Vedi Grecia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La collocazione geografica della Grecia ha storicamente reso il paese una cerniera naturale tra l’Europa occidentale e il Vicino Oriente, rendendolo storicamente vulnerabile a conflitti e gravi periodi di crisi. Il paese confina a nord con Albania, Macedonia e Bulgaria e si estende verso sud con le sue oltre 1400 isole che, bagnate dal Mar Mediterraneo, sorgono di fronte alla Turchia, paese con cui i rapporti sono sempre stati difficili per via degli antichi contenziosi territoriali e della questione di Cipro. Per tutto il periodo della Guerra fredda la Grecia è stata l’argine sudoccidentale del blocco atlantico nella politica di contenimento dell’espansionismo sovietico. Durante gli anni Novanta, invece, ha giocato un ruolo di primo piano nello sforzo di stabilizzazione dei Balcani. Con l’inizio del 21° secolo, la centralità assunta dalla lotta internazionale al terrorismo e alle reti transnazionali della criminalità organizzata hanno una volta di più evidenziato la rilevanza della collaborazione di uno stato come la Grecia, al confine tra mondo cristiano e mondo musulmano, e posta a presidio di un territorio strategico anche per i traffici lungo le rotte mediterranee. Grave in particolare e massiccio è, a tutt’oggi, il fenomeno dell’immigrazione clandestina, che attraversa la Grecia nel tentativo di raggiungere altre mete occidentali.
Benché la gravissima crisi economica degli ultimi anni abbia fatto temere una fuoriuscita forzata dall’euro e benché il paese sia attraversato da forti istanze antieuropeiste, la Grecia è ancora solidamente parte dell’Unione Europea. Al processo di integrazione europea ha partecipato sin dal 1981 con l’ingresso nella Comunità Economica Europea (Eec). La Grecia è poi membro della Nato dal 1952, salvo una breve fuoriuscita a seguito della crisi cipriota tra il 1974 e il 1980, ed è attiva sul piano della cooperazione regionale, in particolar modo attraverso l’Organizzazione per la cooperazione economica nel Mar Nero (Bsec).
A livello bilaterale le relazioni politiche più intense e spesso controverse sono quelle che la Grecia ha sviluppato con i paesi confinanti.
Con la Macedonia, per esempio, esiste un’aspra e ventennale disputa legata alla legittimità dell’utilizzo da parte di Skopje del nome costituzionale di ‘Repubblica di Macedonia’. Secondo Atene, l’adozione di questo nome implicherebbe rivendicazioni sui territori della Macedonia greca. Sulla questione, la Grecia ha assunto posizioni che pesano sul piano multilaterale: Atene ha vincolato alla risoluzione condivisa della controversia il proprio assenso all’ingresso della Macedonia tanto nella Nato, quanto nell’Unione Europea (Eu). Anche i rapporti con l’Albania sono caratterizzati da tensioni latenti, legate principalmente alle condizioni della minoranza greca stanziata nelle regioni meridionali del paese e alla perdurante emergenza sociale creata dagli immigrati albanesi in Grecia (stimati intorno ai 600.000, per lo più irregolari, anche se in diminuzione a causa della grave crisi economica). È però con la Turchia che esistono i contenziosi più rilevanti e datati: dalla questione cipriota, che si è sviluppata dal secondo dopoguerra, alla delimitazione delle acque territoriali nel Mar Egeo e dei rispettivi spazi aerei, dalla demilitarizzazione delle isole sotto controllo greco in prossimità della costa turca sino al trattamento riservato da Ankara e da Atene alle rispettive minoranze.
