CORRER, Gregorio
Nacque a Venezia il 14 settembre del 1409 da Giovanni di Filippo del ramo a Castello e da una nobildonna di nome Santuccia di cui ignoriamo il casato (in proposito cfr. Casarsa che corregge la precedente storiografia, secondo la quale il C. sarebbe nato nel 1411 e sua madre sarebbe stata Cecilia Contarini).
Sin da ragazzo il C. ricevette un'ottima educazione letteraria che completò alla scuola mantovana di Vittorino da Feltre, da cui apprese quel profondo amore per la cultura classica che gli fu compagno per tutta la vita. Negli anni di soggiorno presso la corte di Gianfrancesco I Gonzaga (1426-428, secondo la cronologia ricostruita dalla Casarsa), durante i quali studiò insieme con i figli del marchese di Mantova, acquisì una perfetta padronanza della lingua latina di cui diede un precoce saggio, scrivendo a soli diciotto anni la tragedia Progne, chiaramente ispirata a Seneca e a Ovidio. Degli stessi anni mantovani è il trattatello Quomodo educari debeant pueri et erudiri (Libellus de educatione et eruditione puerorum), indirizzato al fratello Andrea nel momento in cui stava per contrarre matrimonio, nonché l'Hymnus ad pueros et virgines, dedicato a Martino V e composto probabilmente nella primavera del 1428 (Casarsa).
Rientrato a Venezia nell'estate dello stesso anno, nell'autunno si trasferì a Roma presso lo zio cardinale Antonio Correr, allora molto influente in Curia. Nell'ambiente curiale si dedicò alla lettura e all'approfondimento dello studio dei testi sacri e maturò gradualmente la scelta tra lo stato laico, che gli prometteva brillanti soddisfazioni all'ombra di una delle più potenti famiglie dell'aristocrazia veneziana, e quello ecclesiastico, cui lo sollecitavano l'esempio e lo stimolo dello zio, che gli faceva balenare importanti incarichi e una larga disponibilità di tempo per i prediletti studi letterari; nei primi mesi del 1431 decise per lo stato ecclesiastico.
A questo primo periodo romano appartengono alcune opere del C.: l'ecloga Lycidas, tuttora inedita, che conobbe una certa notorietà negli ambienti umanistici, le Fabulae Aesopi et aliorum, dedicate al fratello minore Filippo, che sono una raccolta di apologhi liberamente tradotti o rielaborati in latino, tratti per lo più da Esopo (l'opera, completata nel 1431, è ancora inedita e ci è giunta in due redazioni, una più ampia di sessanta favole, l'altra più ristretta di cinquantatré favole: in proposito cfr. Casarsa), la prima delle sei Satyrae, e, forse, anche quegli altri "versus" che in seguito - come egli stesso ebbe a dire - decise di bruciare.
Secondo la storiografia tradizionale, il C. avrebbe abbracciato lo stato ecclesiastico mentre era ancora in vita Martino V. Alla morte di questo il nuovo pontefice Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer, avrebbe nominato immediatamente protonotario apostolico il C., cui era legato da vincoli di parentela (era cugino del padre). In realtà, mancano su questi avvenimenti testimonianze sicure (Casarsa): si può solo dire che nel 1434 egli era certamente protonotario apostolico perché come tale si dichiarava nella Epistola ad novitium Carthusinum de commodis vitae regularis, scritta il 7 marzo di quell'anno (Casarsa), da Firenze - ove si era recato al seguito dello zio Antonio - ad un suo antico compagno di studi entrato tra i certosini. Nello stesso anno, e sempre al seguito dello zio, che compare tra i partecipanti al concilio a partire dal 2 aprile, si recò a Basilea. Qui intervenne nella polemica sulla proposta del papa di sciogliere l'Assemblea e trasferirla a Bologna: una sua brillante orazione, pronunciata il 10 ottobre alla presenza dell'imperatore Sigismondo, in cui con accenti moderati, ma fermi, appoggiava la tesi del proseguimento dei lavori conciliari e della riforma della Chiesa, gli valse il favore di molti vescovi, ma gli alienò l'amicizia di Eugenio IV che da questo momento lo tenne in disparte da ogni incarico di rilievo.
