GRIFO (Γρύψ, griphus, probabilmente "connesso con la radice indoeuropea "grabh", "afferrare")
Mostro favoloso, con caratteri di leone e di aquila: più comune è la rappresentazione con testa ed ali d'uccello, corpo di felino (a volte i quarti anteriori sono due zampe d'uccello), meno frequente quella con testa e quarti anteriori di leone, ali e resto del corpo d'uccello. Esiste anche il g. dèmone, con testa ed ali d'uccello e corpo umano.
1. Vicino Oriente. - Il motivo sembra avere la sua più antica origine in Mesopotamia; fin dal IV millennio a. C. conosciamo, su un sigillo da Susa, un mostro con ali, testa e zampe anteriori d'uccello, criniera e corpo di leone. I Sumeri rappresentano un essere coronato, con testa e collo di serpe, corpo di leone, ali e zampe posteriori d'uccello, spesso in unione con Ningishzida, una divinità ctonia; lo stesso tipo appare nella glittica accadica più antica, dove tuttavia è più comune il g. con testa e corpo di leone, ali e zampe posteriori d'uccello. Il g. a testa di leone è attaccato al carro del dio delle tempeste, ed una figura femminile, nuda, con due serpenti in mano (la dea della pioggia, per il Frankfort, o una semplice ierodula sacra, per il Leibovitch), è in piedi sulla schiena del mostro; tale associazione persiste fino al periodo assiro.
Nella glittica mitannica, che riprende motivi dall'antico repertorio mesopotamico e da quello delle città della Siria (che a loro volta fusero insieme elementi siriani, egizî, egei), il g. è molto diffuso: ha corpo leonino, ali e testa d'uccello, con tre piume ingrossate in alto da una protuberanza sferica, e un lungo ricciolo svolazzante indietro, come su un sigillo da Nuzi al museo di Berlino, che rappresenta, insieme con altri animali, due g. affrontati.
Il ricciolo svolazzante indietro e terminante a spirale è caratteristico del g. nord-siriano (o siro-hittita); talvolta può avere un doppio ricciolo, o due riccioli antitetici, come in un sigillo da Chagar Bazar, datato al XVIII sec., che mostra due grifi in posizione araldica, tra i quali si trova un uomo inginocchiato. Su una coppa da Rās Shamrah, un g. seduto ha testa d'avvoltoio, corpo leonino, ali semispiegate, decorate a lisca di pesce; lo stesso tipo appare su un sigillo fenicio trovato in un gruppo di tombe reali dell'epoca di Amenemḥēt III, che ha tre file di animali, tra i quali due g. semiaccucciati, separate da trecce.
Alla metà del II millennio, il g. ed il g.-dèmone entrano a far parte del repertorio assiro; il g.-dèmone ha attribuzioni benefiche (custodisce l'albero della vita o trasmette la sua potenza al re), mentre il g. a corpo di leone è una potenza malefica, che gli uomini possono vincere, o colla quale possono essere riconciliati, per mezzo del g.-dèmone a corpo umano. Nell'evoluzione del tipo, l'Akurgal ha distinto tre tappe fondamentali: nel penodo medio-assiro, negli esemplari più antichi, il g. ed il g.-dèmone sono caratterizzati da una lunga cresta, molto dentellata, che va dalla testa alla schiena ed un ricciolo a spirale svolazzante indietro. Possono avere anche due riccioli, o nessuno; il becco è quasi sempre chiuso, mentre negli esemplari più recenti è quasi sempre semiaperto. Anche questi ultimi possono avere il ricciolo svolazzante. Nel periodo successivo scompare il ricciolo, che può essere sostituito, nel g. a corpo di leone, da una cresta che giunge all'inizio della schiena, nel g.-dèmone, da un voluminoso nodo di capelli. Il becco è di regola semiaperto, con lingua visibile. Sui sigilli dello stesso periodo possiamo trovare ancora il g. di tipo medio-assiro. Infine, nel periodo neo-assiro, la foggia dei capelli segue la moda di Sargon.
I g. fenici mostrano, nella diversità dei caratteri, la varietà degli influssi accolti: siriani, mitannici, egizî.
