Gregorio IX
Gregorio IX occupa una posizione di primo piano nella storia della Chiesa e del diritto occidentale. Sulla linea degli immediati predecessori rafforzò, con una rigida dottrina teocratica, il primato pontificio nello scacchiere politico dell’Europa duecentesca. Attento osservatore dei coevi movimenti religiosi, protesse la nascita degli ordini mendicanti volgendoli contro le sette ereticali. Con l’emanazione del Liber extra (che seguiva a distanza di un secolo quella del Decretum di Graziano), egli inaugurò la serie dei pontefici promotori delle raccolte ufficiali di decretali che, nel loro insieme, formeranno il Corpus iuris canonici, vigente fino al 1918. Così costituito, il diritto canonico dette vita, in simbiosi con il diritto romano giustinianeo, a quel ius commune (utrumque ius) sul quale si è eretta la civiltà giuridica europea.
Ugolino dei conti di Segni nasce ad Anagni verso il 1170. Nipote di Innocenzo III, è da questi nominato cappellano papale e cardinale diacono di S. Eustachio (1198), poi cardinale vescovo di Ostia (1206). Eletto pontefice nel 1216 Onorio III, nel 1221 Ugolino è investito della missione di comporre le lotte interne ai Comuni dell’Italia settentrionale e di promuovere una più efficace lotta all’eresia.
Dopo l’insuccesso della quinta crociata, ha il compito di organizzarne una nuova che, oltre a non avere migliore fortuna della precedente, genera attriti con Federico II di Svevia, imperatore del Sacro romano impero e re di Sicilia. Divenuto papa il 19 marzo 1227, Ugolino incalza l’imperatore affinché si impegni a liberare la Terra Santa. L’esercito imperiale è però decimato da un’epidemia durante il viaggio per l'Oriente e deve tornare in Italia; Gregorio IX scomunica allora Federico (29 settembre 1227). Il provvedimento non ferma però lo Svevo, che stipula con il sultano d'Egitto al-Kamil un accordo decennale in forza del quale Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, con una fascia costiera, sono restituite ai cristiani.
Posto innanzi al successo dell’avversario, Gregorio IX fa invadere il Regno di Sicilia da milizie pontificie e fuorusciti isolani. Il pronto ritorno di Federico II ripristina la situazione precedente, definita con la pace di San Germano (1230).
Alla conclusione del trattato seguì una fase di delicato equilibrio tra la corte papale e quella imperiale, scaltra nell’emanare, a varie riprese, severe disposizioni contro l’eresia: ciò che non poteva certo dispiacere a Gregorio IX, ma di fatto riduceva la libertà d’iniziativa papale nei confronti dei Comuni dell'Italia settentrionale. La ribellione di Enrico, figlio dell’imperatore, costrinse addirittura il papa – per intemperanze del primo – a schierarsi con il padre. La lotta riprese quando Federico II, rientrato dalla Germania, intraprese una spedizione punitiva nei confronti delle città lombarde, culminata con la vittoria di Cortenuova (1237). Il 20 marzo 1239 Gregorio IX scomunicò per la seconda volta lo Svevo, accusato di soprusi a danno della Chiesa siciliana e di avere cospirato contro il pontefice. L’imperatore rispose chiedendo ai cardinali di convocare un Concilio con il compito di giudicare l’operato del papa: al che Gregorio IX replicò accusando Federico II di essere l’Anticristo, di negare qualunque fede e di propugnare idee razionaliste. La condanna non sortì alcun effetto e Federico restò saldo nel suo potere, in Germania come in Italia e in Oriente. I pisani, filoimperiali, ardirono addirittura catturare, presso l’isola del Giglio, le navi genovesi che trasportavano i prelati in Italia per un Concilio (1241). Un estremo tentativo del papa di intavolare trattative con Federico II fallì. Deluso, il pontefice morì a Roma il 21 agosto 1241.
