UGDULENA, Gregorio Onofrio
UGDULENA, Gregorio Onofrio. – Nacque a Termini Imerese il 20 aprile 1815. Primogenito di Antonio, membro del Consiglio distrettuale di Termini, e di Rosaria Scolaro, ebbe due fratelli, Giuseppe (nato nel 1818) e Francesco (nato nel 1820).
Sin da giovane manifestò una forte propensione agli studi: si formò nel Collegio termitano sotto la guida di docenti come Niccolò Palmeri e Baldassarre Romano; a sedici anni ebbe la nomina a professore provvisorio di matematica presso lo stesso istituto e poco dopo ne divenne titolare. Abbracciò intanto la vita ecclesiastica e nel 1834 prese gli ordini inferiori. Questo non gli impedì di proseguire la carriera accademica: nel 1836 conseguì a Palermo la laurea in diritto canonico e teologia e l’anno seguente si trasferì nella capitale siciliana dove sostenne il concorso per la cattedra universitaria di aritmetica e algebra, che non gli fu assegnata perché gli esaminatori ritennero la sua esposizione eccessivamente ancorata ai testi. Come reazione, il sacerdote presentò domanda per tutti gli insegnamenti resisi vacanti in seguito all’ondata di colera del 1837, ma non poté poi partecipare alle selezioni a causa di un attacco di emotisi provocato dallo stress della preparazione. Dovette così optare per un soggiorno a Termini, dove gli fu offerto l’incarico di titolare dell’arcipretura parrocchiale, che rifiutò. Nel 1843 ottenne infine la cattedra di lingua ebraica e spiegazione della Santa Scrittura nell’ateneo palermitano, che ricoprì fino al 1848.
Gli anni successivi furono importanti per la sua formazione intellettuale e politica: alla pubblicazione della dissertazione per il concorso universitario seguì, nel 1846, la traduzione del volume di Ludovico I di Baviera, I compagni di Walhalla. In quello stesso anno l’avvento al soglio pontifico di Pio IX stimolò le sue speranze per una soluzione federale della questione italiana. Si avvicinò così agli ambienti del patriottismo siciliano, cui venne introdotto grazie alla mediazione dei fratelli che intanto si erano uniti ai circuiti della cospirazione antiborbonica. Ciò spiega la loro immediata adesione alla rivoluzione del 1848, e la nomina di Gregorio alla vicepresidenza del terzo sottocomitato, incaricato della giustizia, della sicurezza pubblica e del culto. In questa veste Ugdulena si scontrò spesso con il presidente Pasquale Calvi – accusato di un’eccessiva ingerenza negli affari dei Comuni – ma riuscì comunque a portare a termine importanti provvedimenti, fra cui lo stanziamento degli antichi fondi della crociata, assegnati alla Sicilia dalla S. Sede, per il finanziamento delle spese militari.
Stimato esponente della corrente neoguelfa e assertore della decadenza dei Borbone, il sacerdote accrebbe progressivamente il suo ruolo pubblico rivestendo numerose cariche: componente del Comitato per i danneggiati dalla rivoluzione, presidente della commissione elettorale, membro della Giunta per la redazione della legge comunale e della Commissione per la rideterminazione delle facoltà dell’esecutivo, cappellano maggiore del Regno, deputato alla Camera dei comuni. In questa veste contribuì alla redazione della Carta costituzionale e prese parte attiva al dibattito sugli ordinamenti istituzionali, schierandosi in favore dell’autonomia comunale.
Con il passare dei mesi, dinanzi allo scontro dilagante fra il governo rivoluzionario e la S. Sede, Ugdulena si pronunciò in difesa delle prerogative ecclesiastiche, opponendosi alla tassazione degli enti religiosi e perorando la scelta del cattolicesimo come culto ufficiale dello Stato. Queste posizioni non valsero a mettere in dubbio la sua adesione ai moti: continuò a partecipare ai lavori parlamentari, dove all’indomani del bombardamento di Messina (settembre 1848) presentò un progetto di legge per l’assistenza ai profughi della città; a dicembre fu designato ministro della Pubblica Istruzione nel governo presieduto da Matteo Raeli (che non riuscì a insediarsi a causa del ritiro delle dimissioni della vecchia compagine guidata dal marchese di Torrearsa); ad aprile dell’anno successivo si pronunciò in favore della prosecuzione delle ostilità contro le truppe borboniche, nonostante la rivoluzione fosse ormai destinata al fallimento.
