GREGORIO
Nacque, forse a Bergamo, nella seconda metà del sec. XI. Fu certamente monaco (così si definì egli stesso nella pergamena di fondazione dell'abbazia di Vallalta), ma la sua vantata appartenenza al monastero vallombrosano di Astino non ha saldi fondamenti. L'unico riscontro documentario, il fatto cioè che G. sia nominato nel necrologio di quell'abbazia (Lupi, col. 982), non è probante perché, come in tutti gli obituari monastici, sono citati non solo i monaci del monastero, ma anche i munifici benefattori, tra cui, in questo caso, numerose donne.
G. fu successore, nella sede episcopale di Bergamo, di Ambrogio (III), morto il 21 ott. 1133.
Come narrano alcune deposizioni di testimoni, conservate nell'Archivio capitolare (Lupi, coll. 979 s.), la sua nomina avvenne nella forma della duplex pronunciatio: l'elezione del presule, cioè, non fu fatta direttamente a clero et populo, ma fu piuttosto filtrata da una ristretta cerchia di ecclesiastici, rappresentanti delle molteplici forze in gioco. Poiché a Bergamo già da qualche anno si era inasprita la controversia tra i canonici di S. Vincenzo, la sede cattedrale costruita nel cuore della città, e quelli di S. Alessandro fuori le mura che contendevano ai primi l'antichità di fondazione e la matrice, la formula di elezione escogitata per G. consentì, di fatto, un pieno accordo sul nome del nuovo vescovo, nel rispetto di tutte le parti.
Si è spesso ripetuto (da Lupi, per esempio, e di conseguenza da Ronchetti) che la più antica attestazione di G. in veste di vescovo sia del giugno 1134, perché, almeno fino agli studi di Jaffé, questa data, e non (come è corretto) il giugno 1135, era assegnata al concilio di Pisa, cui G. indubbiamente partecipò. In verità il documento (una lettera informativa di papa Innocenzo II) che lo nomina per la prima volta è del 30 nov. 1134 (Lupi, col. 985).
Benché non convalidata da una sottoscrizione a qualche documento ufficiale, è certa la partecipazione di G., come di tutti i suffraganei dell'arcivescovo di Milano, al grande concilio che si tenne a Pisa tra il 30 maggio e il 6 giugno 1135. Secondo quanto ne riferì il contemporaneo Landolfo di S. Paolo (pp. 35 s.), a Pisa venne sancito il definitivo allontanamento dalla diocesi di Milano dell'arcivescovo anacletista Anselmo della Pusterla. Sempre accordando fiducia a Landolfo (p. 37), si può pensare che G. fosse anche tra i suffraganei presenti al successivo sinodo del 29 luglio, in cui venne eletto come nuovo arcivescovo milanese Robaldo, già vescovo di Alba.
Nella Vita Innocentii scritta da Bosone (m. 1178), l'autore delle Vitae pontificum Romanorum incluse nel Liber pontificalis romano, si dice che proprio durante il concilio pisano fu scomunicato, insieme con molti altri, anche un vescovo "Bergomensis" (Liber pontificalis, II, p. 382). Da questo errore (forse originato da uno scorretto scioglimento di abbreviazione) e, insieme, dalla difficoltà di identificare il vescovo deposto con l'ortodosso G., sembra derivare la creazione di uno scismatico predecessore dello stesso G., un tal Agino, che sarebbe stato appunto deposto durante il concilio pisano, per consentire, secondo Mabillon già durante il concilio stesso, la nomina di un più degno successore.
Ma tra questi due sinodi si situa ancora un episodio della lunga lotta tra i capitoli di S. Vincenzo e di S. Alessandro. Il 18 giugno 1135 il papa, da Pisa, inviò a G. una lettera (Lupi, col. 987) in cui veniva ordinata la demolizione, dal campanile di S. Vincenzo, di un battifredo, evidentemente costruito per consentire alle sentinelle di quel capitolo di montare la guardia da una posizione privilegiata e di suonare la campana al minimo segno di ostilità proveniente dalla parte avversa. Al giorno dopo (19 giugno) è datata la bolla (Lupi, coll. 989-996), molto favorevole al capitolo di S. Alessandro, con cui Innocenzo intese risolvere definitivamente il conflitto.
