Gregorio XI
Pierre Roger, ultimo papa francese, nacque a Rosiers d'Égletons (Francia, Corrèze), nel Limosino, intorno al 1330, dal nobile Guillaume I, vassallo o ufficiale dei signori di Ventadour, divenuto conte di Beaufort (1347), e da Marie de Chambon. Lo zio Pierre Roger, già abate benedettino di Fécamp, e abile teologo al servizio del re di Francia, fu rapidamente trasferito da Giovanni XXII dalla sede episcopale di Sens a quella di Rouen, che entrò a far parte, per così dire, del patrimonio familiare. Questo zio fu creato cardinale (1338) da Benedetto XII, prima di essere elevato al pontificato con il nome di Clemente VI (maggio 1342). Il nuovo papa nominò senza indugio il piccolo Pierre - che aveva cinque fratelli, cinque sorelle e tre fratellastri - canonico di Rouen, dotandolo di una prebenda vacante in seguito alla morte del cardinale Napoleone Orsini. Fu anche canonico a Parigi, di cui divenne arcidiacono. La prima nomina di cardinali da parte di Clemente VI (20 settembre) vide inclusi il fratello Hugues, il nipote Guglielmo de la Jugie, Étienne Aubert (futuro Innocenzo VI), Guy de Boulogne. Qualche mese più tardi, Clemente VI nominò suo zio Nicolas Roger, benedettino, all'arcivescovato di Rouen, poi nel 1348 suo nipote Pierre decano di Bayeux. Fu l'unico cardinale della nomina del 29 maggio 1348 (diaconia di S. Maria Nuova, titolo che mantenne sempre), circostanza che poteva apparire come il coronamento di una carriera all'età di diciotto anni! Dopo gli esordi universitari ad Angers, Clemente VI volle incoraggiare certamente il talento del nipote mandandolo a studiare diritto civile e diritto canonico nella celebre Università di Perugia. Qui Pierre seguì i corsi di Pietro, fratello di Baldo degli Ubaldi, e di questa formazione il giovane cardinale conservò il gusto per le discussioni speculative; seppe inoltre circondarsi di insigni canonisti.
Arcidiacono di Rouen nel 1350 per merito dello zio, il cardinale Pierre deteneva diciotto dignità di questa natura (l'arcidiaconato all'epoca costituiva il beneficio cardinalizio per eccellenza), oltre a diciotto altri benefici, fra cui cinque priorati benedettini: possedeva dunque una ricchezza che spiega una carriera precoce ma già lunga, favorita dallo zio e da Innocenzo VI. Urbano V aveva applicato, nei suoi confronti, la stessa parsimonia mostrata nella distribuzione dei benefici a gran parte dei membri del Sacro Collegio, imponendogli alcune rinunce per ottenerne di nuovi.
Innocenzo VI sembra aver sfruttato modestamente i suoi talenti (sia detto con riserva, dato che si attende il completamento dell'edizione delle lettere segrete disponibile fino al 1356 compreso), ma Pierre partecipò al viaggio di Urbano V in Italia (maggio-giugno 1367), scegliendo come il cugino cardinale Nicolas de Besse di spostarsi non per mare ma via terra. All'epoca aveva appena accolto nella sua "familia" il canonista Gilles Bellemère, uno dei suoi numerosi cappellani, come Guillaume Noëllet (anche uditore del cardinale) e Pierre Flandrin, entrambi uditori di Rota, e Pierre de la Vergne.
In precedenza, insieme ad altri quattro confratelli, è promotore in Curia degli affari della regina di Napoli (novembre 1365). Oltre ad occuparsi dei processi che arrivavano al tribunale apostolico, Urbano V, una volta giunto in Italia, lo incaricò di svolgere un'indagine sulle risorse del priorato benedettino di S. Plan di Colonero a Messina, che chiedeva di essere eretto ad abbazia (1368), e di ricomporre il conflitto tra "l'imperatore" Luigi di Taranto e Francesco del Balzo duca di Andria (luglio 1368), con la collaborazione di Guillaume Sudre e di Guillaume d'Aigrefeuille "il Vecchio". Quando l'imperatore Carlo IV assegnò a Guy de Boulogne il titolo di vicario imperiale a Lucca per tre anni, diede al papa la facoltà di scegliere come successore, nel caso Guy fosse deceduto nel frattempo, tra i cardinali Guillaume d'Aigrefeuille "il Vecchio" e Pierre Roger (giugno 1369). Con i due Guillaume già menzionati e Nicolas de Besse, nel febbraio 1369 Pierre fu incaricato di esaminare il progetto di trattato fra Federico di Trinacria e la regina Giovanna, che trovò attuazione dopo la sua ascesa al pontificato. Mentre era arciprete nella basilica di S. Giovanni in Laterano, Urbano V gli chiese di destinare al suo restauro metà delle elemosine che non spettavano ai canonici (luglio 1368), poi quelle che l'arcivescovo di Capua aveva ricevuto per la sua chiesa in seguito a false lettere di indulgenza, tramite una transazione che raggiunse i 500 fiorini (primavera 1370); nell'aprile 1374, divenuto papa, G. versò allo stesso scopo 800 fiorini. Come la maggior parte dei suoi confratelli, fu esecutore testamentario di cardinali, per esempio di Elie de Saint-Yrieix (deceduto nel maggio 1367), di Gil Albornoz (deceduto nell'agosto 1367), dei cugini Nicolas de Besse (morto nel 1369) e Guillaume de la Jugie (morto nel 1374).
Rientrato ad Avignone con Urbano V, alla morte di quest'ultimo entrò in conclave con sedici suoi confratelli (tre erano rimasti in Italia), il 29 dicembre 1370, e ne uscì eletto papa il giorno successivo, grazie al presunto intervento di Luigi duca d'Angiò, ambizioso fratello del re di Francia Carlo V e prossimo alla Sede pontificale a causa della luogotenenza da lui esercitata dal 1364 in Linguadoca per conto del sovrano. L'ambiguità dei rapporti tra i due dipendeva forse dall'ascendente che il principe aveva sul papa, pur essendo più giovane di dieci anni. Dopo l'ordinazione presbiterale necessaria per la dignità del nuovo pontefice, rimasto negli ordini minori, G. ricevette la tiara il 3 gennaio 1371 dalle mani di Guy de Boulogne, vescovo di Porto, il quale aveva pronunciato l'orazione funebre di Urbano V.
Dopo aver attraversato la città in modo fastoso, con Luigi d'Angiò che teneva il cavallo di G. per le briglie, il successivo banchetto riunì intorno al papa i tre fratelli di Carlo V - Luigi, Giovanni duca di Berry e Filippo duca di Borgogna. Quello stesso giorno il pontefice pubblicò la canonizzazione di Elzéar de Sabran, secondo quanto aveva deciso il suo predecessore, figlioccio del nuovo santo. Seguì la collazione di benefici e grazie ai familiari, a cui fu associato Pierre Flandrin, divenuto referendario: parteciparono, in veste di cardinali, ai primi benefici conferiti dal papa il cugino Guillaume de la Jugie, Pietro Corsini, Philippe Cabassole, l'anziano Raymond de Canillac, Guillaume Sudre, vescovo di Ostia; al tempo stesso, fecero riservare benefici ai propri familiari Guy de Boulogne, Guillaume d'Aigrefeuille, Rinaldo Orsini. Quaranta giorni dopo il decesso del cardinale Bernard du Bousquet, già arcivescovo di Napoli, G. assegnò la porpora a dodici prelati, una promozione cospicua che superò perfino la prima di Clemente VI: tra di essi si annoveravano Pierre Flandrin, Guillaume Noëllet, il limosino Pierre de la Vergne, suoi antichi familiari, ma anche i cugini Jean de Cros e Jean Le Fèvre, Bertrand de Cosnac, anch'egli limosino, Roberto di Ginevra, nipote di Guy de Boulogne, Pedro Gomez de Barroso (parente del cardinale Albornoz), Iacopo Orsini.
