GREGORIO de Romania (de Campagna)
Il suddiacono e cappellano papale G., la cui nascita può essere collocata negli anni Ottanta del XII secolo, fu attivo presso la Curia papale nei primi decenni del Duecento. La storiografia ha finora scarsamente considerato G., attribuendo alcuni suoi interventi a Gregorio da Montelongo, benché sia gli indici dei registri di Gregorio IX pubblicati da Auvray, sia quelli delle Epistolae selectae edite da Rodenberg differenzino i due personaggi. Le carriere dei due omonimi sono in realtà facilmente distinguibili nella documentazione: G. è sempre indicato come suddiacono e cappellano, Gregorio da Montelongo fino al 1236 come semplice suddiacono e dal 1238 come magister, suddiacono e notaio papale.
L'indicazione de Romania (o de Campagna), se riferita alla zona di provenienza di questo chierico, sembra rinviare a quella parte della Sabina dove, nel XII e nel XIII secolo, rilevanti erano gli interessi della famiglia Brancaleoni. Il più autorevole esponente di questo gruppo parentale, a cavallo dei due secoli, fu sicuramente Leone, che aveva iniziato la carriera come cappellano papale e fu anche auditor presso il tribunale della Curia.
Anche G. fu cappellano papale e auditor di cause discusse presso la Curia romana, circostanza che rafforzerebbe l'ipotesi di una sua parentela con Leone Brancaleoni. Sebbene non sia possibile, allo stato attuale degli studi, stabilire da quando G. fu presente nella cappella papale, si segnala però la presenza di un suddiacono e cappellano papale designato con la sola iniziale G, nel giugno e nel luglio del 1212 attivo come auditor presso il tribunale del papa, sia per risolvere in modo definitivo una vertenza relativa all'elezione dell'abate del monastero di S. Angelo de Plano in diocesi di Fermo, sia per una causa matrimoniale discussa nella diocesi di Orange (suffraganea di Arles). Se si avanza l'ipotesi che il suddiacono e cappellano impegnato in questi processi fosse G., è allora possibile far risalire la sua ordinazione suddiaconale, come pure l'ingresso nella cappella papale, almeno al pontificato di Innocenzo III.
Una nuova e questa volta più sicura attestazione della presenza di G. nella cappella papale, in qualità di suddiacono e sempre con il compito di auditor presso il tribunale della Curia romana, è offerta dai registri di Onorio III, dove la sua attività è testimoniata nel dicembre del 1224 e nell'aprile del 1225, mentre nel settembre del medesimo anno, in una lettera ai consoli e al popolo di Priverno, G. era indicato come rettore della Campagna e Marittima, una carica di rilievo all'interno dei domini papali che G. detenne fino al 1231 e che non gli impedì di mantenere stretti legami con la Curia romana, come suggerisce la sua presenza a un atto papale dato dal Laterano l'11 maggio 1230. Nel corso del suo mandato, G. appoggiò l'operato del vescovo Milone di Beauvais, rettore della Marca di Ancona, allora in difficoltà di fronte alle pretese imperiali su quel territorio. Ancora nell'agosto del 1231 G. presenziava all'accordo stipulato tra i milites e il populus di Anagni per porre fine alle discordie intestine.
Terminato l'incarico nei territori della Chiesa, G. fu inviato a Piacenza per ricomporre i gravi dissidi interni suscitati dagli interventi del domenicano Rolando da Cremona.
Questi era stato gravemente oltraggiato nel corso di una predica volta a smascherare gli eretici presenti nella città, sull'onda di quanto si era verificato in molti centri della regione padana nel corso dell'Alleluia, una campagna di predicazione avviata nel maggio del 1233, che vide la partecipazione di diversi esponenti dell'Ordine dei predicatori e dei minori. Rolando se la cavò con qualche ferita, ma un monaco di S. Savino rimase ucciso e il vescovo Visdomino lanciò l'interdetto sulla città. In seguito il podestà e altri esponenti del ceto dirigente cittadino, ritenuti colpevoli dell'uccisione, furono arrestati e tenuti a disposizione dell'autorità ecclesiastica. Gregorio IX intervenne nella questione fin dall'ottobre 1233, quando, dopo l'invio a Piacenza dell'arcidiacono di Novara Odemaro Buzius perché, insieme con Visdomino, prendesse informazioni sull'accaduto e relazionasse alla sede papale, il 9 dic. 1233 annunciò al podestà, al popolo e al Consiglio di Piacenza l'invio di G., suddiacono e cappellano, "vir providus et discretus" (Winkelmann, I, p. 515), stimato dal pontefice stesso e dai cardinali per la sua probità.
