Gruppi parlamentari e partiti politici
La dialettica fra partito politico e gruppo parlamentare genera da sempre una forte tensione che si riproduce nei regolamenti parlamentari le cui disposizioni uniscono alla tutela del singolo deputato (o senatore) la previsione di uno specifico peso del gruppo parlamentare e dei relativi organi direttivi. Le esigenze di efficienza dei lavori parlamentari vengono spesso invocate a giustificazione di decisioni limitative dell’autonomia del singolo parlamentare, autonomia sempre invisa ai vertici dei partiti politici che negli ultimi anni hanno più volte avanzato proposte tese a limitare la portata garantistica dell’art. 67 Cost. All’interno di tale dialettica va collocata anche la previsione, all’interno del gruppo misto, della possibilità di dar vita a “componenti politiche” la cui istituzione instaura ulteriori dinamiche all’interno dei partiti politici e fra partiti e gruppi parlamentari.
Il gruppo parlamentare, in quanto “unione dei membri di un ramo del Parlamento appartenenti allo stesso partito che si costituiscono in unità politica con un’organizzazione stabile”1 costituisce la “proiezione” del partito in parlamento, ma la prassi mostra la non necessaria coincidenza fra partito e gruppo parlamentare potendosi avere (oltre alla biunivoca corrispondenza “partito-gruppo”) anche gruppi corrispondenti a più partiti o a nessun partito.
Ed anche attualmente (XVII legislatura) possono riscontrarsi in Parlamento casi sia di corrispondenza fra gruppo parlamentare e partito politico (come presentatosi alle elezioni) sia di non corrispondenza (gruppi parlamentari o componenti politiche del gruppo misto costituitisi per fuoriuscita da un preesistente partito).
I gruppi parlamentari sono chiamati a svolgere una funzione di interfaccia fra soggetti privati (i partiti politici) e soggetti istituzionali (le Camere) e pertanto anche la disciplina degli stessi è volta a regolare i gruppi, da un lato, in quanto organi delle Camere e, dall’altro lato, quale momento di aggregazione politica. Il gruppo parlamentare è infatti lo strumento mediante il quale il partito politico organizza la propria presenza all’interno del Parlamento ma anche la modalità con cui ogni Camera conferisce forma all’indistinto insieme dei parlamentari. Da questo punto di vista i gruppi svolgono la funzione di strumento di riduzione (all’interno del Parlamento) della complessità della rappresentanza elettorale al fine di assicurare il funzionamento delle Camere.
Ed infatti la Costituzione presuppone la necessaria esistenza dei gruppi, menzionati dall’art. 72, co. 3 (secondo cui le commissioni parlamentari devono essere formate «in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari») e dall’art. 82, co. 2 (che prescrive che le commissioni d’inchiesta siano formate «in modo da rispecchiare la proporzione tra i vari gruppi»).Ma ruolo centrale, nell’impianto costituzionale, è giocato dalla dinamica intercorrente fra l’art. 49 Cost. (che disciplina i partiti politici) e il principio del divieto di mandato imperativo (art. 67 Cost.)2. Quest’ultimo principio comporta non solo che gli impegni assunti dal deputato nell’ambito del partito (o del gruppo) non sono azionabili davanti ad alcun organo giurisdizionale e che nessuna conseguenza possa derivare, sotto il profilo giuridico, a carico del parlamentare per aver votato contro le direttive del partito o del gruppo, ma anche la libertà dello stesso di cambiare gruppo. Negli ultimi anni il verificarsi di ampi “fenomeni migratori” di parlamentari da uno schieramento all’altro ha portato ad interrogarsi sulla esistenza (e sulla portata) di eventuali limiti a tale libertà, anche se appare preferibile interrogarsi sulle ragioni profonde dell’attuale instabilità politica anziché cercare misure che (come la proposta di vincolare il deputato allo schieramento politico in cui è stato eletto) finiscono per risolversi in una limitazione della portata garantistica dell’art. 67 Cost.
1.1 La disciplina dei gruppi nei regolamenti parlamentari
L’art. 14 reg. Camera definisce i gruppi parlamentari «associazioni di deputati» alle quali, in quanto «soggetti necessari al funzionamento delle Camere», vengono assicurate risorse «necessarie allo svolgimento delle rispettive attività». Il principio della necessaria appartenenza di ogni parlamentare ad un gruppo impone che entro pochi giorni (tre al Senato, due alla Camera) dalla prima seduta, ogni parlamentare sia tenuto ad indicare il gruppo del quale intende far parte, venendo ricompresi nel “gruppo misto” quanti non abbiano dichiarato di voler appartenere ad alcun gruppo. I regolamenti parlamentari prevedono un numero minimo (10 senatori o 20 deputati) per la costituzione di un gruppo, ma anche la possibilità di costituzione di gruppi (cd. gruppi autorizzati) di minore consistenza purché rappresentino un partito che abbia presentato alle elezioni proprie liste di candidati in un numero minimo di collegi (20 alla Camera, quindici regioni al Senato) ottenendo un minimo successo elettorale.