Il papa si dovette misurare ben presto con gravi problemi contingenti: la tesoreria della Santa Sede era vuota e il 12 gennaio G. esortò la regina Giovanna a versare il censo di 10.000 fiorini a Pierre d'Estaing e/o ad Anglic Grimoard, mentre il terzo cardinale rimasto in Italia, Philippe Cabassole, il più valente consigliere di Urbano V, fu nominato vicario generale "in nonnullis terris Italiae". Come la ripresa della guerra dei Cent'anni aveva riportato Urbano V ad Avignone, così la speranza di ristabilire la pace tramite i legati che facevano la spola fra la residenza sul Rodano e le Fiandre o l'Aquitania, indusse G. a rinviare il suo rientro a Roma, più volte annunciato e puntualmente ritardato. In effetti, fra le estati del 1373 e del 1375 in Italia imperversò la peste, che tuttavia non risparmiò neppure il Contado Venassino, costringendo il pontefice a rifugiarsi a Villeneuve-lès-Avignon e ancora più lontano, a Salon-de-Provence (aprile-maggio 1374). Il fratello Roger, signore di Rosiers, e il nipote Hugues de la Roche erano stati fatti prigionieri dagli inglesi nel 1370, ma solo alla fine del pontificato G. poté considerare prossima la loro liberazione. Il cardinale Jean de Dormans, cancelliere di Carlo V, che non aveva lasciato la corte reale, godeva della posizione migliore per vigilare, insieme ad altri tre arcivescovi della Francia settentrionale, sulla riscossione delle decime accordate da Urbano V al sovrano per due anni (e che G. prolungò a tre). Il cardinale fu associato al confratello Simone di Langham per cercare una soluzione di pace, ma l'inglese si vide proibire dal proprio sovrano l'ingresso nell'isola (luglio 1371). Anche in novembre il papa rinnovò la loro missione. Edoardo III colse l'occasione per protestare contro il sussidio caritativo di 100.000 fiorini imposto nel 1372 (un accordo provvisorio fu raggiunto nel dicembre 1373, con l'intento di tenere in maggior considerazione i desideri dei Capitoli e del re nella collazione dei benefici). Il papa faceva senz'altro affidamento sulla sostituzione dei suoi legati con il proprio fratello, Guillaume de Beaufort, visconte di Turenna, con il vescovo di Carpentras Guillaume de Lestrange, un limosino imparentato con la famiglia de Besse (che fu nominato arcivescovo di Rouen nel dicembre 1375), e con Adhémar d'Aigrefeuille, maresciallo di corte (aprile 1372).
Poiché nelle conferenze di Bruges, inaugurate all'inizio del 1373 e presidiate fastosamente da Filippo l'Ardito, duca di Borgogna e conte di Fiandra, le trattative non progredivano, il papa in aprile richiamò i suoi inviati. In agosto affiancò a Lestrange l'arcivescovo di Ravenna, Pileo da Prata, e in nome del pontefice che interveniva come "persona privata", a differenza dei suoi predecessori, essi ottennero dal duca di Lancastre che stava devastando il Limosino - il "principe nero" del Galles e di Aquitania, ormai esaurite le sue risorse, aveva abbandonato il continente nel gennaio 1373 - e da du Guesclin una sospensione delle ostilità (tregua di Périgueux), che peraltro Carlo V respinse, essendo in netta avanzata nella sua riconquista del Sud-Ovest (marzo 1374). Fu comunque conclusa a Bruges una tregua di un anno, nel giugno 1375, un autentico "maneggio" (J. Favier) in cui Jean de la Grange, vescovo di Amiens ricompensato con il cardinalato a fine anno, era schierato dalla parte del re di Francia: i legati proponevano che il re d'Inghilterra mantenesse la sovranità sullo Stato d'Aquitania mentre era in vita Edoardo III e che la regione, in seguito, divenisse un semplice feudo del re di Francia. Alla fine dell'anno Lestrange e Pileo da Prata erano sempre riuniti a Bruges, oltre la scadenza che il papa aveva dato ad intendere alla regina Giovanna per ottenere le galere reali promesse per il viaggio alla volta di Roma. Alla ripresa delle conferenze, nel luglio 1376, il papa considerava sempre Guillaume de Lestrange e Pileo da Prata i suoi mediatori più validi, ma con la morte di Simone di Langham, avvenuta ad Avignone, perse un importante sostegno. Il Sacro Collegio non contò più nessun isolano fra i suoi membri fino allo scozzese Walter Wardlaw, nominato da Clemente VII (1383). I grandi avversari di Carlo V della famiglia dei Plantageneti scomparvero: il "principe nero" nel giugno 1376 e re Edoardo nel giugno 1377, poco dopo aver ricevuto dal papa la condanna delle diciannove proposizioni di John Wyclif, teologo e negoziatore a Bruges per conto di Jean de Lancastre, ma soprattutto appassionato accusatore degli abusi della Chiesa, una condanna associata a minacce contro l'Università di Oxford che aveva tollerato il suo allievo ribelle. Alcune concessioni reciproche in materia di benefici e in campo giudiziario sembrarono riavvicinare i due uomini, senza tuttavia porre fine alle recriminazioni del clero e del popolo (settembre 1375 e febbraio 1377).
L'assegnazione di decime frequentemente rinnovata a Carlo V non fu sufficiente ad appianare tutte le difficoltà fra il papa e il sovrano: erano in gioco le libertà della Chiesa gallicana. Nel marzo 1372 il re aveva emesso un'ordinanza con cui sottraeva alle giurisdizioni ecclesiastiche la conoscenza di tutte le azioni "reali"; G. chiese al cardinale cancelliere Jean de la Grange di intervenire. La situazione si inasprì fra il balivo reale di Rouen e l'arcivescovo Philippe d'Alençon nella primavera del 1373. Il papa incaricò il confessore del re, Pierre de Villiers, di assumere personalmente i peccati commessi dal sovrano nel caso la situazione si aggravasse. Jean de Dormans morì in novembre e il conflitto a proposito di Rouen si prolungò fino all'agosto 1375: seppur perdonato, l'arcivescovo fu comunque allontanato e promosso patriarca di Gerusalemme, con l'amministrazione dell'arcidiocesi di Auch. Alla fine del pontificato G. rifiutò al re il suo trasferimento al patriarcato di Aquileia, come pure l'erezione di Parigi ad arcivescovato richiesta a favore di Aymeri de Maignac.