Anche la politica interna ha risentito della particolare collocazione geopolitica della penisola ellenica, specie durante gli anni della Guerra fredda, quando la contrapposizione bipolare e gli interessi del blocco occidentale, di cui la Grecia faceva parte, irrigidirono notevolmente il clima e le dinamiche politiche interne. Il termine della Seconda guerra mondiale aveva coinciso con lo scoppio di una guerra civile. Da una parte, la destra greca, posta al governo del paese alla fine dell’occupazione nazista e appoggiata da Stati Uniti e Regno Unito, dall’altra il partito comunista, che aveva guidato il movimento di resistenza ed era favorevole all’abolizione della monarchia. Durata tre anni, dal 1946 al 1949, la guerra civile greca si concluse con la sconfitta della sinistra e la sua marginalizzazione politica e sociale. Le tensioni e le divisioni tra i due schieramenti sarebbero tuttavia rimaste una costante nel panorama politico greco per tutta la seconda metà del Novecento, esacerbate peraltro dai sette anni della dittatura dei colonnelli, che dal 1967 al 1974 interruppe la vita democratica del paese. L’8 dicembre del 1974 un referendum popolare si pronunciò per l’abolizione della monarchia e il 7 giugno del 1975 fu adottata una nuova Costituzione che sanciva l’istituzione della repubblica parlamentare. Capo di stato è il presidente della repubblica, che svolge prevalentemente funzioni di rappresentanza e cerimoniali. Il potere legislativo è invece esercitato da un parlamento monocamerale, composto da 300 membri. I deputati sono eletti per un mandato quadriennale con un sistema di tipo proporzionale, che prevede uno sbarramento del 3% e un premio di maggioranza di 40 seggi da assegnare al partito che ottiene più voti. Dalla ripresa della normalità democratica nel 1974, la politica interna greca ruota principalmente attorno a due partiti e alla loro alternanza nella guida del paese: uno socialdemocratico, il Movimento socialista panellenico o Pasok, l’altro liberal-conservatore, la Nuova democrazia.
La grave crisi economica ma anche politica e sociale che la Grecia sta vivendo, e di cui il paese ha subito i danni maggiori in Europa, rischia di compromettere questi equilibri. L’ingresso in parlamento, alle elezioni del 2012, del partito di estrema destra Alba dorata – costituito da Nikos Mihaloliakos nel 1980, poi registrato nel 1993 –, che ha ottenuto per la prima volta 18 seggi, ha sconcertato anche gli osservatori esterni. La campagna elettorale era basata sullo slogan ‘Così possiamo liberare questa terra dalla sporcizia’: l’attacco era direttamente agli immigrati. In seguito a un escalation di violenze nel paese, il partito è stato rapidamente estromesso dal parlamento a fine settembre 2013 e il suo leader è stato arrestato.
Dal giugno 2012 la Grecia è guidata da Antonis Samaras, dopo sei mesi di governo tecnico di Lucas Papademos durante il quale si è cercato di tenere a galla il paese, lasciato allo sbando dal governo socialista precedente, con un debito pubblico smisurato e con la necessità di fornire garanzie ai prestiti erogati dal Fondo monetario internazionale e dai paesi dell’eurozona per evitare la bancarotta. Obiettivo del nuovo governo, appoggiato anche dall’opposizione, è stato varare le riforme strutturali necessarie per migliorare le pessime finanze pubbliche e ottenere le tranches dei prestiti concessi dalla ‘troika’, i rappresentanti di Banca centrale europea (Ecb), Commissione Europea e Fondo monetario internazionale coinvolti nell’intervento sul debito greco. Le eccezionali misure di austerity e riduzione della spesa pubblica, assieme all’aumento della pressione fiscale, stanno mettendo a dura prova i cittadini greci. Nel paese è ricomparsa la denutrizione. Il piano di salvataggio, concesso dall’Europa su condizioni molto stringenti per tenere il paese nell’eurozona, è stato molto doloroso. Tra le misure adottate per il riordino dei conti anche un piano che rivoluziona l’organizzazione amministrativa del paese, pesanti i tagli al settore pubblico, scuola e informazione comprese, diverse privatizzazioni, la riforma delle pensioni. Le politiche intraprese dal governo per uscire dalla crisi hanno prodotto l’effetto di aumentare l’euroscetticismo nel paese.
