DATI, Gregorio (Goro)
Nacque a Firenze il 15 apr. 1362 - come egli stesso racconta nel suo Libro segreto, prezioso opuscolo di ricordi sulla sua famiglia e la sua attività commerciale - dal mercante di seta Stagio, o Anastasio, e da Ghita di Ridolfo Taoni; fu fratello di Leonardo, generale dell'Ordine dei domenicani. Mortogli nel 1374 il padre (allora console defl'arte della seta e camerlengo al Sale e alle Prestanze), il D. incominciò a dedicarsi alla mercatura, impratichendosi nella bottega del setaiuolo Giovanni di Giano, del quale, successivamente, immatricolatosi all'arte della seta nel 1384, divenne socio.
La sua quota di partecipazione a questa società avrebbe dovuto essere di 300 fiorini: ma all'inizio non li aveva in contanti, e poté solo prometterli, e successivamente mai dette più del 12%. Questa compagnia durò fino al giugno 1387, quando morì Giovanni di Giano. Da quel momento l'impegno del D. nei commerci andò sempre più accentuandosi; varie furono le compagnie mercantili di cui fece parte, o che addirittura organizzò: con Bonaccorso Berardi, Michele di ser Parente, e vari altri. Spesso però si ritrovò anche con pochi denari: im grande aiuto finanziario gli procurarono allora le doti delle quattro mogli che successivamente sposò. La prima, con cui si unì nel 1388, fu Bindecca di Bonaccorso Berardi suo socio; essa morì due anni dopo, in seguito ad una lunga malattia e mentre era incinta.
All'inizio del settembre 1390 il D. partì per Valenza per esercitarvi quelle attività commerciali nelle quali era colà impegnato anche il fratello Simone. A Valenza il D. si fermò due anni, durante i quali da una schiava tartara ebbe un figlio illegittimo, che poi riconobbe e mandò a Firenze. Nel 1393 Sposò Isabella di Neri, Villamuzzi, la cui dote nugliorò le sue condizioni; da lei ebbe otto figli, molti dei quali gli morirono presto (due nella peste dell'anno 1400). Nel settembre dello stesso 1393 ripartì per la Catalogna, ma poco oltre Portovenere fu assalito e derubato dai pirati. Ritornato quindi a Firenze, ne ripartiva nell'aprile dell'anno successivo per recarsi a Valenza; da qui passò poi a Maiorca e a Barcellona, per rientrare successivamente a Firenze nel 1395. Nel 1404 tornò ancora, ma per via di terra, in Spagna, a Valenza e a Murcia, per seguire l'andamento della sua azienda commerciale, rimanendovi tre anni; alcuni affari là impostati col re di Castiglia, e poi sfumati per la morte di questo, lasciarono la compagnia del D. in debiti gravissimi, con forti interessi che la misero in pericolo di fallire.
Nel 1402 gli era morta la seconda moglie e l'anno successivo era passato a nuove nozze con Ginevra di Antonio di Piero Piuvichesi, già moglie di Giuliano di Tommaso Brancacci, e madre di un fanciullo di pochi mesi; da lei, che gli portò una ricca dote, il D. ebbe undici figli. Mortagli anche questa terza moglie di parto nel 1419, due anni dopo il D. si risposò ancora con Caterina di Dardano di Niccolò Guicciardini, dalla quale ebbe altri sette figli: ma di questi e dei precedenti molti morirono in tenera età per cause e in anni diversi (nel 1432 ne perirono tre in uno stesso giorno a poche ore di distanza l'uno dall'altro).
Il D. - "singolare homo et onorato" come lo chiama il nipote Leonardo di Piero, vescovo di Massa Marittima, in una lettera a Lorenzo de' Medici del 30 marzo 1471 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo av. il Principato, XXV, 38) - morì il 17 sett. 1435 e fu sepolto nel sepolcreto di famiglia presso la chiesa di S. Spirito.