G. dovette affrontare in Italia una situazione ancora più critica che all'epoca del suo predecessore. La lotta contro il nemico ereditario, il Visconti, esigeva un più rigoroso inquadramento degli Stati della Chiesa, che scatenò la conseguente ribellione delle città pontificali e circonvicine (ottanta nel corso del 1373). La Repubblica di Firenze, tradizionale alleata della Chiesa, ne approfittò per formare una lega contro il papa. A Roma il popolo e le autorità reclamavano la punizione dei Prefetti di Vico. L'alleato più sicuro del pontefice, il "conte verde" di Savoia, curava soprattutto i propri interessi in Piemonte, mentre i porti di Genova e di Venezia vigilavano gelosamente affinché fossero tutelati i loro commerci. Sul fronte napoletano non cessavano gli intrighi familiari alla corte della regina Giovanna, ma il papa ebbe la soddisfazione di modificare secondo i propri intenti il trattato che regolava le sorti della Sicilia (Regno di Trinacria). Negli Stati della Chiesa, alla morte di Urbano V, i cardinali che si trovarono investiti di ampi poteri furono Anglic Grimoard, fratello del papa defunto, Philippe Cabassole, suo uomo di fiducia in tutte le missioni più difficili, e Pierre d'Estaing, che non aveva ancora compiuto quarantacinque anni. Questi propose senza indugio al nuovo papa una riforma strutturale del potere, che tendeva a rendere unitaria, come all'epoca di Albornoz - sotto Innocenzo VI - una legazione comprendente la Marca Anconetana, il Ducato di Spoleto, il Patrimonio e le province di Campagna e Marittima. Il papa non sottoscrisse il progetto, ma di fatto Pierre soppiantò Anglic a Bologna, "avanguardia del papato contro i Visconti" (L. Mirot, La politique pontificale), città in cui il papa fondò il suo collegio "gregoriano" e nominò vescovo Bernard de Bonneval, trasferito da Rimini, per la sua lunga esperienza di uditore delle cause spirituali; Anglic si rallegrò comunque di essere richiamato ad Avignone (giugno 1371).
Philippe Cabassole fu confermato nei suoi poteri a Perugia da quarantuno bolle (4 luglio) e in questa città proseguì nella costruzione della cittadella, fino alla morte sopraggiunta il 27 agosto 1372. Fu sostituito da Géraud du Puy, abate di Marmoutiers, che concentrò truppe a Spoleto all'inizio del 1374, mentre il nuovo cardinale Guillaume Noëllet esercitava le funzioni di vicario generale a Bologna. L'atteggiamento rigido e inetto dei due prelati che bloccava l'uscita delle granaglie dal Patrimonio nei periodi di carestia, a dispetto delle raccomandazioni del papa (agosto-ottobre 1372), fu uno degli argomenti invocati da Firenze in rivolta. I Senesi rifiutarono di dare il loro contributo alla lotta contro i Vico. Nel luglio 1375 la ribellione di Prato, pretestuosamente suscitata dal legato di Romagna Guillaume Noëllet, indusse Firenze a formare una lega con i Visconti, a cui si aggiunsero Siena, Pisa e Lucca. Il papa in un primo tempo chiese soccorso sia a Federico di Trinacria che alla regina Giovanna, esprimendo la sua amarezza: "Amaritudinem amarissimam Sancte Romane Ecclesie […]" (dicembre 1375), e ordinò all'arcivescovo di Napoli, Bernard de Rodes, di perseguire gli abitanti che avessero commerciato con i Fiorentini o prestato loro aiuto. Cristoforo da Piacenza, procuratore dei Gonzaga-Mantova presso il papa, riferisce che essendo stata posta su di loro una taglia di 30.000 franchi ad Avignone, ne pagarono 20.000 il giorno seguente rimanendo sotto la minaccia di sequestro. La collera delle popolazioni ricadeva non solo sulle esazioni dei prelati francesi, ma anche di numerosi ufficiali pontifici, come testimoniano i tumulti di Viterbo contro Angelo Tavernini (1374) e la loro espulsione da Orte e Narni. I Fiorentini, esortati dal loro cancelliere Coluccio Salutati, scrissero ai Romani che l'Italia era "inondata" dai Francesi, che "divorano, in suo nome, i suoi beni e succhiano il suo sangue". Alla fine del 1375, quando Francesco e Battista di Vico si erano impadroniti della fortezza di Viterbo, in seguito rasa al suolo, e Perugia si era arresa dopo la fuga dell'abate Géraud du Puy, G. nominò come riformatore delle città ribelli il rettore del Patrimonio, Niccolò Spinelli di Giovinazzo, che aveva già percorso una brillante carriera: docente di diritto a Bologna, all'epoca di Innocenzo VI, era stato creato cavaliere da Urbano V nel 1368, nominato procuratore, consigliere e poi cancelliere della regina Giovanna, nonché rettore e siniscalco di Provenza nell'agosto 1370. Dirottato verso Firenze, fu sostituito all'inizio del 1376 dal cardinale Pierre Flandrin. Il papa attribuì quindi a Francesco Tebaldeschi, cardinale romano (1368, creato da Urbano V), ampi poteri in qualità di vicario generale ratificandoli con sessantasei bolle.
Le operazioni militari negli Stati della Chiesa non possono essere disgiunte dalla guerra provocata da Firenze, detta degli "Otto Santi". La costituzione Crescit facile (perduta) conteneva la condanna di Firenze, pur risparmiando gli abitanti di Prato, Pistoia, San Miniato; venne pubblicata in Concistoro contemporaneamente al processo che decretava l'espulsione dei Fiorentini da Avignone (31 marzo 1376), decisione trasmessa in aprile a tutti gli ecclesiastici. G. arruolò i Bretoni di Sylvestre Budes - una presenza indesiderabile sotto le mura di Avignone - ossia un contingente di circa diecimila uomini sotto il comando di Roberto di Ginevra. Il cardinale, al quale furono conferiti i più ampi poteri, anche su tutti gli intendenti delle finanze dell'Italia papale (in maggio, poi estesi in settembre alle decisioni riguardanti la giustizia), entrò a Modena, devastò le campagne di Bologna che da marzo era in rivolta contro Guillaume Noëllet, ma non riuscì a riconquistare la città (neppure con il complotto ordito a settembre dal marchese d'Este-Ferrara che fallì). Gómez de Albornoz, nipote del grande cardinale, vicario da dodici anni di Ascoli Piceno nella Marca Anconetana, aveva assistito alla ribellione della città in febbraio e si era rifugiato nella cittadella, che comunque aveva dovuto abbandonare in dicembre. Nell'estate 1376 erano giunti ad Avignone gli ambasciatori fiorentini, rigidamente sorvegliati dal papa, i quali furono invitati a comparire il 1° ottobre, quasi alla vigilia della partenza della Corte per l'Italia. In novembre, all'epoca del rischioso viaggio della Corte, Firenze comunicò ai cardinali che non avrebbe consentito il passaggio sulle sue terre. Roberto di Ginevra guidò il massacro degli abitanti di Cesena (oltre quattromila morti, nel febbraio 1377), mentre John Hawkwood, ormai libero dagli impegni nei confronti della Chiesa, aderiva alla lega fiorentina. Pierre d'Estaing dovette venire anche in soccorso a Montefiascone assediata da Giovanni di Vico (maggio). Alla sua morte, il 25 settembre, l'orizzonte si era lievemente rischiarato: in marzo Bologna aveva sottoscritto una tregua, trasformata in pace il 4 luglio, e soprattutto il capitano generale di Firenze Rodolfo da Verano, signore di Camerino, aveva rinunciato alla sua carica per riavvicinarsi al papa, che lo nominò vicario generale (giugno). Indizio di un'epoca feconda di repentine inversioni di rotta sul piano politico e militare, fu Bernabò Visconti a presiedere, in qualità di mediatore, la conferenza di Sarzana in Liguria, per concludere la pace fra la Chiesa rappresentata da Jean de la Grange e Firenze, nel momento in cui moriva G. (marzo 1378).