I Piacentini erano tenuti a consegnare a G. i prigionieri e ad attenersi alle sue direttive; il giorno successivo Gregorio IX informò G. dell'incarico, ribadendo la stima nei suoi confronti, "qui de discretione tua sumus per experientiam certiores" (ibid.). Dopo le trattative avviate da G., il papa assolse gli accusati dal risarcimento dei danni e, nel febbraio successivo, rispose ai dubbi circa l'atteggiamento da tenere, ordinando all'inviato di condannare le autorità cittadine qualora non avessero accettato le direttive papali. Le autorità ammisero i propri errori così che nell'agosto del 1234 fu raggiunta la pacificazione tra le parti, e i vescovi di Parma e di Piacenza furono incaricati di assolvere gli autori dei disordini. Nel periodo della trattativa G., che indubbiamente mostrò grandi capacità di mediazione, risiedette a Piacenza, e la sua presenza garantì la soluzione della causa in senso favorevole alla parte papale.
Nel maggio del 1234 Gregorio IX, momentaneamente riappacificatosi con Federico II, a sua volta impegnato a contrastare la ribellione del figlio Enrico, ordinò ai rettori della Lega lombarda di assicurare il passaggio delle truppe imperiali attraverso i loro territori, e affidò l'osservanza di tale disposizione a Gregorio de Romania. Le doti di mediatore dimostrate consigliarono a Gregorio IX di affidargli altre importanti missioni: nell'agosto del 1236, nel caso il cardinale legato Giacomo de Pecoraria vescovo di Preneste non si fosse potuto presentare alla corte dell'imperatore, e nemmeno i metropoliti di Milano e di Ravenna, Guglielmo e Teodorico, fossero stati presenti in quell'occasione, G. (forse allora al seguito di Giacomo) insieme con il vescovo Guala di Brescia avrebbe dovuto difendere la Chiesa romana dalle accuse che le venivano mosse in merito all'azione svolta a Piacenza. Ma altri indizi fanno pensare a contatti dell'imperatore con G.: nel settembre dello stesso anno, infatti, Federico II, allora impegnato nell'assedio di Mantova, in una lettera indirizzata a Gregorio IX espresse il suo disappunto nei confronti del pontefice, poiché anche il nunzio papale, suddiacono e cappellano G., non aveva fornito le spiegazioni attese circa i motivi per i quali il papa si era astenuto dallo scomunicare i Lombardi, che non avevano partecipato a una Dieta indetta dall'imperatore. Un altro motivo della missione di G. presso Federico II doveva consistere nel lamentare il continuo attacco alle libertates delle Chiese nel Regno di Sicilia. D'altra parte, nell'ottobre dello stesso anno Gregorio IX si rivolgeva a Federico difendendo l'operato del suo nunzio, che anzi aveva incaricato delle trattative in vista della pace, secondo il consiglio di Ermanno di Salza, maestro dei cavalieri teutonici e uomo di fiducia dell'imperatore. La lunga presenza di G. nella regione padana risulta dunque segnata da ripetuti incontri con l'imperatore per procedere alla soluzione del "negotium Lombardie", che dal 1235 aveva assunto particolare importanza nel quadro della politica di Gregorio IX.
Nel giugno del 1239 G. era rettore del Patrimonium Beati Petri nella Tuscia e nel Ducato di Spoleto e, in quanto tale, accolse la promessa del podestà di Perugia di rispettare i diritti pontifici su Città di Castello, su Gubbio e sul castello di Certalta. Non è dato sapere per quanto tempo G. detenne anche questa carica, giacché il suo successore, l'arciprete di Perugia, anch'egli cappellano papale, è attestato solo nell'agosto del 1243.
Nell'estate del 1240 il papa affidò a G. la delicata missione di recarsi a Genova e predicarvi la crociata contro Federico, che il 20 marzo 1239 era stato solennemente scomunicato; G., che per svolgere questo incarico ricevette il titolo di legato papale, avrebbe inoltre dovuto allestire una adeguata flotta per procedere al trasporto dei vescovi e dei prelati delle regioni transalpine e dell'Italia settentrionale a Roma, dove per la Pasqua del 1241 era indetto un concilio, nel quale si ipotizzava la deposizione dell'imperatore. G., attivo a Genova dal luglio del 1240, non si limitò ai preparativi per l'allestimento della flotta ma intervenne anche nella vita politica cittadina, favorendo un avvicinamento della città ligure ai Comuni riuniti nella cosiddetta seconda Lega lombarda. In favore di tali iniziative di G. depone il trattato di alleanza settennale tra Milano, Piacenza e Genova, stipulato alla sua presenza e dietro un suo comando. Oltre a garantirsi reciprocamente che non avrebbero fatto paci separate con Federico, le città contraenti si promettevano aiuti militari per raggiungere scopi di immediata utilità. Il 13 ottobre di quell'anno G. ricevette l'incarico di organizzare, insieme con il cisterciense Niccolò, il trasporto dei prelati, probabilmente verso Civitavecchia: si trattava di una questione tecnicamente complessa per diversi motivi, non ultimo il fatto di garantire il pagamento di una considerevole somma di denaro accendendo mutui presso società mercantili prossime ai luoghi di raccolta dei prelati e di imbarco, precisamente Nizza e Genova. Perciò G. ebbe cura di porre adeguate garanzie e agì con molta cautela nel reperire il denaro necessario per allestire l'impresa, avvalendosi, con l'autorizzazione del pontefice, dell'aiuto e del consiglio dell'arcivescovo di Genova e di altri prelati, tra i quali erano espressamente ricordati i frati minori e predicatori: costoro approvarono l'operato del legato e ne diedero notizia per iscritto a Gregorio IX; quindi, il 6 dic. 1240, fu steso il complesso accordo con il Comune di Genova e il giorno successivo il testo fu inviato alla Curia papale. Già in tale occasione, però, G. manifestò il desiderio di lasciare Genova e chiese al papa licenza di abbandonare l'impresa, evidentemente difficile e forse superiore alle sue capacità e competenze.