Nella sua lunga attività corlunerciale il D. fu mercante attento e intraprendente, anche se spesso non gli mancarono difficoltà (per la cui risoluzione fu aiutato in due occasioni anche dal fratello domenicano) e controversie di vario genere: la sua portata al Catasto nel 1427, ad esempio, ci indica i non pochi debiti e le incombenze di pagamento che ancora in quel tempo aveva contratto. Accanto all'intensa operosità commerciale, il D. svolse anche un non trascurabile ruolo nella vita politica fiorentina, sia all'interno della propria corporazione - fu per undici volte console dell'arte della seta, la prima nel 1402, l'ultima nel 1431 -, sia occupando magistrature di varia importanza. Dopo che nel 1405 era stato uno dei Dieci di libertà durante la guerra contro Pisa, nel 1412 fu eletto per la prima volta gonfaloniere di Compagnia (la seconda lo sarà nel 1430), e considerò questa elezione un grande onore per sé e per la sua famiglia, anche perché il padre Stagio era arrivato a ricoprire soltanto uffici minori. Questa elezione fece prendere al D. anche l'impegno morale di non brigare disonestamente per ottenere altri incarichi nella vita cittadina, e di non accettare "alcuno ufficio di rettore che abbia balia di giudicare sangue". Sta di fatto che dopo quella elezione del 1412, il D. ricoprì molti altri uffici: fu provveditore alle Gabelle di Pisa nel 1417, provveditore allo Spedale nel 1419 e nel 1422, membro del Consiglio dei XII buoniuomini nel 1421 e nel 1425, membro dei Cinque conservatori del contado nel 1422, podestà di Montale nel 1424 (fu, questa, la prima volta che veniva affidata tale carica), priore nel bimestre giugno-agosto 1425, camerlengo dell'arte nel 1425, ufficiale per la conservazione dei monasteri nel 1427, gonfaloniere di Giustizia (la massima carica della Repubblica) nel bimestre marzo-aprile 1429, periodo in cui si riaprì lo Studio fiorentino, membro dei Sei di mercanzia nel 1434. Merita anche di essere ricordato il fatto che fra il 1430 e il 1433 il nome del D. torna spesso nelle consulte e pratiche della Repubblica fiorentina, dalle quali risulta che egli intervenne nel consigli con notevole saggezza su vari problemi, e che in particolare più volte insisté sulla necessità di salvaguardare la pace, da lui vista come base indispensabile della vita fiorentina e in modo speciale dei suoi traffici commerciali.
Delle due opere pervenuteci del D. - il Libro segreto e l'Istoria di Firenze - laprima è un libro di memorie e di ricordi di casa e di bottega che vanno dal 1388 al 1434, nel quale, oltre a moltissime informazioni di carattere personale, non mancano varie ed utili notizie sulla vita intima, sui costumi e sulle abitudini dei ceti commerciali fiorentini fra Tre e Quattrocento. Dopo un proemio in cui il D. afferma di voler fare dapprima una "brieve menzione di nostri fatti da farne memoria" e poi di descrivere "i fatti segreti della compagnia e della mercatanzia" secondo una disposizione annalistica, il Libro è articolato in sezioni. Tipicamente memorialistiche sono quelle che riguardano le vicende della famiglia del D., dai suoi antenati alle sue mogli e ai suoi figli, attraverso una puntuale e, a volte, quasi quotidiana narrazione delle cose più salienti. Di grande utifità, in quest'ambito, sono i ricordi che egli fa delle magistrature e dei diversi uffici da lui ricoperti nel corso degli anni; fra queste notizie, degno di nota è l'accenno alla riforma elettorale del 1434, che seguì il ritorno a Firenze di Cosimo il Vecchio. Notevole interesse rivestono poi le sezioni che trattano delle faccende commerciali, delle entrate e delle uscite delle varie compagnie, delle difficoltà incontrate o dei guadagni raggiunti. P. questa la parte (si trovano qui anche i ragionarnenti sulle doti e i contratti matrimoniali) che più delle altre mette in risalto l'intraprendenza del D. nel mondo mercantile fiorentino. Ma la narrazione non si discosta, in genere, da un'arida elencazione di serie di date e di fatti trascritti in una prosa per nulla vivace, che tradisce distacco e freddezza, anche spirituale, di fronte agli avvenimenti di volta in volta narrati con estrema semplicità. Ogni pagina del Libro segreto ècomunque pervasa da un senso di completa fiducia e abbandono nella Provvidenza - sentimento che, del resto, comparirà anche nell'altra opera del D., l'Istoria di Firenze - che il D. vede regolatrice della vita sua, della sua famiglia, della sua stessa compagnia commerciale, tanto nella buona come nella cattiva sorte.