Per riuscire a schierare dalla propria parte l'abile Bernabò Visconti fu necessaria l'intera durata del pontificato. Nei primi mesi del 1371 Bernabò minacciò Nicola II d'Este-Ferrara - e il papa gli contrappose Anglic Grimoard e poi Pierre d'Estaing - e si impadronì di Reggio Emilia. Fu sufficiente per indurre il governo pontificio a formare una lega simile a quella che aveva riunito nell'ottobre 1369 Firenze e la regina Giovanna. L'imperatore Carlo IV aveva ordinato al Visconti di presentarsi a Norimberga. Ostile al Visconti per le pretese avanzate sui Marchesati di Saluzzo e del Monferrato, Amedeo VI conte di Savoia divenne per conto del pontefice il capitano generale della lega, conclusa per tre anni il 7 luglio 1372, in seguito alla disfatta di Rubiera (presso Modena), nel mese precedente, delle truppe della Chiesa al comando del marchese d'Este. Al "conte verde" G. affiancò suo fratello, Nicolas Roger de Beaufort, e suo nipote, Raymond de Turenne; Pierre d'Estaing disponeva dei rinforzi di Enguerrand IV di Coucy e di John Hawkwood, che alla fine dell'anno riportò una vittoria nella regione di Piacenza. Allora fu necessario dissuadere Alberto duca d'Austria dalle nozze con una figlia di Galeazzo Visconti e condannare solennemente e in accordo con l'imperatore gli avversari: è quanto accadde in settembre, con l'aggravante della dichiarazione di spergiuro e della decadenza dal rango di cavalieri (marzo 1373). La regina Giovanna, come i suoi predecessori angioini, voleva esercitare dei diritti sul Piemonte: il conte di Savoia accettò quindi di restituire Cuneo di cui si era impadronito. È nel quadro di questa riconquista che la regina versò nelle casse pontificie 20.000 fiorini (estate 1373). Il papa continuava ad essere allo stremo dal punto di vista finanziario, malgrado la decima triennale imposta all'inizio di questa guerra: un inconveniente più che giustificato, se si considera che Hawkwood offriva i suoi servigi per un compenso annuo di 24.000 fiorini (1376, guerra degli "Otto Santi"). Nel maggio 1373 Coucy e Hawkwood furono vittoriosi a Montichiari, consentendo così a G. di respingere gli ambasciatori milanesi e di redarguire Luigi d'Angiò che si era schierato dalla loro parte: "malus homo", secondo l'espressione di Cristoforo da Piacenza (Natale). Per impadronirsi di Vercelli il papa si rivolse ad un cavaliere ed avventuriero di cui aveva stima, Ottone duca di Brunswick; allora il conte di Savoia, che non intendeva guastare ulteriormente i rapporti con i Visconti - Galeazzo era suo cognato - chiese al papa di liberarlo dalla carica di capitano il 30 aprile 1374, e in luglio G. dovette avvalersi nei negoziati con gli emissari dei Visconti ad Avignone dei buoni uffici del conte, a fianco di Pierre de Cros, cameriere (dopo la morte di Arnaud Aubert, giugno 1371) e fratello del cardinale Jean e, secondo Cristoforo, dei cardinali Gilles Aycelin de Montaigu e Pierre Flandrin. Pierre d'Estaing e Guillaume Noëllet furono incaricati di organizzare una tregua, ma l'alternativa fra la guerra e la pace fu una questione dibattuta all'interno dal Sacro Collegio: il primo era favorevole a schiacciare il nemico ereditario, Roberto di Ginevra alla tregua (novembre). Alla fine, nel 1375, di fronte alle devastazioni subite dalla Toscana ad opera di Hawkwood, e al crescente malcontento delle popolazioni, Guillaume Noëllet fu autorizzato a sottoscrivere una tregua di un anno, con il conte di Savoia fra gli arbitri (giugno); in seguito, poiché Visconti aveva manifestato diffidenza nei confronti della lega fiorentina e aveva inviato ad Avignone il genovese Antonio Doria, il papa chiese a Pierre d'Estaing di esaminare accuratamente le condizioni per concludere la pace (giugno 1376).
Sul fronte del Regno di Napoli, per vigilare sui comportamenti imprevedibili della regina Giovanna, G. poteva contare su collaboratori fidati, oltre ai nunzi che inviava occasionalmente: tra questi, il grande ufficiale reale Niccolò Spinelli, benché più presente in questo periodo sui campi di battaglia, il cameriere Raimondo del Balzo, conte di Spoleto, l'arcivescovo Bernard de Rodes, il vescovo di Sarlat Jean de Réveillon. In seguito ad azioni intraprese contro il conte di Provenza da Luigi d'Angiò, luogotenente generale di Carlo V in Linguadoca, all'epoca del soggiorno italiano di Urbano V, fu Spinelli a ratificare una pace perpetua per conto della regina, nell'aprile 1371, mentre Luigi era rappresentato dal suo cancelliere Guillaume de Chanac, vescovo di Mende, e dal referendario papale Pierre Flandrin, entrambi creati cardinali di lì a poco.
Mentre difendeva presso i reali di Aragona Pietro IV ed Eleonora l'integrità del Regno di Sicilia, il papa cercò comunque di riavvicinare le dinastie angioina ed aragonese con un matrimonio: dopo il fallimento della progettata unione fra Maria di Taranto e Ottone di Brunswick, riuscì a portare a buon fine le nozze tra Federico di Trinacria e Antonia del Balzo, figlia del duca d'Andria e imparentata con la regina (novembre 1372); inoltre caldeggiò il matrimonio di una figlia del conte di Fondi, un Caetani, con un marchese di Monferrato, e approvò le quarte nozze dell'anziana regina Giovanna, vedova di Giacomo di Maiorca dal gennaio 1375, la quale alla fine di dicembre dello stesso anno si unì ad Ottone di Brunswick. Nel secondo semestre del 1372 la Curia fu impegnata nella revisione del progetto di trattato dinastico, e Jean de Réveillon ebbe l'incarico di farsi portavoce a Napoli delle intenzioni pontificie: Federico si vide riconosciuto il titolo di re di Trinacria insieme al possesso dell'isola; era vincolato al giuramento di fedeltà non solo alla regina Giovanna ma anche al papa; il censo di 3.000 onze d'oro sarebbe stato versato alla regina; le figlie ammesse alla successione; in caso di devoluzione alle dinastie lombarda o germanica, previo benestare del pontefice, il potere sovrano sarebbe stato limitato all'isola (una sola Corona). L'intervento di G. era stato mirato a riservarsi la reggenza in caso di minorità, a restaurare le libertà ecclesiastiche, a far uscire il grano dall'isola. La regina prestò giuramento nel marzo 1373, il re di Trinacria nel gennaio 1374 e l'interdetto fu revocato nel dicembre dello stesso anno. Il papa si era ampiamente ispirato alle convenzioni di Bonifacio VIII (1303), ma la subinfeudazione conferiva al trattato un carattere umiliante per il re di Trinacria.
