GREEN ECONOMY.
– Le tematiche della green economy. Trasformazioni e interazioni integrate verso la green economy. Bibliografia
Negli ultimi cinquant’anni si è assistito a una progressiva valorizzazione della dimensione ambientale nell’analisi economica. Soltanto recentemente però si è affermata nei termini di uso comune la locuzione green economy, accompagnata da altri termini (low carbon, circular, blue) a essa riconducibili. Il motivo principale per cui è risultato da diverse fonti auspicabile qualificare l’economia in questo modo è riconducibile all’esigenza di rivedere il modello di sviluppo sinora prevalente, trovando un nuovo equilibrio nella prospettiva della sostenibilità economica, sociale e ambientale: ovvero perseguendo una crescita congiuntamente duratura, equa e compatibile.
Le tematiche della green economy. – Le definizioni più diffuse di g. e. sono quelle formulate dagli organismi internazionali. Così l’UNEP (2010), l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata all’ambiente, definisce green un’economia capace di migliorare il benessere umano e l’equità sociale, riducendo contestualmente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche. Si tratta di una concettualizzazione che cerca di superare una visione dell’economia come generatrice di gravi danni ambientali e diseguaglianze sociali. Nei decenni recenti si sono succeduti numerosi eventi critici per gli aspetti ambientali e riconducibili alle attività umane, ma è stato soprattutto il cambiamento climatico a sollecitare una riflessione sulla necessità di modificare il paradigma economico dominante. In merito, un documento chiave può essere considerato il Rapporto Stern che nel 2006 ha evidenziato come i cambiamenti climatici siano il più grande fallimento del mercato mai esistito, con rilevantissime conseguenze di natura macroeconomica in caso di inazione (riduzione sino al 20% della ricchezza globale) scaricate sulle future generazioni. Interventi decisi promossi dalle Istituzioni per correggere questo fallimento comporterebbero costi decisamente più ridotti, nel 2006 considerati pari all’1% del PIL globale. Ciò consente di comprendere perché un sottoinsieme importante della g. e. sia la low carbon economy, ovvero una economia a bassa intensità di emissioni di anidride carbonica, che sappia contenere l’impatto delle attività antropiche sul cambiamento climatico.
Nel cuore della g. e., infatti, si tende a posizionare innanzitutto il riorientamento del settore energetico rispetto alla sfida del riscaldamento globale, attraverso il ruolo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili (v. rinnovabili, energie). Gli obiettivi del pacchetto 20-20-20, stabiliti dalla Commissione europea per abbattere del 20% le emissioni di gas serra, ridurre del 20% i consumi energetici e portare il contributo delle fonti rinnovabili al 20% entro il 2020, rientrano in questa trasformazione; che peraltro sta avendo successo se si considera che tali obiettivi sono in corso di raggiungimento e ne sono già stati fissati di più impegnativi al 2030 (−40% di CO2, +27% di rinnovabili e di efficienza energetica rispetto al 1990) e al 2050 (almeno l’80% in meno di emissioni di CO2).
D’altronde, la prospettiva della g. e. da questo nucleo centrale si allarga pervasivamente alla transizione dell’economia verso uno sviluppo più sostenibile. In questo ambito assumono pari rilevanza rispetto al ciclo dell’energia altri cicli, come quello dell’acqua, dei rifiuti (o meglio della materia riutilizzabile, v. rifiuti: La gestione e il recupero di risorse dai rifiuti), di uso del suolo e di valorizzazione del territorio (v. siti contaminati, bonifica dei; territorio, gestione del), destinati a costituire ulteriori ambiti rilevanti di investimento, gestione e innovazione.
