Gran Re, il quale, non foss’altro per la distanza che lo separa dalle regioni occidentali, appare spesso poco coinvolto nelle cose di Grecia, e il mondo delle poleis. Non c’è dubbio, comunque, che a partire dall’ultima fase della guerra del Peloponneso, i Persiani giochino un ruolo centrale nella politica greca, valendosi soprattutto delle sconfinate risorse finanziarie che possono mettere a disposizione. Con tali mezzi – esattamente ciò che è sempre mancato alle poleis – generalmente tendono a privilegiare la parte più debole (Sparta durante la guerra del Peloponneso, Atene, Tebe e le altre dopo la guerra), senza alcun interesse per questioni ideologiche. Il culmine di tale processo si ha nel 386 a.C., quando la pace generale tra Greci, non a caso chiamata “del Re”, inizia con la frase, infamante per i Greci stessi: “Il re Artaserse ritiene giusto...”. La reazione che comincia a manifestarsi in quegli stessi anni, per esempio negli scritti di Isocrate, è basata appunto sull’enorme differenza tra forza militare persiana (modestissima, come le vicende raccontate da Senofonte nell’Anabasi dimostrano) e influenza sulla politica greca, sempre più grande e sempre più imbarazzante. Ma i Greci non hanno più le forze per contrastare tale stato di fatto: a risolvere l’impasse saranno Filippo II e suo figlio Alessandro.
Ideologicamente, il Persiano, dopo le grandi battaglie destinate a rimanere a lungo come pietre miliari dell’immaginario occidentale, è ormai il barbaros, il nemico per antonomasia: amante del lusso, subdolo, codardo, effeminato (curioso destino per un popolo che, alle origini, era formato da rudi e coraggiosi montanari!), irrazionale, in qualche misura il suo ritratto tende a formarsi con una semplice serie di opposti al carattere greco. Essere vicini ai Persiani è una condanna a morte per le velleità politiche di un ateniese: ne sono splendida testimonianza gli ostraka che, nel dare il voto di condanna a questo o quell’altro politico, lo accompagnano con il disegnino stilizzato di un persiano, rappresentato nell’atto tipico di maneggiare l’arco.
I Persiani, nell’immaginario popolare, sono visti come lontani abitanti di una sorta di Eldorado, in cui davvero tutto si trasforma in oro, come si raccontava di Mida. Ne è testimonianza un meraviglioso passo degli Acarnesi di Aristofane, in cui si può notare anche il sottile, ma chiaro segno di sostanziale disprezzo con il quale era visto il Persiano nell’Atene classica.
Aristofane
Gli ambasciatori persiani in Aristofane
Gli Acarnesi
Nella scena, troviamo la tradizionale avversione per i politicanti ateniesi che si arricchiscono a spese del popolo, in questo caso con ambascerie lunghissime e costosissime per lo stato (l’arcontato di Eutimene, quando l’ambasceria sarebbe partita, cadeva 11 anni prima!), a ciò che più ci interessa, lo schizzo dell’ambasciatore persiano con tratti certo poco lusinghieri, noi diremmo un po’ razzisti, che sottolineano la ricchezza e l’inaffidabilità del suo popolo. Interessante il tentativo del poeta, al v.100, di ’rendere’ la lingua persiana con un collage di suoni persiani che circolavano ad Atene: si riconoscono i nomi di Artaserse e Serse, del satrapo Pissutne e la stessa parola satrapia.
BANDITORE Gli ambasciatori di ritorno dalla corte del Re!
DICEOPOLI Ma quale re?... Non li posso soffrire gli ambasciatori che si pavoneggiano con le loro balle.
BANDITORE Silenzio!
Entrano gli ambasciatori ateniesi vestiti alla moda persiana.
DICEOPOLI Accidenti, per Ecbatana, che eleganza!
AMBASCIATORE Quand’era arconte Eutimene, ci inviaste dal Gran Re con una paga di due dracme al giorno.
DICEOPOLI (a parte) Povere le nostre dracme!
AMBASCIATORE
… eravamo sfiniti dal viaggio attraverso le pianure del Caistro:, al riparo delle tende, sdraiati mollemente in comode carrozze, morti di stanchezza.
DICEOPOLI (a parte) Invece io me la spassavo un mondo in trincea, sdraiato... nel letame.
AMBASCIATORE In quanto ospiti, eravamo costretti a bere da bicchieri di cristallo e da coppe d’oro un vino dolce, senza una goccia d’acqua.
DICEOPOLI (a parte) ’O città di Cranao’, non ti accorgi che gli ambasciatori ti prendono in giro?
AMBASCIATORE Dovete sapere che i barbari stimano uomini importanti solo quelli che sono in grado di mangiare e bere a crepapelle.
