GREGORIO I Magno, Santo
Dottore della Chiesa e papa (590-604), G. nacque a Roma nel 540 ca. da una famiglia dell'aristocrazia senatoria, la gens Anicia, alla quale erano anche appartenuti i papi Felice III (483-492) e Agapito I (535-536).Grazie al clima di rinnovamento civile e culturale che seguì la fine della guerra gotica (553), G. poté ricevere un'educazione di prim'ordine, incentrata sullo studio di grammatica, retorica, dialettica (Gregorio di Tours, Hist. Fr., X, 1) e probabilmente diritto, a giudicare dalla competenza successivamente dimostrata nell'ambito delle sue mansioni amministrative. Fu infatti avviato alla carriera di funzionario del governo bizantino di Roma e, nel 573 ca., raggiunse la carica di praefectus Urbis, la magistratura più alta della città. Di poco successiva fu la decisione di aderire alla vita monastica e di fondare sei monasteri in Sicilia, dotandoli di possedimenti provenienti dal suo patrimonio personale (Gregorio di Tours, Hist. Fr., X, 1). Similmente, a Roma G. trasformò la casa paterna sul clivus Scauri, la via romana che discendeva dal Celio, nel monastero di S. Andrea (Lib. Pont., I, p. 312; Giovanni Diacono, Vita Gr., I, 6), dove egli stesso si ritirò in meditazione e preghiera, seguendo una regola probabilmente molto simile a quella benedettina (Porcel, 1960). Consacrato diacono da papa Pelagio II, dal 579 G. iniziò una stretta collaborazione con il pontefice, prima come apocrisario presso la corte imperiale - dove iniziò la composizione della sua maggiore opera esegetica, i Moralia in Iob (o Expositio in Iob) -, poi come suo consigliere e segretario. Quando nel 590 il papa perì vittima della peste, G., pur riluttante, gli successe per l'unanime designazione di popolo e clero.Al nuovo pontefice si presentava una situazione difficilissima. Egli stesso in una delle omelie tenute all'inizio del suo pontificato, prendendo spunto dal testo del profeta Ezechiele, descrisse l'Italia devastata dalla guerra di occupazione longobarda: "Ubique luctus aspicimus, undique gemitus audiamus. Destructae urbes, eversa sunt castra, depopulati agri, in solitudine terra redacta est. Nullus in agris incola, pene nullus in urbibus habitator remansit. [...] Ipsa autem quae aliquando mundi domina esse videbatur qualis remanserit Roma conspicitis. Immensis doloribus multipliciter attrita, desolatione civium, impressione hostium, frequentia ruinarum" (Hom. in Ez., II, 6, 22). Si avverte in queste parole la percezione di vivere in un'epoca di decadenza e di catastrofi, nelle quali G., con forte convinzione escatologica, vedeva i segni dell'imminente fine del mondo (Manselli, 1954). Non per questo tuttavia egli assunse un atteggiamento passivo o puramente ascetico. I quattordici anni del suo pontificato furono infatti percorsi da un'attività instancabile, testimoniata dal Registrum epistolarum, un'imponente raccolta di ottocentoquattordici lettere, che costituisce un documento prezioso per la conoscenza della vita politica, sociale e religiosa dell'epoca. Vero consul Dei, come recitava l'iscrizione sepolcrale, di cui sono conservati due piccoli frammenti (Roma, S. Pietro in Vaticano, Grotte; Dufresne, 1902), G. fornì le basi della centralità della Chiesa di Roma nell'Occidente medievale e costituì un punto di riferimento continuo per la cultura cristiana successiva.Con particolare sollecitudine G. si dedicò all'opera di riorganizzazione della Chiesa. Seguì l'operato dei singoli vescovi per renderne più efficace l'azione pastorale, ispirandosi all'ideale di dedizione, umiltà e disinteresse per i beni temporali, che aveva delineato nella Regula pastoralis. Nominò amministratori fidati che si occupassero dell'utilizzazione produttiva dell'enorme patrimonio fondiario posseduto dalla Chiesa. La disponibilità di mezzi finanziari si rendeva infatti sempre più necessaria in un momento in cui, con l'indebolirsi della presenza bizantina, la Chiesa andava assumendo un ruolo di primo piano in ambito temporale. All'epoca del pontificato di G. l'approvvigionamento di Roma spettava ormai alla Chiesa, come pure la tutela dei cittadini e di coloro i quali, sempre più numerosi, si trovavano a fuggire le distruzioni della guerra. In due occasioni, nel 591 e nel 593, quando i Longobardi giunsero a minacciare direttamente Roma, G. riuscì a scongiurare il