GREGORIO da Città di Castello
Nacque a Città di Castello nel 1414, da Ventura e Angela.
Una biografia di G. è conservata in un'epistola contenuta alle cc. 157r-161v del codice conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana Vat. lat. 6845 (edita da Mancini, 1898, pp. 114-120). Il documento è una copia - scorretta e priva di data, mittente e destinatario - di un originale inviato verosimilmente tra la fine del Quattrocento e l'inizio del secolo successivo da Città di Castello a Roma; è fondato su tradizione orale tifernate e sulle poche notizie che si ricavano dai carmi di G. e mostra come, a qualche decennio dalla morte dell'umanista, non si sapesse di lui quasi più nulla.
La lettera fissa l'origine dei genitori di G. ad Acquaviva, una località sul confine tra Città di Castello e Cortona. In seguito alla morte del padre, giustiziato dai Fiorentini (l'episodio è da riferire alla guerra contro Filippo Maria Visconti, duca di Milano, del 1425-26), G. si sarebbe nella prima adolescenza trasferito a Città di Castello con il resto della famiglia. La sua vocazione per le lettere, condivisa con il fratello minore Giacomo, era però contrastata dalla madre e dal fratello maggiore Ercolano: ciò indusse i due giovani a fuggire di nascosto a Perugia per studiare, sebbene si ignori con quali precettori. Entrambi si dedicarono anche alla medicina.
Con l'epistola vaticana coincide alla lettera in vari passi il profilo biografico premesso dal tifernate Girolamo Cerboni all'edizione dei carmi di G., stampata a Città di Castello nel 1538 dai soci Mazzocchi e Gucci, che però tace sulla sua infanzia e gli assegna senz'altro origine tifernate. Scrittori locali di Cortona della metà del Cinquecento attestano la nascita di G. a Ranza, sobborgo cortonese vicino ad Acquaviva, ed essa è ribadita ancora in una biografia conservata tra le carte G.M. Mazzuchelli (Vat. lat., 9276, pp. 39-41; edita da Zannoni, pp. 262-265). Altri hanno individuato il luogo di nascita di G. a La Tina, una frazione di Città di Castello (Staffa, p. 5; ma cfr. Muzi, p. 165: "Fu detto Gregorio da Ti., cioè da Tiferno, per abbreviatura. A torto adunque fu interpretato Tina"). Ricordiamo che gli umanisti contemporanei definiscono sempre G. "tifernate" e tale in un epigramma si firma egli stesso (riportato da Mancini, 1897, p. 346 n. 3 e Delaruelle, p. 11).
Nell'elegia Ad Pium pontificem maximum contenuta negli Opuscula stampati a Venezia nel 1498 (cc. c1v-c4r), che risale all'autunno del 1459, G. scrive di aver quasi compiuto quarantacinque anni. L'umanista si trovava in quel momento in Francia dove si era recato, avendo lasciato Milano, alla fine del 1456. Dunque la sua nascita cade verso la fine del 1414. Nel medesimo componimento dichiara di aver visto l'Ellesponto e di aver "bevuto" le acque dell'Eurota.
Una conferma della permanenza di G. nel Peloponneso è in una lettera di Marco Antonio Antimaco premessa alla versione latina dei due libri Delle gesta dei Greci dopo la battaglia di Mantinea di Giorgio Gemisto Pletone, dove Antimaco scrive che G., già precettore del padre Matteo (verosimilmente a Mantova nel 1460-61), aveva un tempo seguito le lezioni di Pletone, prima che questi si recasse in Italia per il concilio di Ferrara e Firenze del 1438-39. Poiché G. afferma di aver visto l'Ellesponto, è probabile che abbia soggiornato a Costantinopoli, ma non sappiamo quando e quanto a lungo. Ricordiamo che l'anonimo della biografia vaticana riferisce che G. "vixit et grecis litteris, ut audio, operam dedit" con Lilio Tifernate ed è chiamato in causa, come persona informata dei fatti narrati, proprio il figlio di Lilio, Giovan Battista. Di un discepolato di Lilio presso G. parla all'inizio del Cinquecento Raffaele Maffei.
Una lettera di un "Gregorius" a Lorenzo Valla, nella quale è espresso un entusiastico giudizio sul De falso credita et ementita Constantini donatione (pubblicato nella primavera del 1440), spedita probabilmente entro la fine dello stesso anno 1440 - ma non vi sono elementi decisivi che escludano una datazione più tarda -, ha fatto pensare che il mittente potesse essere G.; inoltre da una affermazione finale della missiva si capisce che i due umanisti si trovavano nella stessa città, che è pertanto Napoli, dove il Valla allora risiedeva.