Con la bolla Mira circa nos (19 luglio 1228), proclamante la santità di Francesco d’Assisi, Gregorio IX coronò un rapporto iniziato undici anni prima, alla Porziuncola, proseguito nel 1219, quando Ugolino si adoperò perché Onorio III riconoscesse l’ortodossia dei frati francescani minori, e nel 1223 in sede di stesura della Regula bullata. L’interesse verso i due rami dell’ordine continuò anche dall’alto del seggio di Pietro con la concessione del Privilegium paupertatis a Chiara e con l’emissione della bolla Quo elongati (1230) che, rinviando alla Regola, affermava il carattere non precettivo del Testamento di Francesco. A una retta interpretazione dell’evento francescano Gregorio IX contribuì affidando a Tommaso da Celano la composizione della Vita prima. Infine, nel 1231, prendeva posizione contro l’episcopato (essenzialmente francese) ostile nei confronti dei francescani.
Ancora cardinale, Ugolino fu parimenti legato da amicizia con il fondatore di un altro ordine mendicante, Domenico di Guzman, alle cui esequie, in Bologna, intervenne il 6 agosto 1221. Tredici anni dopo ne avrebbe dichiarato la santità.
I due ordini, francescano e domenicano, furono presto utilizzati nella lotta contro il catarismo. Senza pervenire a fondare il tribunale dell’Inquisizione (come talora si dice), Gregorio IX tentò di coinvolgere i Comuni nella ricerca e nella punizione degli eretici. La promulgazione della bolla Excommunicamus et anatematizamus (1231) e la predicazione dell’Alleluia (1233) costituirono, in questo senso, episodi decisivi, almeno in ambiente italiano. La repressione dell’eresia e delle rivolte contadine fu svolta talora con estrema durezza, sia in Germania sia in Francia.
Compreso della funzione svolta dalle università, Gregorio IX proseguì nell’opera di vigilanza e di sostegno intrapresa a loro favore da Onorio III: più che a Bologna l’attenzione si volge a Parigi, teatro di contese prima tra il cancelliere e gli studenti, poi tra maestri secolari e regolari, cui va la simpatia del pontefice. Fedele a questa linea, Gregorio IX sostiene il francescano Roberto Grossatesta (1175-1253), cancelliere a Oxford.
L’azione politica del papa si rivela nella volontà di rafforzare la curia romana e la monarchia pontificia, ingaggiando (1231-34) una dura lotta contro i patti di comitatinanza che, nei territori soggetti alla Chiesa, vincolavano i Comuni minori ai maggiori. È però con la lettera Si memoria beneficiorum, indirizzata a Federico II, che Gregorio IX esprime il suo pensiero teocratico. Costantino – vi si legge – conferì il proprio potere ai pontefici, persuaso che chi detiene il comando sulle anime lo debba esercitare, a maggiore ragione, sui corpi. Incoronando Carlo Magno (di cui Federico II era successore), il papa Leone III era divenuto fonte e principio della sovranità imperiale. A essa i successori di Leone III non avevano certo inteso rinunciare: sicché all’imperatore non restava altro che l’esercizio di una potestas delegata e revocabile per indegnità o disobbedienza alle chiavi di Pietro.
Gli storici si sono chiesti più volte se l’emanazione del Liber extra, la grande raccolta di decretali promossa da Gregorio IX, sia da intendere come espressione di una volontà teocratica che contrapponeva all’impero germanico, erede di Giustiniano e delle sue leggi, un nuovo e imponente corpus normativo corrispondente al ruolo politico che la Chiesa pretendeva sul mondo. Sullo stesso porre il problema e sulle risposte date di volta in volta incisero motivi polemici suscitati assai presto da quanti – fuori e dentro la Chiesa cattolica – si opponevano alla ‘giuridicizzazione’ e ‘mondanizzazione’ del messaggio evangelico in nome di più alte istanze spirituali. Per meglio comprendere la natura dell’opera gregoriana e il suo prolungamento nel Liber sextus (1298) di Bonifacio VIII e nelle Clementine promulgate da Giovanni XXII nel 1317, con le quali si compirà l’insieme delle raccolte ufficiali di diritto canonico, sarà opportuno soffermarsi sulla sua genesi, la sua struttura e la sua funzione all’interno del sistema giuridico vigente in Europa tra i secoli di mezzo e la prima età moderna.
Già pochi anni dopo la pubblicazione (1140 ca.) del Decretum di Graziano – la prima raccolta destinata a entrare nel Corpus iuris canonici – furono emanate sempre nuove decretali da parte dei pontefici, a partire da Alessandro III (1159-1181). Con questo nome si indicarono le decisioni papali intorno a questioni sollevate da vescovi, incerti su questioni, di diritto o di amministrazione, proposte innanzi ai loro tribunali, oppure sentenze d’appello a pronunce dei giudici delegati. Se non sollecitati da alcuna richiesta, i provvedimenti papali si dissero invece decreti o costituzioni. In tutti i casi risulta evidente l’imitazione di modelli offerti dalla prassi imperiale romana.