Gli avorî scolpiti, o lavorati "a giorno", dal palazzo N-O di Nimrud, ci dànno g. dal corpo leonino, testa di falco, due riccioli laterali, in atto di nutrirsi da volute che sorgono dall'albero della vita; alcuni frammenti di avorio trovati nella Tomba Bernardini di Preneste, i soli lavorati a giorno, hanno g. rappresentati con la stessa iconografia e nello stesso stile. Il g. che si nutre dall'albero della vita compare su una lastra di alabastro al Louvre, ma ha tre riccioli ai lati del collo, con spirale accentuata. Frequenti sono le scene di caccia e di lotta: una coppa di argento dorato proveniente da Dali ha, nel fregio esterno, la lotta del g. contro un eroe, nell'interno un g. che poggia la zampa sulla testa di un uomo atterrato. Il g. a corpo di leone, con testa priva di ornamenti e becco semiaperto, si trova nel palazzo S-E di Nimrud, negli avorî del "Gruppo Loftus", che il Barnett data tra il tardo IX e il tardo VIII sec. a. C.; nello stesso gruppo di avori è rappresentato anche il g. con due riccioli, terminanti con una spirale sul collo. Abbiamo anche g. con una aigrette simile ad una cresta, come su un cilindro di ematite da Rās Shamrah, o come quelli che fiancheggiano la via d'accesso dal portico alla camera principale del palazzo di Tell Ḥalaf.
Un bellissimo tipo di g. è effigiato su avorî di Megiddo e di Biblo, un tipo che è presente in Egitto, a Creta e soprattutto a Micene, come vedremo più avanti; ha corpo leonino, testa di falco, lunghi riccioli a spirale, che scendono sul collo e seguitano sull'orlo superiore delle grandi ali spiegate. Si trova semiadagiato, con la testa alzata, come in estasi, o forse morente; in scene di lotta, mentre attacca un toro, attaccato da un leone.
Un tipo di g. è rappresentato in atto di marcia, con corpo di leone, testa di falco cinta dalla doppia corona egiziana e un gonnellino, che copre le zampe anteriori, su cilindri o scarabei, spesso accompagnato da iscrizioni. Uno scarabeo da Megiddo, diviso in due zone, ha, nella superiore, un g. simile, con l'iscrizione haman, che forse è il nome del mostro; nell'inferiore, una locusta, simbolo di innumerevoli nemici, o anche rappresentazione del tradizionale flagello egiziano; il g. coronato, sempre in atto di marcia, appare, oltre che nei sigilli, anche su una coppa di bronzo da Nimrud. Un g. di stile composito, a testa d'avvoltoio, crestato, con ali simili a quelle delle sfingi egiziane, si trova, probabilmente come forma decorativa, su un disco d'avorio da Megiddo.
Anche nell'arte siriana il g. è messo in connessione col dio delle tempeste; il g.-dèmone è presente nel I gruppo dei sigilli siriani.
Lo sviluppo del g. nell'arte hittita è stato studiato dall'Akurgal, che indica un primo tipo di g. siro-hittita con corpo di leone, testa d'aquila con becco fortemente adunco, chiuso, orecchie equine e un doppio ricciolo, che termina a spirale sulla fronte e sul collo, passando dietro l'orecchio. Tale ricciolo sembra una modificazione di modelli anticomesopotamici; lo abbiamo trovato nel g. sumerico, ed è presente su un kudurru babilonese.
Si può vedere questo primo tipo di g. su un rilievo da KarkamiŞ: il mostro è ritto sulle zampe posteriori, con la gamba anteriore alzata. Nell'arte siro-hittita assirizzante il g. a corpo leonino ed il g.-dèmone hanno una cresta che corre lungo il dorso, come negli esemplari assiri, ma, a differenza di questi ultimi, comincia dall'orecchio. I due g.-dèmoni di Sakçagözü hanno quattro ali, sono vestiti di una corta tunica e tengono in mano la situla rituale e la melagrana; gli elementi più interessanti, tuttavia, sono il becco completamente aperto, la lingua saliente, le glandole mascellari molto gonfie, la parte inferiore della bocca, che ha la forma di una mascella leonina; uno ha la spirale superiore del ricciolo stilizzata a forma di bottone. Il g. a corpo di leone di Fidanlik presenta le stesse caratteristiche; la spirale superiore del ricciolo ha la forma originale.