Non si trovano in questo libro considerazioni o riflessioni sulla vita civile e comunale di Firenze, e sui vari aspetti ad essa connessi. Per buona parte, e cioè dal 1380 al 1406, tale problematica viene trattata nell'Istoria di Firenze, in cui ampio spazio ha il sentimento patriottico. A differenza di altri memorialisti fiorentini, soprattutto Bonaccorso Pitti e Giovanni Morelli, il D. tiene separata nelle sue opere la sfera privata da quella pubblica, e quindi le conseguenti valutazioni sui due diversi temi: al Libro segreto (e il titolo è già significativo) il D. affida le sue personali memorie, all'Istoria di Firenze dedica la narrazione delle vicende politiche della città. Il D. scrisse l'Istoria di Firenze nel1409 (più tardi, secondo la tesi del Baron, vi aggiunse le pagine finali sulle istituzioni e magistrature fiorentine), con lo scopo di narrare la storia di Firenze fra il 1380 e il 1406 nei suoi rapporti con gli altri Stati italiani. La scelta del tema, che esclude la trattazione sulla politica interna fiorentina, rappresenta una novità non trascurabile perché il D. veniva ad esporre, essenzialmente, le varie ragioni che opposero Firenze a Milano in una serie di contrasti e di guerre che dapprima misero in crisi e in dubbio la stessa libertà repubblicana di Firenze, ma poi si risolsero con la dissoluzione della potenza dei Visconti e l'incorporazione di Pisa nello Stato fiorentino. L'importanza dell'opera dei D. - che degli avvenimenti descritti fu, in un certo senso, testimone, e forse, per la sua posizione di mercante in contatto coi rappresentanti dell'oligarchia fiorentina, privilegiato raccoglitore di notizie - sta, in primo luogo, nel fatto che in essa avvenimenti di estrema attualità sono esposti da chi contemporaneamente li vive e li osserva. Più tardi gli stessi fatti raccontati dal D. saranno ripresi da Leonardo Bruni; fra il 1439 e il 1441, con un intervallo di tempo che certamente consentì quella riflessione e quel distacco che non è possibile riscontrare nella passionalità che anima l'esposizione del Dati.
D'altra parte la convinta ed incondizionata esaltazione e difesa di Firenze compiuta dal D. consente di avvicinare ed inserire la sua opera - che, pur con le sue novità, risente ancora di toni tipici della storiografia medievale, come ad esempio l'insistenza sugli "exempla" e l'evidente fine moralistico - in quell'appassionato dibattito, apertosi a Firenze negli ultimi decenni del Trecento, sul ruolo e l'identità di Firenze rispetto alle altre città italiane. Tale dibattito non si era limitato alla glorificazione della città e dei suoi cittadini illustri, ma, anche per un'inevitabile coincidenza storica, appunto la lotta con Milano, aveva chiaramente affermato l'indipendenza di Firenze con la formula della e florentina libertas". P, quindi impensabile che il D. - scegliendo di storicizzare un periodo così cruciale per la città e così fervido per l'elaborazione culturale e ideologica sviluppata dai cancellieri fiorentini, direttamente coinvolti nella politica e nella difesa di Firenze - non avesse, come riferimento, quanto sulla libertà e sulla superiorità di Firenze avevano precedentemente proclamato e sostenuto Filippo Villani, Coluccio Salutati, Cino Rinuccini, Leonardo Bruni. E può proprio non essere del tutto casuale, in quest'ambito, la stessa scelta della materia da trattare: non avvenimenti interni alla vita della città (anche se non ne mancano "excursus" significativi, quali la minuta e appassionata narrazione della festa di S. Giovanni, patrono di Firenze, o la diffusa e particolareggiata trattazione sulle magistrature fiorentine), non uomini o gruppi o analisi cittadine, ma fatti che evidenziavano, nella penisola italiana, il ruolo di Firenze, Stato che trascende i suoi stessi cittadini: una Firenze favorita dalla fortuna, cioè dalla Grazia divina, che benefica, secondo il D., i meriti morali e religiosi dei Fiorentini.
