GRIFO
Animale fantastico, genericamente con becco e ali d'aquila e corpo di leone, il g. può presentare varietà fisionomiche: g.-uccello, con corpo di leone e testa di uccello, con o senza ali, zampe anteriori di rapace e posteriori di felino; g.-leone, con corpo leonino, con o senza ali, e coda d'uccello (d'Agostino, 1994, p. 155).Il tema iconografico ebbe origine in Mesopotamia e in Egitto intorno al 3000 a.C. (Bisi, 1965, p. 254), sebbene Erodoto (III, 116; IV, 13, 27) ritenesse il g. originario della Scizia (d'Agostino, 1994, p. 156). Controversa l'origine del nome: secondo Bisi (1965, p. 202) "i Greci coniarono per un motivo straniero un nome nuovo e prettamente ellenico", mentre per altri la parola deriverebbe da una contaminazione con l'ebraico kerub, assimilabile ai cherubini dell'antica tradizione biblica, ovvero quelle sfingi alate a loro volta "derivate dal motivo dei g. a guardia dell'albero della vita, frequenti sui sigilli siriaci e mitannici del secondo millennio a.C." (Bussagli, 1991, p. 18).Frequentemente raffigurato nell'arte achemenide della Persia, il g. divenne per gli Ebrei il simbolo della dottrina persiana dei Magi (Chevalier, Gheerbrant, 1973). Introdotto in Grecia dall'area anatolica, assunse le simboliche funzioni di guardiano dell'oro iperboreo, cavalcatura di Apollo, sorvegliante del mistico cratere di Dioniso, iniziando a divenire l'immagine archetipica della forza e della vigilanza, ma anche la creatura che incarna il simbolo della prova da superare per giungere alla meta: in età ellenistica il g. venne associato alla Nemesi e ai culti solari (Réau, 1955; Marunti, Rudenko, Manganaro, 1960). Nominato da Plinio (Nat. Hist., 7, 2), il g. compare poi nel Physiologus, redatto ad Alessandria nel 2°-3° secolo. Dal Physiologus passò poi alla letteratura cristiana: portatore da sempre di una doppia simbologia - le sue due nature, felina e volatile, alludono alla terra e al cielo, dunque alla fusione tra due essenze (d'Agostino, 1994, p. 155) -, il g. si prestava a essere interpretato in senso cristologico, simbolo delle due nature di Cristo, umana e divina, come attesta nel sec. 6° Isidoro di Siviglia: "Christus est leo pro regno et fortitudine [...] aquila propter quod post resurrectionem ad astra remeavit" (Etym., XII, 2, 17).La cristianizzazione del g. non cancellò l'antico e primario significato semantico, così che per tutto il Medioevo "i grifi o i mostri custodiscono sempre le strade della salvazione" e "tutti gli accessi all'immortalità", appartenendo, per altri versi, al "mito delle prove" (Eliade, 1948, trad. it. pp. 302, 444). Con la peculiare funzione di psicopompo, già presente nella decorazione di sarcofagi etruschi e romani, passò poi a simboleggiare il guardiano della tomba e della risurrezione sui sarcofagi della prima arte cristiana, perfettamente coesistenti il significato pagano e quello cristiano (Wilpert, 1929, nr. 142, p. 141). Su un sarcofago merovingio rinvenuto a Charentondu-Cher, del sec. 7° (Bourges, Mus. du Berry; Hubert, Porcher, Volbach, 1967, fig. 25), compare il motivo iconografico dei g. affrontati intorno a un calice, da alcuni interpretato come fonte di vita, da altri come calice eucaristico.I Burgundi erano soliti decorare coppe con g. già in epoca precristiana; dopo la conversione aggiunsero una croce o un chrismon alla coppa del g., ma ciò non alterava, secondo Mâle (1972, p. 50, n. 1), il preesistente significato, legato forse a riti di fertilità, a cui conferiva nuove valenze mistiche o eucaristiche.Nel sec. 8°-9° la versione