Questo tipo di g. vive fino al VII sec. ed influenza, come vedremo, l'arte greca arcaica, ove si presenta con tutte queste caratteristiche.
Egitto. - Nell'arte egiziana il g. è studiato dal Leibovitch, che distingue, nel periodo predinastico, due tipi: il primo si trova su una tavoletta di ardesia da Hierakonpolis; ha testa di falco ed ali allungate in prolungamento l'una dell'altra, quasi come un pettine; il secondo, sul manico ricoperto d'oro di un coltello in selce trovato a Gebel et-Tarif, è più simile ad un cervide. Le ali sono come quelle del g. di Hierakonpolis, festonate sull'orlo superiore; l'incomprensione del motivo fa supporre che si tratti di un elemento importato. Il g. a testa di falco, che troviamo ancora nell'Antico e nel Medio Regno, ha funzioni determinate dalle iscrizioni, che lo accompagnano: a el-Bershah si chiama tśtś, "lo spezzatore" ed è rappresentato con il coltello in mano per tagliare la testa al serpente del male. A Benī Ḥasan è denominato śrfr, che significa "bruciare", o forse "serpente" (tale denominazione potrebbe indicare l'origine semitica del tipo); in Egitto, quindi il g. non è una credenza popolare, legato alla persona del re, con caratteristiche e funzioni ben definite.
All'inizio del Nuovo Regno si presenta, sull'ascia di Amosis, un nuovo tipo di g.: il mostro è semirecumbente, ha la testa ornata da una cresta, le ali stese, con una decorazione simile a un motivo a zig-zag, ciocche di capelli ricadenti sul collo e terminanti in riccioli a spirale. Un esemplare simile è su una scatola ai Musei di Berlino; uno più evoluto è su una foglia d'oro, proveniente dalla tomba di Tutankhamon. Questo motivo, che apparirà a Creta, a Micene e, come abbiamo visto, in Fenicia, è di derivazione straniera, forse siriana, come potrebbe indicare la tecnica dell'ascia.
Ancora nel Nuovo Regno si presenta il g. a testa d'avvoltoio; questa volta il suo nome è čkhkh, "il rapido". Altro suo attributo, desunto dai testi, è la voce ruggente. Su una scatola, proveniente dalla tomba di Ramesses III, un g. percorre, infuriato, le montagne di Siria: ha testa d'avvoltoio, con tre aigrettes ricordo della cresta dei g. di tipo precedente. Il g. a testa d'avvoltoio è in connessione con Seth, o addirittura confuso col dio.
Un'ulteriore tappa nello sviluppo del g. in Egitto si ha con l'esemplare da Naukratis, un essere intermedio tra il g. ed il leone alato; nel mosaico alessandrino di Chatby il g. è più espressivo, simile a quello, con lunghe orecchie, della tomba di Marissa; ambedue hanno testa, ali e zampe anteriori di avvoltoio, e solo le zampe posteriori sono di leone.
In epoca greco-romana, in Egitto, il g. passa nella decorazione: lo vediamo nelle statuette in bronzo ed in terracotta ai musei del Cairo e di Alessandria.
Creta. - Nell'arte cretese il g. appare per la prima volta nei sigilli di Zakro, datati al Medio Minoico III; è di derivazione siriana, come attesta la sua associazione a motivi siriani (la sfinge femmina, trasformazione del simbolo egiziano maschio di regalità divina, ed il g.-dèmone, che trovano corrispondenze nei sigilli siriani del I gruppo). Il g. cretese, come quello egiziano dell'ascia di Amosis, ha snello corpo leonino, ali largamente spiegate, testa di falco con lunghi riccioli, che ricadono sul collo in ampie spirali; gli esemplari pittorici nella sala orientale del palazzo di Cnosso presentano riccioli a spirale sull'orlo superiore delle ali. Tra i motivi rappresentati abbiamo il g. preso al laccio e i due g. affiancati alla colonna; nuovo è anche il tema del g. pascente, che compare su frammenti di scudi bronzei da Arkades. Un lebete sferico d'argilla, da Arkades, ha tre anse plastiche a testa di g., mentre il corpo è dipinto sul lebete; il collo dell'animale è segnato di squame, il becco è aperto. Le rappresentazioni più antiche, almeno quelle datate sicuramente al II millennio, hanno sempre il becco chiuso.