Nel volgere di pochi decenni le decretali più importanti, inizialmente aggiunte in appendice agli esemplari manoscritti del Decreto, furono raccolte in cinque compilazioni autonome. Di esse, la terza e la quinta ebbero carattere ufficiale perché approntate su richiesta l’una di Innocenzo III (1209), l’altra di Onorio III (1226). La prima, distinta in cinque libri, fu redatta da Bernardo Balbi di Pavia (1191 circa), professore a Bologna, e costituì il paradigma al quale si ispirarono non solo le altre compilationes, ma tutte le successive collezioni di decretali.
Nel 1230 Gregorio IX affidava a Raimondo di Peñafort (1175-1275), suo cappellano e penitenziere, già professore a Bologna, autore di scritti giuridici e teologico-morali, il compito di redigere una raccolta che sostituisse le precedenti compilationes. La bolla Rex pacificus (5 settembre 1234) con la quale il pontefice pubblicava il volume, inviandolo alle Università di Parigi e Bologna, spiega le finalità dell’opera. Dopo avere lamentato la «sfrenata cupidigia» che «ogni giorno genera nuovi litigi» per i quali il genere umano è impedito dal vivere secondo giustizia, prosegue:
Le diverse costituzioni e decretali dei nostri predecessori, dispersi in diversi volumi, essendo alcune somiglianti tra loro, altre contraddittorie, altre ancora prolisse, generavano confusione. Alcune, poi, si trovavano vaganti fuori di quei volumi ed erano pertanto usate in giudizio fra grandi incertezze per il loro dubbio valore. Ora, per l’utilità di tutti e specialmente degli studiosi [...], abbiamo voluto che quelle fossero riunite in un solo volume, eliminate quelle superflue, con l’aggiunta delle nostre, nelle quali sia chiarito quanto nelle precedenti era dubbio. Vogliamo, inoltre, che nei tribunali e nelle scuole si faccia uso solo di questa compilazione e proibiamo severamente che alcuno presuma di farne un’altra senza speciale autorizzazione della Sede Apostolica.
Con un gesto senza precedenti il papa aboliva testi di diritto vigente – le Quinque compilationes – rimpiazzandole con una definitiva e autentica. Se, fino ad allora, il centro di produzione delle collezioni era stato Bologna, adesso e per l’avvenire il primato di Roma non sarebbe più stato in discussione.
L’opera prese nome dal pontefice che l’aveva voluta: Decretales Gregorii IX o più semplicemente Liber extra, abbreviazione di Liber decretalium extra Decretum Gratiani vagantium in quanto raccoglieva le decretali ‘vaganti’ al di fuori del Decreto di Graziano. I cinque libri sono suddivisi in 1971 capitoli. Delle Compilationes antiquae, cui Raimondo attinse abbondantemente, furono tralasciate 383 decretali; ne furono aggiunte 7 di Innocenzo III e 195 dello stesso Gregorio IX. Entro ciascuna rubrica – che per lo più riprendeva il corrispondente titolo dalle Quinque compilationes – i frammenti furono ordinati cronologicamente.
Un attento esame del materiale confluito nel Liber extra – prevalentemente decretali pontificie emesse tra il 1154 e il 1234, ma anche 27 canoni del terzo Concilio Laterano (1179) e 68 del quarto (1215), oltre a testi scritturali e patristici e alcune leggi laiche – rivela che Raimondo di Peñafort andò ben oltre il mandato di rivedere, abbreviare, sopprimere le ripetizioni riscontrabili nelle fonti utilizzate: sia che si trattasse di testi già inseriti nelle Compilationes oppure di originali conservati negli archivi e nei registri papali. Talvolta le partes decisae – eliminate – riguardano le situazioni di fatto che diedero occasione al rescritto, ciò che rende problematica la comprensione del frammento che ne residua. Per ovviare all’inconveniente – sia detto per inciso – l’edizione di Emil Friedberg (Corpus iuris canonici, 2° vol., 1879; rist. anast. 1959) riprodusse in caratteri corsivi, a vantaggio degli studiosi, i passi eliminati.
