GREGORIO da Montelongo
Figlio di Lando, nacque probabilmente a Ferentino nei primi anni del XIII secolo, una datazione che sembra meglio corrispondere ai tempi della successiva carriera, rispetto a quella che lo voleva nato nel 1190.
G. discendeva da una famiglia della Campagna romana, imparentata con i conti di Segni, che prendeva nome dal castrum di Montelongo e che era probabilmente legata alla cattedrale di Anagni e a Ferentino. Suo padre era cugino di Innocenzo III, che lo nominò rettore di Campagna e Marittima; G. ebbe almeno due sorelle e un fratello i cui figli, Lando, Giovanni, e Luca, furono accanto allo zio.
La prima notizia biografica su G. è offerta da una lettera, con la quale il 15 giugno 1213 Innocenzo III chiedeva al vescovo di Vercelli di inserirlo nel capitolo della cattedrale di quella città. Non si fa qui cenno al grado ecclesiastico del candidato alla prebenda, sicuramente perché G. aveva allora forse poco più di dieci anni e si accingeva a intraprendere una carriera di studio. G. ottenne anche un beneficio nella cattedrale di S. Maria di Novara.
Non è possibile sapere dove e in quale campo G. abbia svolto i suoi studi; egli era peraltro dotato di un'ottima formazione guerresca e militare, sicuramente appresa in ambito familiare, che egli coltivò con cura anche negli anni seguenti. Il cronista Salimbene de Adam lo descrive come "homo magni cordis et doctus ad bellum. Nam librum habebat de sagacitate et arte pugnandi. Acies et bella ordinare sciebat. Simulare et dissimulare optime noverat"; egli, inoltre, aveva "tantam consuetudinem preliandi, quod sciebat discernere quando esset preliandum et quando a preliis cessandum […], quia et doctus erat ad bellum et victoriam sperabat et expectabat a Deo" (Salimbene de Adam, pp. 560 s.).
La fortuna di G. è da porre in relazione con l'ascesa al soglio papale di Gregorio IX, nel marzo del 1227; il nuovo pontefice, infatti, era imparentato con la famiglia di Innocenzo III e, quindi, con i Montelongo. G. terminò gli studi fino a conseguire il titolo di magister attorno al 1238, mentre fin dal 1236 è indicato come suddiacono papale.
Va poi sgombrato il campo da un equivoco già presente nell'opera del Campi, ripreso dal Marchetti-Longhi e dalla successiva storiografia: l'attribuzione a G. di una missione a Piacenza nel 1234, nonché di cariche amministrative nel Patrimonio di S. Pietro, che furono invece affidate a Gregorio de "Romania".
Il primo incarico affidato a G. risale al luglio 1236, quando fu inviato presso Tebaldo IV, conte di Champagne e re di Navarra, per convincerlo a restituire a un consorzio di mercatores romani un'ingente somma della quale il re era da lungo insolvente; non sembra che la missione abbia avuto successo, giacché il caso non era ancora risolto nel 1239.
Dopo il luglio 1236 e prima del marzo 1238, G. entrò a far parte del Collegio dei notai della Curia romana (va scartata l'ipotesi avanzata dal Marchetti-Longhi circa la presenza di G. in tale Collegio già nei primi anni venti del XIII secolo), come si evince da due missive papali indirizzate a Federico II, con le quali G. "subdiaconus et notarius noster", era inviato presso l'imperatore, che già in quell'occasione lo definì suspectus.
Con la prima scomunica del settembre 1227 (rinnovata poi nel marzo dell'anno successivo) si era manifestato in tutta la sua gravità il dissidio tra Federico II e Gregorio IX e, al tempo stesso, era divenuta vitale per il Papato l'alleanza con i Comuni dell'Italia settentrionale, riunitisi nella ricostituita Lega lombarda (1226).
Dieci anni dopo Federico, stanco della lunga e assolutamente infruttuosa mediazione papale, aveva deciso di passare alle armi e, raccolto un numeroso esercito, il 27 nov. 1237 a Cortenuova riportò un'importante vittoria sulle truppe milanesi. Forte anche dell'appoggio di Ezzelino da Romano, signore di Verona, e delle altre città della Marca trevigiana, sotto il controllo di Ezzelino e del fratello Alberico, l'imperatore considerò giunto il momento propizio per piegare definitivamente i Lombardi e si rivolse innanzi tutto contro Brescia, uno dei capisaldi della Lega, ponendo nel giugno del 1238 l'assedio alla città, che però resistette fino al mese di ottobre, quando Federico abbandonò l'impresa.