DICEOPOLI (a parte) Noi invece i finocchi e i rottinculo.
[…]
AMBASCIATORE
E ora siamo tornati con Pseudartabano, l’Occhio del Re.
DICEOPOLI (a parte) E il tuo, di occhio, possa cavartelo un corvo, con un colpo di becco!
BANDITORE L’Occhio del Re!
Entra Pseudartabano: la sua maschera ha nel mezzo un solo grande occhio, sotto il quale pende una lunga barba arricciata. Lo seguono due eunuchi.
DICEOPOLI (a parte) Ehi tu, per gli dèi, hai l’aspetto di una nave da guerra che incrocia in acque nemiche. Forse, doppiando il capo, cerchi di avvistare un approdo sicuro? Se non sbaglio, hai un’otre sotto l’occhio.
AMBASCIATORE Suvvia, Pseudartabano, riferisci agli Ateniesi cosa ti ha mandato a dire il Re.
PSEUDARTABANO I-arta-mane-xarxana pissona satra.
AMBASCIATORE Avete capito ciò che ha detto?
DICEOPOLI No per Apollo, io no!
AMBASCIATORE Dice che il Re vi manderà dell’oro. (A Pseudartabano) Di’ ’oro’ a voce più alta e chiara.
PSEUDARTABANO Tu non ricevere oro, Ionio culaperto.
DICEOPOLI O poveri noi, come è stato chiaro!
AMBASCIATORE Cosa dice dunque?
DICEOPOLI Che cosa? Dice che gli Ioni sono dei culaperti, se si aspettano oro dai barbari.
AMBASCIATORE Macchè, anzi parla di sacchi d’oro.
DICEOPOLI Ma quali sacchi? Sei un grande imbroglione. Levati di mezzo! Lo interrogherò io, da solo. (A Pseudartabano) E tu ora spiegati per bene davanti a questo qui (gli mostra il bastone), se non vuoi fare un bel bagno nella porpora di Sardi. Il Gran Re, ce lo manderà quest’oro, sì o no? (Pseudartabano fa cenno di no) Allora siamo ingannati dagli ambasciatori? (Pseudartabano fa cenno di sì, e con lui i due eunuchi)
[…]
Eppure, il quadro che presentiamo sarebbe incompleto se non tenessimo conto dell’altra faccia della medaglia. Oltre alla pressione ideologica, che ha buon gioco a farsi largo nell’immaginario popolare, esistono altri modi con i quali i Persiani vengono a contatto con la realtà greca: in molti di questi casi gli incontri non sono affatto di segno negativo, ma fanno capire come Greci e Persiani rappresentino “due mondi tra i quali un abisso è stato posto dalla autorappresentazione ideologica che i Greci hanno dato di se stessi, ma che erano, nella prassi concreta, assai più vicini e intrecciati” (Luciano Canfora).
Ciò è vero soprattutto a livello di aristocrazie: qui, chiaramente, non è certo un abisso quello che separa i due mondi. Gli incontri, gli scambi, le buone relazioni, la facilità con cui gli aristocratici greci che finiscono in Persia riescono a intendersi con i loro pari persiani ci rende più immediata la comprensione di personaggi come l’ateniese Senofonte, nel quale, oltre alla passione politica per Sparta, convive una più romantica e meno immediatamente afferrabile attrazione per l’Oriente e per la Persia, veicolata attraverso la descrizione di figure realmente conosciute, come Ciro il Giovane (nell’Anabasi), o idealizzate, come Ciro il Grande (nella Ciropedia), ma comunque portatrici di valori esemplari e centrali nell’universo ideologico dell’autore, che appare condividere gran parte dell’atteggiamento etico proprio, appunto, dell’aristocrazia persiana.
Esiste poi tutta una serie di influenze persiane (a cui è stato dato l’elegante nome di perserie) in campo artistico e in campi più quotidiani come, per esempio, la moda nel vestiario e in altri accessori.
I Persiani sono insomma compagni di viaggio dei Greci, lungo i due secoli centrali della loro storia. Quella che ci manca, purtroppo, è una testimonianza della visione che i Persiani hanno degli Yauna (= Ioni: è questo il nome che essi davano ai Greci in generale): difficilmente li avranno considerati più di un piccolo popolo marginale.
Certamente l’aspetto che viene più apprezzato è la loro capacità militare, specie per quanto riguarda la fanteria pesante, di cui i Persiani sono sempre stati sprovvisti. Non a caso, il mondo orientale, e la Persia in particolare, è sempre stato popolato di mercenari greci, che hanno finito per costituire uno dei più importanti veicoli di scambio culturale tra i due mondi.