Amicizia tra G. e il Valla è attestata nell'Antidotum IV in Pogium, in un passo nel quale l'autore - difendendosi dall'accusa mossagli da Poggio Bracciolini di essersi appropriato di due codici greci nel convento di S. Chiara in Napoli e di averli portati a Roma con sé - cita G. come testimone. Nella viva descrizione valliana dell'episodio ci sono alcune affermazioni concernenti G.: la sua perfetta conoscenza del greco e capacità di cimentarsi con il dialetto ionico; la sua attività di medico e la sua intenzione di addottorarsi in quest'arte (cfr. Ad Pium, v. 130, dove G. dichiara di esercitare talvolta la professione); la sua passione per i codici. Lo stesso passo ci informa di una stretta amicizia tra G. e Antonio Beccadelli detto il Panormita. Sempre a Napoli nel 1448 il re Alfonso V d'Aragona assegnava a G. 300 ducati annui di stipendio per la sua "graecarum et latinarum litterarum cognitionem summamque in disciplinis eruditionem et propter eius erga nos officia tum domi, tum belli nobis praestita" (Percopo, p. 125). Questi ultimi si riferiscono forse alla campagna del 1447 contro i Fiorentini o, se G. era nella città partenopea già dalla seconda metà del 1440, alla definitiva presa di Napoli nel 1443. Anche Giovanni Pontano, che era giunto adolescente a Napoli nel 1447, menziona G. in un passo del De sermone, definendolo suo precettore di lettere greche, e gli dedicherà anche uno dei Tumuli.
L'attribuzione a G. della traduzione latina di sei omelie De patientia Iob e di dieci sermoni De poenitentia di Giovanni Crisostomo ha fatto pensare che G. si presentasse a Roma verso il 1449 per donarle a Niccolò V in occasione del giubileo del 1450. La versione però, che solo in tre codici porta il nome di G., ha nei rimanenti quello di Lilio Tifernate.
In una lettera del 1451 a Pier Candido Decembrio G. parla di una faccenda che sta cercando di risolvere, attraverso un ignoto mediatore, presso il papa: tuttavia non spiega di cosa si tratti, solo affermando genericamente ogni suo tentativo essere stato vano (edita da Gabotto, p. 31; Delaruelle, p. 16 n. 2, datata dicembre 1451). Parrebbe da escludersi che G., pur trovandosi a Roma in quel momento, vi risiedesse già stabilmente. Il Valla nel passo citato dell'Antidotum IV - composto tra il marzo e l'aprile del 1453 - scrive: "Adest iam duo hic menses Gregorius". Forse G. si trasferì da Napoli a Roma all'inizio del 1453.
Per Niccolò V G. realizzò alcune traduzioni dal greco al latino. Nella prefazione al De mundi fabrica, attribuito a Timeo di Locri, G. definisce la sua versione dal difficile dialetto dorico "quandam studiorum meorum degustationem" offerta al pontefice, che subito dopo è lodato perché si diletta grandemente della conoscenza "novarum peregrinarumque rerum" e perché consente che la lingua latina sia ogni giorno di più arricchita dalle traduzioni (Vat. lat., 4037, II, c. 126r). Non è possibile fissare con esattezza la data di composizione di questa traduzione (Mancini, 1923, p. 75 e n. 2, afferma che l'esemplare Q.46 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano ha la data 1447 ma che essa "è stata corretta 1457"; Kristeller, I, p. 339, riporta senz'altro la data 1457): se si tratta della prima traduzione compiuta dall'umanista per il pontefice, va collocata prima delle due Etiche aristoteliche, nella cui prefazione G. scrive che il papa stava preparando la crociata e per le quali termine post quem è la caduta di Costantinopoli avvenuta il 29 maggio 1453. La premessa alla traduzione dell'Etica a Nicomaco e dell'Etica a Eudemo di Aristotele è del più grande interesse. G. afferma di aver intrapreso il lavoro per commissione di Niccolò V, che in quel momento apprestava eserciti per mare e per terra per restituire alla Grecia la libertà perduta, e dichiara di essere stato costretto a servirsi di "uno exemplari eoque non satis emendato" e aggiunge altre osservazioni sul modo di tradurre testi filosofici (Vat. lat., 2990, cc. 142r-143r). Le traduzioni della Metafisica e dei trattatelli De piscibus in sicco degentibus, De vertigine e De naturaignis di Teofrasto furono forse compiute tra il 1453 e il 1455, dopo quelle di Aristotele, ma si tratta soltanto di un'ipotesi. Tra queste solo la Metafisica riporta dedica a Niccolò V, mentre le altre non presentano neanche il nome del traduttore, ma semplicemente seguono nei codici le traduzioni di Aristotele o della Metafisica teofrastea. Non abbiamo elementi per datare la traduzione del De regno di Dione Crisostomo, definito da G., nella prefazione a Niccolò V, opera utilissima a un governante. La traduzione dei libri XI-XVII della Geografia di Strabone fu anch'essa commissionata a G. da Niccolò V: incominciata a Roma fu completata a Milano alla fine dell'estate del 1456.