Gregorio IX si rese conto della necessità di intervenire apertamente nel delicato negotium Lombardie, pertanto il 6 ag. 1238, quando era ancora in corso l'assedio di Brescia, il papa inviò G. come legato a latere. G. pose la sua base operativa prevalentemente a Milano e iniziò subito una febbrile attività diplomatica, grazie alla quale già nella seconda metà del 1238 egli poté stipulare accordi con Venezia e con Alberico da Romano; nel settembre di quell'ann0, poi, Genova si ribellò all'Impero e stipulò un'alleanza con Venezia.
Il coordinamento delle attività militari impegnò G. soprattutto in due periodi: il primo compreso tra gli inizi della legazione e l'autunno del 1239 e poi di nuovo tra 1240-41 fino alla morte di Gregorio IX; il secondo tra il 1245 e il 1249: entrambe le circostanze sono da porre in relazione con i provvedimenti del pontefice nei confronti dell'imperatore, precisamente la scomunica del 1239 e la definitiva condanna e la deposizione proclamate nel corso del concilio di Lione del 1245. La coincidenza si spiega qualora si consideri che le città lombarde erano il principale alleato della Sede romana e, quindi, un'azione nei loro confronti era la risposta alle ostili iniziative papali.
La domenica delle Palme del 1239 (20 marzo) Gregorio IX scomunicò Federico II, che in una lettera circolare del successivo 20 aprile lamentava tra i torti subiti da parte del pontefice l'invio del legato, finalizzato unicamente a danneggiare l'onore dell'Impero nella pianura padana. Le insinuazioni in merito alla legazione di G. furono respinte, ma ancora nella tarda estate del 1239 un gruppo di prelati filoimperiali, rivolgendosi a Gregorio IX denunciava l'azione del legato, e ne chiedeva il ritiro.
Nel giugno del 1239 Federico II iniziò una nuova campagna, il cui obiettivo dichiarato era la definitiva umiliazione di Milano. Per meglio predisporre la resistenza della città G., insieme con il minorita Leone da Perego, assunse il titolo di rector Comunis, una carica dal vago profilo istituzionale, che si affiancò a quelle consuete.
Federico II, dopo alcune operazioni militari nel territorio bolognese, si diresse verso Milano facendo prevedere un attacco da Sud; allora G. utilizzò con successo le risorse idriche della regione e, con l'allagamento dei campi, creò serie difficoltà al nemico. Giunto alla metà di ottobre nei pressi di Rozzano, l'imperatore anche qui si trovò la strada bloccata per lo straripamento dei corsi d'acqua. Al sovrano non rimase che rinunciare all'impresa e, attraverso Cremona e Parma, raggiungere il Regno di Sicilia.
Il successo in seguito ottenuto dalla Lega contro la città di Ferrara, retta dal filosvevo Salinguerra Torelli (giugno 1240), contribuì a rafforzare il fronte antimperiale nella parte orientale del territorio sottoposto alla legazione di G. e spinse Federico II ad abbandonare il Regno di Sicilia e a portarsi nuovamente nell'Italia settentrionale.
In agosto era in Romagna, dove assediò Ravenna, che si arrese il 22 dello stesso mese; quindi, intenzionato a colpire Bologna, il 26 agosto attaccò Faenza, che capitolò il 13 apr. 1241. Il 3 maggio un altro grave insuccesso funestò le iniziative sostenute dalla Curia romana, precisamente l'intercettazione da parte della flotta pisana delle galee genovesi che trasportavano i prelati d'Oltralpe e della regione padana verso Roma, dove Gregorio IX aveva indetto un concilio per procedere a una pubblica condanna dell'imperatore; caddero allora nelle mani di quest'ultimo, oltre a tre legati papali, gli ambasciatori di Milano, Brescia e Piacenza. Anche G. era stato invitato al concilio per relazionare sulle vicende lombarde, ma aveva preferito non lasciare la regione, scampando così alla cattura.
Sempre nel maggio del 1241, in seguito a uno scontro con i Pavesi, le truppe milanesi capeggiate da G. furono sconfitte e Federico II si affrettò a comunicare con grande enfasi l'accaduto, addirittura ipotizzando la cattura del legato, ma così non fu. Per sventare il pericolo del concilio l'imperatore prese la via di Roma e abbandonò la Lombardia, dalla quale rimase lontano per tre anni.
Dopo la morte di Gregorio IX (22 ag. 1241) e il brevissimo pontificato di Celestino IV (morto il 10 nov. dopo soli diciassette giorni di regno), si era aperto un periodo di vacanza nella sede papale. Frattanto Federico II aveva affidato il comando degli eserciti imperiali nella regione padana al figlio Enzo che, nell'estate del 1243, attaccò i territori di Vercelli, Novara e il Monferrato, nella difesa dei quali G. fu attivo con truppe di Milano e Genova. L'attacco si volse poi contro Piacenza, quindi l'attenzione del legato si concentrò nel settore orientale dei territori di sua pertinenza.
