CERATI, Gregorio (al secolo Gaetano)
Nacque a Parma il 7 febbraio 1730 dal conte Carlo, patrizio parmense di recente nobiltà, fratello di Gaspare, e dalla marchesa Isabella Dalla Rosa. Nel 1738 entrò nel collegio dei gesuiti di Modena, ma, in seguito alla nomina del padre a reggente nel Supremo Consiglio d'Italia a Vienna, dovette continuare gli studi, insieme con il fratello primogenito Valerio, nel collegio dei somaschi a Verona. Tornato suo padre a Parma, in seguito allo scoppio della guerra di successione austriaca, il C. passò al Collegio dei nobili di quella città, diretto dai gesuiti. A diciotto anni, terminato il collegio, dove si era dedicato soprattutto agli studi letterari e poetici, entrò nell'Ordine dei benedettini, presso il monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma, assumendo il nome di Gregorio. Qui, compiuti gli studi di teologia, storia ecclesiastica e diritto canonico, poiché era affetto da balbuzie che gli impediva di dedicarsi all'insegnamento, fu assegnato soprattutto a cariche amministrative. Venne ordinato sacerdote il 3 dic. 1752. Divenne poi rettore della badia cassinese di Sanguigna, presso Colorno, sede della reggia del duca di Parma e Piacenza don Filippo di Borbone, entrando perciò in contatto diretto con la corte: ma, per tradizione familiare, si sentiva legato ai Farnese, che avevano conferito il patriziato alla sua famiglia, e non era molto favorevole alla nuova dinastia, soprattutto nella sua prima fase riformatrice, sia a causa della sua politica ecclesiastica antiromana, sia a causa del suo ricorrere ad elementi non locali per le cariche governative. Durante il rettorato, stimolato dal poeta e arcade Prospero Manara, verseggiò in terzine italiane la Genesi; questo suo lavoro, che gli diede una certa rinomanza di poeta e che fu molto lodato dal Frugoni e da A. Mazza (cfr. Affò-Pezzana e Massari), rimase inedito per sua volontà, e soltanto dopo la sua morte venne pubblicato dal fratello Antonio il quale vi premise una biografia dell'autore (pp. I-LIX): La Genesi. Versione di mons. G. Cerati già vescovo di Piacenza, Parma 1807. Scaduto il rettorato di Sanguigna, fu segretario dell'abate Fabi, visitatore dell'Ordine, che accompagnò nelle diverse ispezioni ai monasteri benedettini italiani, e, quindi, divenne procuratore e poi priore del monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma. Nello stesso periodo vi si trovava, quale lettore di teologia, il padre Gregorio Barnaba Chiaramonti, futuro Pio VII, col quale si legò di amicizia. Lasciata la carica troppo gravosa di priore a Parma, preferì passare, sempre come priore, al più piccolo monastero di Assisi, per potersi dedicare agli studi sacri; ma nel 1772 ritornò a Parma, rinunciando al priorato, e accettando soltanto il titolo di abate onorario. Nel 1778, col p. Eugenio Porta, fondò in Parma il conservatorio delle luigine (riconosciuto ufficialmente dal duca il 21 sett. 1779) per l'assistenza e l'educazione delle orfanelle, con annesse due scuole elementari femminili gratuite.
Il 7 apr. 1783 il C. fu designato dal duca Ferdinando di Borbone al vescovato di Piacenza, vacante in seguito alla morte del titolare, A. Pisani. Confermato da Roma il 18 luglio, la sua consacrazione avvenne il 10 ag. 1783 alla presenza del duca, nella chiesa di Colorno, per mano del cugino del C. monsignor Alessandro Garimberti, vescovo di Borgo San Donnino.