All’indomani della Restaurazione Ugdulena non figurò nell’elenco dei quarantatré esclusi dall’amnistia, ma pagò comunque a caro prezzo la sua militanza: a maggio del 1849 fu privato della cattedra e del ruolo di cappellano maggiore; ad agosto fu costretto al domicilio forzoso presso Termini Imerese; all’inizio del 1850 venne accusato di comportamento sedizioso e spostato nel castello di S. Caterina. Dopo una breve reclusione nei sotterranei ottenne il permesso di muoversi per le sale e di consultare la biblioteca, e dette così inizio alla sua traduzione della Bibbia. A settembre, con l’accusa di aver calunniato Ferdinando II, insieme al fratello Francesco fu confinato a Favignana, dove rimase per quasi due anni. L’impossibilità di assistere l’anziana madre, le difficoltà economiche e le divergenze con altri confinati lo gettarono nella disperazione e lo indussero a chiedere un permesso per l’espatrio, che gli fu negato per volere di Carlo Filangieri. Solo all’inizio del 1852 il sacerdote ottenne di essere trasferito a Mazara, ma già nel settembre dell’anno successivo fu nuovamente spostato a Termini, dove trovò ospitalità presso la Casa dei gesuiti. Qui, in occasione del colera del 1855, si prodigò nella cura degli ammalati e nell’assistenza ai bisognosi. La sua abnegazione e le doti di oratore colpirono l’agente borbonico Miccichè, che decise di intercedere per lui presso le autorità, servendosi dell’aiuto della baronessa Brénier, moglie del delegato francese a Napoli: le mediazioni ebbero buon esito, e ad aprile del 1856 Gregorio fece ritorno a Palermo, dove poté riprendere gli studi e reinserirsi nell’ambiente culturale della città presentando all’Accademia di scienze e lettere una sua Memoria sulle monete punico-sicule (1857) e dando alle stampe il primo volume della Santa Scrittura in volgare (1859).
La vasta risonanza internazionale di quella fatica letteraria – che riprendeva la prima traduzione in italiano a cura di Giovanni Diodati (1604), ma ne ampliava notevolmente il commento – e il clima di caute aperture liberali varate da Francesco II permisero la sua riabilitazione, caldeggiata dal ministro per gli Affari di Sicilia Paolo Cumbo: a dicembre del 1859 Ugdulena fu nominato canonico della Cappella del porto, e pochi giorni più tardi venne richiamato all’insegnamento universitario. Ma l’involuzione autoritaria del sovrano, a partire dai primi mesi del 1860, deluse il sacerdote, che seguì con partecipazione la rivolta della Gancia. Nuovamente schierato su posizioni antigovernative Gregorio accolse con gioia la notizia dello sbarco di Marsala, e ricongiunto ai fratelli si schierò a fianco delle Camicie rosse raggiungendo Giuseppe Garibaldi a Palermo ed entrando a far parte dell’establishment rivoluzionario.
Inizialmente nominato segretario delle Finanze, all’indomani del 2 giugno Ugdulena entrò a far parte della segreteria di Stato, incaricato della Pubblica Istruzione e del Culto e autore di importanti provvedimenti, fra cui il progetto di creazione degli asili infantili, la costituzione della Commissione di antichità e belle arti, le battaglie in favore della coscrizione obbligatoria e dell’adesione del clero alla causa nazionale. Il suo impegno fu precocemente interrotto per lo scioglimento del governo, che il 27 giugno rassegnò le dimissioni. Ugdulena rimase tuttavia un personaggio di primo piano e a settembre del 1860 fu riconfermato alla guida del suo veccchio ministero dal prodittatore Antonio Mordini. Fu opera sua l’estensione alla Sicilia delle legge Casati, con numerosi correttivi a tutela dell’autonomia dell’insegnamento e delle istanze di decentramento che promanavano dall’isola: la sua riforma si configurò per la riduzione delle prerogative di controllo sull’istruzione siciliana da parte dell’amministrazione centrale; per lo svecchiamento delle scuole superiori, attraverso il potenziamento delle materie tecniche e scientifiche; per il rilancio dell’università, grazie alla riduzione delle tasse, alla nomina di nuovi docenti e allo stanziamento di un fondo di 6 milioni di lire in favore degli atenei di Palermo, Catania e Messina.
