grosso
È usato con maggior frequenza in poesia, talora unito ad altro aggettivo. In senso proprio, riferito a oggetti di cui si pone in risalto, oltre alla grandezza genericamente intesa, la larghezza o il peso: alti e grossi sono gli argini del Flegetonte (If XV 11); lunga e grossa / come la pina di San Pietro a Roma è la faccia di Fialte (XXXI 58); grossa è la grandine che tormenta i golosi (VI 10; cfr. anche XXIII 101), e la matera per cui la terra tarda molto nel suo movimento (Cv III V 6; cfr. grossezza di materia [che gli angeli non hanno], VII 5).
Con l'espressione grosso velo è indicata sia la spessa crosta di ghiaccio che copre d'inverno il Danubio (If XXXII 25), sia l'ostacolo costituito dal fummo che avvolge gl'iracondi e che impedisce a D. di vedere (Pg XVI 4). Qui l'aggettivo vale dunque " denso ", " fitto ", come in altri casi in cui è riferito all'aere infernale (If XVI 130, XXXI 37, sempre unito a ‛ scuro '; per l'aria genericamente intesa, cfr. Cv III IX 12, dove si parla anche della sua grossezza) o alla nebbia (If XXXIV 4) o ai vapor per cui Marte rosseggia (Pg II 14). In Fiore XC 10 E ciascun dice ch'è religïoso, / perché vesta di sopra grossa lana, / e 'l morbido bianchetto tien nascoso, la contrapposizione a bianchetto, che è " lana bianca leggiera " (Parodi), e a morbido conferisce a g. il doppio valore di " spesso " e di " ruvido " (cfr. il latino medievale " lana grossa vel prima ", in Du Cange, sub v. lana). Tale duplicità di significato si riscontra pure in altri passi, in cui g., riferito ad animali, vale anche " grasso ": così per la scrofa azzurra e grossa rappresentata nello stemma degli Scrovegni (If XVII 64), e per le lamprede e i cavretti di Fiore CXXV 3 e 9 (cfr. Folgore Di luglio 7 " capretti sovrani "). Decisamente " grasso " in Fiore XLIII 6, dove Ragione afferma di non essere troppo grossa né tro' grella [" sottile, esile ", Parodi], / né troppo grande né tro' picciolella. Cfr. anche CXV 5.
In senso figurato vale " ignorante ", detto della gente che, non conoscendo le leggi dell'universo, non vede / qual è quel punto ch'io avea passato (If XXXIV 92), o delle menti " ottuse ", come dice il Lombardi (" quae quaeritis rationem in divinis, nec scitis reperire ipsam in terrenis ", Benvenuto: cfr. Pd XIX 85). Analogamente sono " tempi d'ignoranza " le etati grosse (Pg XI 93), in cui " siano omini grossi d'intendimento " (Buti; e cfr. Fiore CLXXXI 6 ho lo 'ntendimento rud'e grosso); e nel Paradiso (Pd I 88) Beatrice rimprovera D. di ‛ farsi g. ', di pensare " troppo materiale " (Tommaseo) " cum deberes esse subtilis " (Benvenuto), col falso immaginar, sì che non vedi / ciò che vedresti se l'avessi scosso. Cfr. anche grossezza, in Cv II III 3, IV XV 14.
Vale poi " rozzo ", " grossolano ", in Vn XXV 10 e, sostantivato (v. oltre), al § 5, nella polemica contro i primi rimatori in volgare, quegli alquanti grossi che ebbero fama di sapere dire solo perché quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì.
Con diverso traslato in Pd XII 102, riferito alle resistenze degli sterpi eretici, che in alcuni luoghi, come in Provenza, eran più grosse, " forti ", " tenaci ", che altrove.
Sostantivato, indica la parte più g. del corpo, quella corrispondente alle anche (If XXXIV 77); in XXII 27 i piedi e l'altro grosso è riferito al corpo delle rane, in similitudine con i barattieri.
Con l'espressione de le gambe / infino al grosso (XIX 24, per cui cfr. il latino medievale " grossum cruris ", in Du Cange, sub v.), D. alluderebbe, secondo i più, " alla polpa, dove la gamba comincia a ingrossare " (Landino); ma cfr. il Porena: " Più probabilmente la coscia, perché altrimenti... non si sarebbero viste le giunte (le articolazioni del ginocchio) che guizzavano ".
L'espressione di Fiore CLXXIV 6 quanto ch'ella costa più di grosso, / più fia tenuta cara (" quanto più una donna costa cara, tanto più sarà tenuta cara ", Petronio) ha il valore avverbiale del tipo più di largo (Pd XXXIII 92); per il concetto cfr. Fiore CLXXX 14 Quel che non costa, l'uon non pregia un aglio.