Nel giugno del 1243, con l'elezione di Innocenzo IV, in un primo tempo accolta favorevolmente anche da Federico II, sembrò che finalmente si potesse raggiungere la pacificazione tra Papato e Impero: ben presto il negoziato si arenò, portando Innocenzo IV a rinsaldare i suoi rapporti con i Comuni e, di contro, rendendo quanto mai necessario l'impegno di G., che invece, forse a causa della revoca da parte del papa di alcune nomine di ecclesiastici da lui fatte a suo tempo, chiese di essere richiamato dalla legazione, ma la richiesta non fu accettata. Le trattative tra il papa e Federico II conobbero poi una fase di stallo proprio a causa delle clausole di pacificazione con i Lombardi: tra il papa e Federico II pesò inoltre l'ostilità dell'imperatore nei confronti di Gregorio da Montelongo. Si giunse infine a un accordo (31 marzo 1244) nel quale erano ricordate le garanzie concesse dall'imperatore a G. e ai suoi consanguinei, ai quali si assicuravano pace e sicurezza, nonostante la loro inimicizia con l'Impero.
Il successo fu solo apparente e la pace mostrò ben presto i suoi deboli fondamenti. Nel giugno del 1244 Innocenzo IV, nell'impossibilità di sbloccare le trattative con l'imperatore, abbandonò Roma: a Civitavecchia si imbarcò per Genova e, da qui, si spostò in Francia ponendosi sotto la protezione del re Luigi IX. Il 24 giugno 1245 si aprì a Lione il concilio, il 17 luglio il papa dichiarò deposto Federico II e i suoi sudditi sciolti dagli impegni di fedeltà.
La reazione dell'imperatore nei confronti di Milano, dove allora G. si trovava, non si fece attendere: spalleggiato da Enzo e da Ezzelino, che minacciavano il territorio milanese verso Est, attaccò subito il settore occidentale. Da Pavia, ai primi di ottobre l'esercito imperiale risalendo il Ticino si portò ad Abbiategrasso, ma qui le truppe milanesi con a capo G. lo contrastarono validamente, senza che si venisse allo scontro aperto. Solo nel novembre l'imperatore abbandonò la regione padana e tornò nel Regno.
Il perdurare degli scontri in una zona così vicina a Milano aveva significato per la città un notevole sforzo economico: se G. con la sua autorità fin dal 1240 aveva appoggiato l'attuazione dell'estimo, dal 1243 il Comune ambrosiano impose tributi anche agli ecclesiastici; G. fu costretto a revocare le decisioni delle autorità comunali, cercando così di salvaguardare almeno formalmente gli interessi delle istituzioni ecclesiastiche, come si evince da un decreto, promulgato nel settembre del 1245 in favore delle chiese nei territori della Legazione, con il quale vietava a chiunque di gravare con taglie e collette le chiese e gli ecclesiastici.
All'inizio del 1247 Federico era di nuovo nella pianura padana e, forse in considerazione delle difficoltà imminenti, nel marzo la Curia papale decise di nominare un altro legato nella persona del cardinale Ottaviano degli Ubaldini. Frattanto G. era impegnato a Parma che, sottratta per suo merito nel giugno del 1247 al fronte filosvevo, era oggetto della reazione di Federico il quale vi pose l'assedio, contando di prenderla per fame. L'anima della resistenza di Parma fu G., che, oltre a guidare l'esercito, mantenne alto il morale dei cittadini promettendo l'imminente arrivo dei rinforzi guidati dal cardinale Ottaviano. Federico II nel dicembre spostò l'accampamento facendone addirittura una città, Vittoria, dove si proponeva di trascorrere i mesi invernali nell'attesa della capitolazione dell'avversario. Ma il 18 febbr. 1248, approfittando dell'assenza dell'imperatore, impegnato in una battuta di caccia, e della scarsa guarnigione rimasta, G. insieme con i Parmensi assaltò Vittoria, mentre gli alleati milanesi e piacentini impegnavano le truppe del marchese Lancia.
Il saccheggio e la completa distruzione di Vittoria segnano il momento di maggior fortuna di G., che però non riuscì poi a imprimere un corso favorevole alle azioni militari. Il prestigio di Federico II era oramai profondamente scosso: in questa azione, infatti, perse la vita Taddeo da Sessa, uno dei suoi più fidi collaboratori, e il tesoro imperiale fu saccheggiato. Il successo di Parma risollevò anche le sorti di G. presso la Curia romana, che, dietro sua sollecitazione, emanò una serie di provvedimenti volti a inasprire le censure ecclesiastiche nei confronti delle città - in particolare di Cremona - e di tutti coloro che continuavano a sostenere l'imperatore, o suo figlio Enzo, anche dopo la solenne scomunica e la deposizione.
