DE FERRARI, Gregorio
Figlio di Lorenzo e di una Maddalena, nacque a Porto Maurizio (ora Imperia Ponente) il 12 apr. 1647 (cfr. l'atto di battesimo in De Masi, s.d. ma 1945). Secondo le notizie fornite dal Ratti, il D., che non aveva ottenuto dal padre, uno dei cittadini più facoltosi di Porto Maurizio, un sufficiente patrimonio, decise - avendo studiato con profitto in patria retorica e filosofia - di proseguire gli studi a Genova presso un ottimo giureconsulto (Ratti, 1768-69, p. 110).
Giunto in quella città, il D. abbandonò ben presto la carriera legale per entrare come pittore, intorno al 1664, alla scuola dell'ormai anziano ed affermato Domenico Fiasella, il Sarzana (ibid., p. 110). Dopo circa cinque anni di frequentazione, tuttavia, l'insegnamento del Sarzana dovette rivelarsi insoddisfacente per il giovane allievo: "il suo genio" - afferma infatti il Ratti (ibid., p. 110) - "era tutto diverso da quello del Maestro".
Alla ricerca di nuove acquisizioni il D. fu spinto probabilmente dal rinnovato clima culturale genovese che, dopo gli importantissimi apporti di Valerio Castello e del Grechetto, si era ulteriormente arricchito con le "novità romane" introdotte in città dagli scultori reduci dalla scuola del Bernini (Gavazza, 1961 pp. 326, 331 s. nota 3; Id., 1971, pp. 229 ss.).
Il D., operando una scelta che dopo l'esperienza dei Castello era diventata consueta per gli artisti genovesi, intraprese intorno agli anni 1668-69 un viaggio a Parma per studiarvi Correggio (Ratti, pp. 110 s.).
Dell'appassionato studio furono frutto - stando al Ratti - numerose ed apprezzatissime copie, alcune delle quali, al tempo in cui scriveva il biografo, erano in possesso di A. R. Mengs (ibid., p. 111).
Di tale produzione si conservano oggi nei musei genovesi una Madonna della cesta, nei depositi di Palazzo Bianco, n. 1685, e una parte della Cupola del duomo di Parma presso l'Accademia Ligustica. Copia interessante, quest'ultima, poiché, pur fedelissima all'originale nell'impianto, si rivela invece) specie nelle scelte cromatiche e nell'assottigliamento delle forme, interpretazione personale e già indicativa dei futuri esiti stilistici.
Rientrato a Genova presumibilmente intorno al 1671 il D., "pittore già fatto ed apportatore di una nuova maniera" (Ratti, p. 111), prese abitazione in strada S. Leonardo, non molto discosto dalla casa di Domenico Piola, con il quale iniziò ben presto un lungo rapporto di collaborazione e amicizia e di cui sposò nel 1674 la figlia Margherita (De Masi, p. 63, doc.).
Fu così che il Piola, impegnato fra il settimo e l'ottavo decennio nella decorazione della chiesa genovese di S. Andrea (andata distrutta), gli affidò l'esecuzione, in una piccola volta di quella chiesa, del perduto affresco raffigurante la Flagellazione dell'apostolo (Ratti, pp. 111 s.).
A questo momento, che vede il D. completare la propria formazione alla bottega del Piola, sono ascrivibili alcune opere entrate a far parte nel 1913 delle raccolte del comune di Genova e provenienti da casa Piola: si tratta di un dipinto che rappresenta Il Padre Eterno e la Sacra Famiglia e di una serie di quattro tele, forse sovrapporte, raffiguranti il Paradiso terrestre, La cacciata dall'Eden, La creazione dell'uomo e La famiglia di Adamo (Marcenaro, 1969, pp. 252-256; Gavazza, 1971, p. 289).
Relativi alla produzione giovanile del pittore sono anche da ritenersi, oltre all'affresco con l'Aurora nel palazzo Lomellini (Genova, via Cairoli 18), "genericamente piolesco nell'accesa consonanza di gialli ed arancioni", e a quello con la Pietà in S. Maria di Castello a Genova, due tele stilisticamente molto vicine, S. Pietro martire nella parrocchiale di Dolcedo (Imperia) e Il martirio di s. Lorenzo in S. Maria della Consolazione a Genova (Griseri, 1955, pp. 44 s., n. 17).
