GREGORIO di Nissa, santo
Fratello minore di S. Basilio (v.) che (insieme col fratello Pietro, poi vescovo di Sebaste) ebbe a maestro, nacque fra il 330 e il 340. Destinato alla carriera ecclesiastica, divenne lettore; fu per qualche tempo nel monastero fondato dal fratello. Poi si diede all'insegnamento della retorica, e prese in moglie Teosebia, morta circa il 385. Richiamato dal fratello e da Gregorio di Nazianzo, non senza riluttanza acconsentì a diventare, tra la fine del 371 e il principio del 372, vescovo di Nissa, nella stessa Cappadocia. Qui combatté gli ariani, e probabilmente per ciò, ma prendendo a pretesto questioni amministrative, il vicario della diocesi (politica) del Ponto, Demostene, lo fece arrestare e condurre ad Ancira; G. tuttavia riuscì a salvarsi. Ma intanto un concilio ariano, riunito da Demostene stesso a Nissa, lo deponeva (375-376). Ritornò alla sua sede dopo la morte dell'imperatore Valente (9 agosto 378) e assisté al concilio di Antiochia del 379 dal quale ebbe, sembra, l'incarico di visitare le chiese del Ponto. Allora fu anche eletto, suo malgrado, vescovo metropolitano di Sebaste (Piccola Armenia). Ma dopo qualche mese poté tornare a Nissa; quindi prese parte al concilio di Costantinopoli del 381; il decreto di Teodosio dello stesso anno lo designò come uno dei rappresentanti della fede ortodossa. Morì circa il 394
G. ebbe minori attitudini alla vita pratica e all'eloquenza che non il fratello Basilio o Gregorio di Nazianzo; ma dei tre grandi Padri cappadoci egli è il più colto e il teologo più profondo, buon conoscitore di Platone e profondamente influenzato da Origene, ma anche da Metodio d'Olimpo. Forse, come polemista, anziché colpire immediatamente il centro delle dottrine avversarie, si compiace un po' troppo di giocare con le idee e di dare dimostrazioni esaurienti sotto ogni riguardo, che però perdono di vigore. Ma come teologo è preciso e completo; non teme di affrontare questioni assai ardue e delicate e di manifestare opinioni sue: non tutte, a dir vero, ortodosse. Ha, comunque, il merito di aver tentato una sintesi, contribuendo in maniera notevole al progresso della teologia.
Fra le opere esegetiche (oltre le minori: 8 omelie sull'Ecclesiaste, I-III, 3; 15 sul Cantico dei cantici, I-VI, 8; una sul Salmo VI; 8 sulle Beatitudini; 5 sulla preghiera; commento al Padre nostro; scritti Sui titoli dei Salmi e sulla pitonessa di Endor, cfr. I Re [Samuele], XXVIII, 11 segg.) vanno ricordate le opere in cui G. completò le omelie di San Basilio sull'Hexaemeron, trattando della creazione dell'uomo (Περὶ κατασχευῆς ἀνϑρώπου) e le difese in un libro apologetico ('Απολογητικός περὶ τῆς ἑξαημέρου). Entrambe sono dedicate al fratello Pietro, e composte poco dopo la morte di Basilio (379). G. vi si attiene all'interpretazione letterale; ma altrove, come nella Vita di Mosè (o Della perfezione secondo la virtù) si mostra sostenitore, sulle orme di Origene, dell'interpretazione allegorica. Un'omelia su I Corinzî, VI, 18, attribuita anche al Crisostomo, è di G.; intorno a una su I Cor., XV, 18, si discute ancora, tre omelie su Gen., I, 96 e una su Luca, I, 26 (pubblicata da G. La Piana, in Riv. stor.-crit. d. sc. teolog., V, p. 523) sono sicuramente spurie. Ma le omelie di G. sono numerose, e di carattere analogo a quelle del Nazianzeno: panegirici e orazioni funebri (su Stefano protomartire, su Gregorio il Taumaturgo, su Basilio, su Melezio d'Antiochia, su Pulcheria figlia di Teodosio e sulla madre di lei, l'imperatrice Flaccilla, ecc.), discorsi d'occasione (su feste: Epifania, Natale, Pasqua, ecc.), d'argomento morale e l'importante omelia dogmatica sulla divinità del Figlio e dello Spirito Santo, tenuta probabilmente nel concilio di Costantinopoli del 383.