Anche in considerazione di questo impegno, in vista del plebiscito Ugdulena fu designato come presidente del Consiglio straordinario di Stato per la Sicilia, un organo incaricato di esprimere le modalità dell’annessione dell’isola al resto d’Italia, mediando fra le ragioni degli autonomisti e i progetti di accentramento piemontesi. Le indicazioni del Consiglio rimasero lettera morta, ma l’esperienza si rivelò per Ugdulena un’ulteriore occasione di maturazione, proiettandolo verso la dimensione nazionale: il sacerdote – che a partire dal luglio del 1860 aveva ripreso l’attività di docente universitario e a ottobre dello stesso anno era stato nominato preside della facoltà di teologia di Palermo – fu candidato alla Camera dei deputati per il collegio di Marsala. La campagna elettorale fu molto dura: accusato in un pamphlet anonimo di essere l’estensore della lettera filoborbonica dell’arcivescovo Giovanni Battista Naselli, Ugdulena si convinse che dietro l’attacco ci fosse la regia di Giuseppe La Masa, candidato nel collegio termitano, e contro di lui scrisse una lettera, «Un utile avvertimento agli elettori del Collegio di Termini», edita sulle colonne del Precursore (24 gennaio 1861). Allo scritto seguì la risposta del suo rivale e quindi un’aspra polemica sulle sorti della Sicilia all’interno della compagine nazionale, destinata a concludersi solo in seguito all’elezione di entrambi.
Entrato in Parlamento tra le file democratiche, Ugdulena si distinse per la difesa dell’esperimento garibaldino dagli attacchi della destra. Rinunciò all’insegnamento universitario – in quel frangente incompatibile con la presenza alla Camera – e nel 1862 fu relatore della legge Corleo per l’eversione dell’asse ecclesiastico siciliano. Nello stesso anno seguì l’evoluzione della crisi del Partito d’azione, sfociata nei fatti d’Aspromonte: «Veggo l’Italia disfarsi a vista d’occhio» (Sansone, 1886, p. 102), scrisse ai fratelli dopo l’arresto di Garibaldi, temendo per la salute del generale ma condannando l’incapacità operativa dei democratici e avvicinandosi all’ala liberal-moderata.
Il passaggio alla maggioranza coincise con nuove sfide: nello stesso 1862 Ugdulena diede alle stampe il secondo tomo della Santa Scrittura (ricevendo il plauso di Alessandro Manzoni), nel 1863 collaborò all’Enciclopedia popolare italiana con una voce su Palermo, nello stesso anno riprese la cattedra di ebraico e fu nominato componente del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Intanto proseguì l’impegno parlamentare: inizialmente membro della Commissione per la legge sulla soppressione delle corporazioni religiose (progetto Vacca), lasciò poi l’incarico per divergenze con gli altri componenti, entrò a far parte dell’organo esaminatore del testo e in aula ne denunciò le finalità distorte, orientate a una riforma morale della Chiesa piuttosto che alle originarie motivazioni economiche. Inoltre, nella primavera del 1865 il sacerdote ammonì i suoi colleghi sulle conseguenze della soppressione dei circuiti assistenziali cattolici per la tenuta dell’ordine pubblico: i suoi emendamenti furono accolti (nonostante l’intero progetto fosse respinto di lì a poco) e le sue parole anticiparono i temi che sarebbero tornati all’ordine del giorno dopo la rivolta palermitana del settembre del 1866, detta del Sette e mezzo dalla sua durata.
Nelle elezioni dell’ottobre del 1865, Ugdulena, candidato per il collegio di Termini, fu battuto da La Masa. All’indomani di quella sconfitta subì la sospensione a divinis e dovette rinunciare al sacerdozio, al termine di un lungo scontro con la S. Sede riguardo al suo impegno parlamentare.