Nel 1676 è registrato il saldo per l'affresco con La gloria di s. Andrea Avellino in S. Siro a Genova che, pagato al Piola dai padri teatini che glielo avevano commesso, era stato invece dipinto dal D. (Sottani-Savonarola, ms., sec. XVIII, c. 464; De Masi, p. 64; Griseri, 1955, p. 25).
In quest'opera, così come nelle altre realizzazioni di questi anni, la lezione correggesca risulta intesa dal pittore "con ricchezza e capacità di assimilazione, ma interpretata con la dinamica di uno spazio aperto, diverso dalla versione dello spazio barocco di Valerio Castello e dalla impostazione celebrativa del primo Piola. A questo spazio dà dimensione il movimento dell'inimagine disegnata in una forma sinuosa che determina la composizione stessa" (Gavazza, 1971, p. 234). Fattori determinanti per il raggiungimento di tali esiti sono stati individuati sia nella conoscenza delle realizzazioni del Grechetto (le incisioni in particolare), sia, e forse in maggior misura, nel probabilissimo incontro con il Gaulli avvenuto a Parma, dove questi sitrovava come il D. nel 1669 (ibid.).
Presumibilmente intorno al 1676 il D. eseguì due tele commissionategli dai teatini per la chiesa di S. Giovanni Battista in Sampierdarena (Genova): un'Estasi dis. Francesco e un Riposo durante la fuga in Egitto, attualmente a Genova nella sacrestia della chiesa di S. Siro.
Al Riposo, che per l'impianto compositivo e le scelte iconografiche trova precisi referenti nell'opera di Correggio, sono stati accostati un vivissimo bozzetto di analogo soggetto conservato a Genova, in Palazzo Bianco, e un disegno che, pur con notevoli varianti, gli risulta prossimo più per consonanze stifistiche che per puntuali corrispondenze: Riposo nella fuga, Genova, raccolta di Palazzo Rosso, n. 2119 (Griseri, 1955, p. 41 n. 5). Sempre nella collezione di Palazzo Rosso, un bellissimo disegno con un Busto femminile di profilo (n. 2124) è invece da riferirsi alla figura di donna al centro del dipinto con Mosè presentato al faraone, Genova, collezione privata, databile al 1676 o poco più tardi (Marcenaro, 1969, p. 250). Negli stessi anni si colloca l'esecuzione della tela con Tobia che seppellisce i morti, Genova, oratorio della Morte ed Orazione, del quale si conserva un bozzetto all'Accademia Albertina di Torino, n. 225.
Un disegno raffigurante una Figura panneggiata (Genova, raccolta di Palazzo Rosso, n. 2133), "da intendersi come studio preparatorio e forse desunto da una statua antica, ripresa con un accademismo assai interessante", è riferibile a una delle figure del suddetto dipinto che, specie nell'immagine del giovane Tobia, rivela l'attenta meditazione del D. sulle incisioni del Castiglione (Griseri, 1955, pp. 26, 41, nota 5).
A questo periodo sono da datarsi anche i discussi disegni, probabilmente di mano del D., eseguiti per la tomba Morosini ai Tolentini di Venezia, opera che fu realizzata da Filippo Parodi intorno agli anni 1678-80 (Rotondi Briasco, 1962, pp. 44 ss.). Questi disegni (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, nn. 3171-3173) testimoniano lo stretto legame intercorso fra il pittore e lo scultore nel momento in cui il D., dopo una prima fase in cui subì l'influenza del Parodi, ribaltò il rapporto andando a rivestire il ruolo di suggeritore di nuove possibili direzioni (Middeldorf, 1934-35; Gavazza, 1971, p. 236).
Nel 1681 il pittore firmò e datò la pala con S. Chiara che mette in fuga i saraceni, in S. Giovanni Battista di Oneglia, e l'anno seguente, 1682, ricevette la commissione per due tele con S. Stefano e con S. Lorenzo, da collocarsi nella cappella di S. Clemente nella chiesa genovese dell'Annunziata del Vastato (Belloni, 1965, p. 195).