Il tema della "fiorentina libertas" - che pur non potendo essere inteso come un valore paradigmatico fu indiscufibilmente una scelta morale della classe fiorentina di fronte alla minaccia dei Visconti, e non può essere considerato solo un'abile formula di propaganda per mascherare la situazione interna di Firenze, più travagliata e difficile per l'oligarchia al potere dopo il tumulto dei Ciompi - è dunque profondamente implicito nell'Istoria di Firenze delD. e produce pagine di grande valore. Convinto assertore della "fiorentina libertas", e altrettanto convinto avversario della tirannide viscontea (ma nulla il D. dice sulla pratica condotta dei due diversi modi di governare nei riguardi della vita dei cittadini, neppure nel libro IX dedicato alle magistrature fiorentine, salvo alcuni sparsi accenni), il D. non si pone certamente il problema se quella fiorentina fosse un'effettiva libertà e in quali forme si manifestasse; ma l'analisi che egli fa delle condizioni di Firenze, non sembra neppure una difesa della politica oligarchica, come si può vedere nelle pagine in cui parla delle colpe attribuite alle famiglie fiorentine detentrici del governo della città. C'è comunque una difesa, non priva di toni apologetici e idealizzanti, dello spirito liberale fiorentino: "I fiorentini ... hanno sempre sospetto di chi potesse occupare o tenere la loro libertà del loro reggimento popolare e civile e per questo sono nimici di chi studia occupare per tirannia e superbia la libertà". E con la libertà, per il D., viene la pace, che favorisce i commerci: e "i fiorentini vivono della pace e fannone frutto, come l'ape dei mele de' fiori e mai non presono guerra se non per avere pace".
L'Istoria di Firenze - strutturatain forma dialogica di domanda e risposta, e ripartita in "giornate" diverse - è introdotta da un breve proemio in cui, fra l'altro, il D. afferma di voler "raccontare ogni di un pezzo per ordine la storia della lunga e grande guerra d'Italia che fu a questi nostri di tra il tiranno di Lombardia, duca di Milano e il magnifico Comune di Firenze", ma avverte anche di voler "parlare di molte altre cose grandi de' fatti d'Italia". Infatti, il racconto della guerra occupa i primi sei libri, mentre il settimo tratta delle conseguenze di quella guerra e i successivi ampliamenti territoriali attuati da Firenze con l'acquisto di Perugia, Siena, Pisa e altre terre della Toscana; l'ottavo è dedicato alla storia di Firenze dalle origini romane fino alla guerra col papa conclusasi nel 1368; il nono illustra l'organizzazione politica di Firenze con la presentazione delle varie magistrature cittadine.
