Gregorio I (G. Magno)
Pontefice romano, di famiglia di ceto senatorio; nacque intorno al 540 da Gordiano ‛ regionarius ' e da Silvia, appartenente, sembra, alla ‛ gens Anicia '; morì il 12 marzo 604.
Personalità complessa, caratterizzata da una perfetta fusione fra slancio mistico e spirito pratico, fu particolarmente aperto ai problemi del suo mondo, dei quali s'investì con animo di pastore e che risolse con la sagacia del perfetto amministratore, assumendosi talvolta responsabilità che trascendevano le proprie competenze. Il suo pontificato guadagnò alla sede di Roma quel carattere di superiorità e di diretta investitura divina che fu uno dei motivi caratterizzanti il Medioevo e che neppure l'esempio di papi deteriori, quali alcuni del X secolo, e tanto meno le pretese ecumeniche del patriarca di Costantinopoli riuscirono a scalfire.
L'educazione di G. fu particolarmente curata, e indirizzata prima allo studio delle arti liberali, quindi a quello del diritto, come risulta dalla sua esperienza politica e amministrativa; partecipò infatti alla vita pubblica con la carica di ‛ praefectus Urbis ' intorno al 573-574. Alla morte del padre seguì il richiamo religioso ritirandosi a vita contemplativa nella sua casa romana del Clivo di Scauro che trasformò in monastero col titolo di S. Andrea, e altri sei monasteri di regola benedettina fondò nei suoi possessi in Sicilia. A questo periodo di vita monastica risale la formazione di G. come esegeta e dottore della Chiesa.
Richiamato alla vita pubblica da papa Pelagio II che lo promosse al diaconato, fu inviato come apocrisario a Costantinopoli, ove svolse proficuamente la sua opera fino al 586; tornato a Roma divenne consigliere del papa e alla sua morte fu, suo malgrado, chiamato a succedergli dal plauso generale.
Consacrato papa il 3 settembre 590, G. si dedicò a sollevare, mediante oculati provvedimenti, le condizioni della popolazione romana che, ancora prostrata per le conseguenze della guerra greco-gotica e minacciata dall'invadenza dei Longobardi, era stata duramente provata da gravi calamità naturali, e alla quale l'impotente amministrazione bizantina non era in grado di offrire alcuna sicurezza. Ingenti risorse per l'attuazione della sua opera G. attinse dai vasti possessi fondiari che la chiesa di Roma aveva in varie regioni, da lui riorganizzati amministrativamente secondo i criteri di un rigido centralismo. Di fronte al pericolo longobardo G. intervenne sia militarmente, sostituendosi all'inefficiente esarca bizantino, sia diplomaticamente, impegnandosi a pagare vari tributi di cui si assunse la responsabilità di fronte alle proteste dell'imperatore Maurizio, riuscendo infine a far stipulare una breve tregua fra Bizantini e Longobardi. Contemporaneamente si dedicò con serio impegno ad attirare nell'ambito della Chiesa di Roma questo popolo, servendosi del suo ascendente sulla regina Teodolinda per ottenere il distacco dall'eresia ariana. Inviò inoltre missioni a evangelizzare gli Angli e i Sassoni, e curò particolarmente l'ortodossia dei popoli già cristiani, quali i Franchi e i Visigoti.
La personalità e l'opera di G. si possono considerare determinanti nello svolgimento di quel processo storico che sfocerà nel completo distacco spirituale e politico della ‛ res publica christiana ', che s'identificava con la Chiesa di Roma, dall'Impero di oriente, e che porterà alla formazione dello Stato della Chiesa; egli infatti sostenne, di fronte alle pretese ecumeniche del patriarca di Costantinopoli, la priorità della Chiesa di Roma con a capo il vicario di Cristo, successore di s. Pietro in loco.
La produzione letteraria di G. rappresenta la più tangibile testimonianza della molteplice sua attività, e alcune sue opere, quali le Homeliae, i Dialogi e i Moralia, di carattere più strettamente filosofico ed esegetico, dettero luogo a una tradizione culturale che pervenne fino a Dante. La conoscenza che il poeta infatti mostra di avere di G. ha un carattere essenzialmente letterario, e d'altra parte l'interesse dantesco si appunta esclusivamente sul profilo morale del personaggio e sulla sua autorità di dottore della Chiesa. Nessun accenno invece troviamo sulla sua azione politica, sull'importanza che questa assume nello svolgersi della storia a lui successiva: ci saremmo aspettati di trovare G. citato nella Monarchia, in relazione alla sua politica di autonomia nei confronti dell'imperatore di Bisanzio e alla conseguente formazione dello Stato della Chiesa, mentre non se ne fa alcun cenno. Bisogna però tener presente che l'interesse dantesco è rivolto soprattutto ai personaggi e in particolare ai papi del suo tempo e nelle rare citazioni di figure più antiche ci troviamo sempre di fronte a casi in cui l'uomo storico ha assunto il valore di un simbolo, quasi un alone leggendario; a costui possono esser affiancati altri personaggi coevi, ma in questo caso vengono citati in funzione del personaggio principale, e senza un'effettiva consistenza storica. Citazione diretta di G. è in Ep XI 16, dove il papa è ricordato fra i grandi spiriti che Deum quaerebant ut finem et optimum e che ora è abbandonato in telis aranearum da quei ‛ cardines ecclesiae ' che census et beneficia consecuntur. G. inoltre è lo spirito pio le cui preghiere hanno aperto la via della salvezza a Traiano (Pg X 75, Pd XX 106-108): in questo episodio D. si rifà a una leggenda corrente ai tempi suoi, riportata anche dal Novellino (LXIX), che narra la salvazione dell'imperatore grazie a un atto di giustizia da lui compiuto in favore di una vedova.