Ugdulena proseguì comunque nelle sue attività professionali e politiche: scelse di rimanere a Firenze, dove si era trasferito dopo lo spostamento della capitale; qui fu chiamato, alla fine del 1867, a insegnare lingua e letteratura greca presso l’Istituto di studi superiore; tre anni più tardi, nelle elezioni del 1870, riuscì a essere rieletto alla Camera, dove prese parte al dibattito sulla legge delle Guarentigie, appoggiandone i principi generali ma insistendo affinché lo Stato non rinunciasse alla nomina dei vescovi. La discussione del testo avvenne tra Firenze e Roma, la nuova capitale. Gregorio ancora una volta si trasferì per seguire da vicino i lavori parlamentari e a ottobre del 1871 ottenne la cattedra di lingua, letteratura ebraica e Santa Scrittura dell’Università La Sapienza. Intanto proseguì gli studi: a novembre di quell’anno il Bullettino della Commissione di Antichità pubblicò il suo Sopra l’iscrizione soluntina, in cui polemizzava con Adolf Holm sull’interpretazione di un’iscrizione ritrovata a Selinunte.
La sua salute, tuttavia, peggiorava: il 2 giugno 1872 si ammalò di coliche e dopo cinque giorni di agonia si spense. Le sue spoglie giunsero a Termini il 13 giugno e ricevettero un’accoglienza tiepida, soprattutto da parte del clero. Solo due anni più tardi la città eresse un monumento alla sua memoria.
Fonti e Bibl.: Il corpus principale delle Carte Ugdulena è andato perduto e restano solo alcuni documenti custoditi dai discendenti. È comunque possibile riscostruire la sua biografia attraverso numerose fonti: per la vicenda ecclesiastica cfr. Palermo, Archivio diocesano, ad nomen; sull’attività accademica cfr. Palermo, Archivio storico dell’Università, ad nomen, e Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Processi verbali, 1866, vol. I; per le vicende politiche del periodo 1848-61 cfr. Archivio di Stato di Palermo, Ministero Luogotenenziale di Polizia, ad annum (in partic. bb. 520-525, 652), e Ministero per gli Affari di Sicilia, Polizia (in partic. bb. 1170-1177); Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite, Ministero della Guerra, Archivio Militare di Sicilia, bb. 75-80, 1223-1225; sull’attività parlamentare nel 1848 cfr. Le Assemblee del Risorgimento, I-IV, Roma 1911, I, pp. 46, 66, 117-125, 225-229, 279, 312, 380-383, 391-395, 486, 694, 815-827, 1440-1442, II, pp. 50 s., 384, 402, 423, III, pp. 653-658; per il periodo 1861-72 cfr. Archivio storico della Camera dei deputati, Disegni e proposte di legge e incarti delle commissioni, voll. 15, 22, 34 s., 39, 43-49, 144, 146, 916. Alcuni suoi manoscritti inediti si trovano presso la Biblioteca comunale di Palermo, la Società di storia patria di Palermo (sala Lodi) e la Biblioteca centrale della Regione siciliana, che custodisce anche un suo carteggio con Michele Amari del periodo 1858-72 (sala Manoscritti, Carteggio Amari, vol. XCIV, nn. 8185-8201). Fra i profili biografici, oltre alla sua Autobiografia, a cura di U.A. Amico, Catania 1909, si segnalano: I. Carini, Di G. U. e delle sue opere, Palermo 1872; F. Ciofalo, Elogio funebre di G. U., Palermo 1872; A. Sansone, Vita politica di G. U., Palermo 1886; I. Carini, G. U. e gli studi biblici, Roma 1890; R. De Mattei, Tre cattolici siciliani di estrema sinistra al primo Parlamento italiano, in Storia e Politica, 1963, n. 4, pp. 461-491; B. Palumbo, G. U., in Il Risorgimento in Sicilia, III (1967), pp. 528-570 e IV (1968), pp. 126-209; G. De Stefani, G. U. nel Risorgimento italiano (1815-1872), Palermo 1980.