La popolazione greca è composta da poco più di 11 milioni di persone, 3,7 milioni delle quali vivono nella capitale, Atene. La crescita demografica è negativa (-0,18% nel 2012) e gli ultrasessantenni sono quasi un quarto del totale della popolazione.
La Grecia è stata tradizionalmente un paese di emigrazione. Dopo la Seconda guerra mondiale numerosi greci si spostarono verso l’Europa nordoccidentale (600.000 in Germania dal 1955 al 1973), Stati Uniti, Canada e Australia. Con il ritorno della democrazia e lo sviluppo economico, dagli anni Ottanta, il paese ha registrato un’inversione di tendenza, attirando greci già emigrati e immigrati da paesi asiatici e africani. Negli anni Novanta è poi cominciato il flusso migratorio dall’Europa dell’Est e in particolare dall’Albania. La popolazione straniera è dunque stimata in più di 800.000 persone e di questi il 62% ha origini albanesi. La precisione delle stime è limitata dalla diffusione del fenomeno dell’immigrazione irregolare, proveniente anche da Afghanistan, Iraq, Egitto, Pakistan e Georgia, e favorita dalle difficoltà di controllo dei confini greci, specie quello orientale. La Grecia è inoltre paese di destinazione e di transito di donne e bambini vittime del traffico di persone a fini di prostituzione e lavoro forzato, che provengono da Russia, Romania, Bulgaria, Ucraina, Moldavia e Albania. A causa della crisi si sta verificando un’ulteriore inversione di tendenza, con un aumento di greci che lasciano il paese verso stati economicamente più solidi, come la Germania.
La quasi totalità della popolazione (98%) è di religione cristiana ortodossa. Vi sono minoranze di musulmani (1,3%), ebrei, cattolici e protestanti. Il Trattato di Losanna del 1923 garantisce alla minoranza musulmana in Tracia il diritto di costituire associazioni (awqāf), il diritto all’istruzione in lingua turca e all’applicazione di alcuni princìpi di diritto islamico da parte dei muftī in materia di diritto di famiglia. Viceversa, gli altri gruppi religiosi non ricevono fondi e alcune minoranze etniche e religiose rischiano di essere socialmente discriminate. La Chiesa ortodossa, che tradizionalmente riceveva un sostegno economico dallo stato, con l’inasprirsi della crisi ha partecipato alla ricapitalizzazione della Banca nazionale e dal 2010 versa nelle casse dello stato una serie di contributi: è stata cioè equiparata alle altre persone giuridiche che pagano imposte. L’istruzione è gratuita e obbligatoria dai sei ai 15 anni. Gli ultimi tre anni di scuola secondaria sono di fatto visti come la preparazione agli esami di ammissione all’università e ciò, vista la difficoltà a essere ammessi negli atenei, ha sempre imposto uno standard elevato. L’università, gratuita, è accessibile solo a chi supera gli esami, che vengono gestiti da un comitato nazionale. Ciò spinge un elevato numero di studenti greci delle classi più agiate ad affrontare gli studi all’estero. Esistono anche alcuni istituti privati, ma i titoli rilasciati non sono riconosciuti ai fini di un impiego pubblico.
La corruzione è stato e resta un grave problema per il paese, anche se la posizione della Grecia, all’80° posto su 176 paesi nel mondo secondo l’indice di Transparency International per il 2013, è notevolmente migliorata rispetto all’anno precedente, in cui era al 94° posto.
