GREGORIO
Ignota è la data di nascita di questo personaggio, figlio del nomenclatore Teofilatto. G. compare per la prima volta nelle fonti con il titolo di nomenclatore e di apocrisario della Sede apostolica in una epistola di papa Giovanni VIII dell'875, accanto a suo genero Giorgio de Aventino, magister militum e vestarario del patriarchio lateranense. Lo incontriamo nuovamente nell'esercizio delle sue responsabilità di funzionario della Cancelleria pontificia in un privilegio di conferma dei domini del monastero di S. Salvatore di Fulda emesso dal pontefice nell'ottobre dello stesso 875, che egli sottoscrive come datario.
Nei primi mesi dell'876 G. sale improvvisamente alla ribalta delle fonti. Dopo l'incoronazione imperiale di Carlo il Calvo (25 dic. 875), perseguita e ottenuta da Giovanni VIII, il pontefice si era volto con la medesima energia a far piazza pulita dell'opposizione interna al patriarchio, rappresentata dalla cerchia di ottimati alla quale apparteneva Gregorio. Nel febbraio dell'876 il papa inviò presso il nuovo imperatore - che in quel momento si trovava a Pavia, dove una grande assemblea aveva ufficialmente sancito la sua signoria sull'Italia - il vescovo di Fossombrone, Pietro, latore di una serie di gravi accuse nei confronti di G., già rimosso poco tempo addietro dalle sue funzioni di apocrisario, e di suo genero Giorgio.
Tali accuse (delitti di sangue, malversazioni, immoralità) non dovevano essere del tutto infondate: sappiamo che Giorgio, dopo aver ucciso un fratello per sottrargli la compagna, aveva sposato una nipote di papa Benedetto III, facendo in tal modo la propria fortuna materiale e politica, per poi ucciderla e prendere in moglie una figlia di G. con la quale da tempo intratteneva una relazione. Di contro, l'attività amministrativa di quest'ultimo era stata caratterizzata da ruberie e da episodi di corruzione, e la sua stessa famiglia non era aliena da comportamenti immorali: in particolare una sua figlia, Costantina, già moglie di Cesario, figlio del noto vestararius Pipino, e poi di Graziano, figlio del magister militum Gregorio, si accompagnava notoriamente a una congrega di ricchi dissoluti e faceva scandalo in città per il numero dei suoi amanti.
Il 31 marzo, il sabato prima della domenica di Passione, fu recapitato a G. e a Giorgio l'ordine di comparire dinanzi al papa. I due per un po' tergiversarono, cercando di guadagnare tempo; per questo in seguito furono anche accusati di aver atteso in quei giorni un attacco dei Saraceni, con i quali avrebbero avuto accordi segreti, per poter fuggire più agevolmente. L'udienza sarebbe stata fissata per la notte della domenica di Pasqua (15 aprile) o per uno dei due giorni successivi. Non potendo più attendere oltre, G. e Giorgio misero in atto la fuga dalla città attraverso porta S. Pancrazio, aperta con chiavi false, portando con sé quasi tutto il tesoro della Chiesa; insieme con loro lasciavano la città altri importanti personaggi della vita politica, che in tal modo si svelano alla nostra osservazione come il nerbo dell'opposizione antipapale. La compagnia trovò ospitalità nel Ducato di Spoleto, in questo periodo spettatore molto interessato della vita politica romana, da dove poté organizzare in diverse città di Italia un partito a sé favorevole. Il 19 aprile un concilio convocato presso la chiesa di S. Maria ad Martyres, constatato lo stato di contumacia degli imputati, ne decretava la scomunica. Il provvedimento veniva ufficialmente reso pubblico con lettera del 21 aprile indirizzata al clero e ai fedeli della Gallia e della Germania, dalla quale possiamo trarre i nomi degli altri fuggiaschi: Formoso, vescovo di Porto, futuro pontefice; il magister militum Sergio, accusato di numerose ruberie; infine, la figlia di G., Costantina. Le condanne furono ribadite in un concilio tenuto in S. Pietro il 30 giugno, quindi l'11 luglio, nel corso del concilio di Ponthion, fu data pubblica lettura della lettera del 21 aprile.
L'interpretazione storiografica tradizionale riconduce questa vicenda alle lotte che dopo la morte di Ludovico II (12 ag. 875) avrebbero contrapposto a Roma il "partito" filogermanico, sostenitore della candidatura alla successione imperiale del figlio di Ludovico il Germanico, Carlomanno, e quello favorevole al ramo occidentale dei Carolingi e dunque fautore di Carlo il Calvo, zio dell'imperatore scomparso, capeggiati rispettivamente dal vescovo Formoso e da papa Giovanni VIII. In effetti, tra le accuse che venivano mosse dal pontefice ai fuggiaschi vi era anche quella di aver attentato alla "salute" dell'Impero e di aver ostacolato la "promozione" di Carlo alla dignità imperiale.