2. Grecia. - Il g. che appare per la prima volta nel mondo greco è quello miceneo, che si ispira a modelli cretesi, ma si distingue per la presenza costante dei riccioli sulle ali; il becco è sempre chiuso. Abbiamo ancora il g. con la corda intorno al collo, i due g. ai lati della colonna, il g. semirecumbente; però, sui pugnali ageminati di Micene, è in corsa veloce. Su un coperchio di legno, trovato in Egitto, il g. è rappresentato in marcia, con becco aperto e lingua visibile. Anche il g. ucciso da un eroe, sul manico d'avorio da Enkomi, dimostra di avere accolto altri influssi, oltre quello miceneo, perché ha il becco aperto.
Il g. ritorna nel periodo orientalizzante, con caratteristiche diverse, di derivazione neo-hittita e non dall'Urartu (come si è ripetuto dopo la affermazione del Karo, Ath. Mitt., xlv, 1920, p. 106). Queste diverse caratteristiche sono già evidenti nell'anfora di Apollo, da Milo, dove il g., rappresentato come protome di un carro, ha orecchie di cavallo, la bocca aperta e la lingua fuori e una protuberanza a peduncolo sulla testa; tuttavia, ha ancora un lungo ricciolo svolazzante, come l'esemplare dipinto sulla veste della dea acefala di Nasso, di stile cicladico-nassio.
La ceramica rodia ha il g. in agguato, inginocchiato, ma con i quarti posteriori sollevati da terra; il becco è aperto, con lingua saliente, il ricciolo scende ai lati del collo, sulla testa si drizza una marcata protuberanza a peduncolo.
Nella ceramica protocorinzia, il g. a corpo leonino è caratteristico degli esemplari più antichi; nel medio e tardo protocorinzio è rimpiazzato dal g. a corpo d'uccello. Sui vasi corinzî non appare il g. in cammino, ma solo seduto. Il mostro presenta sempre grande becco spalancato, lingua in fuori, lunghi orecchi, protuberanza sulla fronte; parecchi hanno il ricciolo a spirale sul collo. Si può osservare sui vasi protocorinzî lo sviluppo di un motivo, che diverrà comune nelle rappresentazioni di g.; l'ala, che nei modelli orientali aveva l'orlo superiore diritto, o appena concavo, mantiene questa forma solo negli esemplari più antichi, come in un arỳballos da Gela; qulndi si curva fino a prendere il caratteristico aspetto a conchiglia, di grande effetto decorativo.
Siamo giunti così al pieno sviluppo del g. arcaico greco, con tutte le sue caratteristiche; l'Akurgal ne fa notare la derivazione dal tipo neo-hittita assireggiante, derivazione che è ancora più evidente nella femmina g. col piccolo di Olimpia e nella protome della brocca di Egina. Ambedue gli esemplari hanno tutte le caratteristiche dei modelli neo-hittiti, compresa la mascella inferiore di leone. La protome di Egina ha anche un ricciolo posteriore, forse un vestigio della treccia neo-hittita. Elemento nuovo, nel g. di Egina, è la presenza di piccole escrescenze, o foruncoli, immediatamente sopra gli occhi.
Questi foruncoli compaiono anche sulle più antiche protomi bronzee di g., lavorate a martello e riempite di terra e di materia resinosa, che fanno parte dei lebeti sferoidali fino dalla metà del VII sec., ed hanno, forse, un significato apotropaico, almeno in origine. Lo Jantzen già ne catalogava più di 250, trovate in moltissime parti della Grecia e delle sue isole, in Etruria, in Francia, e perfino in Andalusia; altri ritrovamenti si sono aggiunti recentemente. È interessante seguire l'evoluzione del tipo, che ci dimostra, nella perfetta successione stilistica, la fabbricazione greca di queste protomi: dai primi esemplari lavorati a martello, a quelli a doppia tecnica, con la testa ottenuta a fusione ed il collo a martello, fino a quelli interamente a fusione, si sviluppa l'inclinazione al decorativismo, il becco riprende l'aspetto aquilino, i foruncoli sulla fronte scompaiono, si ha l'appiattimento del cranio e lo snellimento del collo, la protuberanza sulla fronte e gli orecchi assumono forme e dimensioni nuove e sono concepiti come un elemento decorativo, avulso dalla realtà.
