Čuchraj, Grigorij Naumovič
Regista cinematografico ucraino, nato a Melitopol′ il 23 maggio 1921. Noto in Unione Sovietica e all'estero come uno dei registi del disgelo, ha realizzato nel decennio chruščëviano alcuni film considerati importanti per la rinascita del cinema sovietico dopo gli anni d'isolamento dello stalinismo. Č., pur nel solco della tradizione del realismo socialista, è riuscito a svincolarsi dalla visione univoca e trionfalistica della realtà dettata dal potere costituito. Forte di una raffinata cultura letteraria, ha saputo raccontare, almeno nei primi film, con lirismo, freschezza narrativa e semplicità poetica (pur rischiando a volte la banalità), storie e personaggi comuni, commoventi vicende di vita quotidiana legate ai tragici avvenimenti della Russia del 20° sec.: la rivoluzione del 1917 e la Seconda guerra mondiale. Ha ricevuto due premi speciali al Festival di Cannes: nel 1957 per Sorok pervyj (1956; Il quarantunesimo) e nel 1960 per Ballada o soldate (1959; La ballata di un soldato).
Richiamato alle armi nel 1939, allo scoppio del conflitto, ferito e pluridecorato, Č. visse drammatiche esperienze che in seguito ispirarono i soggetti di alcuni suoi film. Dopo la guerra, entrò al VGIK per diventare uno dei più promettenti allievi di Sergej I. Jutkevič e Michail I. Romm, del quale fu assistente nel 1953 per un film storico sull'ammiraglio F.F. Ušakov. Diplomato nello stesso anno, lavorò negli studi cinematografici di Kiev come assistente di Vladimir A. Braun e fu coregista, assieme a Viktor I. Ivčenko, di Nazar Stodolja (1955), riduzione dell'omonimo dramma di T.G. Ševčenko.Entrato a lavorare negli studi della Mosfil′m, gli venne affidata la sua prima regia individuale. Fu un debutto clamoroso: Sorok pervyj, tratto dal romanzo di B.A. Lavrenëv e remake dell'omonimo lavoro (1927, uscito in Italia con il titolo L'isola della morte) di Jakov A. Protazanov, fu il primo dei suoi tre film di grande successo legati al nuovo corso sovietico. Con uno stile raffinato, al limite della ricercatezza nell'uso del colore, giocato su toni monocromi fra grigio, ocra, nero e inquadrature di paesaggi lacustri (la scena è un'isola deserta sul lago di Aral), il film racconta la storia d'amore fra una giovane tiratrice scelta bolscevica e un tenente zarista, prigioniero durante la guerra civile. Vicenda toccante e densa di speranze che si spezzeranno tragicamente contro l'insormontabile barriera delle ragioni politiche e storiche, quando la ragazza dovrà uccidere l'ufficiale bianco che sta per essere liberato. Č. diventò il portavoce di un romanticismo sincero, ma non privo di retorica, che riscosse vivissimi consensi in un pubblico affamato di cambiamento. Nel 1959 arrivò la seconda affermazione con Ballada o soldate, scritto insieme a Valentin I. Ežov: attraverso la storia, ritmata come una partitura musicale, del viaggio verso casa di un soldatino in licenza durante il secondo conflitto mondiale, Č. colse un'altra occasione per raccontare, con mirabile equilibrio fra aspirazione e sentimento, la guerra nelle retrovie. Sensibilità individuale, bontà, amicizia, amore, generosità d'animo si dibattono nel flusso indifferente e soprattutto impietoso dei grandi eventi, formula cara a molti registi e scrittori di quel periodo. Terza prova e manifesto del cinema di transizione fra vecchio e nuovo corso fu Čistoe nebo (1961; Cieli puliti), che, pur con enfasi eccessiva e inutili virtuosismi psicologici, colpisce al cuore uno dei drammi più crudi dello stalinismo: il ritorno in patria dalla Germania dei prigionieri russi dopo la fine della guerra. Una semplicità ormai di maniera, che sfocia nella retorica, si nota nel successivo Žily-byli starik so staruchoj (1965, C'erano una volta un vecchio e una vecchia), apologo intimo svincolato da tematiche sociali o politiche.Parallelamente alla direzione artistica di un centro sperimentale per giovani registi all'interno della Mos-fil′m, di cui Č. fu responsabile dal 1965 al 1975 dando il via alla produzione di trentatré film, e all'insegnamento al VGIK (1966-1971), il regista scrisse e diresse un film-documento, montato con interviste e materiali di repertorio, sulla battaglia di Stalingrado, intitolato Pamjat′ (1971, Memoria). Ormai di rado dietro alla macchina da presa, Č. ha girato nel 1978 Trjasina (Palude); un anno dopo ha accettato l'offerta di una coproduzione italo-sovietica per realizzare un film in Italia con Giancarlo Giannini e Ornella Muti (La vita è bella, 1979, intitolato nella versione russa Žizn′ prekrasna), banale storia dagli accenti melodrammatici.
I. Šnejderman, G. Čuchraj, Leningrad 1965.
N. Zorkaja, G. Čuchraj, in Portrety (Ritratti), Moskva 1966.
P. Zanotto, Qualcosa di vero, in "Rivista del cinematografo", 1973, pp. 17-18.
E. Levin, Gumanizm soldata, mužestvo gumanista (L'umanesimo di un soldato, il coraggio di un umanista), in "Iskusstvo kino" (Arte del cinema), 1981, 7.
G. Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Roma 2000, pp. 96-98 e passim.