Rientrato in Italia, il C. seguì la Curia pontificia che si era trasferita a Firenze nel giugno 1434. Nella città toscana ebbe modo di conoscere e frequentare il Bruni, il Traversari, il Niccoli e il Tortelli, stringendo con loro vincoli di amicizia. In questo periodo ricevette la commenda del monastero di S. Trinita in Verona (Casarsa). Si trasferì quindi a Bologna, dove rimase negli anni 1436-1437 come attestano una lettera inviatagli da Lapo di Castiglionchio (4 maggio 1436) e una lettera spedita dal C. a Vittorino da Feltre il 3 luglio 1437. Seguì probabilmente la corte pontificia nei suoi spostamenti da Bologna a Ferrara (14 genn. 1438) e da Ferrara a Firenze (io genn. 1439): qui partecipò ai lavori del concilio e sottoscrisse il 6 luglio 1439 la bolla relativa all'effimera unione della Chiesa greca. Da Firenze aprì un'aspra polemica contro Poggio Bracciolini che nel Dialogus de nobilitate aveva espresso un giudizio negativo sulla nobiltà veneziana: di tale polemica siamo informati grazie alla lettera con cui Poggio chiedeva amabilmente scusa al C. per quanto aveva scritto.
Il C., che all'inizio del 1443 aveva ricevuto la commenda del monastero di S. Zeno di Verona, non dovette seguire la corte pontificia quando questa si trasferì (marzo del 1443) nella città di Siena. Il 5 agosto di quello stesso anno, su invito di Vittorino da Feltre, compose la famosa Epistola ad Ceciliam virginem de fugiendo saeculo, indirizzata a Cecilia Gonzaga, figlia del marchese di Mantova, che aveva deciso di farsi monaca.
Il C. aspirava apertamente alla nomina a cardinale, ma, nonostante l'impegno dello zio Antonio, rimase deluso nelle sue aspettative. Quando poi, nell'autunno del 1443, il cardinale, per le sue precarie condizioni di salute, lasciò gli incarichi curiali e si ritirò a Padova presso il monastero di S. Giovanni Battista, il C. lo seguì nel suo ritiro. Lontano da preoccupazioni politiche, trascorse a Padova un periodo di studio e di riflessione, frequentando attivamente le lezioni della celebre università ed intensificando i contatti con i circoli umanistici veneti ed italiani. Curò amorevolmente lo zio e, quando nel gennaio 1445 questi morì, scrisse il De vita et obitu beatae memoriae Antonii episcopi Ostiensis soliloquium ad Deum, commosso profilo spirituale del parente defunto, ma anche autobiografia intellettuale degli anni inquieti e fecondi della sua adolescenza e giovinezza.
Dopo la morte dello zio il C. tornò a Roma, ove ebbe come nuovo protettore il cardinale Domenico Capranica; egli aspirava ora a ricevere una sede vescovile nel Veneto. Nel 1447 i canonici della cattedrale di Padova lo designarono a quella sede, ma la Repubblica veneta gli preferì Fantino Dandolo, poi confermato dal papa che voleva evitare screzi con quel potere politico. Nella prima metà del 1448, poi, il C. venne allontanato improvvisamente dallaCuria romana e costretto a ritirarsi nel monastero di S. Zeno: non conosciamo le ragioni del drastico provvedimento curiale e su di esse lo stesso C. mantenne il più stretto riserbo (Casarsa).
A Verona il C. seguì attivamente la vita della comunità monastica di S. Zeno, salvaguardandone le proprietà, difendendone gli interessi e contribuendo anche finanziariamente ai lavori di restauro e di ampliamento dell'annessa basilica; tra l'altro, egli promosse la costruzione dell'altare maggiore e commissionò al Mantegna la pala tuttora conservata.
Continuò, peraltro, a cercare una sede vescovile nel Veneto; nel novembre 1453 fu proposto per la diocesi di Verona dallo stesso Consiglio comunale, ma la scelta di Niccolò V cadde sull'umanista Ermolao Barbaro. Nel 1456, alla morte del patriarca di Venezia, Lorenzo Giustinian, risultò posposto a Maffeo Contarini, canonico regolare della Congregazione di S. Giorgio in Alga. Nel febbraio 1459 fu prescelto dalla stessa Repubblica veneziana per sostituire il defunto Fantino Dandolo a Padova, ma il papa - Pio II -, dopo una schermaglia politica col governo veneziano, gli preferì un altro candidato, Giacomo Zeno. Finalmente nel 1464, alla morte del patriarca Andrea Bondumier (6 agosto), il C. fu designato dal Senato come successore e il papa, Paolo II, accettò: il 17 settembre il papa inviò le lettere di conferma; il 22 dello stesso mese la Curia inviò al C. la richiesta di prestare giuramento; il 17 ottobre Matteo del Pozzo, a nome del C., pagò la tassa dovuta per la nomina (in proposito cfr. Casarsa, che sulla base di documenti d'archivio corregge le affermazioni precedenti secondo le quali Paolo II avrebbe scelto al posto del C. il vescovo di Bergamo Giovanni Barozzi).