I dati macroeconomici della Grecia rendono le dimensioni di un paese non soltanto in crisi economica, ma anche con caratteristiche strutturali che rendono l’uscita da tale crisi un processo difficile. La Grecia ha un pil pro capite piuttosto basso, pari ad appena 23.930 dollari misurato in parità di potere d’acquisto del 2013. A ciò si aggiunge un tasso di disoccupazione del 27%, che saliva al 44,4% tra i giovani già nel 2011 e che, nell’estate del 2013, ha toccato il 60,8%. Grave è poi il rapporto debito/pil pari al 179%. Anche la bilancia commerciale del paese è in sofferenza e registra un deficit commerciale che nel 2012 è stato pari a 12.528 milioni di dollari.
Nonostante dagli anni Novanta sia in atto un programma di privatizzazioni, lo stato svolge ancora un ruolo significativo nell’economia nazionale, il sommerso ha dimensioni vaste e l’industria, che conta per il 20% del pil, non sembra strutturalmente abbastanza grande da poter trainare il paese fuori dalla crisi. La Grecia comunque produce prevalentemente cemento, alluminio, olio d’oliva, birra, tabacco, petrolio raffinato e ha un settore delle telecomunicazioni sviluppato.
La produzione tessile, al pari di altri paesi occidentali, è in declino, penalizzata dalla concorrenza di paesi con manodopera a bassissimo costo come quelli asiatici e quelli dell’Europa dell’Est.
I principali partner commerciali della Grecia sono la Germania e l’Italia. Il settore dei servizi contribuisce invece positivamente al 77% del pil ed è dominato dal turismo. Nel 2008 la Grecia ha ospitato circa 16 milioni di turisti, che hanno prodotto quasi 17 miliardi di euro di entrate: è diventata così il 16° paese al mondo per numero di turisti. Il flusso è però diminuito sia nel 2009 sia nel 2010. Nel 2013 era valutato sui 17,5 milioni di ingressi. Nel 2007 il turismo ha fornito 896.000 posti di lavoro (il 20% del totale), sebbene molti fossero di tipo stagionale. Tra il 2000 e il 2008, inoltre, il pil greco era cresciuto mediamente del 4,6%. È stato dal 2009 che il paese è entrato in una gravissima recessione economica (-9,7% nel 2011). Ha evitato la bancarotta solo grazie a successive tranches di prestiti da 110, 130 e 30 miliardi, concessi dalla cosiddetta ‘troika’, in cambio di una politica di austerity. Tra le principali cause del dissesto finanziario, oltre alla corruzione e ai conti pubblici che sono stati di fatto truccati per anni, vi è stata l’enorme crescita del debito greco nel primo decennio del 21° secolo. Benché la Grecia sia entrata nell’eurozona dal gennaio 2002 dichiarando di rispettare i parametri di Maastricht sul debito (rapporto debito/pil al 60%) e sul deficit (rapporto deficit/pil al 3%), una successiva revisione operata da Eurostat ha dimostrato come i dati dichiarati non corrispondessero a quelli effettivi.
Il prestito concesso nel febbraio 2012 ha evitato l’insolvenza della Grecia, dopo un acceso dibattito tra i paesi dell’Eu. La Germania, primo contribuente Eu con 22 miliardi di euro, ha acconsentito all’impopolare erogazione del prestito solo dopo l’impegno greco ad adottare misure drastiche per la riduzione del debito. Il dibattito verteva su due opzioni: salvare la Grecia anche se non aveva rispettato il patto di stabilità, o lasciare che arrivasse a un default dalle conseguenze devastanti per tutta la regione, anche considerando che il debito sovrano greco era detenuto in larga misura da banche francesi e tedesche. A fine 2013, comunque, un ulteriore tranche di prestito è stata bloccata dalla troika, in attesa dei negoziati e dei controlli del gennaio 2014.
Conseguenza e segnale forte dello stato di crisi in cui versa il paese è stata la decisione di chiudere nel giugno 2013 la televisione di stato, la Ept. Alla chiusura si sono opposti con forza i dipendenti. L’ultimo episodio di resistenza risale al 7 novembre 2013, quando la polizia ha sgombrato la sede occupata dagli ultimi lavoratori rimasti nonostante la chiusura. Tecnici e giornalisti hanno organizzato una precaria alternativa autofinanziata online, www.ertopen.com.