Federico II, intanto, riuscì a recuperare al suo fronte Vercelli, precedentemente alleatasi (1243) con Milano; per prevenire un'azione del sovrano anche contro Novara, G. vi si portò con truppe milanesi e piacentine e non lasciò la città fino a che l'imperatore, nel gennaio del 1249 non si allontanò.
Si collocano ai primi mesi del 1249 anche le accuse di Federico II a G. e ai fautori della Chiesa di aver tramato contro la sua vita cercando di avvelenarlo; non è possibile verificare la loro fondatezza, ma certo la lunga contrapposizione del legato all'imperatore aveva condotto a un radicalizzarsi delle posizioni e a una lotta senza esclusione di colpi.
I contrasti tra G. e il suo collega di legazione si erano nel frattempo acuiti per il fatto che il cardinale Ubaldini poteva opporgli la sua più alta dignità ecclesiastica. È dunque comprensibile che G. faticasse a sottostare all'autorità del più potente ma meno capace cardinale e manifestasse nuovamente l'intenzione di abbandonare la legazione. La risposta della Curia pontificia non si fece attendere: dal febbraio del 1249 G. fu nominato arcivescovo eletto di Tripoli, un titolo che gli permetteva di trattare alla pari con il suo collega. Si giunse così alla definizione di diverse aree di competenza dei due legati, precisamente al cardinale Ubaldini Bologna, Mantova, Ferrara e la parte orientale, mentre a G. il settore nordoccidentale, indicato da Milano, Brescia e Crema. Nel maggio 1249 i due inviati si incontrarono infine a Parma, dove i rettori della Lega si riunirono per organizzare le future campagne.
Il 25 maggio re Enzo durante uno scontro di lieve entità cadde nelle mani dei Bolognesi, che, sordi alle lusinghe e alle minacce di Federico II, lo tennero prigioniero fino alla sua morte. Nel corso del 1250 la pars Ecclesie nella regione padana andò via via indebolendosi, forse per la scarsa collaborazione tra i due legati, così che solo la morte di Federico II (13 dic. 1250) evitò il peggio.
G. continuò a ricoprire la carica di legato: in marzo era a Ferrara, nel mese di aprile era a Parma, da dove diresse una campagna militare contro il Comune di Guastalla, quindi proseguì le trattative volte a rafforzare la Lega e garantire l'adesione di altre città, quali Bergamo. Ai primi di giugno era a Genova, dove accolse Innocenzo IV e da allora, fino almeno al 24 ottobre, quando il papa lo nominò patriarca di Aquileia, fu al seguito della Curia nei suoi spostamenti all'interno della regione padana.
Nel corso della sua legazione G. richiese il costante appoggio delle Chiese e degli Ordini religiosi presenti nella regione padana ed esercitò su di essi un forte controllo, non consentendovi l'accesso di esponenti di famiglie filoimperiali o solo sospettate di esserlo. Anche nei confronti degli Ordini mendicanti l'atteggiamento di G. fu dettato da criteri utilitaristici. Egli, infatti, ebbe sincera stima nei loro confronti, come dimostra il fatto che alcuni frati minori erano stabilmente al suo seguito, o che il suo confessore era un frate predicatore; d'altra parte le occasioni di scontro non mancarono, basti pensare alla costante opposizione di G. nei confronti del vescovo domenicano Guala di Brescia, che, pur essendo uno degli esponenti più prestigiosi dell'episcopato lombardo - basti pensare che era stato tra gli artefici della pace di San Germano tra Gregorio IX e Federico II -, fu ostacolato nell'esercizio dei poteri vescovili e cacciato dalla diocesi. A nulla valsero la riabilitazione da parte di Gregorio IX e la richiesta a G. di reintegrare il presule nei suoi diritti; Guala morì in esilio nel 1244.
Dove più decisa si rivelò la pressione di G. fu nel controllo delle nomine episcopali: tra la fine del 1240 e il gennaio successivo, il legato scomunicò il capitolo di Bergamo perché aveva proceduto all'elezione del presule senza il suo permesso; nel giugno del 1241, in occasione dell'elezione dell'arcivescovo di Milano, G. riuscì a nominare il suo fidato collaboratore, il minorita Leone da Perego. Nell'aprile del 1242 G. bloccò l'elezione del presule di Piacenza, riuscendo in seguito a far designare il priore dei predicatori di quella città, Giacomo di Castell'Arquato. Ancora nel 1242 approfittò della vacanza episcopale di Parma per porre in quella sede Bernardo Vizio de Scotis (queste due nomine furono poi annullate da Innocenzo IV), e nel medesimo anno designò vescovo di Ceneda Guarniero de Polcenigo.