Paolo Giovio riferisce di aver sentito dire da Leone X che fosse da attribuire a G. la paternità della traduzione latina di Angelo Poliziano delle Storie di Erodiano. Alla fine della biografia di G. inviata dal Sernini Cucciati a Mazzuchelli nel 1760 si legge: "Pretendesi che traducesse [scil. G.] anche Erodoto" (Vat. lat., 9276, p. 41). È probabile che questa notizia derivi dall'opuscolo del 1758 del padre Staffa, in cui, per errore di stampa, si legge due volte "Erodoto" per "Erodiano", e che di lì sia filtrata nella comunicazione del Sernini. È attribuita a G. anche una lettera scritta per Niccolò V in risposta a Maometto II (edita in Volgarizzamento di maestro Donato da Casentino dell'opera di messer Boccaccio "De claris mulieribus", a cura di L. Tosti, Napoli 1826, pp. 305-307).
Dopo la morte di Niccolò V, avvenuta fra il 24 e il 25 marzo 1455, G. lasciò Roma. Nell'elegia Ad Pium cita un proprio carme in morte del pontefice, che non compare nelle stampe delle sue poesie (Mancini, 1922, p. 33, lo segnala nel codice Campori 1378 della Biblioteca Estense di Modena; cfr. Kristeller, I, p. 389). Una elegia al Tortelli rivela G. non contento del nuovo pontificato di Callisto III (Opuscula, cc. c4v-d1v; cfr. anche Ad Pium, vv. 33-68).
Da Roma G. si recò probabilmente a Venezia e di lì si trasferì a Milano. Il 2 maggio 1456 Francesco Sforza decretava che si concedesse all'umanista una sede per l'insegnamento. La nomina è confermata da una lettera di Giorgio Valagussa a Guarino Veronese (Resta, p. 163 n. 3, propone di datarla al maggio del 1456), e da una lettera del Filelfo a Teodoro Gaza del 22 giugno 1456. A Milano, dove fu suo discepolo Bartolomeo Calco, G. insegnò grammatica a 15 fiorini al mese ed esercitò anche attività di traduttore.
La versione della Geografia era stata assegnata da Niccolò V in parte a Guarino Veronese (libri I-X), che l'aveva cominciata nel 1453 e conclusa poco dopo la morte del papa, e in parte a G. (libri XI-XVII). In una lettera del 12 febbr. 1456 da Milano il Filelfo chiedeva al Gaza, che si trovava a Napoli, il codice greco dell'Asia e dell'Africa di Strabone, forse proprio in vista della traduzione di G., che qualche mese più tardi era completata. Infatti il 27 sett. 1456 Francesco Sforza scriveva al marchese Ludovico Gonzaga per domandargli il testo greco dell'Europa di Strabone. Forse G. aveva intenzione di tradurre anche l'altra parte della Geografia, ma non abbiamo ulteriori notizie al riguardo. La traduzione della Geografia di Guarino e di G. fu pubblicata per la prima volta a Roma da Giovanni Andrea Bussi (Indice generale degli incunaboli [= IGI], 9170), e a questa seguirono numerose edizioni. Al soggiorno milanese risale forse il carme Ad illustrissimum Franciscum Sfortiam ducem Mediolani (Opuscula, cc. d1v-d2v).
Nell'autunno del 1456 G. lasciò Milano per la Francia. Si trovava a Tours all'arrivo dell'ambasceria ungherese l'8 dic. 1456 e, di qui, fu al seguito della corte del re negli spostamenti.