Il tipo di g. greco arcaico continua, con qualche leggera variante, fino al V sec.; è raro nella ceramica attica, dove compare sul vaso François e su un'anfora nicostenica, da Caere; si trova sui sigilli di avorio e di pietra, provenienti dal santuario di Artemide Orthia, rappresentato, a volte, con una specie di criniera; su monete di Teos, di Abdera, di Panticapeo; entra nella decorazione di monumenti notissimi, come sull'elmo dell'Atena di Fidia o dell'Ares di Alkamenes. Nel corso del V sec. il g. subisce alcune modificazioni, che ce ne dànno il tipo definitivo sino alla fine dell'ellenismo: le ali vengono rappresentate naturalisticamente; la protuberanza sulla fronte sparisce; sul collo si drizza una lunga cresta dentellata; il mostro è rappresentato in scene di lotta con altre fiere, o mentre combatte contro le Amazzoni o i leggendarî Arimaspi in particolare nelle oreficerie della Russia meridionale.
(M. G. Marunti)
3. Arte delle steppe. - Presa in prestito dall'Oriente, l'immagine del g. ha trovato largo uso presso le popolazioni scito-daciche ed euro-asiatiche. Nelle più diverse varianti, immagini di g. sono state scoperte presso le popolazioni altaiche dell'epoca scitica (v. altai; pazyrik). Un particolare caratteristico per i g. aquilini dell'Altai, è la presenza di un ciuffo sulla sommità della testa aquilina, oltre alle lunghe orecchie e alla cresta sul collo. Tipiche sono le frequenti raffigurazioni di g. nell'arte delle popolazioni dell'Asia Centrale e della Siberia sud-occidentale all'epoca scitica (v. arimaspi). Presso gli Sciti delle coste del Mar Nero si trovano raffigurazioni di g. soprattutto secondo la maniera greca eseguite ad opera degli artigiani di Panticapeo (v.). In relazione alla leggenda, molto diffusa nell'antichità e riferita da Erodoto secondo le parole di Aristea di Proconneso, riguardante i leggendarî "grifi che custodiscono l'oro" e vivono nei monti (Altai) e i non meno leggendarî Arimaspi da un occhio solo, che rapiscono l'oro ai grifi, a questi veniva attribuita una forza apotropaica.
(S. I. Rudenko)
4. Etruria. - Dopo la nuova vitalità trovata nell'arte greca, il motivo del g. è ormai stanco e logoro; così appare in Etruria, nel periodo orientalizzante, generalmente con intento decorativo, spesso mal compreso. Si possono distinguere due diversi tipi fondamentali: il più antico è il tipo di g. fenicio, con corpo leonino, testa di falco, con becco chiuso o semiaperto, ricciolo a spirale, senza orecchi e protuberanza frontale; lo vediamo in questa forma, insieme ad altri animali del repertorio orientalizzante, su frammenti dell'arca d'argento trovata a Vetulonia, nella Tomba del Duce, su uno skỳphos d'argento dalla stessa tomba, su una situla da Caere (Tomba Regolini-Galassi) databili alla metà del VII sec. a. C. In linea di massima, lo sviluppo del g. etrusco è parallelo a quello del g. greco, anche se, nell'arte etrusca, si attarda notevolmente il g. di tipo fenicio; tuttavia, già dalla fine del VII sec., compare in Etruria il g. greco a testa d'aquila, con protuberanza frontale, orecchi equini, ala a conchiglia; non è sempre presente il ricciolo a spirale ai lati del collo. Hanno queste caratteristiche i g. rappresentati nella situla d'avorio della Pania (Chiusi), nella situla bronzea dalla Certosa, su un'anfora pontica a Parigi, Bibliothèque Nationale, su un'anfora di bucchero da Chiusi; interessante è una protome di bronzo dalla stipe di Brolio, a fusione piena, forse usata come decorazione di un lebete o di un mobile, protome che si distingue dai modelli greci per alcune particolarità tecniche e stilistiche. Gli esemplari di g. etruschi non raggiungono la raffinatezza di quelli greci; lo possiamo osservare nella statuetta di bronzo da Cortona, ora a Leida, nei g. del fregio architettonico di Statonia e, meglio ancora, in certe stilizzazioni, a volta piuttosto arcaiche, in cui il mostro è raffigurato in maniera rozza, con un'incomprensione evidente del motivo, ormai degenerato a mera forma decorativa. Esemplari di g. di esecuzione scadente, o con incomprensione del motivo, sono: un g. di tufo da Civita Castellana, i numerosi ossuarî chiusini di terracotta, un g. usato come protome di mobile da Chiusi, il pettine di avorio della Marsiliana; infine, le imitazioni in terracotta delle protomi bronzee provenienti dal territorio falisco.
