GROMA (lat. groma, gr. γνώμων)
È lo strumento geodetico adoperato dai Romani, fino forse al sec. III d. C., così per le solenni limitazioni, distribuzioni o assegnazioni agrarie, come per le ordinarie misurazioni e terminazioni campestri, e relative verifiche di confini (v. agrimensura).
Il dibattito sulla vera costruzione e sulla tecnica di maneggio della groma, iniziatosi nel sec. XVII, alimentato dall'intervento di filologi, fisici e tecnici, italiani e stranieri, si è mantenuto vivo fino ai giorni nostri in difetto di elementi di fatto incontrovertibili, ma si è concluso con la scoperta, avvenuta nel 1912 a Pompei, di undici elementi di ferro e di bronzo (fig.1), che, reintegrati delle parti di legno perdute, condussero il Della Corte alla ricostruzione totale dello strumento (figg. 2 e 3).
È chiaro che i due bronzi A e B (quest'ultimo si prolunga in un cuspidone di ferro a quattro alette, da infiggersi nel suolo) servivano a ricomporre il bastone di sostegno (ferramentum), e così pure che dalle quattro punte (cornicula) disposte a perfetto angolo retto della croce terminale, o groma, G, fatta di lamine di ferro rivestenti un'interna anima di legno (una volta inserita questa per la sua ghiera centrale, H, su altro sostegno) dovevano pendere per altrettanti fili (nerviae) i quattro contrappesi (pondera), K. Questo significa che i rimanenti bronzi C, D, E, F, dovevano servire a ricomporre il terzo elemento essenziale dello strumento, il pezzo di transizione tra il ferramentum e la groma: il rostro sporgente, (umbilicus soli; fig. 2), lungo esattamente un piede; quel pezzo, cioè, che, non essendo stato riprodotto nemmeno nel rilievo di Ivrea (unica classica ma sommaria riproduzione che si abbia della groma, nel marmo funebre del mensor L. Aebutius Faustus), si lasciava solo intravedere ma non determinare nella sua forma vera attraverso le frammentarie indicazioni dei gromatici e le riconosciute necessità della tecnica del maneggio, poste in evidenza da alcuni studiosi. È quello, infatti, il pezzo che, articolandosi per un capo sul ferramentum (figura 3), vi gira a volontà dell'operatore, e, inserendosi per l'altro capo nella ghiera centrale della croce (groma), che vi si appoggia dall'alto libera di girarvi intorno, serve a integrare al completo la interessante macchina, o machinula, permettendo in ogni senso i traguardi fra le coppie di fili a piombo opposte, ricadenti dai bracci della groma. L'incontro ad angolo retto tra i piani visivi verticali, ottenuti traguardando fra le coppie opposte dei fili ricadenti dalla croce, determinava da un canto gli allineamenti divisorî (rigores) sul suolo da dividere e confinare, e dall'altro i punti d'incrocio da munire di cippi terminali (termini, lapides, cippi, ecc.). Nell'inversa operazione, della revisione cioè o restituzione e reintegrazione di una metazione e terminazione giȧ esistente, preso come punto di partenza uno dei termini già infissi al suolo (nella fig. 2 la machinula si vede piantata presso uno dei cippi principali di un ager limitatus), si trattava di controllare l'esattezza delle parcelle agrarie assegnate, seguendo l'andamento delle linee divisorie (rigores), e smontando e rimontando lo strumento ed eseguendo le relative operazioni di revisione a ogni punto d'incrocio dei rigores (cardini e decumani).
Fonti: Gromatici veteres, ed. Lachmann e Rudorff, Berlino 1848-52.
Bibl.: M. Della Corte, Groma, in Mon. dei Lincei, XXVIII (1922), p. 5 segg. (con tutta la precedente bibliografia).