Fra gli scritti di carattere propriamente dogmatico, il primo posto spetta al Contro Eunomio e all'Esposizione della fede. La composizione di questi libri è stata chiarita dalla critica recente. Eunomio rispose alla confutazione di Basilio (v.: VI, p. 329) con un'Apologia dell'Apologia; G. replicò successivamente al primo e al secondo libro di essa; quindi, contro una nuova opera di Eunomio scrisse un "terzo libro", diviso in 10 tomi (fra il 381 e il 383); infine l'Esposizione della fede, presentata al concilio del 383. La prima opera permette anche di ricostruire lo scritto dell'eretico. G. combatté inoltre Apollinare di Laodicea, in due opere ('Αντιρρητικὸς πρὸς τὰ 'Απολιναρίου e Κατ' 'Απολιναρίου), i macedoniani (Κατὰ Μακεδονιανῶν καὶ πνευματομάχων) e i seguaci del fatalismo astrologico (Καϑ‛ εἱμαρμένης: dialogo tenuto a Costantinopoli con un filosofo pagano). Sulla dottrina trinitaria, in difesa dell'ortodossia, scrisse brevi trattati: sulla Trinità, a Eustazio; uno ad Ablavio ("Che non ci sono tre Dei"), uno "Ai Greci, in base a nozioni comuni", e un altro a Simplicio. Vanno ricordati anche uno scritto Sui bambini morti prematuramente (prima del battesimo), e il Dialogo sull'anima e sulla resurrezione, con la sorella Macrina morente la quale, in maniera che ricorda il Socrate del Fedone, istruisce il fratello intorno agli ultimi destini dell'uomo. Ma lo scritto più importante è il Discorso catechetico (Λόγος κατηχητικός), diretto non ai catecumeni ma ai maestri; il fine apologetico induce spesso G. anche a immaginare le obiezioni degli avversarî, ma non lo distoglie dal fare opera essenzialmente positiva. Appartiene anch'esso, probabilmente, agli anni 381-383. Altri trattatelli sono ritenuti spurî.
Tra le opere ascetiche, le più importanti sono il libro Sulla verginità e altri trattatelli: Ad Amtonio, sul nome cristiano; Al monaco Olimpio, sulla perfezione; Contro coloro ehe non sopportano la disciplina. Dell'autenticità di un'altro scritto, Del proposito secondo Dio, si dubita ora, ritenendo sia non la fonte, anzi in gran parte un estratto, dalla Grande lettera greca di Macario egiziano. Può rientrare in questa categoria anche la Vita di S. Macrina, che contiene preziose notizie anche intorno a G. e alla famiglia. Tra le lettere, in gran parte retoriche, sono notevoli la 2ª, intorno ai pellegrinaggi a Gerusalemme, contro gli abusi e la soverchia esaltazione del loro valore spirituale, per cui fu spesso citata nelle polemiche tra protestanti e cattolici, e la 25ª, ad Anfilochio d'Iconio, intorno alla descrizione di una cappella in onore di martiri.
Come il Nazianzeno prevalentemente sotto l'aspetto letterario, così G. nel campo filosofico-teologico mostra quanto l'appropriazione degli elementi vitali del pensiero greco fosse completa al suo tempo, che è poi quello di Giuliano l'Apostata (v.). Anche per G., come per i neoplatonici, l'anima deve subire una purificazione graduale, che le pemiette di giungere alla conoscenza di Dio, per la quale essa è fatta, in quanto spirito; questa conoscenza si raggiunge più compiutamenle in una specie di estasi, una "divina e sobria ebbrezza", ma non può essere perfetta, stante la differenza essenziale tra la creatura finita e il Creatore infimto. Questi spunti neoplatonici si ritrovano là dove G. combatte il dualismo manicheo e riconduce quindi l'origine del male alla volontà umana. Ma il peccato originale non ha, secondo G., avvilito e contaminato totalmente la natura umana; l'uomo conserva, anche dopo di esso, il libero arbitrio e sola conseguenza del peccato originale è la condizione mortale del genere umano. La resurrezione ristabilirà l'unione perfetta dell'anima col corpo. Qui G. si stacca da Origene e si accosta a Metodio d'Olimpo.
Circa la redenzione, invece, G. riprende e perfeziona la vecchia spiegazione, secondo cui essa consisterebbe in un vero e proprio riscatto, pagato da Dio al diavolo. Ma se ciò presuppone che il demonio sia stato ingannato (credeva di acquistare un uomo e si trovò di fronte alla divinità), G. fa osservare che anche l'uomo fu vittima di un inganno; di modo che il secondo è retributivo del primo, e perfettamente giusto. Ma esso giova allo stesso Satana: ché G., mentre respinge la dottrina origeniana della preesistenza dell'anima, accetta invece quella della "reintegrazione finale" o "apocatastasi" (v.).