Tuttavia, dalle numerose lettere indirizzate dal papa a G. negli anni 1136-41 si evince che i canonici di S. Vincenzo non s'arresero facilmente al ridimensionamento delle loro prerogative. Né la tensione si allentò con la morte di Innocenzo II: anche i suoi successori, Celestino II e Lucio II, furono costretti a intervenire confermando i termini della bolla innocenziana e imponendone il rispetto. Ma è solo l'ultima lettera inviata a G. dalla Curia romana a tradire in lui un atteggiamento di parte, già forse sottinteso dall'insistenza dei provvedimenti papali: con una decretale datata 12 luglio 1145 (Id., col. 1059) Eugenio III si lamentò che G. avrebbe tenuto celata fin dopo la Pentecoste una sua lettera, speditagli subito dopo Pasqua, in cui era contenuta l'ingiunzione di privare di ogni beneficio ecclesiastico i sacerdoti che si erano rifiutati di prestare il giuramento di fedeltà ai canonici di S. Alessandro; impose dunque al vescovo di far rispettare questa sua volontà firmiter e gli intimò che, se avesse ritardato a eseguire l'ordine, sarebbe stato ipso facto sospeso. È chiaro che G. faticava ad appoggiare incondizionatamente S. Alessandro, ma non abbiamo motivo di credere che a quel punto il vescovo non abbia fatto quel che era in suo potere per ottemperare alle direttive di Roma. La sentenza definitiva di Eugenio III fu notificata ai canonici santalessandrini il 30 genn. 1146 (Id., col. 1063). Ciononostante sappiamo che la vera e propria guerra civile tra S. Vincenzo e S. Alessandro ebbe fine oltre quarant'anni più tardi, precisamente nel 1189, quando i due collegi canonicali vennero finalmente uniti.
Forse non troppo sollecito nella risoluzione dei conflitti interni alla diocesi, G. si prodigò piuttosto nella costruzione di nuove chiese e monasteri e in generose donazioni: è dell'aprile del 1136 l'atto di fondazione del monastero cisterciense di Vallalta e dell'annessa chiesa di S. Benedetto (Lupi, coll. 1003-1006), cui il vescovo subito donò la cappella di S. Salvatore di Bergamo con tutte le sue pertinenze (Id., coll. 1007 s.).
In riferimento a questa neofondazione, a cominciare da Celestino da Bergamo (e a esclusione soltanto di Lupi) gli storici hanno scritto di rapporti personali di profonda amicizia intercorsi tra G. e Bernardo di Chiaravalle; G. si sarebbe avvalso proprio dell'aiuto di quest'ultimo per far venire un piccolo gruppo di monaci che popolassero il nuovo monastero di Vallalta. Nessun documento, tuttavia, fornisce il benché minimo appoggio a questa asserzione, anzi, alla presunta intimità tra G. e Bernardo non è fatto cenno né nella pergamena di fondazione dell'abbazia né nella donazione alla stessa della cappella di S. Salvatore. Secondo gli studi di Zerbi, inoltre, G. non risulta tra i corrispondenti di Bernardo.
Da un'iscrizione posta nell'arco del portico meridionale della chiesa di S. Maria Maggiore a Bergamo si evincerebbe che la stessa chiesa sarebbe stata costruita durante gli anni di episcopato di Gregorio. Infatti, il testo dell'iscrizione, databile almeno al 1360, anno di costruzione del portico stesso, così recita: "In limine superiori ecclesie Beate Marie Virginis civitatis Pergami continebatur quod dicta ecclesia fundata fuit anno Dominice incarnationis millesimo centesimo IIIgesimo septimo sub domino papa Innocentio secundo, sub episcopo Rogerio, regnante rege Lothario per magistrum Fredum" (Lupi, coll. 1011 s.). Ma queste informazioni sono palesemente contraddittorie: per esempio il vescovo del 1137 viene chiamato Rogerius, e non Gregorius, e Lotario è detto "rex" quando da tempo era divenuto imperatore. È certo, poi, che la chiesa fu fondata più di due secoli prima del 1137. Tuttavia è possibile che in questa data, e con il patrocinio di G., essa sia stata restaurata e ampliata. Il Foresti congetturò fantasiosamente che l'opera di restauro venisse compiuta dalla cittadinanza per adempiere a un voto fatto durante la carestia dell'anno 1135.