Con la nomina a patriarca di Aquileia nell'ottobre del 1251 Innocenzo IV volle premiare G. per il successo nella più che decennale lotta contro Federico II, nonché garantire una maggiore autonomia del patriarcato nei confronti dell'Impero. Corrado IV comprese bene la manovra papale e infatti il 14 dicembre di quell'anno revocò al patriarca l'infeudazione della Marca d'Istria, che suo padre aveva concesso al predecessore di G., Bertoldo di Andechs. La prematura morte del sovrano vanificò il provvedimento.
Il 13 genn. 1252 G. fece il suo ingresso ufficiale nella diocesi, anche se la consacrazione episcopale avvenne solo nell'agosto del 1256, e fissò la sua residenza prevalentemente a Cividale.
Egli dovette da subito affrontare la grave situazione finanziaria nella quale versava il patriarcato, in particolare per il forte indebitamento con i banchieri senesi. G. cercò allora l'appoggio del cardinale Ubaldini, ancora presente come legato nell'Italia settentrionale, e addirittura del Collegio cardinalizio, al quale si rivolse probabilmente nel settembre del 1252, chiedendo un appoggio presso il pontefice, al fine di ottenere la revoca delle commissorie da questo inviate all'arcidiacono di Bologna, perché, qualora G. non avesse soddisfatto i creditori entro due mesi, fosse sospeso dall'amministrazione in temporalibus della diocesi; dal canto suo G. si dichiarava pronto a estinguere il debito entro quattro anni, pagando un interesse del 20%. A tal fine, giacché la riscossione dei fitti non era sufficiente, dovette appaltare ai mercanti senesi i pedaggi delle dogane di Chiusaforte e di Tolmezzo, come pure altri proventi in natura riscossi dal patriarcato. Nell'ambito della medesima politica di recupero delle risorse finanziarie G. attuò anche una riduzione dei benefici ecclesiastici, onde garantirsi maggiori introiti in questo settore. Il forte indebitamento spiega l'afflusso di numerosi toscani nel Patriarcato ai quali G. concesse la riscossione di dazi e rendite: non si trattò dunque di un fenomeno voluto dal patriarca per rafforzare l'elemento latino contro quello germanico nel Friuli, come invece afferma con anacronistico impeto patriottico il Marchetti-Longhi.
L'impegno di G. nelle vicende politiche del patriarcato fu contrassegnato da energici interventi per garantirsi il controllo sia sui feudatari della Chiesa aquileiese - in particolare si segnalano i ripetuti tentativi di contrastare le pretese dei conti di Gorizia, che detenevano tra l'altro il titolo di avvocati della Chiesa di Aquileia -, sia sulle città organizzate a Comune, dove il patriarca fece valere i suoi diritti nella nomina dei funzionari. Per sostenere tale linea G. non lesinò l'impegno armato, come era nel suo costume, contribuendo così ad aumentare l'indebitamento.
G. dovette inoltre confrontarsi con le forze limitrofe, che in molti casi miravano a estendere la propria influenza: fin dal 1254 si alleò con Venezia per contrastare i da Romano, contro i quali G. condusse diverse campagne, fino alla loro definitiva sconfitta nel 1261, unitamente all'arcivescovo di Ravenna Filippo Fontana. Anche con i duchi di Carinzia nel novembre 1261 G. raggiunse importanti accordi per regolare il controllo della Carnia e per evitare che si alleassero con i conti di Gorizia.
Fin dagli esordi dell'episcopato i rapporti di G. con la Curia romana non furono facili. Se all'inizio sorsero difficoltà con Innocenzo IV, soprattutto a causa dell'accordo tra il pontefice e i banchieri senesi creditori del patriarca, sullo scorcio del 1254 G. fu scomunicato, forse per aver negato un beneficio a un chierico raccomandato dal papa o per contrasti sorti in merito all'elezione del vescovo di Trieste, e solo nei primi mesi del 1255 ricevette l'assoluzione. La situazione sembrò migliorare con la morte di Innocenzo IV, ma G. non poté più contare sull'appoggio della Curia, anche se a essa ricorse ancora per risolvere le persistenti difficoltà finanziarie: nel luglio del 1263, per esempio, Urbano IV gli concesse di impegnare beni del patriarcato per garantirgli entrate sufficienti; d'altra parte il mutato quadro politico aveva impresso nuovi indirizzi al Papato.