Il g. etrusco di tardo tipo ha le caratteristiche dell'ultimo tipo di g. in Grecia: corpo leonino, testa d'aquila, senza protuberanza, ali naturalistiche e cresta dentellata; ne possiamo vedere un esempio nella Tomba François di Vulci, dove fa parte di un fregio d'animali.
(M. G. Marunti)
5. Roma. - Nel lungo sviluppo dell'arte romana si assiste all'interessante fenomeno per cui la figura del g., superando il semplice aspetto decorativo, acquista un più concreto valore religioso. Le antiche connessioni istituitesi nella mitologia greca tra esso e divinità quali Apollo e Dioniso si precisano allorché forme di religiosità misterica e orientale si diffondono più largamente nella inquieta società romana. Il g. finisce per diventare il simbolo zoomorfo della dea Nemesi. Tipologicamente prevale la rappresentazione del g. con corpo leonino, testa fornita di orecchie aguzze, grandi ali di aquila. Piuttosto raro in epoca tarda il tipo di g. con testa leonina e l'altro con corpo e testa di pantera. La parte di esso, in cui il gusto decorativo trova modo di esprimersi, spesso con bizzarria, è costituita dalle ali le quali tendono talora ad allargarsi con chiaro squilibrio rispetto al corpo. Talora, se l'animale è in riposo, una delle zampe anteriori è rappresentata alzata. Con predilezione se ne ripete la figura sulle decorate corazze imperiali, come in quella della statua di Augusto di Prima Porta (Musei Vaticani) con Apollo sul mitico animale; in altri esempî sono raffigurati g. e Arimaspi. Di un delicato gusto decorativo sono le rappresentazioni di esso sull'Ara Pacis (con testa leonina), su rilievi del Foro Traiano; sopra un rilievo di Trieste, in cui appare un Erote alato tra due g. dalle grandi ali, affrontati, o sopra sarcofagi. Tuttavia, su alcuni mirabili esemplari di questo genere, come in quelli della Walters Art Gallery a Baltimora, la rappresentazione dei g. rientra nella sfera del simbolismo dionisiaco. Tale attacco è più chiaramente indicato anche dal tipo di g., con corpo e testa di pantera (l'animale di Dioniso), come nel sarcofago detto dei Grifi a Baltimora, in cui i mitici animali appaiono araldicamente affrontati ai lati di un'urna dal lungo collo. Questo motivo di g. guardiani dell'urna è abbastanza diffuso nella scultura gallo-romana funeraria. L'associazione di g. e candelabri come simboli di apoteosi si incontra nel fregio del Tempio di Faustina nel Foro Romano. Il motivo della lotta del g. e dell'arimaspe è rappresentato a stucco ai quattro angoli della vòlta centrale della basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma, che J. Carcopino ha connesso assai opportunamente con la speculazione neopitagorica, e datato all'epoca dell'imperatore Claudio. Sopra un mosaico del II sec. d. C. rinvenuto a Palermo, a Piazza della Vittoria, con scene di chiaro significato orfico e misterico, compare la figura di Dioniso sopra un grifo. Nella religiosità di tipo solare, diffusasi nei primi secoli dell'Impero, il g. quale animale sacro ad Apollo e ad Helios esprime l'apoteosi del defunto: così nel medaglione che orna il centro della vòlta in stucco di una tomba di via Latina, il defunto è trasportato a volo dal grifo. Esplicito risulta il significato "solare" del g. sopra un altare scolpito