Oltre al reciproco aiuto nelle operazioni militari in Piemonte e alle richieste di sussidi e di galere in previsione del ritorno in Italia, gli interventi del pontefice presso la regina miravano a sostenere alcune famiglie, soprattutto in occasione delle successioni: fu questo il caso di Luigi di Navarra, fratello di re Carlo il Malvagio e amministratore dei beni della moglie Giovanna duchessa di Durazzo; di Filippo di Taranto, l'"imperatore", invitato a restituire Avellano al figlio del conte omonimo (famiglia del Balzo); della sorella di Filippo, Margherita duchessa d'Andria, che dopo la morte di quest'ultimo ebbe un conflitto di interessi di successione con la regina di Napoli, per la cui soluzione fu inviato François de Cardaillac, vescovo di Cavaillon; dell'abate di Montecassino, in balia di monaci disobbedienti. Inoltre il papa scese in campo contro i Genovesi del suo Regno perché minacciavano Cipro, per riconciliare Francesco del Balzo duca d'Andria con i Sanseverino, per la successione di Guillaume de Sabran, rettore del vescovato sardo di Anglona, in cui era coinvolto il vescovo di Chieti Elzéar de Sabran.
Il pontefice accordò il suo sostegno morale all'imperatore Carlo IV nel conflitto con i Visconti. Tuttavia il mondo germanico manteneva una posizione marginale nell'orizzonte dell'azione politica del papato, ancora segnato dallo scisma di Pietro Rinalducci (l'antipapa Niccolò V) provocato da Ludovico il Bavaro, come pure a livello locale dalle lotte fra ghibellini e guelfi: di conseguenza, da secoli, il Sacro Collegio non accoglieva cardinali originari di questa nazione. Forse il trasferimento di Giovanni del Lussemburgo da Strasburgo alla metropoli di Magonza fu un gesto gradito all'anziano imperatore, ma la diplomazia pontificia solo con difficoltà riuscì ad avere ragione dell'opposizione del clero contro una fiscalità ancora più pesante che in Inghilterra. Così, nel 1372, gli ecclesiastici delle regioni di Colonia, Bonn, Xanten, Soest e Magonza strinsero un patto reciproco di resistenza ad una nuova decima. Carlo IV trasferì indubbiamente l'affetto che aveva nutrito per Clemente VI su suo nipote Pierre Roger, come testimonia la raffigurazione di quest'ultimo, inginocchiato dietro Urbano V, sul reliquiario di Praga destinato a custodire il frammento ligneo della Croce donato dal papa a Carlo in occasione della sua visita a Roma nel 1368. Ma l'imperatore esibì un comportamento disinvolto allorché, dovendo assicurare senza indugio la successione al figlio Venceslao, prevenne l'intenzione del papa di intervenire sulle modalità dell'elezione: G. morì senza averla riconosciuta.
Nella penisola iberica l'ascesa al trono di Castiglia di Enrico di Trastamara, in seguito all'assassinio del fratellastro Pietro il Crudele (1369), aveva suscitato tensioni con il re d'Aragona Pietro il Cerimonioso, con Carlo il Malvagio re di Navarra e con Ferdinando I re del Portogallo, in quanto il nuovo sovrano non aveva mantenuto le promesse territoriali fatte in precedenza. G. inviò allora i suoi emissari Agapito Colonna, che nominò arcivescovo di Lisbona, e Bertrand de Cosnac (creato cardinale il 30 maggio 1371). La mancanza di risultati e la comparsa di un nuovo pretendente, Giovanni di Gand, figlio del re di Inghilterra e marito della figlia maggiore del sovrano assassinato, indussero il pontefice ad affidare i negoziati a Guy de Boulogne, forte dell'esperienza di una precedente legazione guidata in queste regioni per conto di Innocenzo VI. L'anziano cardinale, moltiplicando i suoi spostamenti, riuscì a far firmare il trattato di Santarém ai sovrani di Castiglia e di Portogallo (marzo 1373); avviò le trattative con il re di Castiglia per giungere ad una conclusione con Carlo di Navarra. Chiese a quest'ultimo di versare la dote della sorella Agnese d'Evreux, moglie del conte di Foix (settembre 1373), prima che fosse rapidamente ripudiata. Ma la morte sorprese il cardinale a Caspé alla fine di novembre del 1373. Il papa assolse Carlo il Malvagio dal sospetto di aver avvelenato il prelato, ma l'ipotesi del delitto non è da scartare. L'acquisizione del Regno di Maiorca da parte di Luigi duca d'Angiò, nell'agosto 1375, suscitò il risentimento di Pietro d'Aragona, che Gilles Aycelin de Montaigu non riuscì a placare malgrado gli sforzi profusi per diversi anni.
Il ritorno a Roma di G., malgrado le apprensioni legittime che poteva provocare l'esperienza precedente di Urbano V, rappresentò il grande impegno del pontificato. La decisione ebbe molteplici aspetti: dal costo del trasferimento all'opposizione della corte di Francia, al viaggio ad Avignone di Caterina da Siena, all'organizzazione minuziosa degli Stati del Rodano.
Il primo annuncio del ritorno fu diffuso nel maggio 1372, ribadito in febbraio e nel settembre 1374, con previsioni sul mese di settembre del 1375; le galere furono ordinate per la fine di aprile e poi ritardate a causa di una difficile congiuntura internazionale. Dopo che il papa ebbe versato 800 fiorini per ultimare i grandi cantieri di Urbano V, in particolare la basilica di S. Giovanni in Laterano (aprile 1374), fu inviato a Roma nel marzo 1375 l'arcidiacono di Lérida Bertrand Raffin, per predisporre l'insediamento della Curia. Le pressioni dei principi, fratelli di Carlo V, erano costanti, soprattutto da parte di Luigi d'Angiò i cui spostamenti erano facilitati dalla luogotenenza esercitata nella contigua Linguadoca: è quanto avvenne nel settembre 1374. Alla fine di agosto 1376 l'arrivo sul Rodano della nave di Filippo duca di Borgogna, raggiunto ben presto dai due fratelli, suscitò un'enorme impressione. Alla partenza da Avignone, Luigi d'Angiò era comunque creditore di 60.000 fiorini. Carlo il Malvagio, cui erano stati chiesti 100.000 fiorini, ne concesse 30.000. Le commesse di navi erano state diffuse ovunque, e talvolta rifiutate come nel caso di Venezia in aprile; l'affitto ad Ancona della galera riservata a G. costava ogni mese 1.000 fiorini e si è stimato che sui 113.123 fiorini di spese per il ritorno, l'affitto di questa flotta e della truppa ammontò a 41.638 fiorini.