G. concentrò allora i suoi interessi sul patriarcato e sui territori da esso dipendenti, coinvolgendo sempre di più nel governo civile e religioso suoi consanguinei e fidati collaboratori: il nipote Lando da Montelongo nel 1254 fu nominato podestà di Capodistria e Pirano e, congiuntamente con G., condusse alcune importanti campagne militari; se ancora nel 1258 Lando riceveva l'infeudazione di un castello confiscato a un ribelle, nel 1267 rinunciò all'investitura di altri beni, che passarono al figlio ancora minorenne Giovanni; un altro figlio di Lando, Gregorio, ottenne il pievanato di Gemona. Un nipote del patriarca, Giovanni de Verraclo, fu nominato arcidiacono della Chiesa di Aquileia e fu accanto a G. negli ultimi anni di vita. Tra i conterranei di G. si segnalano: Bartolomeo Saraceno (o Giptius) da Ferentino, suo vicario nel corso della legazione e poi durante l'episcopato, che ottenne infine un canonicato a Padova; un canonico di Ferentino, Giovanni Rubeo, nel 1258 ottenne la carica di camerario o tesoriere e un canonicato nella Chiesa aquileiese; infine Giovanni e Nicola de Lupico: quest'ultimo, pievano di Tricesimo e cancelliere di G., fu insignito nel 1269 della carica di vicedomino.
Nella difesa degli interessi particolari della sua sede G. si impegnò, in particolare contro i conti di Gorizia. Nel 1257, approfittando della minore età del conte Alberto e dell'assenza del fratello Mainardo, G. occupò il castello di Cormons: i conti si rivolsero anche ad Alessandro IV il quale intervenne presso G. perché restituisse il castello; nel dicembre 1260 si addivenne a un accordo secondo il quale G. ottenne il controllo di Cormons vita natural durante, e, dal canto suo, oltre a restituire un debito di 4000 marche liberando così i beni che erano stati impegnati, procedeva all'investitura di tutti i feudi che i conti di Gorizia detenevano dalla Chiesa di Aquileia. La questione fu all'origine dei ricorrenti attriti tra G. e i conti, soprattutto dopo che Alberto di Gorizia fu dichiarato maggiorenne. Con gli accordi di Pinguente del marzo 1264 sembrò raggiunta una stabile intesa fra le parti e regolati i rapporti in merito alle questioni controverse. In tutte le trattative con i conti di Gorizia un posto di rilievo fu occupato dal vescovo eletto di Ceneda (in seguito eletto di Concordia), Alberto de Collice, vicedomino di Gregorio. Il 3 luglio 1267, G. si accordò con Alberto di Gorizia in merito ai rispettivi diritti su Capodistria, ma improvvisamente il 20 di quel mese G. fu catturato da uomini del conte e tenuto prigioniero. Per la sua liberazione si attivarono il pontefice Clemente IV, il doge di Venezia, il re Ottocaro di Boemia e suo nipote Vladislao, arcivescovo di Salisburgo: grazie alla mediazione di Ottocaro, vassallo del patriarca, G. fu liberato tra il 26 e il 27 ag. 1267.
Nonostante il compromesso raggiunto i rapporti tra G. e il conte di Gorizia rimasero tesi, come dimostra l'uccisione del vicedomino Alberto il 3 luglio 1268, in un agguato sicuramente ordito dal conte. Il fatto provocò l'immediata reazione di G. che già il 27 di quel mese si dirigeva con un esercito contro Gorizia senza però ottenere un rapido successo: d'altra parte G. non poteva più permettersi di condurre lunghe campagne militari, per non incrementare i debiti con i banchieri veneziani.
Forse fin dal 1268 la sua salute si aggravò consigliandoli di ritirarsi dai campi di battaglia, nell'agosto del 1269 egli regolò alcune questioni finanziarie ancora insolute e il 31 di quel mese dettò il suo testamento. Morì l'8 sett. 1269 e fu sepolto nel duomo di Cividale.