All'ancora giovanile e strettamente piolesco S. Lorenzo è relativo un disegno raffigurante S. Lorenzo in gloria, conservato nella raccolta di Palazzo Rosso, n. 2109 (Disegni..., 1963, n. 7).
Intorno al 1680 sono inoltre stati datati un gruppo di dipinti: La fuga in Egitto, Genova, coll. priv. (Marcenaro, 1969, p. 256); S. Michele arcangelo che precipita gli angeli ribelli, Genova, S. Maria delle Vigne; S. Girolamo, Genova-Quarto, chiesa di S. Girolamo; La Galatea, Genova, coll. Viezzoli, e le due tele sovrapporte raffiguranti l'Allegoria della Musica e l'Allegoria dell'Architettura, Genova, Galleria nazionale di palazzo Spinola (Marcenaro, 1969; Gavazza, 1971, p. 289).
Presumibilmente intorno al 1684 il D. dipinse due soffitti con Le arti liberali e La gloria di un eroe in palazzo Centurione (Genova, via Fossatello 1: Puccio, 1969). Tali affreschi, di notevole freschezza cromatica, rivelano una "indicibile unità nei medaglioni con lo stucco e gli omati", eseguiti dal Camoggi, cognato del Piola, su disegno del D. (Griseri, 1955, p. 27). Unità che si coglie altrettanto, se non più evidente, negli affreschi del palazzo di Francesco Maria Balbi (Genova, via Balbi 4), dove il D. dipinse Ercole incoronato, Aurora e Cefalo e due delle quattro sovrapporte del salone nel cui soffitto Valerio Castello aveva raffigurato il Tempo. A tali affreschi si riferiscono alcuni disegni dell'artista della raccolta genovese di Palazzo Rosso: il n. 2111 e il n. 2112, relativi alle sovrapporte e raffiguranti rispettivamente l'Allegoria dell'Inverno e l'Allegoria della Primavera (Disegni..., 1963, nn. 9-10; Gavazza, 1963, p. 329; Id., 1965, p. 60, n. 22; Id., 1978-793 pp. 163, 169, n. 5) e il n. 2116, una Figura allegorica di chiara desunzione dal Puget, che è invece da rapportare ai busti delle Virtù del fregio monocromo dei salone con Ercole (Griseri, 1955, pp. 28, 41 s., n. 9). Nello stesso palazzo Balbi, forse pero in un secondo momento, il D. affrescò nella galleria il Trionfo d'Amore, decorazione per la quale esiste un bellissimo disegno dell'artista, già in collezione privata italiana, ora all'Allen Memorial Art Museum, Oberlin College Ohio (n. 73-78)., che mette in evidenza la totale progettazione da parte del D. di affresco-stucco-quadratura (Newcome, 1972, n. 94; Id., 1973-74; Gavazza, 1977, pp. 122 s., 128, n. 10).
Nel 1684 sotto la minaccia del bombardamento francese (17-28 maggio), il D. si ritirò nella villa Balbi allo Zerbino (ora Gropallo della Sforzesca), ove dipinse un salone con l'Allegoria delle Stagioni intomo al medaglione centrale raffigurante il Tempo- Saturno e Apollo (Ratti, p. 114).
In tali affreschi realizzava il superamento degli schemi pioleschi e "affermava, nel mito naturalistico, proprio quella sottile libertà di forme di cui immagini ed elementi costituiscono la stessa continuità visiva" (Gavazza, 1971, p. 238).
A questo stesso periodo sono da ascriversi alcuni dipinti provenienti da casa Piola: Mosèche fa scaturire l'acqua da una rupe, Genova, Palazzo Rosso, di chiara desunzione, castiglionesca (Griseri, 1955, p. 35; Gavazza, 1971, p. 289) e le due tele con S. Giovanni Battista nel deserto e S. Gerolamo nel deserto, Genova, Palazzo Bianco, sull'autografia delle quali la critica non si è mostrata sempre in accordo (Griseri, 1955, nota 13; Marcenaro, 1969, pp. 258-262).
Dopo il 1684 il D., invitato dal maresciallo di Francia, Noailles, andò a Marsiglia. Qui, non potendo per inconvenienti di carattere tecnico dipingere il soffitto che gli era stato commissionato, lasciò comunque alcune tele (delle quali tuttavia si è perduta traccia) che il maresciallo in seguito portò con sé a Parigi (Ratti, 1768-69, p. 115).