Tra questi ambiti, la tutela e valorizzazione del suolo, del paesaggio e dei servizi ecosistemici costituiscono tematiche emergenti all’interno della g. e. che possono assumere grande importanza, soprattutto per Paesi come l’Italia. Si tratta infatti di comprendere come le risorse presenti nei territori in cui viviamo costituiscano una componente chiave della qualità della vita e dello sviluppo economico, che deve penetrare nelle politiche e nelle scelte strategiche di tutti gli attori. In questo modo si possono valorizzare innovazioni strettamente integrate con la natura e le risorse del territorio, perseguendo, per es., le opportunità della cosiddetta bioeconomia. Tale prospettiva è enfatizzata nella declinazione della g. e. rinominata da Gunter Pauli blue economy, che si basa sull’imitazione dei sistemi naturali, riutilizzando sistematicamente le risorse e azzerando gli scarti nella logica propria della circular economy.
Il sentiero di sviluppo che unisce i concetti di economia verde, blu, bio, circolare, dovrebbe pertanto mantenere, consolidare e, laddove necessario, ricostruire il capitale naturale come risorsa cruciale e fonte di pubblici benefici. Ciò risulta essere peraltro particolarmente importante per le popolazioni più povere del pianeta la cui vita e sicurezza dipende direttamente dalla natura.
Il rapporto UNEP del 2011, Towards a green economy, predisposto nella fase preparatoria della Conferenza dell’ONU tenutasi a Rio de Janeiro nel 2012, evidenzia quali sono gli ambiti del capitale naturale in cui appare necessario investire (l’agricoltura, la pesca, l’acqua, le foreste), le ampie opportunità nella gestione efficiente delle risorse (energia rinnovabile, industria, rifiuti, edifici, trasporti, turismo, città) e come sostenere la transizione verso la g. e. (modelli, condizioni abilitanti, finanza). Nel complesso l’investimento ipotizzato per attuare la conversione dell’economia tradizionale in un’economia più verde, sarebbe pari a 1300 miliardi di dollari (2% del PIL mondiale). Alcuni studiosi hanno criticato la non adeguata specificazione di quali possono essere le modalità per finanziare questi cospicui investimenti (Victor, Jackson 2012; Schmalensee 2012).
Su questo tema può giungere supporto dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) che ha a sua volta prodotto documenti e strategie a favore della economia verde e in particolare del green growth. Con questo termine, sostanzialmente coincidente con quello di g. e., l’OCSE si riferisce alla promozione di una crescita economica che sappia ridurre l’inquinamento, le emissioni di gas serra e i rifiuti, assicurando che il patrimonio naturale continui a fornire le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il nostro benessere.
Un punto cardine della strategia di crescita verde è la promozione delle condizioni necessarie a favorire l’innovazione, gli investimenti e la concorrenza che possano creare un terreno fertile per la nascita di nuove modalità di sviluppo economico compatibili con ecosistemi resilienti. Tra le condizioni vi è l’importanza di assicurare un quadro stabile che generi fiducia e sicurezza nelle imprese e nei cittadini, favorendo gli investimenti e l’innovazione orientata a un uso più efficiente delle risorse.
Trasformazioni e interazioni integrate verso la green economy. – Il termine green in passato è stato utilizzato come aggettivo a fianco di molti sostantivi. Il concetto di g. e. assume, però, un significato più olistico e sistemico: non si tratta di sviluppare soltanto politiche green da parte delle istituzioni, né di attivare solo strategie di green management da parte delle imprese, né di limitarsi a sostenere lo sviluppo di tecnologie green da parte del mondo della ricerca, o di disporre solamente di consumatori green oriented, o ancora di promuovere occupazioni e professioni green. La g. e. implica l’insieme integrato di questi ambiti e attori. Le tematiche della sostenibilità assumono un ruolo così olistico per l’effetto combinato di due processi di trasformazione: la transizione legata alla lunga fase di crisi che stiamo vivendo e l’impegno europeo e globale nei confronti della lotta al cambiamento climatico.