anglosassone del g. compare sulle croci monumentali di Croft on Tees (North Yorkshire) e nella croce nr. 2 di Otley (West Yorkshire): la precisione dei dettagli e la terminazione della coda dell'animale in punta fogliata presuppongono un prototipo eburneo (Hicks, 1993, p. 129). Nell'arte dei Pitti la presenza del g. costituisce una precisa ripresa dall'Antico, similmente al cavalluccio marino e al centauro che compaiono sulla croce di Aberlemno (v.). I Pitti sembrano cogliere nel g. soprattutto l'aspetto di feroce e spietata vendetta verso il peccato e i peccatori, come dimostrerebbero il fusto di croce di Kettins e il fusto di croce nr. 4 di Meigle (Tayside; Hicks, 1993, p. 187). Nel contesto di una sorta di 'processione degli animali' il g. compare invece sulla base della faccia settentrionale della croce ovest di Clonmacnois in Irlanda, legata al re Flann, che regnò dall'877 al 915 (Hicks, 1993, p. 240).Insieme ad altre bestie il g. compare spesso nelle raffigurazioni di Adamo che dà il nome agli animali o nella Creazione (Gn. 2): avorio da Tours, della metà del sec. 9° (Parigi, Louvre; Steinen, 1965, fig. 285a); Bibbia di Alnwick, del sec. 12° (Castle Lib., 447, c. 5v); affresco di S. Pietro in Valle a Ferentillo (prov. Terni), della fine del 12° secolo.Nella parte inferiore della lastra di Sigualdo, del 756-786, nel battistero di Callisto (Cividale, Mus. Cristiano), compare il motivo tipicamente orientale dello hom (l'albero della vita iranico) caratterizzato "dai due grifi araldici, e qui, soprattutto dalle due teste animalesche che spuntano simmetrica- mente dai rami", connettendo in un'"equazione di significati" (Iacobini, 1994, pp. 248, 260), i g. a un albero con teste accostato analogicamente alla croce raffigurata sopra. Ancora in una doppia immagine che illustra lo Speculum virginum di Corrado di Hirsau, degli inizi del sec. 12° (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 276a, cc. 11v-12r), due g. compaiono nella raffigurazione dell'albero della conoscenza del bene e del male (c. 11v) appena sotto la figura del vetus Adam, contrapposto al novus Adam, il Cristo, effigiato nell'albero della vita (c. 12r), in un complesso contesto di rispondenze di antitetici simbolismi (sinistra/destra; Babilonia/Gerusalemme; superbia/umiltà). Ancora g. contrapposti specularmente allo hom, che può assumere una struttura più stilizzata e ornamentale, sono presenti nel Codex Aureus Epternacensis, del 1030 ca. (Norimberga, Germanisches Nationalmus., 156142, c. 51v), e su diverse lastre scolpite dei secc. 10°-11°, come quella di Sorrento (Mus. Correale di Terranova), proveniente dall'antica cattedrale, dove i g. si presentano con il corpo quasi interamente leonino, conservando dell'aquila solo testa e ali (Farioli Capanati, 1982, nr. 84, fig. 151), oppure la lastra dell'oratorio di S. Aspreno, incorporata nel palazzo della borsa (ivi, nr. 79, fig. 143) a Napoli; della chiesa di S. Felice a Cimitile (ivi, nr. 82, fig. 149); di Cagliari (Mus. Archeologico Naz.), con un g. e un cavallo alato (ivi, nr. 83, fig. 150); della cattedrale di Trani (ivi, nr. 90, fig. 158). In un'altra lastra, reimpiegata in un ambone della chiesa di S. Giovanni Crisostomo a Bari, la relazione salvifica tra albero e animali diviene più esplicita, perché essi, un g. e un leone alato, sottomettono un cinghiale e un capro, simboli del male, mentre l'albero della vita è coronato da una piccola croce, secondo la ben nota equazione con il sacro legno.Amplissima fu la diffusione dell'immagine del g. nella decorazione