sui quattro lati, del Museo Capitolino, con dedica latina al Sol sanctissimus sotto la figura del busto del Sole sopra un'aquila, e con dedica in palmireno a Malakbēl sotto la rappresentazione di una quadriga tirata da g., sulla quale è un dio in costume orientale che sta per essere coronato da una Vittoria. Non fa meraviglia incontrare rappresentazioni di g. su rilievi mitriaci: va ricordato che agli iniziati del secondo grado nel culto di Mitra veniva dato il nome di gryphi. Nella associazione assai naturale di Helios con la dea Nemesi, formulata esplicitamente ancora alla fine del IV sec. da Macrobio (Sat., i, 22) il g. diventa animale simbolico di questa ultima. Così in una statua di Nemesi da Efeso, esso (senza ali) compare alla sua destra; in un rilievo di Salonicco con dedica in greco se ne distingue la figura sotto la dea in un disco in calcare, forse di Alessandria, figurato da un lato con Elpis, dall'altro è un g. con grande coda a uraeus, la zampa sinistra posata sopra la simbolica ruota, e accompagnato dalla iscrizione Νέμεσις Νικ(αί)a. Ancora nel V sec. d. C. Nonno di Panopoli (Dionys., xlviii, 381 ss.) descrive il g. che accompagna la dea Nemesi (δαίμων πανδαμάτειρα): "intorno ad essa presso il trono vola un uccello persecutore (ὄρνις ἀλάστωρ), il g. alato, e si libra sul palpito delle quattro zampe". Alla luce di simili testimonianze sembra possibile intendere la rappresentazione nei mosaici, dell'ambulacro della grande "caccia" della villa tardo-imperiale di Piazza Armerina in Sicilia: un g. alato (con testa di aquila) tiene le zampe anteriori posate sopra una gabbia (o trappola), tra le cui sbarre appare un volto di uomo. Il mitico animale, simbolo della dea Nemesi, in questa scena di caccia esprime forse la ineffugibilis necessitas ultionis (Ps. Apuleius, De mundo, 38, p. 174, ed. Thomas), la legge del contrappasso sull'uomo. Interessante risulta il confronto, con la scena di caccia e g. in posizione analoga a quella del mosaico piazzese, rappresentata sopra un infusorio di argento (ancora inedito) rinvenuto nel mitreo di Londra (v.).
Le connessioni della dea Nemesi con il mondo agonistico, con il circo in particolare, sono ben note; cfr. altresì Anth. Lat., i, 327, 8 (di un auriga che sempre cadeva): Non iste humano dicatur/omine natus hunc potius gryphum proprium vocet Africa circo. Si comprende perciò la presenza del g. in una scena che celebra l'agone della caccia. Il mitico animale compare sovente su gemme, talora con significato religioso, come sopra una calcedonia di Emesa, in cui si legge Μεγάλαι χάριτες τοῦ ϑεοῦ, su tessere, su monete (ad esempio di Alessandria). Tra le fonti letterarie di epoca imperiale, vanno segnalate, oltre i versi sopra riferiti di Nonno: Aelianus, De nat. an., iv, 27; Philostratus, v. Apoll., iii, 48; Servius, Ad Virg., 5 Ecl., 66; la Historia de prøliis, in cui Alessandro Magno è portato a volo da g. e i Physiologi, ai quali è dovuta la fortuna del g., come animale favoloso, per tutto il Medioevo. La sua figura si ritrova su monumenti di età merovingia e burgunda, assai stilizzata su prodotti di arte barbarica, anche sopra il medaglione di un vaso di oro di Nagy-Szent-Miklós e riaffiora nella sua orrida bellezza su capitelli di chiese romaniche.