Nel 1140, per celebrare la visita a Bergamo di Attone, vescovo di Pistoia e abate generale dell'Ordine vallombrosano, G. donò all'abbazia di Astino due altari e provvide alle ingenti spese per celebrarne la consacrazione (Id., coll. 1023-1026).
Nella direzione di un rafforzamento patrimoniale della diocesi andò la decisione che G. prese il 9 giugno 1140, quando investì il conte Maginfredo del feudo costituito dalla corte, dal castello e dalle case, con ogni loro pertinenza, di Offanengo, dal nuovo castello di Crema con le due cappelle di S. Lorenzo e S. Giovanni e da tutte le terre annesse. Occorre precisare che Maginfredo con un atto pubblico aveva già fatto una offerta volontaria dei medesimi beni al vescovo per venirne poi infeudato e godere così delle esenzioni e immunità proprie ai beni ecclesiastici (Id., coll. 1025 s.). Ancora si deve leggere come un intervento di salvaguardia dei beni del vescovato l'atto che, nel marzo del 1144, fu redatto per sedare definitivamente la contesa tra G. e gli abitanti di Ardesio, nella Val Seriana, intorno ai diritti di sfruttamento delle miniere di ferro del monte Secco, dei pascoli e del territorio di caccia (Id., coll. 1057 s.).
L'ultimo documento che nomina G. è un atto privato, datato al 1° maggio 1146, riguardante una lite per una vigna (Id., coll. 1065 s.).
G. morì il 19 giugno 1146, come segnalano i necrologi di S. Grata di Bergamo e del monastero di Astino (Id., col. 982). Celestino da Bergamo, Lupi e Ronchetti concordano nel ritenere che egli sia stato ucciso in uno dei sanguinosi scontri tra i sostenitori di S. Alessandro e quelli di S. Vincenzo: infatti, alcuni testimoni chiamati a deporre nel 1187, sempre a proposito dell'annosa lite canonicale, affermarono che l'elezione di Gerardo fu accelerata a causa della morte violenta del suo predecessore (Id., col. 1068). Nonostante questa testimonianza, permangono comunque molte incertezze sulle circostanze della morte (Calvi e Ughelli, per esempio, si rifiutano di prendere in considerazione l'ipotesi di una morte non naturale).
Di G. resta un importante trattato eucaristico antiberengariano, il De veritate corporis Christi. Il testimone unico dell'opera, conservato nell'abbazia catalana di Ripoll, andò perduto con la distruzione di quest'ultima alla fine del sec. XVIII. Era fortunatamente stato trascritto, per conto di Mabillon, da G.A. Casari nel 1686 e questa copia è ora conservata presso la Bibliothèque nationale di Parigi, Fonds lat. 17187, cc. 297r-367v. Il trattato fu edito per la prima volta da P.A. Uccelli (Gregorio di Bergamo, De veritate corporis Christi, in Scritti inediti del b. Gregorio Barbarigo, Parma 1877, pp. 673-745), e ristampato da H. Hurter (in Sanctorum Patrum opuscula selecta ad usum praesertim studiosorum theologiae, XXXIX, Innsbruck 1879, pp. 1-123). La fine del prologo (ed. Uccelli, p. 674) permette di assegnare allo scritto una data precisa: ivi G., sottoponendo il suo lavoro al vaglio di un "Ombertus praesul" - identificabile con Umberto vescovo di Cremona, come volle Mabillon, piuttosto che con l'arcivescovo di Milano Oberto da Pirovano (consacrato solo nel 1146) -, usa parole che sottolineano la superiorità gerarchica del destinatario, lasciando così intendere di non aver ancora raggiunto la dignità episcopale. Il trattato deve perciò essere datato a un'epoca precedente il 1133-34.