Tuttavia, già alla fine del secolo scorso Arthur Lapôtre poneva in particolare rilievo le dialettiche familiari e le lotte intestine che caratterizzarono le vicende di quegli anni, interpretando, tra l'altro, la già citata sostituzione di G. nell'ufficio di apocrisario con Leone vescovo di Gabii, nipote del pontefice, avvenuta poco prima dell'atto di accusa del febbraio dell'876, come un sintomo del crescente nepotismo della Curia papale. Molto più recentemente, gli importanti studi di Arnaldi sull'età di Giovanni VIII hanno illustrato con puntualità il contesto storico nel quale venne a collocarsi questa sorta di rivoluzione di palazzo voluta dal pontefice, un contesto caratterizzato dal difficile equilibrio tra una visione ecclesiologica universalistica e di ispirazione gregoriana - da qui anche la scelta significativa della data di coronazione di Carlo il Calvo, riecheggiante, 75 anni dopo, quella del primo imperatore d'Occidente, Carlo Magno - e la necessità contingente di rafforzare il proprio potere temporale nel nascente principato territoriale romano, agendo, in primo luogo, nei confronti di quella parte dell'aristocrazia laica, ormai da tempo inserita all'interno della struttura amministrativa e di governo della Chiesa, che gli si opponeva nella politica di governo e contendeva al presule il controllo del territorio.
Per gli anni immediatamente successivi agli avvenimenti narrati le fonti ci restituiscono solo sporadici episodi, dai quali è difficile cogliere certezze rispetto alle fortune o alle disgrazie politiche di Gregorio. Nel marzo dell'882 egli si trovava a Pavia, insieme con gli uomini di Guido (III) Rabia duca di Spoleto e, potendo contare su tale difesa armata, scese poco tempo dopo impunemente a Roma.
A tal riguardo, nel corso dello stesso anno, il pontefice si lamentava con Carlo il Grosso perché G., benché scomunicato, si era fatto rivedere a Roma e perché non avrebbe cessato di procurare danno agli uomini della Chiesa. Poco dopo, il 15 dicembre, Giovanni VIII ottenne il poco invidiabile primato di aprire la serie dei pontefici romani assassinati a seguito di congiure di palazzo.
Durante il breve pontificato di Marino I la situazione migliorò notevolmente per i fuorusciti dell'876, che furono nuovamente accolti a Roma e reintegrati nelle rispettive cariche, ma non possediamo notizie dirette sull'attività di G. successive all'882.
Se il pontificato di Marino aveva rappresentato un'inversione di tendenza rispetto a Giovanni VIII, quello, ancor più breve, di Adriano III vide per un momento riprendere la lotta contro la frangia di aristocratici che si stringeva intorno a Formoso. Difficile quindi stabilire se il Gregorio, nomenclatore e apocrisario della S. Sede, che compare come datario di un privilegio di conferma emesso il 17 apr. 885 da papa Adriano a favore del monastero di S. Sisto di Piacenza, sia in effetti lo stesso protagonista della fuga dell'876 che aveva trovato il modo di rientrare in attività sotto il nuovo pontefice e di conservare i titoli nei quali doveva essere stato reintegrato presumibilmente da papa Marino, oppure se sia un'altra persona.
Sembra comunque che la famiglia di G. uscì indenne dai torbidi nei quali fu coinvolta in quegli anni, rafforzando anzi il proprio prestigio. Se non stupisce incontrare uno dei suoi figli, Costantino, come alto funzionario nell'amministrazione di papa Formoso, è possibile che fosse suo figlio anche quel Teofilatto capostipite di una famiglia destinata a dominare la scena politica cittadina fino almeno alla metà del X secolo, dalla quale inoltre discesero i Tuscolani e quindi i Colonna. In un placito tenutosi dinanzi a Ludovico III nel 901 egli viene per l'appunto definito come figlio del nomenclatore Gregorio, e se ciò non può dare alcuna sicurezza sull'identificazione di quest'ultimo con G., una suggestione a tal riguardo ci viene dal passaggio del nome Teofilatto da nonno a nipote, come consuetudine nelle famiglie dei ceti dominanti.
Negli stessi anni un Gregorio superista fu assassinato nella chiesa di S. Pietro da un suo collega, episodio probabilmente non estraneo alle lotte politiche di quegli anni, ma è molto improbabile che si tratti di G.: a giudizio di G. Savio, egli può essere identificato come il Gregorio magister militum, padre di quel Graziano già marito di Costantina, figlia di G., e ascendente dell'importante famiglia dei Miccini.
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