Giunse a Piacenza il 1° sett. 1783, trovandovi una certa ostilità dovuta alla sua origine conventuale, e subito emanò una Lettera pastorale al clero della Chiesa piacentina, Piacenza s.d. (ma 1783), per richiamare il clero, della diocesi ai doveri del ministero pastorale e, soprattutto, allo studio e all'insegnamento della dottrina cristiana, e al rigore dei costumi e del comportamento; la Pastorale, avendo avuto scarso effetto, venne seguita da un editto, del 26 genn. 1784, prescrivente istruzioni e pene precise relativamente alla disciplina ecclesiastica, che dovette essere ripetuto nel 1785, nel 1799 e ancora nel 1805. Consapevole di tale situazione di inadeguatezza e di rilassatezza del clero diocesano. volse le sue cure soprattutto al seminario, proponendosi una riforma ecclesiastica che risollevasse il prestigio del clero e di conseguenza risvegliasse la religiosità popolare, ma sempre in un'ottica di prudente moderazione e di interventi devozionali tradizionali: così nel 1785 organizzò una missione che durò dodici giorni. Continuando nelle iniziative di carità, nel 1788 istituì a Piacenza un orfanotrofio maschile nell'ex convento di S. Anna, che acquistò dal demanio, a cui aggiunse una casa di correzione per fanciulle traviate che si tramutò successivamente in un conservatorio per orfane. A partire dal 1787 cominciò a organizzarsi un fronte di opposizione al vescovo, costituito dal clero riformatore e filogiansenista, che accusava il C. di affrontare la crisi religiosa della diocesi con pratiche devozionali esteriori, invece che con energiche riforme, e, soprattutto, di appoggiare gli ex gesuiti che da sempre dirigevano il seminario vescovile, additato quale causa primaria della decadenza e impreparazione generale. Così, quando, nel 1793, Ferdinando di Borbone richiamò nei suoi Stati i padri della disciolta Compagnia, riaffidando loro l'insegnamento, il C. fu indicato tra i promotori di tale misura.
Entrati i Francesi a Piacenza, il 7 maggio 1796, il C. contribuì con i proventi della mensa vescovile al prestito volontario aperto dal duca per far fronte alle pesanti imposizioni finanziarie previste dalle condizioni di pace. Il 4 giugno 1796, onde prevenire disordini, il C. indirizzò una Enciclica al clero e al popolo (Piacenza 1796), in cui invitava i diocesani all'ordine e al rispetto delle truppe francesi che avevano dimostrato di tenere nel debito conto i diritti della religione, delle persone e della proprietà. Essa divenne oggetto di dure critiche da parte del Giornale degli amici della libertà e dell'eguaglianza di Milano, che il 25 pratile dell'anno IV (13 giugno 1796) accusava il vescovo d'ipocrisia e di malafede e sosteneva che il tono filofrancese dell'enciclica era soltanto frutto d'imposizione. Gli attacchi continuarono in articoli successivi, che G. Bianchi e A. Massari attribuiscono a Melchiorre Gioia, immemore dei benefici ricevuti dallo stesso C., che lo aveva aiutato finanziariamente a espatriare a Milano.
Nel 1798 il C. si fece assegnare dal duca l'amministrazione di una parte del reddito del convento dei canonici lateranensi di S. Agostino - soppresso per soccorrere l'erario durante le requisizioni e le spese di occupazione - che utilizzò per assistere i preti poveri della diocesi. Sempre nel 1798, il 9 ottobre, emanò una serie di Norme da eseguirsi dai parroci, in quarantanove articoli, in cui rinnovava le minuziose disposizioni pastorali a cui i parroci dovevano ottemperare, dalla tenuta dei registri parrocchiali all'insegnamento della dottrina cristiana. Il 15 apr. 1799, nel suo viaggio di trasferimento in Francia, Pio VI si fermò a Piacenza, al collegio Alberoni, e soltanto il giorno seguente il C., con un ritardo che provocò altre critiche, si recò dal pontefice. Dopo le vicende alterne che portarono all'occupazione di Piacenza, il 30 apr. 1799, da parte degli Austro-russi, e alla riconquista della città, nel giugno seguente, da parte dei Francesi, il C. provvide ad organizzare l'assistenza ai numerosi feriti della battaglia della Trebbia del 17-19 giugno, vinta dagli Austro-russi e, successivamente, ad aiutare, tramite i parroci, la popolazione a far fronte ai disastrosi e vandalici passaggi delle truppe confederate, recandosi, a tal fine, a raccomandarsi presso lo stesso generale Suvorov.