Il ruolo svolto da Caterina da Siena nel favorire il ritorno del papa a Roma è stato esagerato: sarebbe stato analogo a quello di (s.) Brigitta di Vadstena, morta nel luglio 1373 - e consultata anche da G. - con Urbano V. Caterina giunse certamente ad Avignone alla fine di giugno del 1373, accompagnata dal suo direttore spirituale e segretario Raimondo da Capua, ma il soggiorno di questi santi personaggi lasciò tracce molto labili fino al momento in cui partirono - una decina di giorni prima del papa - provvisti del dono di 100 fiorini. La determinazione di G. nel progetto di riportare a Roma la Santa Sede era già da tempo indiscussa.
Il racconto del viaggio, quanto mai avventuroso, che durò diciassette settimane, è molto ben documentato dalla relazione, dai toni spesso poetici, del vescovo di Senigallia Pierre Ameilh de Brenac, compagno del papa al termine del suo lavoro di bibliotecario. La partenza da Avignone avvenne il 13 settembre, la sosta a St-Victor di Marsiglia si prolungò dal 23 settembre al 2 ottobre, perché si dovette riunire la flotta e soprattutto attendere che il mare si calmasse. Ma fu ugualmente necessario moltiplicare gli scali: la nave di Jean de la Grange, nuovo cardinale intronizzato a fine giugno al titolo di S. Marcello, fece naufragio e quattro giorni dopo morì a Pisa il cardinale Pierre de la Jugie, cugino di G. (novembre). Il 17 gennaio 1377 il papa entrò a Roma, attorniato da duemila uomini in armi al comando di Juan Fernández de Heredia e di Raymond de Beaufort, visconte di Turenne e nipote di Gregorio XI. Questo dispiegamento di forza militare contravveniva alle esortazioni di Caterina da Siena: tornare in Italia senza armi e con il crocifisso in mano, "affinché i grandi lupi si mutino in agnelli". La pacificazione di Roma e del Lazio continuava: dopo che il vicario generale del Patrimonio Pierre d'Estaing, quasi al termine della sua vita, aveva negoziato con i Romani, insieme a Pietro Corsini e Francesco Tebaldeschi, poco prima dell'arrivo del papa vennero revocate le sentenze di scomunica e di interdetto che avevano nuovamente colpito, nel giugno 1376, i Prefetti di Vico, invasori dei beni della Chiesa. Il sacco di Bolsena perpetrato dai Bretoni aveva accelerato la pace conclusa in ottobre. Orvieto, unica città a non aver aderito alla lega fiorentina, e tuttora sede di Pierre Bohier, il pio vescovo nominato da Urbano V, si vide accordare un'indulgenza per la festa del Corpus Domini (27 giugno 1377).
Il papa era circondato da amici devoti e fedeli: Bernard de Bonneval, vescovo di Bologna e tesoriere in Italia da almeno quattro anni, era il vicario spirituale di G. a Roma; Guy de Prohins, già siniscalco di Beaucaire (il "calvus ephebus" del racconto di Pierre Ameilh de Brenac), coinvolto alla partenza da Avignone, era diventato senatore e capitano generale di Roma; Rinaldo Orsini di Tagliacozzo, signore di Orvieto, era stato nominato rettore del Patrimonio (o della provincia di Spoleto, secondo Cristoforo di Piacenza). Il papa non poteva lasciare Avignone e il Contado Venassino senza mantenervi delle strutture di governo, e lo fece con risolutezza ancora maggiore del suo predecessore. Questi Stati erano spesso minacciati, malgrado fossero stati allestiti apparati difensivi tramite bastioni che racchiudevano il Palazzo apostolico, Avignone, le città e perfino i villaggi più modesti del Contado, e la presenza di soldati (i "briganti"), dall'agosto 1374 al comando di Juan Fernández de Heredia, promosso capitano generale. Gli Stati erano messi in pericolo dal passaggio quasi ininterrotto delle grandi compagnie di ventura - la città di Avignone pagò 4.000 fiorini in aprile per allontanare i Bretoni - e dai conflitti provocati dagli ufficiali del re. Il papa se ne lamentava ancora con il duca d'Angiò nel settembre 1377, denunciando gli attacchi contro Raimondo del Balzo, principe d'Orange e cognato di Roberto di Ginevra, e contro le isole del Rodano. È difficile esprimere un giudizio sulle voci riferite da Cristoforo di Piacenza, secondo le quali al momento della condanna dei Fiorentini Jean de Cros sarebbe stato inviato a Parigi per infeudare questi Stati al re, ricavandone in tal modo denaro. Come nel 1369 la biblioteca del palazzo, che custodiva circa tremila volumi, fu di nuovo classificata e catalogata da Pierre Ameilh de Brenac. È noto che il papa avrebbe voluto acquisire, alla morte del Petrarca, delle copie di sue opere, come pure scritti di Pompeo Trogo e di Cicerone. Sui venticinque cardinali di allora (il "plenum", dato che nel conclave del 1352 i cardinali avevano cercato di limitare il loro numero a venti), sei rimasero ad Avignone, fra cui tre vescovi, oltre ad un alto funzionario, il tesoriere Pierre de Vernols: il vicecancelliere Pierre de Monteruc, sostituito in Italia da un reggente, Bartolomeo Prignano (futuro Urbano VI), Gilles Aycelin de Montaigu, Anglic Grimoard, Guillaume de Chanac (creato nel 1371) e Jean de Blauzac, originario della Linguadoca e cardinale di Innocenzo VI al quale Urbano V aveva già affidato il governo di Avignone allorché ne era partito nel 1367. Guillaume de Chanac poteva assistere Jean de Blauzac, in particolare nei processi degli Ordini benedettino e cluniacense. In luglio-settembre oltre trenta bolle attribuirono a Jean tutti i poteri necessari ad un vicario generale; Adhémar d'Aigrefeuille, già maresciallo di corte e rettore della Marca Anconetana, sostituiva qui in veste di capitano generale Juan Fernández de Heredia; il fratello maggiore del papa, Guillaume de Beaufort, visconte di Turenne, esercitava le funzioni di rettore del Contado. Alcuni provvedimenti di esonero fiscale a favore di artigiani trasferitisi di recente nella regione riprendevano analoghe misure di Urbano V, allo scopo di evitare la recessione economica. Il papa assegnò ad alcuni dei suoi parenti rendite provenienti dalle proprietà della Chiesa: al fratellastro marchese di Beaufort-Canillac e alla cognata Aliénor de Comminges, moglie del rettore. Nel corso del pontificato G. svolse un'intensa attività religiosa su molteplici fronti: pietà personale, esaltazione del culto e opere di carità, riforma degli Ordini religiosi, lotta contro le eresie, volontà di crociata.
Quando si recò a Marsiglia per partire, il pontefice trovò lungo il suo itinerario il grande santuario domenicano di St-Maximin-la-Sainte-Baume, dove erano venerate le reliquie di Maria Maddalena; qui aveva disposto la creazione di una fondazione per il riposo dell'anima di suo zio Clemente VI e per se stesso. Dopo le devozioni nel santuario, il papa tornò con la mente alla cattedrale di Avignone Notre-Dame-des-Doms, che aveva da poco lasciato, e offrì tre lumi per l'altar maggiore; da Savona fece doni ai conventi di Avignone; aveva colmato di benefici due case di carità le cui origini risalivano ai suoi predecessori: quella delle pentite, che furono trasformate in religiose grazie agli statuti che ricevettero fra maggio e luglio, e quella degli orfani, che conservò il nome del fondatore Jean de Jujon. Sul piano liturgico G. introdusse nel calendario alcune feste: quella della presentazione della Vergine, su richiesta di Philippe de Mézières cancelliere di Cipro (novembre 1372); la vigilia della sua nascita; instaurò forse il culto di s. Giuseppe e arricchì la celebrazione dell'Invenzione della santa Croce (aprile 1377).
