CASTAGNOLA, Gregorio Ferdinando di
Nacque a Borgotaro (Parma) nel 1786 dalla nobile famiglia dei conti di Castagnola, originaria dell'isola di Corsica, estintasi nel 1886 con la morte del giovane nipote del C., Ferdinando.
Il padre del C., Giovanni, fu per molti anni al servizio della corte ducale; già capitano delle milizie parmensi al tempo di Filippo di Borbone, raggiunse il grado di colonnello e divenne poi maresciallo di campo del duca durante i primi anni di governo di Ferdinando. Fu in stretto contatto epistolare con illustri personalità del Settecento e, governatore di Borgotaro dal 1771 al 1793, tenne un notevole carteggio con i ministri successori del Du Tillot. Di questi ed altri documenti si servi poi Graziano Paolo Clerici per le sue Note di storie intime settecentesche, Parma 1925; racconto storico sulla corte ducale dei tempo, incentrato appunto sulla figura del nobile Giovanni Castagnola.
Dopo aver compiuto gli studi a Parma nel Collegio dei nobili, il C. venne avviato alla carriera amministrativa; per parecchi anni fu responsabile delle finanze ducali. Nel 1831, però, allorché Panna, sulla scia di Modena e di Reggio, insorse inducendo Maria Luigia ad abbandonare il ducato, il C. si dimise dall'impiego ed entrò a far parte, con Filippo Linati, Iacopo Sanvitale, Antonio Casa, Francesco Melegari, a cui si unirono successivamente Macedonio Melloni ed Ermenegildo Ortalli, del governo provvisorio, che si formò, per deliberazione del Consesso civico, il 15 febbraio. Il governo provvisorio parmense, all'interno del quale il C. fu preposto alle contribuzioni dirette e indirette, al patrimonio e alla contabilità di Stato, nonostante annoverasse elementi propugnatori di idee decisamente innovatrici, come il Melloni, che nel novembre del 1830 aveva incitato la studentesca universitaria alla rivolta e perciò era riparato per breve tempo in Francia, ebbe un carattere sostanzialmente moderato. Uomini come il Linati, il Melegari e lo stesso C., prudenti conservatori e fautori di un,cauto riformismo, erano difatti alieni dall'assumere atteggiamenti che potessero apparire troppo, rivoluzionari, anche in considerazione del fatto che gran parte del popolo era ancora profondamente devota alla duchessa Maria Luigia; non accettarono quindi di buon grado la nomina a comandante dei 2° reggimento di fanteria del generale Carlo Zucchi che intendeva unificare, per la comune difesa, l'esercito di Parma con quello di Modena e Reggio. La presenza dello Zucchi sembrò comunque spingere il governo provvisorio ad un atteggiamento più deciso: l'8 marzo, nonostante il voto contrario del Melegari, del Linati e probabilmente del C., veniva emanato un proclama che con enfatici accenti esortava i giovani di Parma e Guastalla ad arruolarsi. Ma solo pochi giorni dopo, il 13 marzo, l'ingresso a Parma delle truppe austriache ristabiliva in tutto il ducato il potere legittimo di Maria Luigia. Il governo provvisorio, nel cessare dalle sue funzioni, emanava un proclama, personalmente redatto dal C., con cui si invitava la popolazione a sottomettersi agli occupanti e a conservare l'ordine per non esporre la città a gravi pericoli. Il C., come la maggior parte dei suoi colleghi di governo, sceglieva la via dell'esilio e con il Casa e l'Ortalli si rifugiava a Bastia in Corsica.
I processi che seguirono contro coloro che avevano fatto parte del governo provvisorio si svolsero con particolare mitezza e il C., grazie anche all'amicizia della moglie, la contessa Anna Simonetta, con la famiglia del commissario straordinario di Maria Luigia, il barone Vincenzo Mistrali, poté rimpatriare il 30 ag. 1831.
Durante gli anni che precedettero gli avvenimenti del '48, il C. si dedicò essenzialmente agli studi letterari, avendo come maestro lo storico Angelo Pezzana. Fu in stretta corrispondenza con i migliori letterati piacentini del tempo, ottenendo egli stesso una discreta fama di poeta e prosatore.
Il 20 marzo del 1848, all'annunzio che Milano era insorta, a Parma vi fu un tentativo di sollevazione che, sebbene presto sedato, fu sufficiente a indurre il nuovo duca Carlo II a trasferire i pieni poteri a una suprema reggenza (composta da Luigi Sanvitale, Girolamo Cantelli, Pietro Gioia, Pietro Pellegrini e Ferdinando Maestri) incaricata tra l'altro di stendere una carta costituzionale. Tra i suoi primi provvedimenti la reggenza istituì il 25 marzo una commissione, presieduta dal C., con il compito di formare il progetto di una legge municipale che corrispondesse "ai principi ed alla forma di un governo rappresentativo".
L'atteggiamento moderato assunto dai membri della reggenza nei riguardi di Carlo II indusse il Gioia a dimettersi per entrare a far parte del governo provvisorio di Piacenza che, formatosi dopo l'insurrezione del 26 marzo, doveva di Il a poco votare la secessione da Parma. A sostituire il dimissionario piacentino veniva chiamato dal Consiglio degli anziani il C. che, il 29 marzo, due giorni prima di assumere tale incarico, inviava al Gioia una lettera in cui lo acccusva di aver favorito la discordia tra Piacentini e Parmensi e di non aver concorso per "municipali, ingiuste, inutili anzi dannose antipatie" alla causa generale (Clerici, p. 29). La secessione di Piacenza e la diffidenza del governo sardo verso la reggenza parmense, emanazione del governo ducale, inducevano il C. e gli altri reggenti a dimettersi rimettendo ad un anzianato l'incarico di formare un governo provvisorio.L'11 aprile il C., eletto con 83 voti su 85 al primo scrutinio, assumeva la presidenza del nuovo governo, il quale risultava composto, oltre che dagli ex reggenti, da Giuseppe Bandini e Giovanni Carletti. L'8 maggio 1848 venne indetto il plebiscito per decidere dell'annessione di Parma al Regno di Sardegna, a cui favore si pronunciavano 37-451 votanti su 39.904.
Ma gli insuccessi dell'esercito sardo e il successivo armistizio di Salasco portarono il 18 ag. 1848 all'occupazione di Parma da parte delle truppe austriache, mentre il 21 agosto da Weisstropp Carlo II dichiarava con un proclama nulli gli atti del governo provvisorio. Dopo la sconfitta di Novara (1949) il C. con i figli Cesare ed Andrea ed altri tra i più compromessi sceglieva ancora una volta la via dell'esilio. Escluso dai provvedimenti di clemenza con cui il barone di Stürmer, governatore civile e militare di Parma durante il periodo precedente al trattato di Milano (27 aprile-9 ag. 1849), concedeva il libero rimpatrio a molti implicati nelle vicende del '48, il C. poté far ritorno in patria solo in seguito al decreto di amnistia emanato il 23 ag. 1849 dal nuovo duca Carlo III. Chiamato a rendere conto, unitamente agli altri membri della reggenza e del governo provvisorio, delle spese effettuate con il pubblico danaro, il C. venne condannato a risarcire l'erario in ragione dell'ammontare dei propri beni (7 marzo 1850).
Morì a Parma l'8 giugno 1858.
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