Recentemente, Mary Newcome (1982) ha supposto che il dipinto con Giunone ed Argo, entrato da poco tempo a far parte delle raccolte del Louvre, possa provenire dalla collezione del maresciallo di Noailles. Alla tela, databile al decennio '80-90, la stessa studiosa ha accostato un disegno di analogo soggetto conservato agli Uffizi, Gabinetto stainpe e disegni, n. 95.295.
Intorno al 1685, ma prima comunque del 1690, si colloca l'attività del D. a Torino, dove - a detta del Ratti (p. 114) - fu chiamato da Vittorio Amedeo II per affrescare tre stanze in palazzo reale con storie tratte dalle Metamorfosi di Ovidio.
A tali soffitti - che al tempo in cui scriveva il biografo genovese erano già andati distrutti - sono forse riferibili due bellissimi disegni per decorazioni, uno con la Caduta di Icaro e l'altro con Apollo e Dafne, rispettivamente n. 2159 e n. 2141 della raccolta di Palazzo Rosso di Genova, che, già attribuiti a suo figlio Lorenzo, sono stati restituiti al D. (Gavazza, 1963, pp. 329 s.).
Dell'attività svolta dall'artista a Torino oggi rimangono quattro tele ovali, due delle quali sono nel cosiddetto "appartamentino" di palazzo reale. I soggetti di questi due dipinti avevano lo scopo.di esaltare in tempi successivi le virtù di un guerriero: il primo figura infatti Il guerriero trionfante presentato a Giove e a Giunone, mentre il secondo rappresenta Giove ordina alla Fama di divulgare la Gloria dopo aver sconfitto l'Invidia (Griseri, 1955, p. 36; Id., 1963, p. 69). Iconograficamente e stilisticamente affini alle tele dell'"appartamentino" sono gli altri due ovali raffiguranti Il trionfo della Pace: l'incontro di Mercurio e Minerva e La Pace duratura: il Tempo e la Giustizia, attualmente a Torino in palazzo Cisterna, ma probabilmente situati anch'essi in origine a palazzo reale (Griseri, 1975).
Nel 1688 è registrato il saldo per gli affreschi con le allegorie della Primavera e dell'Estate, eseguiti dal D. con la collaborazione del quadraturista Antonio Haffner e dello stuccatore Giacomo M. Muttone nelle volte dei due primi salotti del secondo piano nobile di Palazzo Rosso a Genova (Marcenaro [1965], p. 28 n. 14).
Tali affreschi, in cui la gamma cromatica risulta particolarmente alleggerita, rivelano un nuovo modo, già tutto settecentesco di intendere l'allegoria, con "una mitologia naturalistica carica di allusioni e sensazioni sottili, più soggette alla mutevole sorte della fragilità dei sentimenti umani che non la gloria e il trionfo come atto di affermazione" (Gavazza, 1971, p. 240). Un bozzetto, eseguito dal D. per la sala con l'Estate (Genova, Galleria di Palazzo Bianco), documenta come l'intera progettazione del soffitto, anche per quanto riguarda le parti a stucco e a quadratura, sia riferibile solo a lui: l'opera dello stuccatore dovette limitarsi quindi a interventi di carattere tecnico, mentre il compito del quadraturista, oltre a quello di apportare alcune precisazioni per l'architettura dipinta, fu essenzialmente la decorazione (ormai scomparsa) delle pareti del salotto (Marcenaro [1965], p. 28; Gavazza, 1971, p. 122). A conferma delle ampie capacità del D. nella veste di unico progettatore già il Ratti annotava: "Né è da tacersi, che tutti i lavori di Architettura, e di Prospettiva sono di suo ritrovato; sendo che, egli fu anche di tali Professioni studioso; e non pochi modelli, ed esempi di questi generi fatto avea, ad oggetto di maggiormente in sé fondarsi" (Ratti, 1768-69, p. 115). Lo stesso tipo di collaborazione dovette verificarsi comunque anche nel salotto con la Primavera che, riguardo al rapporto fra le parti ad affresco e a stucco, presenta analoghe soluzioni a quelle dell'affresco con l'Estate. In relazione a quest'ultimo, in particolare a una lunetta, è un disegno raffigurante un Busto di donna panneggiata, Genova, raccolta di Palazzo Rosso, n, 2114 (Gavazza, 1963, p. 330).