di portali e facciate di cattedrali: per es. la cattedrale di S. Sabino a Bari, dove g. trionfano su animali marini (sec. 11°; Decker, 1958, fig. 188; su un capitello nella cripta della stessa cattedrale un leone e un g. si voltano verso l'albero della vita); il portale dell'abbazia di S. Leonardo di Siponto, presso Manfredonia, del 1120 (Decker, 1958, fig. 203); l'architrave del portale laterale della pieve di San Casciano a Settimo, dove due g. assaltano un orso. Straordinari per bellezza e forza espressiva nel modellato dei tratti del volto sono i g. stilofori del portale della basilica romanica di S. Giustina a Padova, della metà del sec. 12°, e quelli del portale ovest del duomo di Verona, opera di Niccolò, del 1139 (Hamann, 1922, fig. 106).Uno splendido archivolto proveniente da Saint-Cosmus a Narbona, del sec. 12° (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), mostra il g. insieme ad altri animali: manticora, pellicano, basilisco, sirena, anfisbena e leone (Benton, 1992, fig. 9).Divenuto uno dei temi iconografici prediletti dell'Alvernia romanica, il g. si ritrova effigiato su almeno quindici capitelli di questa regione, spesso nel ruolo di custode del calice. Tra questi, degno di nota è un capitello della chiesa monastica di Chanteuges (a S-E di Brioude) raffigurante il Viaggio per mare di s. Marcellino insieme ai ss. Vincenzo e Donnino: la barca è affiancata da due enormi g. con l'evidente ruolo di proteggere i viaggiatori e garantire la loro salvezza per mare (Melzak, 1990, p. 10).Con il significato di aggressori, i g. sono invece effigiati su alcune imposte del chiostro di Moissac, completato nel sec. 12°, per es. nell'atto di attaccare un uccello oppure quadrupedi addorsati (Capelle, 1981, figg. 25, 27). Un g. aggredisce e ha il sopravvento su un drago in un capitello della cripta di S. Salvatore a Brescia, della fine del sec. 11°; ancora nel ruolo di feroci aggressori sono raffigurati sul pilastro della porta occidentale dell'abbazia di Sainte-Marie a Souillac (dip. Lot), ora all'interno del nartece (1115-1130 ca.): quattro g. con la testa voltata indietro formano coppie incrociate con le rispettive vittime, un uomo, una colomba, un cane e una gazzella. La complessa figurazione è stata vista da alcuni in senso assolutamente negativo, espressione delle forze del male che opprimono il popolo di Dio (Benton, 1992, p. 130), ma forse i g. di Souillac andrebbero reinseriti nell'ambito di una simbologia salvifica, con il significato di minaccia e pericolo del peccato.Su un fonte battesimale dall'abbazia di Disibodenberg, nella Renania-Palatinato (Spira, Historisches Mus. der Pfalz), è effigiato un combattimento tra g. e basilischi, e la stessa scena compare su un rilievo nell'atrio sudorientale del duomo di Magonza (Heinz-Mohr, 1984): il puntuale significato positivo dei g. allude alla forza soprannaturale del battesimo per vincere tentazioni e demoni. Su una singolare lastra romanica murata nella più recente costruzione di S. Maria a Massasco (prov. Genova), il g. è inserito in una figurazione esorcistica comprendente una sirena che brandisce due croci, un drago e un g. (accompagnati da iscrizioni con i loro nomi serena, serpens e grifus), mentre al di sotto un'iscrizione latina esorta a restare saldi nella fede qualunque cosa accada (Leclercq-Kadaner, 1984, p. 248, fig. 1).Nel Bestiario Worksop, del sec. 12° (New York, Pierp. Morgan Lib., M.81), il g. è raffigurato mentre tiene fra le zampe un cinghiale (c. 36v); notevolissimo è pure, per stile e cura dei particolari, il