Rioccupata nuovamente Piacenza dai Francesi, il 17 giugno 1800, e, dopo la morte di don Ferdinando (9 ott. 1802), passati i ducati sotto la sovranità francese, il C. venne fatto oggetto di critiche per il suo atteggiamento favorevole alla nuova dominazione, che gli meritò nel 1806 la croce della Legione d'onore, ma che non gli impedì di emanare due lettere pastorali severe contro i costumi più liberi introdotti dai Francesi: Lettera pastorale... sopra il vestire, Piacenza, agosto 1804; Lettera pastorale... sopra il rispetto delle Chiese, ibid., maggio 1805. Il 10 nov. 1804 accolse Pio VII, in viaggio verso Parigi per incoronare Napoleone; al ritorno, il papa ripassò ancora da Piacenza, il 30 apr. 1805. Nel giugno seguente ricevette Napoleone, appena incoronato re d'Italia a Milano. In seguito alla soppressione di numerosi conventi stabilita da Napoleone nella diocesi piacentina (decreto del 20 pratile dell'anno XIII [9 giugno 1805]) e al malcontento che ne derivò, il C. dovette inviare al ministro dei Culti Portalis un rapporto, al quale seguì, nel gennaio 1806, una dettagliata relazione sulla condizione materiale e spirituale della diocesi. Il 30 dic. 1805, di fronte alle prime manifestazioni di rivolta antifrancese, scoppiate soprattutto sulle montagne, in risposta alla coscrizione forzata, emanò una lettera pastorale con cui richiamava i diocesani al rispetto delle leggi vigenti ed esortava il clero ad adoperarsi per indurre gli insorgenti a deporre le armi; essa venne ripetuta il 4 gennaio successivo. Nel febbraio 1806, sedata l'insurrezione dal governatore Junot e dal generale Radet, il C. si adoperò per cercare di mitigare la durissima repressione seguita, che coinvolse anche molti sacerdoti. Rimase sempre in ottimi rapporti coi rappresentanti di Napoleone, al cui merito ascriveva la pace religiosa e la restaurazione dell'autorità della Chiesa, fino alla morte, che avvenne a Piacenza il 17 febbr. 1807.
Con i suoi legati testamentari, secondo la sua volontà, fu istituito, il 10 apr. 1820, un ricovero per sacerdoti anziani o ammalati, che assunse il nome di "Pio Ritiro Cerati".
Fonti e Bibl.: I documenti relativi all'episcopato del C. (omelie, pastorali, lettere, editti), conservati presso l'Arch. della Curia vescovile di Piacenza, sono stati in gran parte pubbl. da A. Massari, L'opera del vescovo mons. G. C. in Piacenza durante la dominaz. francese (1796-1807), Piacenza 1943. Altre notizie in A. Cerati, Versi per la promozione al Vescovato di Piacenza del P.D.G.C., Parma 1783; Giornale degli amici della libertà e dell'uguaglianza (Milano), 13 e 21 giugno, 12 e 30 luglio 1796; A. D. Rossi, Ristretto di storia patria ad uso de' Piacentini, V, Piacenza 1829, p. 316; I. Affò-A. Pezzana, Continuazione delle Memorie degli scrittori e letter. parmigiani, VII,Parma 1833, pp. 335-342, 397; G. Bianchi, La vita e i tempi di monsignor G. C. ..., Piacenza 1893; I. Stanga, Dell'elez. di mons. G. C. a vescovo di Piacenza, in Boll. stor. piacentino, XXIV (1929), 3, pp. 117-121; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento ital., Firenze 1960, pp. 15, 205; G. Moroni, Diz. dierud. stor-eccles.,LII, pp. 257 s., 265.