Il fabbisogno energetico greco pesa sui conti, come sottolineato nell’ultimo report pubblicato dal think tank greco Iobe, che segue la crisi greca. La produzione di petrolio non è significativa e la maggior parte del petrolio è importata, per il 60% da paesi Opec. Storicamente la Grecia ha cercato di sostituire il petrolio con la lignite, per sfruttare i propri giacimenti e ridurre la dipendenza dalle importazioni. Tuttavia tale politica è limitata dagli impegni a favore della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, per il raggiungimento dei quali il governo ha favorito l’utilizzo del gas. Anche quest’ultimo è in gran parte importato e mentre negli anni Novanta proveniva soprattutto dalla Russia, oggi, grazie a una politica di diversificazione, arriva anche da Algeria e Azerbaigian. Il mix energetico nel 2010 risultava così composto: 47% petrolio, 30% carbone e 15% gas.
La Grecia destina il 2,8% del proprio pil in spesa militare, più del doppio della media degli altri stati dell’Unione. Si tratta di una percentuale rilevante, tendenzialmente costante negli anni, emblematica del fatto che Atene continua a considerare prioritario il mantenimento di ingenti forze militari, specie in considerazione delle tensioni con la Turchia. Storici e naturali interessi nell’area mediorientale hanno spesso spinto Atene a occuparsi del conflitto israelo-palestinese, rispetto al quale la Grecia ha tenuto una posizione filopalestinese. Tale simpatia non ha tuttavia impedito che, a partire dalla fine degli anni Novanta, la Grecia avviasse con Israele un’intensa attività di cooperazione militare e una comune lotta antiterroristica Alleato storico della Grecia sono gli Stati Uniti. Primi fornitori di armi della difesa greca, gli Usa intrattengono con Atene una consolidata partnership militare, che si è rinnovata in occasione della lotta al terrorismo internazionale. Il governo greco aveva risposto con un appoggio significativo all’operazione Enduring Freedom, lanciata dall’amministrazione Bush all’indomani degli attentati al World Trade Center: lo spazio aereo fu messo a disposizione della campagna, fu fornito supporto logistico alle attività militari e furono portate avanti importanti operazioni controterroristiche.
I rapporti con la Nato sono tornati alla normalità da quando la Grecia ha deciso di rientrare, nel 1980. Si era ritirata dalla sua struttura militare integrata nell’agosto del 1974, per protestare contro le mancate reazioni all’occupazione turca del nord di Cipro. Soldati greci sono dispiegati nelle due principali operazioni militari della Nato, in Afghanistan e in Kosovo. Sono, inoltre, circa un migliaio i soldati greci permanentemente dislocati a Cipro. Il controllo dei traffici, delle rotte commerciali e dei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo, la cooperazione economica e di sicurezza tra i paesi che vi si affacciano e, ancora, la stabilizzazione politica di instabili regioni vicine (Balcani e Medio Oriente) sono alcune istanze internazionali che vedono la Grecia particolarmente coinvolta. In ciascuno di questi ambiti il paese partecipa a importanti iniziative multilaterali messe in atto, negli ultimi due decenni, dai governi occidentali per la stabilizzazione politico-strategica dell’Europa sudorientale. Tra queste ultime spiccano il Partenariato euromediterraneo, lanciato dall’Unione Europea a Barcellona nel 1995, il Dialogo mediterraneo della Nato, inaugurato dall’Alleanza atlantica l’anno precedente, o ancora il Processo di cooperazione dell’Europa sudorientale (Seecp), sempre in ambito Eu.