Da un lato, la recente crisi ha posto in evidenza la necessità di ripensare i meccanismi di funzionamento del sistema economico, superando una logica incentrata sul breve periodo, sulla finanziarizzazione spinta, sull’opportunismo, a favore di una prospettiva sistemica basata sulla maggiore sostenibilità di uno sviluppo equo ed equilibrato. Tale prospettiva richiede la capacità di collocare le trasformazioni economiche, politiche, sociali e ambientali che in questi ultimi anni hanno investito, in modo radicale, la nostra società, all’interno di un sistema integrato le cui potenziali evoluzioni a favore di una migliore competitività e una maggiore efficienza possono essere meglio indirizzate solo se ogni elemento viene colto nella sua interazione con gli altri. Tale interazione sistemica è caratterizzata da diverse tipologie di integrazione.
In primo luogo l’integrazione tra sviluppo economico ed ecosistema. La tutela e la valorizzazione dell’ambiente non è più un vincolo, ma costituisce un’opportunità. Per l’Italia ciò significa rilanciare i punti di forza del nostro sistema produttivo (la vocazione manifatturiera, l’orientamento alla qualità e alla creatività, l’immagine internazionale del made in Italy, la flessibilità, le specializzazioni produttive radicate nei territori ecc.), valorizzando le potenzialità della prospettiva green per superare i nostri punti di debolezza (carenza di materie prime, bassa produttività del lavoro, ridotta capacità di ricerca e sviluppo, difficoltà a ‘fare sistema’ ecc.). Questa opportunità di posizionamento competitivo è fortemente basata sulla capacità di innovazione che il nostro sistema saprà esprimere unendo le forze di cui disponiamo all’interno di tutta la catena del valore dell’economia e non solo nell’ambito dei settori core green. Competitivi diventano quindi quei prodotti e servizi che garantiscono un basso impatto ambientale lungo tutte le fasi del ciclo di vita, garantendo al tempo stesso un’elevata qualità.
In questo ambito si assiste a un’altra integrazione all’interno delle filiere in cui al rapporto biunivoco tra produttore e cliente si sostituisce una relazione aperta in cui i diversi protagonisti di tutto il sistema vengono coinvolti. Questa evoluzione porta al concetto di responsabilità condivisa: progettisti, produttori, distributori, utenti finali, ma anche le istituzioni e i cittadini non sono parti distinte di un percorso lineare, ma soggetti attivi interdipendenti in un sistema dinamico e complesso di relazioni.
L’accezione che qui si intende adottare di g. e. non è quindi solamente imperniata sulle opportunità di business offerte da nuove soluzioni tecnologiche e tecniche in risposta alle scarsità emergenti (di energia, di acqua, di cibo, di abbattimento delle emissioni serra), in una prospettiva che potremmo sinteticamente definire green business; ma anche sulle possibilità legate a un sistema economico evoluto, in cui l’offerta delle imprese si accompagna a una domanda consapevole dei consumatori, a comportamenti responsabili dei cittadini nonché a politiche da parte delle istituzioni che sappiano guardare al lungo periodo.
In questo sistema evoluto la qualità dei prodotti e dei processi si integra strettamente con il tema cruciale del lavoro. Le nuove opportunità occupazionali e professionali che la g. e. porta con sé hanno sia una valenza quantitativa – come dimostrano le previsione dell’OCSE che, limitandosi al settore dell’energia low carbon, indicano 20 milioni di nuovi posti di lavoro creati su scala mondiale entro il 2030 (OCSE, 2011) – sia una valenza qualitativa, grazie al fatto che le occupazioni si arricchiscono dal punto di vista del contenuto del lavoro, aggiungendo competenze green alle professionalità tradizionali (Green Italy, 2012), o dedicando l’indispensabile attenzione ai diritti e alla sicurezza del lavoratore.
Queste istanze di miglioramento non possono peraltro più essere considerate solamente in una prospettiva locale, in cui i rapporti e la condivisione degli obiettivi sono facilitati dall’appartenenza al medesimo territorio, ma devono essere reinterpretati in una prospettiva globale, in cui le filiere, i mercati, le istituzioni assumono una dimensione internazionale, senza però perdere le loro specificità contestuali. Questa integrazione tra locale e globale è un’altra componente chiave della g. e., cui sono chiamati a contribuire l’insieme degli attori sopra individuati.