g. che compare nel litostroto di Gânagobie (dip. Alpes-de-Haute-Provence), nell'abside centrale (Oursel, 1991, fig. 163). In rapporto alla risurrezione o all'ascensione di Cristo, il g. si trova effigiato sull'altarolo d'oro portatile della cattedrale di Friburgo in Brisgovia (Augustinermus.; Gombert, 1965, fig. 1), del sec. 12°; contrapposto a un drago compare un g. alla coppa all'interno dell'oratorio di S. Pellegrino a Bominaco (v.), su un pluteo del 1260 ca.: in questo caso sembra che la coppa divenga chiaramente un calice, forse con valore eucaristico.Eccezionali per la caratterizzazione gotica della superficie sono i due g. (Gramaccini, 1987) che fanno parte, insieme a due leoni alati, di un gruppo bronzeo datato a partire dall'ultimo terzo del sec. 13° (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria), un tempo collocato sulla sommità della fontana Maggiore di Perugia, ma ormai definitivamente ritenuto non pertinente a essa (Réfice, 1994). Rimanendo in ambito perugino, al terzo quarto del sec. 13° sembra ormai doversi datare il g. bronzeo del palazzo dei Priori, sala dei Notari (già all'esterno del palazzo, insieme al leone, suo pendant, e ora sostituiti da copie), in una ben circostanziata cultura duecentesca di ripresa di motivi dall'Antico. Nel pulpito di S. Andrea a Pistoia di Giovanni Pisano (1301) il g. compare due volte: alla base della colonna centrale e sulla parte superiore del pilastro con il Cristo mistico, nella scena dell'Etimasia, dove Giovanni ha voluto trasformare l'insieme della simbologia in un "unico grande emblema, una specie di grande testa grottesca di grifo" (Mellini, 1971, p. 70), parallelamente alla simbologia dantesca che vede il definitivo cambiamento del g. da animale che traina il trionfale carro dell'Ecclesia (Purg. XXIX, v. 113) a simbolo profetico del ritorno di Cristo alla fine del mondo.L'affermata valenza cristologica del g. è evidente anche nel manto di seta con cui Vitale da Bologna ricopre la Vergine nella tavola della Madonna dei denti, del 1345 (Bologna, Mus. Civ. d'Arte industriale Davia Bargellini).La raffigurazione del g. iranico, riprodotto su sete, tappeti, piatti e coppe, in epoca sasanide si propagò all'esterno sopravvivendo "pressoché inalterata per molti secoli oltre la sparizione di quella stessa dinastia, persistendo in una sorta di cristallizzazione almeno fino al sec. 12° d.C., come è evidente in alcuni motivi decorativi bizantini" (d'Agostino, 1994, p. 155): per es. nel piatto d'argento con g. del sec. 7° (San Pietroburgo, Ermitage) o nella tazza d'argento del Caucaso (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Mus. für Islamische Kunst), dove nella stilizzazione dei genitali e della coda dell'animale è deliberatamente sottolineato "il simbolismo solare e di fertilità associato al grifo" (La seta e la sua via, 1994, nr. 115). L'uso di raffigurare l'animale al 'galoppo volante' è riprodotto nei sigilli, divenuti strumenti carichi di un significato magico, "mai obnubilata l'arcaica funzione babilonese del g. messaggero" (d'Agostino, 1994, p. 155; La seta e la sua via, 1994, nrr. 116-117; nei sigilli in diaspro con g. e in quello in calcedonio-sardonica con g.; Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire). La bellissima brocca d'oro e smalti di Saint-Maurice d'Agaune, datata alla fine del sec. 8°-inizi 9° (Trésor de l'Abbaye de Saint-Maurice; de Francovich, 1966; Haseloff, 1990), dono, sembra, di Hārūn al-Rashīd a Carlo Magno, ma di fattura costantinopolitana, accostata, per stile, a un gruppo