Spetta a G. la reintroduzione dell'insegnamento universitario del greco in Francia. Si narra che G. si presentasse al rettore dell'Università di Parigi e domandasse ex abrupto una cattedra di greco. In effetti il 19 genn. 1458 fu incaricato di un corso di greco la mattina e di uno di retorica la sera e commentò anche poeti latini, con il Gaguin tra i suoi allievi. Il suo stipendio era di 100 scudi l'anno con il divieto di ricevere soldi dagli studenti. Johannes Reuchlin dichiarerà all'inizio del Cinquecento di aver appreso il greco a Parigi nel 1473 da discepoli di Gregorio da Città di Castello. Nel novembre del 1458 troviamo G. coinvolto in un affare giudiziario a Parigi: un documento (edito da Thomas, pp. 637 s.), rinvenuto nell'archivio del parlamento francese, parla del rilascio su cauzione di un prete aragonese di nome Gabriel Mathieu imprigionato a causa di "excès à lui imposez par maistre Gregoire Tiffern, du païs de Grece"; tale apposizione "du païs de Grece" fa supporre che G. stesso apparisse uno dei tanti esuli greci. Di un'origine greca di G. avevano già discorso storici francesi, ma quelle testimonianze avevano provocato risentite proteste, fra gli altri di Tiraboschi. In Italia si era anche sparsa la voce che G. fosse morto e questo indusse l'umanista a scrivere dalla Francia al Panormita per informarlo che era ancora in vita (Opuscula, cc. b1r-b2r).
Dopo tre anni G. lasciò la Francia: nell'elegia a Pio II manifestava infatti l'intenzione di recarsi in Italia all'inizio della primavera, ma è verosimile che partisse prima, con l'intenzione di trasferirsi probabilmente a Venezia.
Da una lettera dell'8 ott. 1459 a Francesco Sforza inviatagli dal Filelfo sappiamo che questi si stava di nuovo adoperando per trovare a G. una sistemazione a Milano (edita da Jabotto, pp. 34-36, nella missiva il duca è pregato di non "considerare il passato ma l'advenire": forse la partenza di G. per la Francia nell'autunno del 1456 non era stata del tutto pacifica). Una lettera del Filelfo a G. del 21 ott. 1459 mostra che le trattative erano in corso, mentre in una lettera dello stesso G. allo Sforza, spedita da Venezia il 31 gennaio (benché senza l'indicazione dell'anno risale con molta probabilità al 1460 perché vi si fa riferimento alle vicende della condotta milanese), G. appare stanco e propenso a trovare una dimora fissa dove trascorrere gli ultimi anni di vita.
Le trattative con Milano non ebbero però, a quanto sembra, esito felice. Nell'aprile del 1460 G. è invece a Mantova. Si conservano due lettere - una di Pio II e l'altra del vescovo Bologna, cardinale Filippo Calandrini, spedite entrambe a Ludovico Gonzaga l'8 apr. 1460 da Siena - che raccomandano G. ed esprimono compiacimento che l'umanista abbia trovato a Mantova un impiego.
In questa città G. tenne scuola ed ebbe allievi Giorgio Merula e Battista Spagnoli. Da due lettere della corrispondenza interna dei Gonzaga (rispett. in data 31 agosto e 1° settembre) abbiamo notizia che G. svolgeva attività di precettore per i figli dei marchesi. Il giovane Gianfrancesco mostrava le mani gonfie e ferite per parare i colpi inferti da G. "cum el manico de la scoriata". Il marchese Ludovico, informato del fatto, decise tuttavia di essere paziente nei confronti dell'illustre precettore "perché non si possa dire in corte de Roma che, per non voler lassare dar le botte a nostri figlioli, non sappiamo tenire uno valenthuomo" (L'Archivio Gonzaga di Mantova…). Da una lettera di Biondo Flavio, inviata da Roma a Ludovico Gonzaga il 26 dic. 1461, sappiamo che G. si trovava in quel momento ancora a Mantova. Biondo si scusa di aver procurato al marchese soltanto una copia molto informale della Roma triumphans e aggiunge: "Curet tua excellentia ex hoc semirustico volumen unum elegans litteris ornatissimumque transcribi, quo tu et tibi assistentes viri doctissimi, Gregorius Tifernas meus et alii, Mantuae uti possint" (Scritti inediti e rari). Un'orazione consolatoria, tuttora inedita, al patrizio veneto Iacopo Antonio Marcello per la morte del figlio fu scritta da G. probabilmente a Mantova, così come l'orazione De astrologia (edita da Müllner, pp. 174-182), il cui argomento doveva esser grato al marchese Ludovico. Per il capodanno del 1461 o del 1462 G. compose un'ode saffica per il Gonzaga. Se G. si trattenne a Mantova ancora nella prima metà del 1462, lì compose l'epitaffio per Palla Strozzi, morto a Padova l'8 maggio 1462 (Opuscula, cc. d3v-d4r, e2r).
Nel 1462 troviamo G. di passaggio a Ferrara. Sul finire dell'anno compose un epitaffio per Paolo Barbo, morto tra il 14 novembre e il 4 dic. 1462 (Opuscula, c. e2r).