Vi è infine un’ulteriore prospettiva di integrazione relativa al fatto che con la g. e. ci si riferisce a un modello produttivo che pone al centro tanto il prodotto quanto il processo (sustainable consumption and production).
Dal punto di vista dei processi è centrale l’orientamento all’ecoefficienza, sul fronte sia degli input, ovvero la capacità di impiegare meno energia e materia a parità di prodotto, sia degli output, ovvero la capacità di ridurre le emissioni e la produzione dei rifiuti per unità di prodotto.
Il tema dell’efficienza in una prospettiva più ampia valorizza pienamente i prodotti, e a tal fine diventa essenziale un approccio al loro ciclo di vita integrato, dalla produzione al consumo, anche e soprattutto in una logica di maggiore connessione fra i cicli industriali: si generano così flussi di risorse materiali ed energia in cui nessuno scarto dovrebbe restare inutilizzato. Ciò significa anche preoccuparsi di analizzare, attraverso strumenti come il LCA (Life Cycle Assessment), che un prodotto green sia associato a un processo che sia adeguatamente green.
Politiche efficaci per la g. e., quindi, dovranno puntare sulla valorizzazione delle eccellenze e, soprattutto, definire le regole per una vera economia di sistema che possa gradualmente allargarsi a tutti i soggetti. In questa direzione si sta muovendo da diversi anni la Commissione europea che ha sviluppato politiche integrate di prodotto in cui strumenti volontari e norme obbligatorie indirizzano progressivamente il sistema economico verso il miglioramento dell’ecoefficienza, la riduzione dell’impronta ambientale, la circular economy. In sintesi, il concetto e il perimetro di riferimento della g. e. non può che essere ampio, al fine di poterle attribuire la valenza strategica di cambiamento del paradigma economico che in questa fase storica appare essenziale. Per evitare però che questa ampiezza comporti un indebolimento di significato è altrettanto importante evidenziarne le caratteristiche peculiari che sono: un forte orientamento all’innovazione, al miglioramento effettivo delle prestazioni in un’ottica integrata di ciclo di vita, a un coinvolgimento sistemico dei diversi attori.
L’orientamento all’innovazione deve essere visto in una prospettiva di gradualità: oggi probabilmente la g. e. si configura come un’importante traiettoria di innovazioni, le cui radici si sono consolidate nell’ultimo decennio e le cui potenzialità di sviluppo, che stanno emergendo con decisione, presentano prospettive ancora molto ampie. Queste potranno essere tanto più rilevanti, quanto più si saprà dar luogo a una logica di sistema in cui istituzioni, imprese e cittadini-consumatori genereranno azioni integrate di coevoluzione dell’economia e degli stili di vita nella prospettiva della sostenibilità.
Bibliografia: N. Stern, The economics of climate change. The Stern review, London 2006; G. Pauli, Blue economy, Berlin 2010 (trad. it. Milano 2010, 20142); UNEP (United Nations Environment Program), Green economy developing countries success stories, Geneva 2010; OECD (Organisation for Economic Cooperation and Development), Towards green growth. A summary for policymakers, Paris 2011; UNEP (United Nations Environment Program), Towards a green economy, New York 2011; M.S. Cato, Green economics: putting the planet and politics back into economics, «Cambridge journal of economics», 2012, 36, pp. 1033-49; R. Schmalensee, From ‘green growth’ to sound policies. An overview, «Energy economics», 2012, 34, pp. S2–S6; P.A. Victor, T. Jackson, A commentary on UNEP’s green economy scenarios, «Ecological economics», 2012, 77, pp. 11-15; Green Italy. L’economia verde sfida la crisi, a cura di Unioncamere, Fondazione Symbola, Roma 2012.