Questa leggenda ebbe ampia diffusione nel Medioevo; è inserita nel Policraticus di Giovanni di Salisbury e nello Speculum Historiale di Vincenzo di Beauvais, che sembra derivarla dalla Cronica di Elinando. Il primo ad attribuire la salvazione dell'imperatore all'intervento di G. è stato Giovanni Diacono (Vita S. Gregorii IV c. 44) che svolgeva il nucleo originario del racconto costituito da un brano di Dione Cassio (XIX 5); e lo stesso s. Tommaso prestò fede a questo racconto e l'inserì nella Summa (III 71 5). Mentre l'origine della leggenda si pensa sia da collegarsi a un bassorilievo di un arco trionfale romano, in cui è raffigurato l'imperatore e accanto una figura femminile inginocchiata, forse una provincia sottomessa, l'intervento del papa nella salvazione di Traiano può esser ricollegato alla suggestione suscitata sui contemporanei dall'attività missionaria di Gregorio.
La miracolosa salvazione di Traiano, avvenuta secondo un processo mistico che rasenta la magia, è un riconoscimento per questo spirito giusto, ma soprattutto una celebrazione dell'altezza spirituale di G., la cui pietà ha superato tutti i limiti dell'eterna giustizia. Infatti per adire alla salvezza eterna per D. la sola purezza morale non basta, è necessario il battesimo, e nel processo di salvazione è necessaria l'espiazione: la preghiera dei superstiti serve solo ad affrettare e a completare l'opera purificatrice, non a sostituirla.
Si è vista inoltre una relazione fra la partizione gregoriana dei peccati e quella del Purgatorio dantesco; ma, oltre alla considerazione che G. non è l'unico in cui si riscontra l'ordine dantesco dei peccati, bisogna tener presente che per il papa la superbia è peccato fondamentale, da cui fa derivare tutte le altre colpe, mentre per D. questo peccato non ha preminenza specifica sugli altri.
G. fu inoltre fonte di D., che trasse pare dai Moralia la successione delle gerarchie angeliche nel Convivio; ma nella Commedia questo ordinamento fu modificato secondo quello dato da Dionigi l'Areopagita, e D. mette in rilievo la differenza fra le sue due fonti, attribuendo a G. il riconoscimento del proprio errore: Ma Gregorio da lui poi si divise; / onde, sì tosto come li occhi aperse / in questo ciel, di sé medesmo rise (Pd XXVIII 133-135; v. GERARCHIA ANGELICA). Si è inoltre voluto riconoscere in G. uno dei quattro in umile paruta di Pg XXIX 142 (Lana, Ottimo, Anonimo, Pietro), ma questa identificazione, già molto controversa, oramai è stata praticamente abbandonata.
Bibl. - Per un completo quadro biografico di G. e un compendio sulle fonti e la bibliografia relativa, si vedano le ottime voci di O. Bertolini, in Enc. Dal. XVII 929-931, e v. Monachino, in Bibliotheca Sanctorum VII (1966) 222-278; si veda inoltre O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, ad indicem; ID., I papi e le relazioni politiche di Roma con i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, in " Rivista di St. della Chiesa in Italia " VI (1952) 1-46; per i rapporti fra G. e D.: M. Barbi, La leggenda di Traiano nei volgarizzamenti del ‛ Breviloquium de virtutibus ' di fra Giovanni Gallese, Firenze 1895; D. Ronzoni, Minerva oscurata. La Topografia morale della D.C., Milano 1902 (rec. di F.P. Luiso, in " Bull. " X [1903] 419-421); G. Busnelli, La concezione del Purgatorio dantesco, in " Civiltà Cattolica " 1906; ID., L'ordinamento morale del Purgatorio dantesco, ibid. 1908 (rec. di E.G. Parodi, in " Bull. " XVI [1909] 231-239); K. Vossler, La Divina Commedia studiata nella sua genesi e interpretata, 2 voll., Bari 1909-1913; M. Barbi, Razionalismo e misticismo in D., in " Studi d. " XVII (1933) 5-44; XXI (1937) 5-91; B. Nardi, Dal " Convivio " alla " Commedia ", Roma 1960, ad indicem.