G. trascorse l'ultimo periodo di vita a Venezia. Qui - "dominus Gregorius Tifernus doctor et miles latine greceque literature doctissimus" (Segarizzi) - partecipò a un concorso bandito dal Senato il 22 apr. 1463 per l'insegnamento alla scuola della Cancelleria, ma non ottenne il posto. Da un'affermazione dell'editore Giovanni Tacuino nella premessa a un'edizione di Lattanzio si ricava che G. insegnava a Venezia privatamente in casa dei Corner. La biografia del Vat. lat. 6845 parla invece di insegnamento pubblico con lauto stipendio. All'insegnamento a Venezia è forse riconducibile una sua orazione dal titolo De studiis litterarum (edita da Müllner, pp. 181-191).
A c. 270r del codice Marc. lat. cl. XIV, 286, conservato nella Biblioteca naz. Marciana di Venezia (cfr. Kristeller, II, p. 240) è presente il Vaticinium cladis Italie (Opuscula, cc. d2v-d3r): elegia nella quale G. rivolge un severo monito al pontefice e ai sovrani europei perché pongano fine alle discordie civili per opporsi all'avanzata minacciosa dei Turchi (cfr. vv. 38-47), intitolata: "Anno Christi 1464 Gregorius Thifernas vates celeberrimus xv die ante obitum suum impiissimi Maumethij Turcorum principis in Italiam adventum lacrimoso carmine questus est" (il medesimo componimento ha titolo affine, se pur senza data, nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. S. Maria Maggiore, 45, c. 139r). Dunque G. avrebbe cessato di vivere pochi giorni dopo aver scritto questi versi. Secondo la biografia vaticana e il Cerboni G. morì a Venezia, "non sine veneni suspitione" a opera di emuli e invidiosi, a cinquant'anni compiuti o poco meno, e questo indurrebbe a fissare la morte verso la fine del 1464.
Non esiste un'edizione moderna dei carmi di G. (cfr. alcune note in Mancini, 1923, p. 103; Dionisotti, p. 189 n. 2; per l'indicazione di molti codici, si rinvia al Cumulative Index dell'Iter Italicum di Kristeller). Una raccolta di trentacinque componimenti fu stampata la prima volta a Venezia da Bartolomeo Girardino, con Ausonio e altri autori, nel 1472 (L. Hain, Repertorium bibliographicum, I, 2176; IGI, 1097), ma essa è sfigurata da errori che sopravvivono nelle stampe successive. Le poesie di G. sono presentate così: "Publii Graegorii Tiferni epistolarum epigrammatonque pars per L. Cronicum de schiediis eius lituratis collecta". Se il raccoglitore dei carmi di G. è Antonio Vinciguerra Cronico questi, che completò a Venezia i suoi studi proprio all'inizio degli anni Sessanta, ebbe forse contatti con l'umanista tifernate. Una nuova edizione degli stessi trentacinque carmi nel medesimo ordine pubblicò, con opere di altri autori, a Venezia Bernardino Vitali nel 1498 con il titolo di Opuscula (IGI, 4482) e da questa solitamente si citano le poesie dell'umanista. Ripetono questa edizione veneziana quella di Strasburgo dello Schurer del 1509 (anch'essa con altri autori) e quella, rarissima, dei soci Mazzocchi e Gucci stampata a Città di Castello senza data, ma certamente nel 1538, con i soli carmi di Gregorio da Città di Castello. Gesamtkatalog der Wiegendrucke [= GW] e IGI segnalano erroneamente la presenza dei carmi di G. nelle seguenti edizioni di Ausonio: ed. dello Scinzenzeler a Milano nel 1490 (GW, 3091; IGI, 1098); edizioni veneziane del Tacuino del 1494 (GW, 3092; IGI, 1099) e del 1496 (GW, 3093; IGI, 1100). In alcuni repertori si trova anche ricordata una edizione dei soli carmi di G. che sarebbe stata stampata dallo Schurer a Strasburgo nel 1508. La notizia dell'esistenza di questa edizione potrebbe esser nata per errore dalla prefazione del medesimo Schurer all'edizione del 1509 (in cui scrive: "Cum Publii Gregorii Tipherni opuscula iam aere nostro expraessissemus, libuit illis Octavii elegias et Cor. Galli fragmenta adiicere", che può essere stato inteso come riferimento a un'edizione dell'anno precedente) o dalla data MDVIIII in fine alla raccolta delle poesie di G. forse erroneamente letta per MDVIII.
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