Per quanto riguarda più specificamente i libri I-VI dedicati alla storia delle lotte di Firenze contro i Visconti (Il libro primo ha una funzione proemiale, parlando in generale della potenza dei Visconti in Lombardia e poi delle malvagità compiute da Gian Galeazzo per impadronirsi del potere e consolidarlo), si può notare, fin dalle pagine iniziali, un costante e preciso intento polemico, che vuole subito mettere in cattiva luce i rivali di Firenze e difendere, ed anzi esaltare, i Fiorentini. I quali - secondo il pensiero del D. - non ebbero mai alcun dubbio sulla risoluzione della guerra, tanto- erano contrari e avversi ai Visconti, e sempre combatterono per un giusto principio: "tutta la guerra che hanno sostenuta e menata è stato per difendersi e per offendere il nimico che volea offendere la loro libertà". Questi sentimenti si manifestano chiaramente, secondo il D., fino dalle prime iniziative diplomatiche, e poi militari, che Firenze attua, come viene descritto nel libro secondo, per respingere l'instaurarsi e l'estendersi della presenza dei Visconti in Toscana, alleati con Siena, ostile alla sempre crescente egemonia di Firenze. Il libro terzo è occupato inizialmente dal racconto della prima guerra fra i due antagonisti (1388-1391) e della pace raggiunta con la mediazione di Genova; successivamente parla della ripresa delle ostilità (1395-1398), sempre come conseguenza delle mire di Gian Galeazzo su Firenze e sulla Toscana.
Nel libro quarto si descrivono le fasi della nuova guerra (1401-1404), in cui le forze viscontee furono battute dai Fiorentini nella battaglia navale sul Po presso Mantova. Il libro quinto narra i tentativi di Gian Galeazzo di coinvolgere nella guerra contro Firenze i signori di Mantova e di Ferrara e poi la città di Bologna; tentativi che dapprima ebbero successo, tanto che Firenze venne a trovarsi praticamente accerchiata dalle forze avversarie. Ma la morte di Gian Galeazzo, il 3 sett. 1402, segna l'inizio della fine della fortuna dei Visconti: nel libro sesto, infatti, è ricordata la perdita, da parte dei Visconti, delle varie città dell'Italia settentrionale, tanto che ai figli di Gian Galeazzo rimane "solamente il Castello dentro le mura di Milano, e fuori d'esso non si sarebbero fidati". Il libro settimo, dopo la narrazione della pace di Firenze con i Visconti, è essenzialmente rivolto alla descrizione della guerra combattuta da Firenze contro Pisa fra il 1405 e il 1406.
Dopo il libro ottavo - complessivamente ripetitivo di notizie tradizionali sulla fondazione di Firenze e sulla sua storia (fino alla guerra col papa finita nel 1378) -, una posizione a sé occupa il libro nono, il quale tratta, come già si è detto, delle magistrature fiorentine. Questa testimonianza del D. è importante perché fissa un quadro preciso e organico del sistema e degli strumenti di governo di Firenze. Il D., infatti, parte dalla suddivisione della città in quartieri, e dei cittadini in arti, per illustrare i singoli e molteplici uffici, da quello dei priori fino agli uffici "intrinseci" ed "estrinseci". Lo spazio più ampio è riservato al priorato e al gonfalonierato di Giustizia, come magistrature fondamentali di Firenze, ma tutta la rassegna degli uffici è accurata e preziosa.