Potenziali minacce alla sicurezza nazionale giungono anche dall’interno del paese. Sono legate all’attività terroristica di matrice marxista e anarchica e delle frange di estrema destra, legate al partito Alba dorata. In particolare, nell’estate del 2002 la Grecia ha concluso operazioni antiterrorismo che hanno condotto all’arresto di numerosi esponenti del gruppo terroristico ‘17 novembre’. Negli ultimi anni si è assistito a un ritorno degli attentati da parte di gruppi antimperialisti, a cui si sono aggiunte le azioni violente dell’estrema destra. In concomitanza con le proteste sociali legate ai tagli alla spesa pubblica previsti dal governo, dal 2010 si stanno verificando scontri di piazza e attentati, con esplosioni di bombe in aree sensibili di Atene.
La sera del 18 settembre 2013 è stato ucciso nel quartiere di Keratsini, vicino al Pireo, la grande area portuale di Atene, il cantante rap Pavlos Fyssas, conosciuto con il nome di Killah P. Il 1° novembre 2013 due affiliati di Alba dorata sono stati ammazzati, sempre ad Atene, a colpi di pistola appena fuori una sede del partito. L’eco di entrambi gli episodi ha varcato i confini perché rappresentano il punto a cui è arrivata la lacerazione del tessuto sociale greco. Si tratta, fra l’altro, solamente di due dei molti episodi di violenza, non tutti mortali, avvenuti nella capitale nel 2013.
La violenza è solo un aspetto della profonda crisi di Atene, specchio dell’abisso in cui è piombata l’intera nazione. Le fratture all’interno della società greca sono profonde e di difficile saldatura. In generale il paese si è politicamente spostato verso il centro e l’estrema destra. L’affermazione elettorale del partito neonazista Alba dorata è la punta dell’iceberg di un malessere con radici che si sono via via approfondite per diverse ragioni. Esiste una pesante legacy del passato, a cui si sono aggiunti il problema dell’immigrazione e la crisi economica. Per quanto riguarda l’eredità del passato, la destra ha radici profonde nel paese. I flussi migratori di cui la Grecia è stata meta negli ultimi decenni hanno alimentato i pregiudizi. L’intolleranza è spesso sfociata in episodi di razzismo, soprattutto nella capitale Atene. La voglia di ‘ripulire’ la capitale ha contaminato anche fasce insospettabili della popolazione autoctona. Inizialmente i flussi migratori provenivano dai Balcani, in particolare Albania, Bulgaria e Romania; mentre negli anni più recenti i migranti provengono da zone più lontane, da Africa e Asia. Le ricadute sociali dei tagli alla spesa pubblica richiesti come garanzia per l’erogazione dei prestiti non hanno fatto altro che alimentare il clima di tensione già fortissimo nel paese, soffiando anche sul fuoco di un euroscetticismo già diffuso.
Per contrastare il potere del movimento-partito Alba dorata e le sue azioni violente, anche a seguito di forti proteste di piazza, il 28 settembre 2013 il governo guidato da Antonis Samaras ha deciso di far arrestare il suo leader Nikos Mihaloliakos, incarcerato con altri tre dei 18 esponenti del partito eletti in parlamento. L’accusa formale è di aver creato una vera e propria organizzazione criminale, poiché la Costituzione greca non prevede la messa al bando di un partito.