(G. Manganaro)
Bibl.: A. Furtwängler, in Roscher, I, 2, p. 1742, s. v. Gryps; F. Dürrbach, in Dict. Ant., II, 2, p. 1668, s. v. Gryps; Prinz-Ziegler, in Pauly-Wissowa, VII, 1912, c. 1922, s. v. Gryps; A. Furtwängler, Olympia, IV, Berlino 1890, p. 59 ss.; D. Levi, in Annuario Atene, X-XII, 1927-29, pp. 372 ss.; 323 ss.; 455 ss. e 528; E. Kunze, Kretische Bronzereliefs, Stoccarda 1931, p. 168 ss.; H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931, p. 90 ss.; H. Frankfort, Notes on Cretan Griffin, in Annual Br. School Athens, XXXVII, 1936-37, p. 106 ss.; E. Akurgal, Späthethische Bildkunst, Ankara 1949, p. 80 ss.; W. E. Staples, An Inscribed Scaraboid, in Or. Inst. Comm., n. 9, Chicago, p. 49 ss.; K. F. Johansen, Les Vases Sicyoniens, Copenaghen 1923, p. 129 ss.; R. D. Barnett, Early Greek and Oriental Ivories, in Journ. Hell. Studies, LXVIII, 1948, p. 9 ss.; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954, passim; J. Leibovitch, Le griffon dans le Moyen Orient Antique, in Atiqot, I, 1955, p. 75 ss.; Maxwell Hyslop, Urartian Bronzes in Etruscan Tombs, in Iraq, XVIII, 1956, p. 155 ss.; M. Pallottino, in Archeologia Classica, VII, 1955, p. 109 ss.; IX, 1957, p. 88 ss.; P. Amandry, Grèce et Orient, in Études d'archéologie classique, I, 1955-56, Parigi 1958, p. 3 ss.; R. D. Barnett, A Catalogue of Nimrud Ivories, Londra 1957, p. 73 ss. e passim; R. Lullies, in Arch. Anz., 73, 1958, c. 143 ss.; J. Leibovitch, Le Griffon d'Erez et les sens mytologique de Némésis, in Isr. Expl. Jour., VIII, 1958, n. 3, p. 141 ss.
Le fonti di epoca romana sono raccolte in L. Stephani, in Compt. Rend. Com. S. Pétersbourg, 1864, p. 53 ss.; in G. A. S. Snijder, in Raccolta di Scritti in onore di F. Ramorino, Milano 1927, p. 257 ss.; E. Wüst, in Arch. Rel. Wiss., XXXII, 1935, p. 212 ss. Sui rilievi del Foro Traiano: F. W. Goethert, in Jahrbuch, LI, 1936, p. 76 ss. Sui sarcofagi di Baltimora: K. Lehmann-Hartleben - E. C. Olsen, Dionisiac Sarchophagi in Baltimore, Baltimora 1942. Per il g. nella scultura gallo-romana: E. Thevenot, in Rev. Arch., XXXV, 1950, p. 86 ss. Per il motivo dei g. intorno a un dio: H. Seyrig, in Ant. Syr., III, 1946, p. 133 ss.; E. R. Goodenough, Jewish Symbols in the Gr. -rom. Period, II, New York 1953, p. 41 ss. e VIII, 1958, p. 142 ss. (cfr. Index a p. 249); K. Schauenburg, Helios, Arch. -myth. Studien über den ant. Sonnengott, Berlino 1955, p. 28 e nota 233; J. Carcopino, La basilique pythagoricienne de la Porte Majeure, Parigi 1954, p. 38 e 298 ss. Per il g. nel mosaico di Palermo: D. Levi, in Berytus, VII, 1942, p. 38 ss. Per il culto di Mitra: E. Wüst, in Pauly-Wissowa, XV, 1932, c. 2142, s. v. Mithras. Per le connessioni con Nemesi: H. Posnansky, Nemesis u. Adrasteia, Breslavia 1890, p. 109 ss.; B. Schweitzer, in Jahrbuch, XLVI 1931, p. 208 ss.; E. Riefstehl, Nemesis a. the Whel of Fate, in Bull. Brooklyn Mus., XVII, 1956, p. 1 ss.; H. Volkmann, in Arch. Rel. Wiss., XXVI, 1928, p. 316 ss. e XXXI, 1934, p. 73 ss. Per il g. nel Medioevo: J. Strzygowski, Der Bilderkr. gr. Physiologus, Lipsia 1839, p. 102 ss.; J. Hubux-M. Leroy, Le Mythe de Phénix d. les Mitt. gr. et lat., Liegi 1939, pp. 10, 12, 151, 173; L. Charbonneaux Lassay, Le Bestiaire du Christ, Bruges 1904, p. 364.
(M. G. Marunti - S. I. Rudenko - G. Manganaro)