Dalla lettura dei dispacci di Cristoforo di Piacenza, si potrebbe dedurre che G. procedesse alla canonizzazione di Carlo di Blois duca di Bretagna (morto nel 1364), a causa della precisione con cui riferisce lo svolgimento (programmato) della cerimonia; di fatto, Urbano V aveva avviato il procedimento e G. dispose perché fosse ripreso celermente, tanto più che era caldeggiato da Luigi d'Angiò, genero del defunto (1371); vi aderì anche il vescovo di St-Brieuc Hugues de Montrelaix, già cancelliere del duca Giovanni IV di Montfort, avversario vittorioso di Carlo. Il papa nominò cardinale il vescovo nel dicembre 1375, ma malgrado le frequenti audizioni della causa in Concistoro per la partenza della Curia fu sospeso il processo. G. intendeva proseguire nella riforma degli Ordini mendicanti: attenuò i possibili eccessi di potere del cardinale protettore dei Francescani (maggio 1373), mentre ne assegnò uno ai Domenicani; ridusse la periodicità dei Capitoli generali di questi ultimi a due all'anno (agosto 1373) e annullò tutti i privilegi dell'Ordine per agevolare la riforma che spettava al grande maestro (novembre 1377). Nel giugno 1376 impose agli arcivescovi di Magonza, Colonia e Magdeburgo la costituzione di Giovanni XXII Vas electionis, favorevole ai religiosi mendicanti. Come già Benedetto XII nel 1338, anche G. decise nel febbraio 1373 di avviare un'inchiesta sugli Ospedalieri di S. Giovanni di Gerusalemme; anche se dai risultati rapidamente trasmessi sembrava emergere un impoverimento dell'Ordine, il pontefice poté valutare che era in condizione di spostarsi in Oriente. Qualche mese prima aveva ingiunto al re di Castiglia Enrico di Trastamara di restituire all'Ordine i beni dei Templari sempre sequestrati a vantaggio degli Ordini di S. Giacomo e di Calatrava; Guy de Boulogne indagò sul valore dei beni dei tre Ordini, ma non ottenne ugualmente risultati presso il sovrano. Ebbe maggior fortuna nel convincere re Pietro d'Aragona affinché consentisse a Juan Fernández de Heredia di recarsi al Capitolo generale di Avignone nel settembre 1373.
Mentre il domenicano catalano Nicola Eymerich procedeva alla stesura del suo manuale, prima di accompagnare il papa in Italia, quest'ultimo continuava a nutrire vive preoccupazioni per i progressi delle eresie e incoraggiò con decisione gli inquisitori. Dispose affinché fossero vietate le manifestazioni di devozione di cui erano oggetto gli ultimi Fraticelli di Sicilia. A tutti i prelati di Francia raccomandò di dare appoggio agli inquisitori che perseguivano begardi, turlupini e lollardi e invitò gli ufficiali reali a non ostacolare l'azione degli inquisitori (gennaio e ottobre 1373); esortò la regina Giovanna ad assegnare loro una pensione seguendo l'esempio del re di Francia (marzo 1373). L'azione pontificia si estese nel 1376 fino a Venezia, dove all'inquisitore furono attribuiti poteri sulle diocesi di Aquileia, Grado, Equilio Jesolo (febbraio); in Germania furono rafforzati i poteri del domenicano Hermann de Hetstede (aprile); infine, nella provincia di Vienne (Delfinato) il francescano François Borel (Borilli), maestro di teologia, fu dotato di un locale e di una prigione. Giungendo ad Orbetello alla fine di novembre, G. nominò inquisitore Pierre d'Arzens, che Urbano V aveva scelto come primo vescovo di Montefiascone. Nei confronti degli ebrei, i provvedimenti pontifici furono ambigui: a Philippe Cabassole, suo legato a Perugia, il papa permise di rinunciare a precedenti misure di ritorsione piuttosto severe che colpivano gli usurai. Negli Stati del Rodano G. estese agli ebrei i privilegi accordati da Bonifacio VIII a quelli del Contado Venassino (giugno 1372), ma a Carpentras raccomandò al vicario generale Jean de Blauzac di riportarli nel loro quartiere originario in cui li aveva insediati Giovanni XXII, poiché gli ebrei tendevano in modo eccessivo ad occupare le case svuotate dalla peste (settembre 1376). Il re di Castiglia Enrico fu biasimato per aver impiegato ebrei - che dovevano esibire sugli abiti il segno distintivo - come ufficiali o gabellieri, e al tempo stesso venne invitato ad obbligarli all'ascolto delle prediche di uno dei loro vecchi correligionari convertiti (aprile 1372 e 1375).
Gli storici hanno potuto scrivere che alla fine del XIV secolo l'ideale della crociata agonizzava e così le spedizioni destinate a proteggere i cristiani dei Balcani. Ma il papa cercò di organizzare i soccorsi in favore dell'imperatore di Costantinopoli e lo sforzo missionario venne ugualmente sostenuto con fermezza. Brigitta di Vadstena, dando ascolto alle sue rivelazioni, si era recata in Terrasanta, dove il figlio Birger divenne cavaliere del Santo Sepolcro (1372), e Raimondo di Capua, di passaggio ad Avignone con Caterina da Siena, fu confermato da G. come predicatore della crociata. Tornando da Roma, dove si era convertito a titolo personale con Urbano V (1369), il "basileus" Giovanni V Paleologo era stato fatto prigioniero dai Veneziani; divenuto dopo la liberazione un fantoccio manovrato dal sultano Mourad I, che avanzava a velocità folgorante in Macedonia, in direzione della Bulgaria, ed era in procinto di trasferire la propria residenza ad Adrianopoli, Giovanni V moltiplicava le richieste di soccorso ai sovrani occidentali, tanto più che era stato tradito dal figlio Andronico IV, deciso a spodestarlo con l'aiuto dei Genovesi. G. raccomandò alla regina Giovanna i nunzi che inviava al "basileus" (luglio 1374), come l'anno precedente le aveva chiesto di mandare delle galere al cavaliere Jean Lascaris, genero di un signore cretese, e di concedere un salvacondotto a Enguerrand de Coucy che doveva attraversare l'Albania. Le comunicò anche un progetto di unione fra principi e notabili contro i Turchi, che tuttavia rimase lettera morta (ottobre 1374). Nel 1375 le richieste del papa a Giovanna e a Luigi I il Grande re di Ungheria e di Polonia, discendente di Carlo I d'Angiò, si fecero ancora più pressanti: a quest'ultimo rimproverò il mancato invio di galere. Secondo Cristoforo da Piacenza, Giovanni V avrebbe promesso in cambio di soccorsi Salonicco, all'epoca in mano ai cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme. Proprio in quest'ordine militare G. poteva riporre le sue speranze, come pure nei dogi di Venezia e Genova, nel giugno 1373, non appena ricevette i primi risultati dell'inchiesta generale sulle risorse dell'Ordine. Nel dicembre 1375 fu confermato il prossimo "passaggio" di cinquecento cavalieri e di altrettanti scudieri, e venne fissato il rispettivo contingente che doveva dirigersi verso i porti delle due suddette città e della Sicilia, per un totale di trecentottantotto uomini. Era necessario contrastare i Turchi anche su un altro fronte, quello dell'Armenia, ridotta all'epoca alla Cilicia, la costa più prossima a Cipro, dove il candidato di Urbano V Leone di Lusignano aveva da poco cinto la corona della Piccola Armenia. Assediata ben presto dai Turchi d'Egitto, la sua capitale Sis cadde, e il papa chiese soccorso al doge veneziano per la regina Maria nel gennaio 1376.