A Palazzo Rosso il D. dipinse altri affreschi andati distrutti: il soffitto del salone del secondo piano nobile, dove figurò il cosiddetto Mito di Fetonte, e il cupolino della cappella della dipendenza meridionale. Per tali opere si registra il saldo nel 1689 (5 settembre), dopo due acconti già versati al D. il 6 e il 21 aprile di quello stesso anno per l'affresco dipinto nel salone (Marcenaro [1965], pp. 28 s., n. S).
Un dipinto con la Probatica piscina, in collezione privata, già attribuito interamente al D. e datato agli ultimi anni della sua attività (Newcome, 1979, pp. 145-149), è da riferirsi invece agli anni in cui il pittore attese alla decorazione di Palazzo Rosso e da ritenersi frutto della collaborazione tra il D. e il figlio di Viviano Codazzi, Niccolò. Al D. è da ascriversi l'esecuzione delle figure, mentre al Codazzi, attivo anch'egli a Genova a Palazzo Rosso fra il 1682 e il 1693, quella della parte architettonica (Biavati, 1979, pp. 105-107).
Stilisticamente prossimo agli affreschi delle stagioni di Palazzo Rosso, e quindi databile intorno agli stessi anni, è il salone con Diana ed Endimione in palazzo Durazzo (Genova, piazza della Meridiana 2) per la cui realizzazione si affiancò al D. anche Antonio Hafftier (Gavazza, 1965, p. 90).
Agli ultimi anni dell'ottavo decennio del sec. XVII si collocano l'esecuzione di una tela con La samaritana al pozzo, Genova, Palazzo Rosso, della Madonna di Lepanto, Genova, collezione privata, esposta alla mostra del 1969, n. 114, dove viene tuttavia datata all'ultimo periodo di Gregorio e, più precisamente agli anni 1715-1720; della Predica di s. Francesco Saverio, Porto Maurizio, parrocchiale, sacrestia; dell'Assunzione della Vergine, Madrid, chiesa di S. Francesco il Grande (catal., 1970; Gavazza, 1971, p. 289).
Nel 1690 il D. esegui l'affresco raffigurante l'Assunta nella volta della chiesa dei SS. Giacomo e Filippo, del quale rimangono solo alcuni frammenti (Marcenaro, 1969, pp. 248 s.). Un bellissimo disegno di analogo soggetto, conservato nella raccolta di Palazzo Rosso, n. 2 115, è stato accostato all'affresco, quale possibile bozzetto (Gavazza, 1963, p. 330).
Nel 1694 (18 aprile) si registra una nota di saldo da parte di Maria Durazzo, moglie di Giò Francesco Brignole Sale, per affreschi precedentemente eseguiti dal D. e da altri pittori nelle sale del secondo piano nobile di Palazzo Rosso; mentre al 31 dicembre dello stesso anno e al 17 agosto del successivo, risalgono due pagamenti, sempre effettuati da Maria Durazzo al D., relativi a un lampadario d'argento, per cui il pittore eseguì i modelli, e ad altri lavori (Marcenaro [1965], pp. 30 s., nn. 20, 31).
All'ultimo decennio del secolo è databile il dipinto raffigurante L'imposizione del nome di Battista, del quale si conserva nella raccolta di Palazzo Rosso, n. 2106, un disegno preparatorio (Disegni..., 1963, n. 2).
Negli anni di passaggio fra Sei e Settecento, il D. dipinse due salotti in palazzo Saluzzo Granello (Genova, piazza Giustiniani), uno con Nettuno e Anfitrite, l'altro con le storie di Amore e Psiche.
Nel 1703 è registrato.il pagamento al pittore per un dipinto con la Madonna Addolorata e le anime purganti, attualmente nell'oratorio di S. Leonardo a Porto Maurizio (Griseri, 1955, p. 45).
Anche per quest'opera, dalla nuovissima sigla compositiva in cui "le figure si dispongono su una specie di linea serpentinata che nasce dalla concatenazione delle figure stesse" (Gavazza, 1971, p. 244), si conserva nelle raccolte di Palazzo Rosso, n. 2105, il bellissimo disegno preparatorio (Disegni..., 1963, n. 10).