saccheggio della città grazie al pagamento di una cospicua somma di denaro e avviò, nonostante l'opposizione dell'esarca e dell'imperatore, il negoziato con il re longobardo Agilulfo (591-615) per il raggiungimento di una tregua.Rinunciando probabilmente a prendere possesso per conto della Chiesa degli edifici pubblici di Roma, sembra che G. si sia adoperato piuttosto per la diffusione delle diaconie, costruzioni alquanto semplici, provviste di un oratorio, nelle quali veniva offerto ricovero e sostentamento a poveri, ammalati e pellegrini. S. Maria in Cosmedin, S. Giorgio in Velabro, S. Teodoro e S. Maria in via Lata contengono testimonianze archeologiche che fanno ipotizzare una loro fondazione proprio negli anni del pontificato di G. (Krautheimer, 1980, trad. it. pp. 94, 100). L'accoglienza dei pellegrini stava d'altronde divenendo un compito tanto più importante per la Chiesa, quanto più Roma si avviava a essere il centro spirituale dell'Occidente anche perché luogo di sepoltura dei martiri, dove quindi si trovavano le preziose reliquie cui erano attribuiti poteri salvifici e apotropaici. Martiri e santi alle cui prodigiose vicende G. aveva appunto dedicato, con palese intento di edificazione, un'opera popolare come i Dialoghi.Probabilmente per regolamentare l'enorme afflusso di pellegrini in visita al sepolcro del santo, nella basilica di S. Pietro in Vaticano venne costruito, innalzando il presbiterio, un corridoio semicircolare con due accessi, che seguiva la curva interna dell'abside costantiniana. Da questo passaggio era possibile accedere alla camera dove si trovava la sepoltura del martire, che veniva così a collocarsi al di sotto dell'altare maggiore. Sebbene il Lib. Pont. (I, p. 312) testimoni che G., oltre ad aver donato un ciborio d'argento per l'altare, "fecit ut super corpus beati Petri missae celebrarentur", resta incerto il ruolo da lui avuto, perché Gregorio di Tours (De gloria martyrum, 28; PL, LXXI, col. 728) descrive il nuovo assetto della chiesa come compiuto nel 590. Questo prototipo di cripta semianulare, della quale a S. Pietro rimane solo qualche traccia, divenne il modello per innumerevoli riprese (Krautheimer, 1937-1980, V, pp. 265-267; v. Cripta). La committenza edilizia di G. sembra quindi articolarsi in pochi essenziali interventi, ai quali occorre però aggiungere l'attività svolta nel monastero sul Celio. Il complesso conventuale - che deve aver presto incorporato la biblioteca fondata dal papa Agapito nel 535 ca. - è stato descritto nel sec. 9° dal biografo di G., Giovanni Diacono, come composto da due oratori dedicati a Maria Vergine e a s. Barbara, da un triclinium, da un atrio con ritratti murali dei genitori di G., dalle celle, dalla cantina e da una piccola abside ove si trovava un tondo con il ritratto di G. (Vita Gr., IV, 83-84, 89). Sull'area occupata una volta dal convento sorge ora il monastero di S. Gregorio Magno con l'omonima chiesa ed è problematico stabilire l'ubicazione dei singoli fabbricati gregoriani. Le uniche parti conservate sono comunque da identificare, oltre che nella c.d. biblioteca di Agapito - i resti di un'aula a pianta basilicale degli inizi del sec. 5° o dei secc. 5°-6° -, negli avanzi di costruzioni romane e tardoromane comprese nelle attuali cappelle di S. Andrea e di S. Barbara, la quale, come vuole la tradizione, potrebbe essere il triclinium (Marrou, 1931; Krautheimer, 1937-1980, I, pp. 317-321). È però possibile sostenere su base documentaria che la chiesa di S. Gregorio, che pure non presenta elementi databili prima del sec. 12° (Krautheimer, 1937-1980, I, pp. 321-323), sia stata edificata da G. negli anni successivi al ritorno da Costantinopoli e da lui consacrata nel 595. Al sec. 12° si daterebbe così solamente un restauro, sostanziale ma rispettoso della costruzione preesistente (Pedrocchi, 1993, pp. 16-24).Il ruolo del vescovo di Roma non doveva tuttavia esaurirsi nella cura della città o del Patrimonium Petri. Con forza G. affermò il primato papale, basato sulla continuità con l'apostolato di s. Pietro, contestando al patriarca di Costantinopoli il diritto di attribuirsi il titolo di patriarca ecumenico (Ep., V, 37; 39). In tale prospettiva sono da considerare il forte dinamismo impresso all'opera di evangelizzazione con la missione in Britannia del monaco Agostino e i