La Turchia è storicamente considerata da Atene come la principale minaccia alla sicurezza nazionale. Il reciproco sospetto e l’antagonismo culturale e politico tra i due paesi possono ritenersi elementi fondanti del processo di creazione tanto delle rispettive identità nazionali, quanto dei relativi stati moderni. Fasi di conflitto aperto alternate a fasi di riconciliazione hanno così caratterizzato le relazioni tra i due paesi, fin da quando la Grecia si rese indipendente, nel 1829, dall’Impero ottomano. Da allora, infatti, è possibile contare ben quattro guerre (due Guerre greco-turche, nel 1887 e 1919-22, la Guerra balcanica del 1912 e la Prima guerra mondiale) e un discreto numero di crisi politiche, spesso arrivate fino alla soglia dello scontro armato. I principali motivi di disaccordo, che permangono quasi del tutto immutati anche oggi, si basano sia su motivi culturali, legati in primis alla differenza religiosa tra le due popolazioni, che su un dualismo storico tradottosi negli anni nell’incapacità di risolvere le dispute bilaterali o raggiungere accordi su tipiche questioni di vicinato: demarcazione territoriale, controllo dei confini comuni, diritti di sfruttamento economico di zone a sovranità contestata o, ancora, il trattamento delle rispettive minoranze. Proprio i problemi legati alla difficile convivenza interna tra le due popolazioni con le rispettive minoranze etniche ospitate sono state spesso la scintilla per l’accendersi di momenti di alta tensione politica: le condizioni della popolazione greca a Istanbul e il riconoscimento della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, da un lato, e quelle delle minoranze musulmane, e primariamente turche, che abitano la parte occidentale della Tracia, dall’altro. Lo strappo più rilevante e ancora oggi sentito dalle opinioni pubbliche nazionali greca e turca riguarda la crisi di Cipro del luglio 1974 e la conseguente divisione politica e amministrativa dell’isola in due entità etnicamente omogenee – quella greca a sud e quella turca a nord. Grecia e Turchia sono inoltre arrivate sino alle soglie del conflitto armato diverse altre volte, anche in anni più recenti. Nel 1987, ad esempio, si sfiorò la guerra in occasione del cosiddetto ‘incidente di Sismik’, dal nome della nave turca che era in procinto di sconfinare nelle acque greche per effettuare esplorazioni petrolifere. Nel 1996 forti tensioni si verificarono, ancora, in relazione alla disputa sulla sovranità della minuscola isoletta dell’Egeo Imia/Kardak. Su questo sfondo, la fine degli anni Novanta ha registrato l’avvio di una nuova fase di distensione politica, inaugurata dalla cosiddetta ‘diplomazia dei terremoti’: una fase di intesa politica innescatasi sulla scorta delle reazioni di reciproca solidarietà verificatesi a seguito dei sismi che colpirono i due paesi nel 1999. Nel 1999, inoltre, la decisione greca di non porre il veto all’ingresso della Turchia nell’EU spianò la strada, in occasione del Consiglio europeo di Helsinki, per la concessione ad Ankara dello status di candidato alla membership europea. Il primo anno e mezzo di governo Papandrèu – già protagonista da ministro degli esteri greco (1999-2004) degli anni dell’intenso dialogo con il suo omologo turco Ismail Cem – ha segnato un ulteriore rafforzamento di questa nuova fase di rapporti bilaterali.
Il 23 luglio 1974 cadde ad Atene, grazie anche al precedente sacrificio di sangue di 24 giovani studenti del Politecnico, la giunta militare dei colonnelli che aveva governato con il pugno di ferro il paese dal 1967. Da quel momento fino alle elezioni politiche del 4 ottobre 2009 è iniziato un periodo politico di alternanza democratica tra i socialisti del PASOK, guidati da Andreas Papandreou, e i conservatori di Nea Dimokratia di Costas Karamanlis: periodo di circa 4 decenni che ha portato la Grecia prima a toccare grandi miglioramenti economici e sociali con l’ingresso nella EEC nel 1981, e in seguito nell’euro, e poi però alla marginalizzazione politica a causa della più grave crisi economica dal dopoguerra, che ha significato la richiesta di aiuti per 240 miliardi di euro e l’arrivo della troika, composta da ECB, EU e IMF, in rappresentanza dei creditori internazionali che hanno imposto dure misure di rientro.
Dopo 40 anni di trucchi contabili e tatticismi nei conti statali, clientelismo e spese pubbliche senza freni come nel caso delle Olimpiadi del 2004, con le elezioni del 4 ottobre 2009, vinte da George Papandreou, figlio di Andreas, arriva l’ora della verità con un debito di 367 miliardi di euro, cinque volte quello che mandò in default l’Argentina del 2001, paese con il doppio della popolazione ellenica.