Fonti e Bibl.: A. Dandolo, Chronicon Venetum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XII, Mediolani 1728, col. 376; Vitae episcoporum et patriarcharum Aquilejensium, ibid., XVI, ibid. 1730, coll. 46 s.; Bartholomaei Scribae Annales, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, Hannoverae 1863, pp. 196, 209; Memoriae Mediolanenses, ibid., p. 402; Annales Placentini gibellini, ibid., pp. 481, 483, 486-488, 494-499; Annales Parmenses maiores, ibid., pp. 671 s., 676; Annales Foroiulienses, a cura di W. Arndt, ibid., XIX, ibid. 1866, pp. 196 s.; Rolandini PataviniChronica, a cura di Ph. Jaffé, ibid., pp. 119, 169; Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, a cura di C. Rodenberg, ibid., Epistolae saeculi XIII, I-III, Berolini 1883-94, ad indicem; A. Bremond - T. Ripoll, Bullarium Ordinis praedicatorum, I, Romae 1729, pp. 129, 139, 168; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevii, IV, Mediolani 1741, coll. 511 s.; V, ibid. 1741, coll. 1055-1058; G.G. Sbaraglia, Bullarium Franciscanum, I, Romae 1759, p. 364; G. Bianchi, Thesaurus Ecclesiae Aquileiensis, Udine 1847, ad indicem; J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici secundi, V/1-VI/2, Parisiis 1857-61, ad indicem; Statuta Communis Vercellarum, a cura di G. Adriani, in Historiae patriae Monumenta, Leges municipales, II/2, Augustae Taurinorum 1876, coll. 1394-1405, 1407-1409, 1411-1414, 1416-1420, 1429, 1434 s., 1456; E. Winkelmann, Acta Imperii selecta saeculi XIII et XIV, I-II, Innsbruck 1880-85, ad indicem; Les registres d'Innocent IV, a cura di E. Berger, I-IV, Paris 1884-1911, ad indicem; Les registres de Grégoire IX (1227-1241), a cura di L. Auvray, I-IV, Paris 1890-1908, ad indicem; Registri dei cardinali Ugolino d'Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, a cura di G. Levi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], VIII, Roma 1890, pp. 175-177, 182; Les registres de Clément IV, a cura di E. Jordan, I-III, Paris 1893-1904, ad indicem; Les registres d'Alexandre IV, a cura di C. Bourel de la Roncière, I-III, Paris 1895-1953, ad indicem; Les registres d'Urbain IV, a cura di J. Guiraud, I-IV, Paris 1899-1906, ad indicem; P.M. Baumgarten, Miscellanea diplomatica, II, in Römische Quartalschrift, XXVIII (1914), p. 102; Gli Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori dal 1225 al 1250, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIII, Roma 1923, pp. 98, 124; Poesie provenzali storiche relative all'Italia, a cura di V. de Bartholomaeis, ibid., LXXII, 2, Roma 1931, pp. 265-268; Die Regesten der Grafen von Görz und Tirol…, I, a cura di H. Wiesflecker, Innsbruck 1949, nn. 565, 568, 572, 601, 613 s., 618, 623, 648 s., 651, 656, 658, 665, 670, 682, 684, 690, 716 s., 719, 728, 732 s., 747, 755, 768 s., 778-784, 787-792, 809 s., 812 s., 815, 817, 820, 840; D. Puncuh, Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, Genova 1962, ad indicem; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, ad indicem; G. Marchetti-Longhi, Registro degli atti e delle lettere di G. de Monte Longo (1233-1269), Roma 1965 (la raccolta non costituisce un attendibile compendio delle fonti utili per la ricostruzione della biografia di G., in quanto ampiamente lacunosa; a tale repertorio si rinvia soprattutto per l'indicazione delle fonti archivistiche); Gli atti del Comune di Milano nel secolo XIII, a cura di M.F. Baroni, I, Milano 1976, ad indicem; C. Scalon, La Biblioteca arcivescoviledi Udine, Padova 1979, ad indicem; Id., Necrologium Aquileiense, Udine 1982, ad indicem; Id., Libri, scuole e cultura nel Friuli medioevale, Padova 1987, ad indicem; T. Martellini, Le pergamene dei capitoli di Milano conservate presso l'Archivio di Stato di Milano…, in Studi di storia medioevale e di diplomatica, X (1989), pp. 34, 36; I codici della Biblioteca capitolare di Cividale del Friuli, a cura di C. Scalon - L. Pani, Firenze 1998, ad indicem; P.M. Campi, Dell'historia ecclesiastica di Piacenza, II, Piacenza 1651, pp. 166, 171, 174-177, 181, 202, 396, 398; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, coll. 92-94; I. Affò, Storia della città di Parma, Parma 1794, pp. 176, 178, 180, 331; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano…, IV-VII, Milano 1855, pp. 395, 408, 424-426, 431, 433, 436, 440 s., 449; G. Levi, Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini secondo il suo carteggio…, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XIV (1891), pp. 