Griffolino d'Arezzo
Alchimista (" magnus et suptilissimus archimista ", Graziolo de' Bambaglioli), bruciato vivo come eretico certamente prima del 1272; nel 1258 lo si trova iscritto alla società de' Toschi in Bologna; è posto da D. nella decima bolgia del cerchio ottavo (If XXIX 109-120; cfr. anche XXX 31, dov'è chiamato l'Aretin).
Di lui e della sua fine ricostruiamo le vicende con le parole del Lana: " Questo aretino fu una scritturata persona, sottile e sagace, ed ebbe nome maestro Griffolino; sapea e adoperava quella parte d'alchimia che è appellata sofistica, ma facealo sì secretamente che non era saputo per alcuna persona. Or questo maestro avea contezza con un Albero, figliuolo secreto del vescovo di Siena, e questo Albero era persona vaga e semplice; ed essendo un die a parlamento collo detto maestro Griffolino, e per modo di treppo lo ditto maestro disse: ‛ S'io volessi, io anderei volando per aire come fanno li uccelli e di die e di notte ', soggiungendo a sua novella: ‛ E' si potrebbe andar per tutta la terra e in li segreti luoghi senza dubbio di signoria o di persona che offendesse '. Questo Albero si mise le parole al cuore, e credettelo; infine strinse lo detto maestro ch'elli li insegnasse volare. Lo maestro pur li dicea di no, come persona che non sapea fare niente. Costui li prese tanto odio addosso, che 'l padre predetto, cioè il vescovo, li informò una inquisizione addosso e fello ardere per patarino ".
A G. preme sottolineare che non per eresia ma per alchimia si trova ne l'ultima bolgia de le diete: l'accusa di eresia e il conseguente rogo furono una macchinazione partorita dalla crudele stupidità umana (quel per ch'io mori' qui non mi mena... / me per l'alchimia che nel mondo usai / dannò Minòs, a cui fallar non lece). Senza scomporsi, senza imprecare, ma con ironia signorile e insieme pungente prende a volo l'occasione del dialogo con un vivo per ‛ mettere al foco '; a sua volta, la sciocca ‛ vaghezza ' di Albero desideroso di trasformarsi in Dedalo. La scherzosa millanteria di G. (I' mi saprei levar per l'aere a volo), proferita in un momento di divertito umore (parlando a gioco), si trasforma, a causa dell'ottusa stupidità di Albero (" qui - commenta argutamente Benvenuto - erat per naturam levissimus ad volandum cum sua mente vanissima "), in bestiale assassinio. La stolida macchietta di Albero (un sanguinario Calandrino) s'illumina della luce sinistra dell'onnipotente e inestinguibile bétise umana (v. ALBERO da Siena).