Da quel momento i greci hanno dovuto fronteggiare le conseguenze di 40 anni di politiche al di sopra dei propri mezzi, che confondevano il credito con il reddito. Così dopo strappi in avanti e rapide retromarce è venuto il momento della verità per il mondo politico greco. Il primo ministro George Papandreou il 3 novembre 2011, al rientro dal vertice di Cannes del G20, ha dovuto scoprire le carte, ritirando la proposta di un referendum sul piano di austerità (e quindi sull’euro), mentre il leader dell’opposizione di centro-destra, Antonis Samaras, è uscito allo scoperto dicendosi disposto a votare il piano concordato con la EU. Nessuno dei due politici poteva continuare a tenere una nazione in bilico per così lungo tempo. La Grecia aveva un piede fuori dall’euro ed era a un passo da un default disordinato, il primo di un paese dell’eurozona. A quel punto si decise di varare un governo di emergenza nazionale guidato da un tecnico di indiscussa fama come Lucas Papademos, ex vicepresidente della ECB, un premier di un governo di unità nazionale con prestigio internazionale che potesse concludere i difficili negoziati per disinnescare la bomba del debito. Successivamente, a causa delle forti opposizioni popolari alle misure di austerità, mentre il PIL si riduceva del 25%, con le elezioni parlamentari greche del maggio 2012 Nuova democrazia diventa il partito di maggioranza relativa ma senza raggiungere la maggioranza richiesta per governare, per cui si rende necessaria una seconda votazione un mese dopo. Alle elezioni parlamentari greche del giugno 2012, ND ottiene 129 seggi e Samaras riesce a formare un governo con il sostegno di PASOK e DIMAR, che successivamente abbandona la maggioranza in seguito alla traumatica chiusura della tv pubblica EPT.
Non aver capito in un decennio, dal 2001 al 2009, cosa voleva dire entrare nell’euro e godere di tassi bassi simili a quelli tedeschi, e non riuscire a far sì che questa manna finanziaria, questa enorme stabilità macroeconomica, servisse a far crescere il paese con investimenti produttivi invece che a drogarlo di debiti, è stato il peccato originale della classe politica ellenica.
Nel 2004, con il via libera alle spese faraoniche per le Olimpiadi, Atene, dilatando il debito pubblico, ha avuto il momento di massimo fulgore, innescando però la bomba ad orologeria esplosa il 4 ottobre 2009, giorno in cui il socialista George Papandreou vinceva le elezioni politiche contro il conservatore Costas Karamanlis, ma poco dopo scopriva che il deficit pubblico ufficiale del 3,5% era in realtà molto più elevato, pari cioè al 15,7%. Una voragine. Conti truccati, grazie a maquillage contabili profumatamente pagati a banche d’investimento internazionali, che hanno permesso di assumere clientelarmente 150.000 dipendenti pubblici in esubero, secondo stime OECD, di abituare una generazione agli acquisti a rate senza avere il benché minimo pareggio di bilancio, privato e pubblico.
Una classe politica bipartisan che ha consentito un’evasione fiscale di massa, dove l’80% dei lavoratori autonomi dichiarava meno della soglia minima di esenzione, pari allora a 12.000 euro e poi precipitosamente ridotta a 5000 euro dalla troika EU, IMF, ECB. Una situazione di disordine e mancanza di controlli come regola di amministrazione, dove si scoprirono frodi sulle accise dei carburanti ai danni dell’erario pari a 2 miliardi di euro all’anno. Il tempo delle bugie poi è finito, ed è giunto il tempo delle amare verità e delle riforme strutturali per recuperare competitività. Con una difficile rifondazione delle finanze pubbliche e della classe politica greca ancora in corso per salvare il paese dagli estremismi politici e dal caos politico e sociale.