Ma subito dopo l'elezione il C. si ammalò e morì a Verona il 30 nov. 1464.
Il C. addolcì le delusioni della carriera ecclesiastica con l'amorevole culto delle lettere classiche ed una costante, anche se non abbondante, produzione letteraria in lingua latina. Alcune delle sue composizioni, rimaste inedite (Ad tumulum Gregorii papae XII, epigramma di quattro distici; sei degli otto epitafi per Niccolò Niccoli; la Responsio ad amicum, altro epigramma di quattro distici; l'ecloga Lycidas e il Libellus apologorum, già citati), sono disperse in varie biblioteche italiane. Le sue intense relazioni epistolari con alcuni dei più celebrati umanisti dell'epoca gli assicurarono fama duratura negli ambienti letterari. Oltre alle opere già citate, merita un ricordo soprattutto il Liber Satyrarum, sei satire scritte poco dopo la partenza da Mantova e, comunque, prima del 24 sett. 1433. Ispirate al modello classico di Orazio e, in minor misura, di Giovenale, risentono fortemente dei suoi freschi studi con Vittorino da Feltre. Toccano i consueti temi dell'avarizia, della paura della morte, dei piccoli vizi, delle critiche dei volgo ai dotti: con qualche raro accento di "eleganza e scioltezza" e con un "tono fra moraleggiante e didattico - cioè scarsamente satirico", esse si risolvono per lo più "in dissertazioni e prediche morali su argomenti generici e astratti" (Cian, pp. 423 ss.).
Un elenco completo delle opere del C. è nel codice Marc. Lat. XII.155 (= 3953), interamente di mano del C., che vi ha trascritto il corpus completo delle sue composizioni letterarie (cfr. J. R. Berrigan, Gregorii Corrarii Veneti Liber Satyrarum, in Humanistica Lovaniensia, XXII [1973], pp. 13 s.). Il Soliloquium ad Dominum de vita et obitu Antonii episcopi Ostiensis, le epistole Ad novitium Carthusinum e Ad Ceciliam virginem, la Oratio ad Sigismundum Romanorum imperatorem pro concilio Basiliensi sono state pubblicate da I. B. Contarini, Anecdota veneta, Venetiis 1757, pp. 12-24, 24-32, 33-44, 45-57. Lo Hymnus ad pueros et virgines Martino V papae, stampato per la prima volta a Venezia a cura di V. Lazari nel 1564 per i tipi di Giovanni Cecchini, è stato edito da A. von Reumont, Beiträge zur italienischen Geschichte, IV, Berlin 1855, pp. 300 ss.; due degli otto epitafi per il Niccoli sono stati pubblicati da R. Sabbadini, Briciole umanistiche. G. C., in Giorn. stor. della letter. ital., XLVI (1905), p. 66; il Libellus de educatione et eruditione puerorum è stato tradotto e pubblicato a Venezia nell'anno 1804 da C. A. Moschini; il Liber Satyrarum è stato pubblicato da J. R. Berrigan, in Humanistica Lovaniensia, cit., pp. 10-38; anche il Soliloquium è stato di recente ripubblicato in G. Musolino-A. Niero-S. Tramontin, Santi e beati veneziani, Venezia 1963, pp. 330-341.
La tragedia Progne, assai lodata dai contemporanei del C., fu stampata per la prima volta, senza l'indicazione dell'autore, a Venezia, da Giovanni Ricci (Progne tragoedia nunc primum edita, in Academia Veneta 1558), con dedica a F. Varga; Ludovico Domenichi, poco dopo, ne fece una traduzione in versi italiani, che pubblicò sotto il proprio nome (M. L. Dom.enichi, Progne, in Fiorenza 1561). Semplice riedizione del testo latino curato dal Ricci è Progne tragoedia nunc iterum edita, excudit Mascardus, Romae 1639. La polemica sulla paternità dell'opera, scoppiata allorché G. N. Heerkens, inserendola nelle sue Icones (Parisiis 1788, pp. XII-XCIV), la attribuì al poeta latino Lucio Vario, venne definitivamente risolta da Iacopo Morelli nel 1792 (I. Morelli, Operette, II, Venezia 1820, pp. 211-214).
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