Il principale oggetto di studio di G. è la presenza reale del Cristo nelle specie eucaristiche (presenza che era stata recisamente negata dagli avversari); il problema, connesso ma distinto, della conversione del pane e del vino viene lasciato in secondo piano. L'autore passa in rassegna le obiezioni dei berengariani tratte dalla Scrittura (capp. II-VI) e dai Padri (capp. VII-IX), per poi svolgere un'ampia trattazione (capp. X-XIX) che prende le mosse dai diversi nomi dati all'eucarestia: species, mysterium, sacramentum, figura. A partire dal cap. XX G. espone il dogma cattolico corroborando i suoi assunti con brani scritturali e patristici.
L'opera di G. è certamente esemplata sul più celebre scritto di Algero di Liegi, il De sacramento corporis et sanguinis dominici, composto oltre dieci anni prima. Le summae theologicae del XIII sec., che a proposito del dogma eucaristico si ispirano fortemente ad Algero, paiono ignorare il contributo particolare di G., che tuttavia non manca di una certa originalità nella scelta dei testi confutatori, nelle obiezioni esposte contro i berengariani e nelle soluzioni ortodosse pensate.
Fonti e Bibl.: Landolfo di S. Paolo, Historia Mediolanensis, a cura di C. Castiglioni, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., V, 3, pp. 35 s., 37 (capp. 58-59, 62); M. Lupi, Codex diplomaticus civitatis et Ecclesiae Bergomatis, II, Bergomi 1799, coll. 979 s., 982, 985, 987, 989-996, 1001, 1003-1008, 1017, 1021-1026, 1037 s., 1047, 1051, 1053, 1059, 1063, 1068; P.F. Kehr, Italia pontificia, VI, 1, Berolini 1913, pp. 359-361 nn. 7-19, 366-371 nn. 6-27, 377-381 nn. 9-31; LeLiber pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1955, p. 382; G.F. Foresti, Novissimae historiarum omnium repercussiones quae supplementum supplementi chronicarum nuncupantur…, Venetiis 1505, c. 294v; Celestino da Bergamo, Historia quadripartita di Bergamo et suo territorio, nato gentile e rinato christiano, II, 2, Brescia 1618, pp. 293-307, 435; D. Calvi, Scena letteraria degli scrittori bergamaschi, I, Bergamo 1664, pp. 293-295; F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, coll. 453-460; J. Mabillon, Annales Benedectini Ordinis, IV, Lucae 1739, p. V (viene esplicitamente citato Ughelli); VI, ibid. 1745, p. 218; G. Ronchetti, Memorie istoriche della città e Chiesa di Bergamo raccolte dal codice diplomatico di Mario Lupi, da' suoi manoscritti e da' monumenti autentici, III, Bergamo 1807, pp. 57-81; Ph. Jaffé, Geschichte des deutschen Reiches unter Lothar dem Sachsen, Berlin 1843, pp. 169, 259; A. Debil, L'attestation du nombre septénaire des sacrements chez Grégoire de Bergame, in Revue des sciences philosophiques et théologiques, XX (1912), pp. 332-337; J. de Ghellinck, Eucharistie au XIIe siècle en Occident, in Dictionnaire de théologie catholique, V, 12, Paris 1924, coll. 1236-1238; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, I, Milano 1940, pp. 302 s.; F. Holböck, Der eucharistische und der mystische Leib Christi, Roma 1941, pp. 33-35; A. Piolanti, G. di Bergamo, in Enc. cattolica, VI, Firenze 1951, p. 1083; P. Zerbi, I rapporti di s. Bernardo di Chiaravalle con i vescovi e le diocesi d'Italia, in Id., Tra Milano e Cluny. Momenti di vita e cultura ecclesiastica nel secolo XII, Roma 1978, pp. 94-101.