Diverse e contrastanti sono le opinioni espresse dalla critica sull'Istoria del Dati. Mentre positivi erano stati nel corso dell'Ottocento i giudizi del Moreni e del Capponi, sostanzialmente negativa fu poi la posizione del Santini, per il quale il D. non riesce a liberarsi di preconcetti e condizionamenti propri dei Medioevo: determinazione della storia da parte della Provvidenza divina, esaltazione municipalistica da cui deriva un'eccessiva importanza attribuita ai successi fiorentini; sicché nel D. non ci sarebbe, secondo il Santini, "nulla del vero spirito critico che è un portato del Rinascimento". Ma più recentemente, mentre il Davidsohn ha definito il D. un cronista entusiasta della sua Firenze e ha ritenuto il suo libro "vivace anche se a volte bizzarro di forme", il Baron considera l'Istoria di Firenze un'opera preziosa per la ricostruzione storica degli anni di cui si occupa. Nonostante squilibri e aspetti negativi che rendono l'Istoria "una specie di ibrida contaminazione, a metà strada tra la narrazione storica e la discussione politica", e al di là della forma letteraria immatura e ingenua, il Baron vede una grande differenza fra il D. e i cronisti trecenteschi: in particolare il D. avrebbe anticipato temi che sarebbero divenuti fondamentali per la politica fiorentina, quali l'attenzione all'attività diplomatica e la ricerca dell'equilibrio politico-militare. Nell'Istoria sarebbero presenti per il Baron - ben oltre quanto potrebbe dedursi dal parallelo umanistico, fatto dal D., della situazione di Firenze accerchiata dai Visconti con quella di Roma assalita da Annibale - molteplici elementi indicativi di una nuova mentalità, fra cui: l'intuizione di una forma politica interregionale tesa a valorizzare l'equilibrio; una realistica analisi dell'azione compiuta da forze nascoste sotto una - situazione apparentemente pacifica; il richiamo alla "ragione" come fattore determinante nella preparazione e attuazione delle opere; un superamento dell'antitesi Chiesa-Impero, che aveva dominato la politica dei secoli precedenti; l'affermarsi della fiducia e della fermezza dei cittadini di Firenze., convinti di lottare per la difesa della libertà in Italia.
Sotto il nome del D. molti manoscritti e tutte le stampe del Quattrocento pubblicano un poemetto geografico, La sfera, che altri manoscritti e altre testimonianze attribuiscono invece al fratello di lui, Leonardo, che fu generale dell'Ordine dei domenicani. P,stata comunque avanzata anche l'ipotesi - sollecitata dal titolo del manoscritto Magl. VIII. 162 della Bibl. nazionale di Firenze -, per cui il D. avrebbe tradotto in volgare il testo latino della Sfera composto dal fratello Leonardo. Quello che è certo è che la stesura della Sfera, per i suoi caratteri di opera di astronomia, cosmografia, geografia, implica conoscenza di testi classici e medievali, che, pur conservando i caratteri di una cultura tradizionale e scolastica, con molta probabilità non poteva avere il D. tutto dedito ai traffici commerciali e all'azione politica, e scrittore mediocre e immaturo. Per questo si è preferito attribuire La sfera a Leonardo, che fra i due fratelli appare senz'altro la persona più idonea allo studio e alla trattazione di un argomento che implica una varia e ampia preparazione. Si deve, comunque, al D. la trascrizione, nel manoscritto ora Riccardiano1023, dell'Ottimo Commento alla Divina Commedia.
Edizioni: Il Libro segreto fu pubblicato da C. Gargiolli, Bologna 1869 dal ms. autografo Palatino Baldovinetti 77 della Bibl. nazionale di Firenze; due brani sono riprodotti da C. Varese, Prosatori volgari delQuattrocento, Milano-Napoli 1955, pp. 245-251. La Istoriadi Firenze haavuto due edizioni: la prima a cura di G. Bianchini, Firenze 1735; la seconda (non del tutto soddisfacente e che non usa tutti i manoscritti esistenti) a cura di L. Pratesi, Norcia 1904. Singoli brani dell'Istoria furono pubblicati da A. F. Gori, La Toscana illustrata nella sua storia, I, Livorno 1755, pp. 181-188 (libro IX, presentato come anonimo e ritenuto ancora inedito); G. Papanti, in G. Dati, Novelle intorno a M. Bernabò Visconti, Bologna 1877 (aneddoti sul Visconti contenuti nell'Istoria cfr. anche l'edizione a cura di P. Ginori Conti, Firenze 1940, pp. 8, 10, 16); C. Guasti, Le feste di S. Giovanni Battista in Firenze, Firenze 1884, pp. 4-8 e A. D'Ancona-O. Bacci, Manuale della letteratura italiana, II, Firenze 1894, pp. 125-28 (le pagine relative alla festa di S. Giovanni).