Non è inoltre da sottovalutare il fatto che tra i prelati ai quali G. avrebbe dovuto provvedere c'erano anche due cardinali legati, Giacomo de Pecoraria e Ottone da Tonengo, di ritorno da legazioni svolte rispettivamente in Francia e in Inghilterra: G. si sarebbe così trovato in una posizione subordinata, almeno quanto al grado ecclesiastico. In risposta il papa mandò una serie di indicazioni "super pecuniam mutuando ecclesie Romane", con le quali si prevedeva un forte contributo della Chiesa inglese e di altre istituzioni ecclesiastiche transalpine; della restituzione dell'ingente debito era poi fatto garante il cardinale Giacomo de Pecoraria.
All'inizio di marzo del 1241 era giunta voce alla Curia che Federico II, unitamente ai Pisani, aveva armato una flotta di 25 galee sotto il comando dell'ammiraglio Ansaldo De Mari, un ghibellino genovese che nel febbraio era passato al servizio dell'imperatore: pertanto il papa chiese ai Genovesi, al legato e, insieme con lui, al patriarca di Gerusalemme allora a Genova, di provvedere un congruo numero di navi e di dotarle di adeguati mezzi di difesa. Quando oramai la data della convocazione del sinodo era imminente (la Pasqua cadeva infatti il 31 marzo), G. raccolse i prelati a Nizza e da lì le navi si diressero verso Genova, dove giunsero l'8 aprile. Qui imbarcarono altri ecclesiastici e gli ambasciatori delle città padane, in particolare quelli di Milano, Brescia, Piacenza e Bologna, che il papa aveva invitato al concilio: la flotta, composta da 27 galee, prese quindi il largo il 25 aprile.
Le navi procedettero senza affrontare il mare aperto, sicuramente consapevoli del pericolo, che infatti si presentò dopo pochi giorni di navigazione: il 3 maggio verso l'ora nona, tra l'isola di Montecristo e quella del Giglio, la flotta genovese fu attaccata e sconfitta dai Pisani, al comando dei quali si trovava anche il figlio di Federico II, Enzo. I Genovesi persero 22 navi, alcuni ecclesiastici morirono annegati nel corso della battaglia navale; inoltre, un buon numero di prelati e i rappresentanti delle città furono fatti prigionieri; tra di loro c'erano anche i tre legati papali, i due cardinali sopra ricordati e G.; tale circostanza permise a Federico II compiaciuti giochi di parole ("Ubi conveniente cum eis Gregorio de Romania, addito legato legatis ut insimul ligarentur": Huillard-Bréholles, p. 1124). Costoro furono subito trasferiti nella rocca di San Miniato, quindi tra il luglio e l'agosto a Napoli, raggiungendo poi Melfi. La prigionia di G. durò almeno due anni; Ottone da Tonengo, grazie ai suoi buoni rapporti con Federico II, fu liberato nell'agosto del 1242 e Giacomo de Pecoraria solo nel maggio del 1243.
Nei documenti che seguirono il fatto, indirizzati ai suoi alleati, i Comuni dell'Italia settentrionale in prima fila, Gregorio IX continuò ad addossare la colpa del totale fallimento dell'impresa a G., che, nonostante fosse stato informato dal pontefice del pericolo costituito dalla parte avversa, non aveva provveduto adeguatamente alla difesa di coloro che aveva imbarcato e forse in conseguenza di tale accusa, pur includendolo tra i destinatari delle lettere, non lo indicò più con il titolo di legato.
Non abbiamo notizie certe sulla sorte di G., ma la morte di Gregorio IX nell'agosto del 1241 e la lunga sedevacanza che seguì fanno pensare che G. sia rimasto per un certo tempo nelle mani dell'imperatore. La sua liberazione avvenne in ogni caso prima del 1245: nel settembre di quell'anno, infatti, Innocenzo IV scriveva al vescovo di Lincoln perché, eventualmente con l'aiuto del braccio secolare, permettesse al procuratore di G. di riscuotere il beneficio ecclesiastico relativo alla chiesa "de Collebi", in diocesi di Lincoln, illecitamente usurpato forse durante il periodo di prigionia. Non sono disponibili altre notizie su G. e si ignora la data della sua morte.
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