234, 236-238, 240, 244, 256, 269-272; H. Frankfurth, Gregorius de Montelongo. Ein Beitrag zur Geschichte Oberitaliens in den Jahren 1238-1269, Marburg 1898; H. Zimmermann, Die päpstliche Legation in der ersten Hälfte des 13. Jahrhunderts…, Paderborn 1913, pp. 129-131; C. Rodenberg, Die Friedensverhandlungen zwischen Friedrich II. und Innocenz IV. 1243-1244, in Festgabe für Gerold Meyer von Knonau, Zürich 1913, pp. 172, 178, 184; G. Marchetti-Longhi, La legazione in Lombardia di G. de Monte Longo negli anni 1238-1251, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XXXVI (1913), pp. 225-285, 585-687; XXXVII (1914), pp. 139-266; XXXVIII (1915), pp. 283-362, 591-675; P. Paschini, Ciociari ed altri italiani alla corte di G. di M., in Memorie storiche forogiuliesi, X (1914), pp. 483-494; Id., G. di M. patriarca di Aquileia (1251-1269), ibid., XII-XIV (1916-18), pp. 25-84; ibid., XVII (1921), pp. 1-82; G. Marchetti-Longhi, La famiglia di G. da M. patriarca d'Aquileia. Note storico-genealogiche, ibid., XIX (1923), pp. 105-130; XX (1924), pp. 91-121; K. Hampe, Denkschrift Gregors von M. an das Kardinalskollegium über die finanzielle Zerrüstung seines Patriarchats Aquileia aus dem Jahre 1252, in Mitteilungen des Österreichischen Instituts für Geschichtsforschung, XXV (1925), pp. 189-204; G. Biscaro, Gli estimi del Comune di Milano nel secolo XIII, in Arch. stor. lombardo, LV (1928), pp. 366, 372-375, 378-380, 390, 400, 416, 420-422, 435, 473, 481; E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, Düsseldorf-München 1927-31, ad indicem; P. Paschini, Storia del Friuli, II, Udine 1935, pp. 157-173; H. Schmidinger, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz-Köln 1954, ad indicem; G. Marchetti-Longhi, G. de Monte Longo, patriarca di Aquileja, Roma 1965; P. Herde, Beiträge zum päpstlichen Kanzlei- und Urkundenwesen im dreizehnten Jahrhundert, Kallmünz 1967, pp. 14 s.; G. Fasoli, Federico II e la Lega lombarda. Linee di ricerca, in Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, II (1976), pp. 68 s., 71 s.; J. Koenig, Il "popolo" dell'Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna 1986, pp. 74-80, 146, 280 s.; M. Ronzani, Vescovi, capitoli e strategie famigliari nell'Italia comunale, in La Chiesa e il potere politico…, a cura di G. Chittolini - G. Miccoli, in Storia d'Italia, Annali, IX, Torino 1986, ad indicem; R. Perelli Cippo, La diocesi alla metà del tredicesimo secolo, in Diocesi di Milano, I, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1989, ad indicem; M.P. Alberzoni, G. da M., in Diz. della Chiesa ambrosiana, III, Milano 1989, pp. 1524 s.; Id., Francescanesimo a Milano nel Duecento, Milano 1991, ad indicem; T. Behrmann, Domkapitel und Schriftlichkeit in Novara (11.-13. Jahrhundert)…, Tübingen 1994, ad indicem; W. Maleczek, La propaganda antiimperiale nell'Italia federiciana: l'attività dei legati papali, in Federico II e le città italiane, a cura di P. Toubert - A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 293-295, 297, 303; J.-C. Maire Vigueur, Religione e politica nella propaganda pontificia…, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Rome 1994, pp. 75-83; C. Esposito, Contributo per un'indagine sui rapporti di G. da M. legato papale (1238-1251) con le istituzioni ecclesiastiche dell'Italia settentrionale, in Novaríen, XXVII (1997), pp. 95-130; M.C. Ferrari, 1243: l'operato di G. da M. a Vercelli, in Studi di storia medioevale e di diplomatica, XVII (1998), pp. 109-118; G. Andenna, Episcopato cremonese, capitolo cattedrale, Papato e Impero nel XIII secolo, in Cremona città imperiale.Nell'VIII centenario della nascita di Federico II (Cremona… 1995), Cremona 1999, pp. 178, 180, 182; R. Hermes, Totius libertatis patrona: die Kommune Mailand in Reich und Region während der ersten Hälfte des 13. Jahrhunderts, Frankfurt am Main 1999, ad indicem; G. Andenna, I primi vescovi mendicanti, in Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli Ordini mendicanti nel '200 e nel primo '300. Atti del XXVII Convegno…, Assisi 1999, Spoleto 2000, pp. 73-77, 79; P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276)…, Spoleto 2001, ad indicem; M.P. Alberzoni, Le armi del legato: G. da M. nello scontro tra Papato e Impero, in La propaganda politica nel Basso Medioevo. Atti del XXXVIII Convegno…, Spoleto (in corso di stampa); Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXII, coll. 6-9; Lexikon des Mittelalters, IV, coll. 1675 s.