di stoffe dei secc. 8°-9°, documenta a Bisanzio il definitivo formalizzarsi del repertorio di un'arte imperiale (Iacobini, 1994, p. 282). Due g. ai lati dell'albero della vita sono presenti su un tessuto di seta rinvenuto in una sepoltura del Caucaso del sec. 8°-9° (San Pietroburgo, Ermitage; La seta e la sua via, 1994, nr. 114), e ancora su tessuti di uso funerario, come il c.d. drappo di s. Francesco (Assisi, Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco; La seta e la sua via, 1994, nr. 121) e il telo di s. Ciriaco, del sec. 10°-11° (Ancona, Mus. Diocesano d'Arte Sacra; Splendori di Bisanzio, 1990, nr. 162), dove bellissimi g. con capo retroverso sono addorsati all'albero della vita entro clipei di ascendenza islamica. Splendidi per ricchezza di particolari decorativi sono i g. del sudario di s. Siviardo (sec. 11°-12°) e s. Potenziano (sec. 12°-13°; Sens, Trésor de la Cathédrale; La seta e la sua via, 1994, nrr. 119-120). Nell'ambito della cultura e del gusto tardobizantino è da collocarsi il piviale di Bonifacio VIII, della fine del sec. 13° (Anagni, Tesoro del Duomo), dove il g. assume ancora un preciso valore cristologico (Splendori di Bisanzio, 1990, nr. 82; d'Agostino, 1994, p. 156).Un bell'esemplare di g. che tiene per il becco presumibilmente un grappolo d'uva è su un cofanetto eburneo (coll. privata; Elbern, 1982, fig. 4) datato al 10°-11° secolo. Agli inizi del sec. 10° si datano i rilievi della chiesa bizantina di Selçikler: su un pilastrino ancora in situ compare il g. insieme al senmurv, a uccelli acquatici e a un agnello (Grabar, 1976, nr. 11, tav. VIb); al sec. 12° risale invece un frammento scultoreo nel katholikón di Hosios Lukas nella Focide, dove ricorre l'antico motivo del cervo attaccato dal g. (ivi, nr. 44, tav. XXVIb), in analogia stilistica con il g. che si trova sulla fronte meridionale della chiesa di Ałt'amar. Nel ben noto significato apotropaico di guardiani del sacrum, sulla facciata della Piccola metropoli di Atene vi sono due g. che fiancheggiano la coppa della vita, del 1200 ca. (ivi, nr. 81, tav. LXVIb), e ancora, pertinenti all'ingresso del santuario, si ritrovano g. entro medaglioni all'esterno del portale della Parigoritissa di Arta, del sec. 13° (ivi, nr. 152, tav. CXXVIIIb), o sulla distrutta porta lignea di S. Nicola a Ochrida, dove il g. rampante era associato a una croce stilizzata entro un clipeo (ivi, nr. 116, tav. LXXXVIIa). Numerosissimi i g. su frammenti di recinzioni presbiteriali: il pluteo nr. 35 di Atene, della fine sec. 11° (Byzantine Mus.; ivi, nr. 54), è accostabile, per stile, alla lastra di Sorrento (Mus. Correale di Terranova) e ai plutei della tribuna di S. Marco a Venezia. Questi ultimi, dal repertorio iconografico improntato al più fedele naturalismo, come nel pluteo con il g. che attacca un elefante, devono molto della loro realizzazione ad artisti locali, ma il programma e il repertorio sono improntati all'arte di Bisanzio del sec. 11° (ivi, p. 76). G. sono ancora ben riconoscibili su altre lastre frammentarie, per es. su quella di Salonicco (Archaeological Mus.; ivi, nr. 68), o quella di Sofia (Nat. arheologitcheski muz.), del sec. 11°, rinvenuta a Stara Zagora e proveniente dal Sud-Est dell'antica Bulgaria (ivi, nr. 70, tav. XLIVd).In ambito islamico, all'interno di una tendenza stilistica caratterizzata da un forte conservatorismo che vede il riproporsi con minime varianti di modelli sasanidi precedenti (v. Bronzo), va collocata una gamba di trono in forma di g. della fine del sec. 7°-inizi 8° (New York, Metropolitan