A prescindere dalle autorizzazioni accordate a tredici cisterciensi di Boxley (Inghilterra, Kent, agosto 1373) e al francescano Martino d'Aragona per fondare un convento a Betlemme (in data incerta), la maggior parte delle informazioni sulle missioni riguarda l'Armenia. La creazione, nel novembre 1373, di una commissione di sei teologi, fra cui un membro dello "studium" domenicano di Avignone, incaricata di esaminare le "quaestiones dubiae" dei missionari, appare come una sorta di "propaganda fide" ante litteram (J. Richard). G., qualche mese più tardi, chiese al maestro generale dei Domenicani di riunire in Capitolo le nove province di Spagna, del Midi francese, di Lombardia, di Romania e di Grecia, allo scopo di mandare nella Grande Armenia alcuni confratelli, ai quali impose di adottare una formula sacramentale di "battesimo per provvisione", per evitare secondi battesimi e ordinazioni. Dispose affinché gli Uniteurs (congregazione di obbedienza domenicana) di Armenia fossero soggetti all'autorità di un vicario locale del maestro generale, ricostituì la "Societas Peregrinantium" soppressa da Urbano V, che era anch'essa emanazione dell'Ordine dei Fratelli Predicatori, ma avendo constatato che numerosi eretici si infiltravano fra i pellegrini di Terrasanta, il papa attribuì il titolo di inquisitore al provinciale locale dei Francescani, con un raggio d'azione che si estendeva fino alla Siria e all'Egitto (dicembre 1375). Malgrado la difficoltà nella trasmissione delle notizie e della situazione "in partibus" di certi prelati, il papa, avendo appreso della morte dell'arcivescovo di Sultanieh, intimò ai suoi suffraganei di eleggere il successore (gennaio 1375).
Alla volontà di ridurre la quantità dei benefici dei prelati, inclusi i cardinali, manifestata da Urbano V, si contrappone la generosità esibita da G., il quale, lui stesso oggetto della prodigalità dello zio Clemente VI, non pensò di poter essere da meno nei confronti dei membri del Sacro Collegio. I primi dodici cardinali creati da G. (1371) furono dotati di una rendita di 4.000 fiorini ripartiti a loro scelta fra tre o quattro province ecclesiastiche. La seconda e ultima promozione di nove cardinali (20 dicembre 1375), destinata a colmare i vuoti, può spiegarsi anche con la lontananza quasi permanente di una mezza dozzina di cardinali dalla Curia, impegnati come legati o vicari generali in Italia e come diplomatici (Fiandre, Spagna, Napoli); essa comprese anche tre parenti del papa e due stranieri rispetto alla Francia, ossia Simone da Borsano, arcivescovo di Milano che era stato referendario, e Pedro de Luna (futuro Benedetto XIII, antipapa). Jean de la Grange e Géraud du Puy furono ricompensati con questa nomina degli importanti servizi resi. Alla morte del papa il Sacro Collegio, composto da ventitré cardinali, annoverava otto limosini.
G. nominò inoltre sul posto i nuovi eletti dei monasteri benedettini del Regno dell'Anjou (inclusa la Provenza), mentre il suo predecessore aveva preferito procedere a trasferimenti. Questa generosità si estese anche a tutte le Chiese, nella misura in cui G. concedeva loro volentieri delle indulgenze (duecentosessantaquattro nel 1371, mentre Urbano V nel primo anno ne aveva accordate solo centosessanta). Nondimeno il clero, le cui chiese erano impoverite dalle guerre e dalle devastazioni delle compagnie, fu colpito dalla fiscalità pontificia che si fece sempre più pesante. Il papa chiedeva costantemente prestiti a prelati e cardinali, a sovrani e principi, a città e banchieri, sempre più spesso lucchesi dopo la messa al bando dei fiorentini. Nel 1376 si cominciò ad impegnare i preziosi del Tesoro apostolico per onorare i crediti della successione del cardinale Guillaume Peyre de Godin, morto quarant'anni prima! Allontanato da Avignone dalla peste, G. fece testamento a Villeneuve-lès-Avignon il 5 maggio 1374, chiedendo di essere seppellito nell'abbazia della Chaise-Dieu, accanto allo zio, in caso di morte fuori d'Italia. Se alcuni crediti esigibili in Germania (45.000 fiorini) non fossero stati sufficienti a fondare il collegio per trenta monaci secondo gli auspici del papa, i suoi esecutori avrebbero potuto prelevare 140 lire sui suoi beni personali nelle diocesi di Rouen e di Parigi. Ma mentre era in procinto di imbarcarsi per l'Italia, trovandosi a St-Victor di Marsiglia, il 1° ottobre 1376 il papa volle integrare queste disposizioni con un codicillo. Assegnò quindi all'abbazia alcuni beni rurali che aveva acquisito nel Contado Venassino poco dopo aver fatto testamento. Morto a Roma nella notte fra il 26 e il 27 marzo 1378, fu sepolto nella chiesa di S. Maria Nuova (ora S. Francesca Romana), suo titolo cardinalizio. La tomba di G., tuttora visibile, è stata costruita nel 1584. I suoi antichi biografi hanno dato voce all'angoscia provata dal papa a proposito dell'elezione del suo successore: egli raccomandò di non dare accesso a Castel S. Angelo, se non su esplicito mandato dei cardinali rimasti ad Avignone. Pare che in una bolla del 19 marzo, poco nota e senz'altro ancor meno diffusa, abbia voluto accelerare il futuro scrutinio consentendo ai cardinali presenti al suo decesso di eleggere il suo successore sulla base della semplice maggioranza dei voti, e non i due terzi come prescriveva il diritto canonico.
La memoria di G. è stata riabilitata una cinquantina di anni orsono, in opposizione al ritratto corrente di un papa debole, pusillanime e influenzabile. I suoi contemporanei - per primo Coluccio Salutati, che sul piano politico non sempre era stato favorevole al pontefice - ne avevano vantato l'aspetto modesto, l'affabilità, la dirittura morale, la coerenza. Il successore Urbano VI voleva che lo si chiamasse "santo". La personalità di G. fu pregiudicata da una salute cagionevole e da un contesto politico estremamente critico.
La fisionomia del papa non ci è nota, poiché la sua tomba è sprovvista di gisant. Pur essendo numerose le illustrazioni dei manoscritti che rappresentano scene della sua vita, non vi si può riconoscere la fedeltà di un ritratto.
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(traduzione di Maria Paola Arena)