contatti con la regina cattolica dei Longobardi, Teodolinda, nella speranza di una conversione del suo popolo. Nel 603 la sovrana, in occasione del battesimo del figlio Adaloaldo, ricevette da G. una stauroteca "cum ligno sanctae crucis Domini" e un evangeliario racchiuso in una "theca persica" (Ep., XIV, 12), identificate dalla tradizione, in modo erroneo o non documentato, rispettivamente con il reliquiario della Vera Croce di Adaloaldo, in oro, niello e cristallo di rocca, e con la coperta di evangeliario della regina Teodolinda, in oro, gemme e cammei, entrambi del sec. 6°-7° (Monza, Mus. del Duomo; Frazer, 1988).Anche l'arte figurativa assumeva nel programma gregoriano il ruolo di un efficace strumento per la diffusione della fede. In due epistole indirizzate al vescovo di Marsiglia Sereno, colpevole di aver distrutto immagini sacre per impedire che i fedeli le adorassero, G. delineò, forse per la prima volta, i tratti di quella concezione didascalica della figurazione che sarebbe stata tipica del Medioevo occidentale. Egli scrisse: "Idcirco enim pictura in Ecclesiis adhibetur, ut hi qui litteras nesciunt, saltem in parietibus videndo legant quae legere in codicibus non valent" (Ep., IX, 209), perché "aliud est enim picturam adorare, aliud per picturae historiam quid sit adorandum addiscere [...]. Unde praecipue gentibus pro lectione pictura est" (Ep., XI, 10).
La grande fama di cui G. godette lungo tutto il Medioevo e la diffusione rapida e larghissima delle sue opere spiegano l'abbondanza della sua celebrazione figurativa. Le più antiche immagini conservate lo rappresentano giovane, a capo scoperto, cinto da un pallio, con l'attributo del libro e in posa frontale benedicente. Così appare nella pittura (sec. 7°-8°) sul lato interno del dittico eburneo di Boezio, dove compare insieme a s. Girolamo e s. Agostino (Brescia, Civ. Mus. Cristiano), in un affresco romano di S. Maria Antiqua datato agli inizi del sec. 8° e in una miniatura delle Omelie della fine del sec. 8° (Vercelli, Bibl. Capitolare, CXLVIII, c. 9v).Ben presto comparve l'attributo della colomba, simbolo dell'ispirazione dello Spirito Santo - per es. nella Regula pastoralis del sec. 9° (Roma, BAV, S. Maria Maggiore 43, c. 1v) -, spesso, sulla scorta di un episodio narrato da Paolo Diacono (Vita Gr., 13), in scene dove G. appare intento a dettare e il diacono Pietro, suo principale collaboratore e interlocutore nei Dialoghi, lo osserva da dietro una tenda - come in un sacramentario del sec. 9° (Parigi, BN, lat. 1141, c. 3r) o in una carta proveniente da un codice del Registrum Gregorii della fine del sec. 10° (Treviri, Stadtbibl., 171a; Ladner, 1941-1984, III, pp. 335-340) - magari forandola con lo stilo, come in un manoscritto del sec. 12° (Bruxelles, Bibl. Royale, 9916-17, c. 1v). Poco dopo si diffuse l'uso di raffigurare G. con la tiara, semplice, come nel rilievo proveniente dal portale dell'abbazia di Petershausen (Karlsruhe, Badisches Landesmus.) e in quello del portale meridionale della cattedrale di Chartres (1215-1220), o arricchita da una corona, come nei dipinti del 1315 e del 1320 ca. di Simone Martini (Siena, Palazzo Pubblico, Maestà, cimasa; Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, polittico, predella). In un affresco ispirato ai Moralia nella cappella di S. Gregorio del Sacro Speco a Subiaco (1228) G. e Giobbe appaiono l'uno di fronte all'altro, tenendo in mano cartigli con versetti del libro di Giobbe (Gb. 1, 1, 21). Talvolta la colomba ispiratrice è sostituita da un angelo, per es. in un codice del 1022-1035 dei Moralia (Montecassino, Bibl., 73, c. 5r) o nel mosaico del battistero della basilica di S. Marco a Venezia (sec. 14°).Sul finire del Medioevo iniziò a diffondersi un tema iconografico basato sulla leggenda secondo la quale, durante una processione indetta da G., l'arcangelo Michele sarebbe apparso alla sommità del mausoleo di Adriano ringuainando la spada come segno della fine della pestilenza (Jacopo da Varazze, Legenda aurea, 46, 4). Le prime rappresentazioni della scena figurano su un pannello di predella del sec. 14° riferito da Gronau (1950) alla scuola di Agnolo Gaddi (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca, depositi, già inv. nr. 13) e nell'affresco del 1363-1380 ca. di Spinello Aretino nella chiesa di S. Francesco ad Arezzo.