Mus. of Art). Di grande importanza è il g. bronzeo che i Pisani sistemarono sul fastigio orientale della cattedrale del 1063 recante un'iscrizione apotropaica (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana; Hollerbach, Jászai, 1971, col. 203). Il g. di Pisa, pur rifacendosi a un modulo decorativo peculiare della scultura animalistica iranica, sarebbe da attribuire secondo alcuni ad ambito spagnolo, secondo altri a contesti iranici o fatimidi (Scerrato, 1967, pp. 78-83; 1971, nr. 26; Melikian, Chirvani, 1968; Gabrieli, Scerrato, 1979, fig. 525).Opera forse di maestranze musulmane egiziane è il bellissimo 'avorio saraceno', della seconda metà del sec. 12° (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), raffigurante due g. affrontati all'albero della vita che fuoriesce da un vaso e si delinea in modo molto naturalistico. A un prototipo iranico sono invece riconducibili i g. marmorei sul trono del duomo di Monreale, della seconda metà del 12° secolo. L'antico nesso "instaurato da millenni tra grifo e regalità" (d'Agostino, 1994, p. 157) - per es. il trono costantinopolitano dell'epoca dell'imperatore iconoclasta Teofilo (829-842), formato da un platano aureo abbinato a due g. e due leoni, di gusto islamizzante, distrutto pochi anni più tardi (Iacobini, 1994, p. 283) - si perpetuò oltre la caduta degli stessi imperi nei quali questo rapporto fu realizzato: rievocazione di questo "arcaico nesso" (d'Agostino, 1994, p. 157) può considerarsi il ricamo con g. nella balza inferiore dell'alba imperiale di Guglielmo II, del 1181, manifattura prodotta a Palermo (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer).Una trattazione a parte nell'ambito dell'iconografia del g. meritano le raffigurazioni medievali dell'ascensione di Alessandro Magno (v.). Al di là dei numerosissimi esempi in cui il tema iconografico in questione può essere visto in senso negativo, come allegoria del vizio di superbia (Otranto, cattedrale, pavimento musivo), oppure in senso positivo, simboleggiante il desiderio d'ascesi del cristiano, per es. nella chiesa di Santa Maria della Strada (prov. Campobasso), è tuttavia importante seguire l'evoluzione dell'iconografia fino alla 'santificazione' di Alessandro Magno, attribuendo al macedone l'ideologia imperiale bizantina che voleva il sovrano protetto dal Signore e guidato da lui nelle sue vittorie. In questo contesto il g., animale associato alla mistica dell'ascesi d'antica memoria (Couliano, 1984), compare su una serie di opere: per es. nel diadema del sec. 11°-12° (Kiev, Kievskij muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva, Coll. Khanenko); negli smalti della pala d'Oro, del sec. 11°, e nel rilievo della fronte nord, dei secc. 12°-13°, in S. Marco a Venezia. Il g. nella scena dell'ascensione può acquistare inoltre significato di animale custode del viaggio iniziatico e dunque custode dell'immortalità. Nella cassettina eburnea di Darmstadt (Hessisches Landesmus.), del sec. 10°-11°, i g. che trainano il carro di Alessandro sono assistiti da due figure, una senza ali, che pone o riceve qualcosa dalle zampe anteriori dell'animale in piedi, e l'altra alata, che sembra poggiare qualcosa sulla fronte del g., forse una piccola corona, quasi a evidenziare come anche per il g., in continuità con un'antichissima tradizione, l'emblema metafisico dell'immortalità si trasformi in oggetto concreto, localizzato nell'occhio, oppure, come in questo caso, sulla fronte (Eliade, 1948, trad. it. p. 459).
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