Il dipinto precede direttamente quello con la Morte di s. Scolastica della chiesa di S. Stefano a Genova (ora in deposito presso la Soprintendenza ai beni artistici e storici della Liguria), dove si rileva la stessa libertà compositiva splendidamente realizzata nel dipinto con l'Addolorata.
Nel 1704 il D. eseguì i perduti affreschi delle pareti laterali dell'altar maggiore della chiesa di S. Brigida (distrutta) (Ratti, p. 116), mentre nell'anno successivo, il 1705, era impegnato nel restauro degli affreschi della cupola della chiesa dell'Annunziata del Vastato, dove Andrea Ansaldo aveva dipinto l'Assunta (Ratti, p. 116; Griseri, 1955, pp. 44 s., n. 17; BelIoni, 1965, p. 225).
Il nome del D. riappare nei documenti dei Brignole Sale quando, il 29 genn. 1712, vi risulta come debitore di L. 760 (Marcenaro [1965], p. 31, n. 33).
Tre anni più tardi, nel 1715, il pittore intraprese la sua ultima opera pubblica: la decorazione ad affresco della cupola della chiesa genovese di S. Croce e S. Camillo dove, valendosi anche dell'aiuto del figlio Lorenzo, dipinse Il trionfo della Croce (Ratti, p. 116; Griseri, 1955, p. 40): affresco per il quale, nella raccolta genovese di Palazzo Rosso si conservano tre disegni preparatori, nn. 2107, 2101, 2102 (Disegni..., 1963, nn. 24, 25, 26).
Alla produzione settecentesca del D., oltre alle opere già citate, sono state ascritte: L'estasi di s. Teresa, Genova, Palazzo Rosso, datata ai primi anni del secolo (catal., 1969, p. 266); La Vergine con il Bambino e s. Antonio, Genova Sturla, parrocch.; S. Michele arcangelo, Genova, collezione privata (catal., 1969, p. 268); Allegoria, Madrid, Museo Lazaro Galdiano (Griseri, 1955, p. 39). Agli anni 1715-20 in particolare sono stati ascritti il Noli me tangere, Genova, Palazzo Bianco, proveniente da casa Piola e già datato intomo al 1695 (Griseri, 1955, p. 45 n. 17; catal., 1969, p. 272) e un gruppo di grandi tele con Ercole e Andromeda, Ercole e l'Idra, Ercole e il toro di Creta, Perseo e Andromeda, Ercole e la mandria e Deianira in fuga, già Genova, palazzo Cattaneo-Adorno (Torriti, 1970).
Il D., costretto da una salute sempre più precaria negli ultimi anni della sua vita ad abbandonare le grandi imprese decorative, morì a Genova nel gennaio 1726 (Ratti, p. 117; De Masi [1945], p. 69).
Alle opere ricordate si aggiungano: Vanitas, Genova, Palazzo Rosso; S. Teresa, S. Francesco Saverio, S. Francesco da Assisi, Genova, S. Fede; S. Isidoro, Moltedo (Imperia), oratorio dell'Immacolata; S. Rosa da Lima e s. Vincenzo Ferreri, Taggia (Imperia), chiesa di S. Domenico; S. Martino, Toirano (Imperia), chiesa parrocchiale; La nascita del Battista, Genova-Sampierdaiena, oratorio di S. Giovanni Battista; Maddalena, Voltaggio, parrocchiale; Il rapimento di Deianira, Genova, collezione privata (Mostra, Manning-Suida Manning, 1962-63, n. 29).
Dei suoi figli, Maddalena nacque nel 1678, Lorenzo e Giuseppe, divennero entrambi pittori: tuttavia, mentre il primo fu un artista di notevole successo (cfr. voce), il secondo ebbe minore fortuna.
Giuseppe nacque a Genova nel 1685 (De Masi [1945], p. 67); scarsissime, le notizie si desumono essenzialmente dalle brevissime note che il Ratti (p. 117) inseri nella biografia dedicata al padre; fu sacerdote secolare e, dedicatosi alla pittura, si limitò, senza peraltro meritare "gran lode", a restaurare dipinti. Morì nel 1768.
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