Bibl.:
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Letteratura critica. - D. Dufresne, Les cryptes vaticanes, Paris-Roma 1902, pp. 66-67; H.J. Marrou, Autour de la Bibliothèque du Pape Agapit, MAH 48, 1931, pp. 124-169; R. Krautheimer, Corpus Basilicarum Christianarum Romae, 5 voll., Città del Vaticano 1937-1980; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters (Monumenti di antichità cristiana, s. II, 4), 3 voll., Città del Vaticano 1941-1984; O. Bertolini, Per la storia delle diaconie romane nell'alto medioevo sino alla fine del secolo VIII, Archivio della Società romana di storia patria 70, 1947, pp. 1-145 (rist. in id., Scritti scelti di storia medioevale, I, Livorno 1968, pp. 311-460); H.D. Gronau, A Dispersed Florentine Altarpiece and its Possible Origin, Proporzioni 3, 1950, pp. 41-47: 43, tav. XXVI; R. Manselli, L'escatologia di Gregorio Magno, Ricerche di storia religiosa 1, 1954, pp. 72-88; C. Porcel, San Gregorio Magno y el monacato. Cuestiones controvertidas, Montserrat 1960; J. Croquison, Les origines de l'iconographie gregorienne, CahA 12, 1962, pp. 249-262; V. Monachino, P. Cannata, s.v. Gregorio I, in Bibl.SS, VII, 1966, pp. 222-287; A Thomas, s.v. Gregor I. der Grosse, in LCI, VI, 1974, coll. 432-441; C. Leonardi, La 'Vita Gregorii' di Giovanni Diacono, in Roma e l'età carolingia, "Atti delle Giornate di studio, Roma 1976", Roma 1976, pp. 381-393; P. Amargier, La querelle des images à Marseille en 600, Marseille 117, 1979, pp. 90-91; R. Krautheimer, Rome. Profile of a City, 312-1308, Princeton 1980 (trad. it. Roma. Profilo di una città, 312-1308, Roma 1981, pp. 77-114); J. Richards, Consul of God. The Life and Times of Gregory the Great, London 1980 (trad. it. Il console di Dio. La vita e i tempi di Gregorio Magno, Firenze 1984); G. Arnaldi, L'approvvigionamento di Roma e l'amministrazione dei "Patrimoni di S. Pietro" al tempo di Gregorio Magno, Studi romani 34, 1986, pp. 25-39; M. Frazer, Oreficerie altomedievali, in Monza. Il Duomo e i suoi tesori, Milano 1988, pp. 15-48: 22-25; R. Godding, Bibliografia di Gregorio Magno, in Opere di Gregorio Magno. Complementi I, Roma 1990; G. Rapisarda, Per una storia dei rapporti fra produzione letteraria e produzione artistica nell'Alto Medioevo occidentale: Gregorio Magno e le epistole IX, 209 e XI, 10 a Sereno di Marsiglia, in Gregorio Magno. Il maestro della comunicazione spirituale e la tradizione gregoriana in Sicilia, "Atti del Convegno, Vizzini 1991", a cura di L. Giordano, Catania 1991, pp. 129-142; A.M. Pedrocchi, San Gregorio al Celio. Storia di una abbazia, Roma 1993.G. Mochi Onori