Raimondo non si limitò a tagliare: aggiunse parole o interi periodi assenti nei testi originali, alterò il nome dei destinatari meno noti – forse per rivestire di maggiore autorità il provvedimento papale trascritto di seguito – risolse questioni dubbie di diritto conformandosi agli indirizzi scientifici prevalenti nelle università.
Tutto ciò considerato, si pone un problema che ancora divide gli storici del diritto: il Liber extra costituisce una compilazione (secondo l’esplicita designazione di Gregorio IX, nella bolla Rex pacificus) o una, seppur larvata, codificazione? In altre parole: i testi riuniti conservano l’efficacia originaria o ne rivestono una nuova, quasi che tutti fossero stati emanati per la prima volta il 5 settembre 1234? Il problema si presenta analogo a quello posto riguardo all’opera legislativa di Giustiniano che ugualmente modificò, secondo necessità, le costituzioni imperiali precedenti e interpolò gli scritti dei giureconsulti, stabilendo che dovessero avere valore solo nella nuova versione. Anche Gregorio IX afferma, nella Rex pacificus, che nei tribunali e nelle scuole tutti facciano senz’altro riferimento solo alla raccolta ora edita. Ciò è chiarito senza possibilità di dubbio dalla glossa In iudiciis: «Cosa accadrà se alcuni volessero usare e leggere una precedente [versione]? Dico che sarebbero da scomunicare perché lo farebbero contro la disposizione del papa».
Mi pare dunque che il Liber extra si presenti con caratteri prossimi più a una codificazione (anche se il termine è decisamente marcato da connotazioni moderne) che a una semplice compilazione. Gregorio IX vuole essere legislatore che, pur accogliendo la sapienza dei predecessori, dà inizio di sua autorità a un tempo nuovo per la Chiesa e per il mondo.
Il riferimento all’opera di Giustiniano, di cui si diceva poc’anzi, suscita ulteriori riflessioni. Forse Gregorio IX non ebbe l’intenzione di imitare l’imperatore orientale. È però innegabile che l’imponente opera giustinianea esercitò su Raimondo e sul pontefice una comprensibile attrazione, ponendosi come modello che ispira la redazione del Liber extra fin dal titolo d’apertura, identico a quello del Codex: De Summa Trinitate ef fide catholica; altre affinità sistematiche si rinvengono all’interno; e addirittura, in chiusura della raccolta, Gregorio IX appone alcune regole di diritto a somiglianza di quanto aveva già fatto Giustiniano in coda al Digesto. Come Giustiniano poi, il pontefice risolse nodi dottrinari dibattuti dalla giurisprudenza ed ebbe la medesima preoccupazione dell’imperatore di troncare liti interminabili, assicurare la certezza del diritto, facilitare la consultazione dei testi.
A un livello più generale, infine, si rileverà che rescritti imperiali e papali, seppur nati dalla decisione di un singolo caso, particolare, mutano – una volta scelti dal legislatore – natura e portata originarie affermandosi come provvedimenti di carattere generale. Inserendosi poi in un complesso organicamente strutturato, essi soggiacciono a un'interpretazione che deve garantire la loro compatibilità rispetto all’insieme di cui entrano a fare parte.
Chi ritenesse il Liber extra e lo stesso Corpus iuris canonici, di cui costituisce la spina dorsale, un codice destinato a disciplinare l’interna organizzazione ecclesiale, sbaglierebbe di grosso. Se, certo, non mancano interi titoli che assolvono a tale funzione, altri rivelano una prospettiva diversa e di più largo respiro di cui occorre intendere la natura e lo scopo. I santi non hanno bisogno di una legge che li costringa dall’esterno: lo Spirito detta loro una legge di libertà che invera il detto di san Paolo: «Se è lo Spirito a condurvi, non siete sotto la legge» (Galati, 5, 18). Come gli scalatori provetti aprono nuove vie all’ascensione dei monti guidati da una privilegiata confidenza con la roccia, così quelli ascendono al monte di Dio tracciando un percorso che altri seguiranno e che diverrà, in qualche modo, traccia sicura per raggiungere la meta. Chi, nei secoli, ha criticato la Chiesa di darsi leggi, come scelta contraria al dettato evangelico, ha dimenticato che il cristiano, per così dire, ‘normale’, chiede d’essere illuminato, nei vari snodi della sua esistenza, da una regola alla quale conformare i propri comportamenti, se davvero intende raggiungere la salvezza promessa da Cristo.