Nella dottrina trinitaria, G. si preoccupa di ribattere l'accusa di "triteismo": egli insiste quindi sul fatto che il termine "Dio" esprime l'essenza della divinità e non le singole persone o ipostasi. Anche nel mondo finito, si parla di "uomini", ma in realtà si dovrebbe parlare solo di Pietro, Paolo, Barnaba i quali secondo l'umanità sono una sola natura umana (κατὰ τὸ ἄνϑρωπος, εἷς ἄνϑρωπος); del resto, la differenza nell'uso del linguaggio si giustifica, considerando che "Dio" indica l'operazione, l'attività (ἐνέργεια): ora nel mondo umano si hanno attività separate, ma nell'azione della divinità concorrono tutte tre le Persone. Per distinguerle, G. usa le stesse caratteriżzazioni del Nazianzeno: non generazione, generazione, processione. (ἀγεννησία, γέννησις, ἐκπόρευσις,); ma egli fa anche la distinzione tra causante o principio, e causato o principiato, e tra causato o principiato immediatamente τὸ προσεχῶς ἐκ τοῦ πρώτου) e il causato mediatamente (τὸ διὰ τοῦ προσεχῶς ἐκ τοῦ πρώτου): lo Spirito Santo procede così dal Padre, ma anche attraverso il Figlio. Nella cristologia, benché combatta Apollinare, G. ha invece una posizione non del tutto chiara. Infatti, mentre dichiara che Gesù deve aver posseduto un'anima umana completa, dotata di libero arbitrio, perché altrimenti egli non potrebbe essere un esempio per gli uomini, e mentre in qualche passo distingue le due nature, ammettendo una comunicazione degl'idiomi, altrove - e p. es. nell'uso del termine "mescolanza" (ἀνάκρασις) per indicare l'unione delle nature - si notano in lui tendenze abbastanza accentuate verso il monofisismo.
Grande importanza ha anche G. nella storia della teologia eucaristica. L'uomo, egli dice, composto d'anima e di corpo, entra in relazione con la divinità, riguardo all'anima, mediante il battesimo e, riguardo al corpo, mediante l'eucaristia. Ora, il corpo umano si può considerare privo di una sostanza propria, in quanto assorbe ed elimina costantemente il nutrimento: quindi questo (cioè il pane e il vino) si può considerare come la sostanza del corpo, e pertanto anche del corpo mortale (ma divinizzato dal Verbo che vi abitava) di Cristo. Nel sacramento eucaristico, il pane e il vino diventano, con la consacrazione e la benedizione, il corpo e il sangue di Cristo. L'analogia non è perfetta, perché nel Cristo storico il pane e il vino, per diventare il suo corpo, dovevano essere ingeriti da lui, mentre ora la trasfomiazione si compie immediatamente. Comunque, la dottrina di G., che si mantenne a lungo nella chiesa greca, rappresenta un notevole progresso, benché certo sia impossibile parlare, a proposito di essa, di transustanziazione vera e propria.
Ediz.: La prima che si possa considerare completa è quella di C. Morelli (Parigi 1615, voll. 2), con appendice di J. Gretser (ivi 1618); ristampa in voll. 3 di E. Morelli (Parigi 1638); altri scritti in Gallandi, Bibl. vet. pair. (VI, Venezia 1778, p. 515); in Patrologia Graeca, XLIV-XLVI sono raccolte queste opere e altre. Nuove edizioni furono iniziate, ma non compiute, da G. H. Forbes ('Απολογητικὸς περὶ τῆς ἑξαημέρου, Περὶ κατασκευῆς ἀνϑρώπου e una parte del Περὶ τοῦ βίου Μωυσέως (Burntisland 1855-1861, fasc. 2); e da F. Oehler (Contro Eunomio, I, Hallo 1865). Un'edizione moderna è stata iniziata dalla Wilamowitz-Stiftung; sono apparsi finora: Contra Eunomium libri, ed. W. Jaeger (Berlino 1921, voll. 2) e Epistulae, ed. G. Pasquali (ivi 1925). Tra le edizioni parziali: delle Macrinia, e delle omelie sulla preghiera, di J. G. Krabinger (Lipsia 1837 e Landshut 1840); dell'Oratio catechetica, di J. H. Grawley (Cambridge 1903; testo ristampato, con trad. fr., da L. Méridier, Parigi I908); della Vita di Mosè, di C. Schmidt e W. Schubart (in Berl. klass. Texte, VI, 1910, p. 38); dell'encomio di S. Basilio, di J. A. Stein (con trad. ingl., Washington 1928).
Bibl.: O. Stählin, in W. von Christ, Gesch. d. griech. Litt., II, 2, Monaco 1924, pp. 1420-1426 (ivi la bibl. preced.); C. E. Raven, Apollinarianism, Cambridge 1923, spec. p. 262 segg.; G. Pasquali, Le lettere di G. di N., in Studi ital. di filol. class., III (1923), pp. 75-128; N. Burn, Adversaria in Greg. Nyss., in Jour. n. of theol. Studies, XXV (1923-24), p. 172; E. C. E. Owen, ibid., XXVI (1924-25), p. 64 segg.; J. Levy, Jes. Chr. nach der Lehre des hl. Gr. von N., Treviri 1925; H. F. Cherniss, The platonism of Gr. of N., Univ. di California 1930.