Fonti e Bibl.: Per l'attività commerciale e finanz. del D., per le magistrature da lui ricoperte e per altre notizie sulla sua vita, fondamentale importanza hanno alcuni fondi presso l'Arch. di Stato di Firenze, quali: Catasto 66, f. 421v; 393, f. 172V; Tratte. Intrinseci ad annum; Consulte e pratiche, 49-50, Passim; Medicoo avanti il Principato, 89, 282 (lettera del 25 marzo 1425 di un romito di Vallombrata il quale, fra l'altro, esprime al D. il suo dolore per la recente morte del fratello Leonardo). là anda to perduto il registro, con antica segnatura, Decima repubblicana 388, contenente la precisa data di morte del Dati. Si vedano inoltre: M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, p. 76; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 315 s.; F. Fontani, Elogio di C. R. Dati, Firenze 1794, pp. 4, 24, 26; D. Moreni, Bibl. storico-ragionata degli scritt., I,Firenze 1805, p. 316; F. Inghirami, St. della Toscana, XVI, Fiesole 1843, pp. 520 s.; G. G. Gervinus, Histor. Schriften, Wien 1860, pp. 49-52; G. Capponi, Storia della Repub blica di Firenze, I,Firenze 1875, p. 533; F. T. Perrens, Histoire de Florence, V,Paris 1883, pp. 64-150 passim; L. Frati, G. D., in S. Finiguerri, La Buca di Monteferrato, Bologna 1884, pp. 211 ss.; F. C. Pellegrini, Sulla Repubblica fiorentina al tempo di Cosimo il Vecchio, Pisa 1889, pp. XXXVI-CCLI passim; F. Flamini, Leonardo di Piero Dati, in Giorn. stor. della lett. it., XVI (1890), pp. 2 s.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1972, V, pp. 161-529 passim; VI, pp. 172-362 passim; VII, pp. 308-565 passim; E. Santini, L. Bruni aretino e i suoi "Historiarum florentini populi libri XII", in Annali d. Scuola norm. sup. di Pisa, XXII (1910), pp. 102 s.; Id., Introduzione a L. Bruni, Historiarum Florentini populi libri XII, in Rer. Ital. Script., 2. ed., XIX. 1, p. XI; H. Baron, The Crisis of the Early Italian Renaissance, Princeton, N. J., 1955, pp. 140-513 passim; Id., Humanistic and political literature, Cambridge, Mass., 1955, pp. 62-68; C. Varese, Storia e politica nella prosa del Quattrocento, Torino 1961, pp. 65-91; H. Baron, From Petrarch to L. Bruni, Chicago 1969, pp. 138-150; Ch. Bec, Les marchands écrivains, Paris-Le Haye 1967. pp. 151-173 e passim; Id., Au debut du XV siècle: mentalité et vocabulaire des marchands florentins, in Annales, VI (1967), pp. 1217 24; L. Green, Historical interpretation in Four teenth-Century Florentine Chronicles, in Your nal of the History of Ideas, XXVIII (1967), pp. 174-177; D. J. Wilcox, The Development of Florentine Humanist Historiography in the Fifteenth-Century, Cambridge, Mass., 1969, pp. 115 s.; M. B. Becker, Towards a Renaissance Historiography in Florence, in Renaissance Stu dies in honor of H. Baron, Firenze 1971, pp. 163 ss.; L. Green, Chronicle into History, Cambridge 1972, pp. 112 ss.; F. Fezzarossa, La tradizione fiorentina della memorialistica, in La "memoria" dei mercatores, Bologna 1980, p. 115; A. P. Mc Cormick, G. D. "Storia di Firenze". A Census of the Manuscripts in Italy, in Studi medievali, s. 3, XXII (1981), pp. 907-52; Id., G. D.'s Transcription of the "Ottimo Commento" on Dante, in Rinascimento, s. 2, XXII (1982), pp. 251-255; Id., G. D. and the Romani origins of Florence, in Bibliothèque d'humanisme et Renaissance, XLIV (1984), pp. 21-35; Repert. fontium historiae Medii Aevii, IV, pp. 121 s.