Il diritto canonico ha svolto e continua a svolgere questa funzione. Nell’età medievale, l’osservanza del diritto romano non poteva assicurare una condotta conforme ai precetti cristiani. Soprattutto il Digesto rispecchiava una mentalità pagana che nemmeno gli sforzi di Giustiniano avevano potuto cancellare del tutto. In materia di rapporti personali tra i coniugi, nella valorizzazione della volontà piuttosto che della forma, nella successione testamentaria, nel rispetto della buona fede, nella pratica dei mutui, nello svolgimento dei processi – sono solo pochi esempi, tra molti – la distonia tra il diritto romano e le raccomandazioni della Chiesa era evidente, il contrasto spesso stridente. Il Liber extra, raccogliendo, in veste definitiva, l’ottica dei pontefici in una fase storica caratterizzata da impressionante sviluppo culturale, civile e demografico, apre nuovi orizzonti in aperta e consapevole dialettica con il diritto civile. In senso proprio non si tratta di un'operazione volta a costituire una sorta di contraltare al diritto imperiale né tantomeno – come ritenuto da alcuni – di dare una risposta ‘ecclesiale’ alle costituzioni melfitane di Federico II, che sono diritto particolare, di un regno soltanto. Il piano sul quale si muove il Liber extra è universale e i due fenomeni sono inavvicinabili. Né le decretali di Gregorio IX pretendono di sostituirsi al Corpus iuris civilis, che presuppongono. Il diritto canonico viene infatti eretto sulle fondamenta del romano del quale assume le nozioni degli istituti e il lessico. Rispetto a esse le decretali apportano, di volta in volta, modifiche sostanziali ispirate a maggiore equità e a un senso di umanità ch’è il segno dell’insegnamento evangelico. Per altro verso, esse interpretano le attese e i bisogni di una società profondamente evoluta nell’arco di sette secoli. Lo ius novum si affianca con successo al vetus senza – si badi bene – la pretesa di abrogarlo: ciò che non sarebbe stato nemmeno possibile per la rispettiva autonomia di entrambi, per la diversa potestà di imperatori e pontefici, operanti su piani distinti.
Dalla reciproca integrazione dei due ordinamenti, operata dai giuristi addottorati in utroque iure scaturì quel diritto comune che resse per secoli le sorti dell’Europa continentale contribuendo in maniera decisiva alla formazione della civiltà occidentale.
Per il testo del Liber extra si ricorra al Corpus iuris canonici, a cura di E. Friedberg, 2° vol., Decretalium collectiones, Lipsiae 1879, coll. 1-928 (rist. anast. Graz 1959).
S. Kuttner, Quelques observations sur l’autorité des collections canoniques dans le droit classique de l’Église, in Actes du Congrès de droit canonique (Paris 22-26 avril 1947), Paris 1950, pp. 305-12.
S. Kuttner, Raymond of Peñafort as editor. The "decretales" and "constitutiones" of Gregory IX, «Bulletin of medieval canon law», 1982, 12, pp. 65-80.
G. Fransen, Du cas particulier à la jurisprudence et de la jurisprudence à la legislation. L’évolution du droit canonique de 1140 à 1234, in "Colendo iustitiam et iura condendo". Federico II legislatore del Regno di Sicilia nell’Europa del Duecento. Per una storia comparata delle codificazioni europee, Atti del Convegno internazionale di studi (Messina-Reggio Calabria 20-24 gennaio 1995), a cura di A. Romano, Roma 1997, pp. 29-37.
F. Liotta, I papi anagnini e lo sviluppo del diritto canonico classico: tratti salienti, in Studi di storia del diritto medioevale e moderno, a cura di F. Liotta, 1° vol., Bologna 1999, pp. 107-28.
O. Capitani, Gregorio IX, in Enciclopedia dei papi, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2° vol., Roma 2000, ad vocem.
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F. Liotta, Tra compilazione e codificazione. L’opera legislativa di Gregorio IX e Bonifacio VIII, in Studi di storia del diritto medioevale e moderno, a cura di F. Liotta, 2° vol., Bologna 2007, pp. 21-39.