Con riguardo all’organizzazione interna, ciascun gruppo elegge il proprio presidente oltre ad uno o più vice-presidenti ed uno o più segretari (art. 15 reg. Senato; alla Camera viene eletto il “comitato direttivo”, art. 15 reg. Camera). L’assemblea di ciascun gruppo approva alla Camera uno statuto (al Senato un regolamento) che indica gli organi responsabili della gestione amministrativa e della contabilità del gruppo (all’assemblea deve necessariamente essere assegnata la competenza ad approvare il rendiconto) prevedendo altresì le modalità in base alle quali l’organo responsabile della gestione amministrativa destina le risorse alle finalità previste dai regolamenti parlamentari. Infatti i contributi, erogati a favore dei gruppi in maniera proporzionale alla consistenza numerica degli stessi, devono essere destinati «esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare e alle attività politiche ad essa connesse, alle funzioni di studio, editoria e comunicazione ad esse ricollegabili, nonché alle spese per il funzionamento dei loro organi e delle loro strutture, ivi comprese quelle relative ai trattamenti economici del personale» (art. 16 reg. Senato; l’art. 15 reg. Camera utilizza formula identica, ma non contiene l’espressione «e alle attività politiche ad essa connesse»).
I regolamenti parlamentari, nel disciplinare vari aspetti della relazione tra singolo e gruppo di appartenenza, pur non potendo porre vincoli in senso «positivo» (pena il rischio di una lesione del divieto di mandato imperativo), pongono comunque al singolo parlamentare vincoli in senso «negativo»3, operando in tal senso tutte le disposizioni regolamentari concernenti la programmazione dei lavori. L’organizzazione dei parlamentari in gruppi e la necessaria appartenenza di ogni parlamentare ad un gruppo collocano il singolo in un assetto organizzativo che quanto più potenzia (a scopi di efficienza) il ruolo del gruppo (e di chi lo dirige) tanto più conduce ad un indebolimento dell’autonomia singolo. E se al parlamentare è riconosciuto il diritto di esprimere la propria opinione in dissenso con il gruppo di appartenenza (artt. 83, 85-bis e 118-bis reg. Camera), tale garanzia è subordinata alla valutazione del presidente (che stabilisce «le modalità e i limiti di tempo degli interventi» o la «rilevanza» degli emendamenti presentati). Parimenti al Senato le disposizioni, relative all’organizzazione dei lavori, incentrate sul metodo della programmazione (artt. 53, 55, 128 e 151-bis reg. Senato), pongono l’accento sul gruppo e a tutela del singolo parlamentare permane solo la previsione secondo cui i senatori dissenzienti dalle posizioni del gruppo possono iscriversi a parlare direttamente (art. 84 reg. Senato; v., in sede di dichiarazione di voto, art. 109 reg. Senato).
Le disposizioni disciplinanti i gruppi parlamentari (o le componenti politiche del gruppo misto) che assegnano risorse prescindendo dalla dimensione numerica degli stessi (e dunque secondo un principio di parità) possono incentivare la moltiplicazione di tali organi con sofferenza per i principi di programmazione dei lavori.
A questo proposito si rinnova la contrapposizione fra le esigenze di efficienza (in ragione delle quali vengono invocate norme che riducano il numero dei gruppi e la frammentazione politica ed assegnino maggior peso al gruppo) e le istanze di libertà (la cui difesa richiede maggiore tutela per il singolo parlamentare e per le voci di dissenso). I regolamenti parlamentari, rafforzando il ruolo dei gruppi, mirano ad incentivare la capacità di efficienza delle Camere, ma al tempo stesso garantiscono spazi di autonomia grazie alla possibilità di formazione di “gruppi autorizzati” e (nel gruppo misto) di “componenti politiche” al fine di consentire ad ogni parlamentare di esercitare pienamente e liberamente il proprio mandato. Deve inoltre constatarsi che in sede parlamentare non può non riemergere quella parcellizzazione che caratterizza il presente momento politico. L’ambizione di fronteggiare tale situazione (conseguente all’instabilità e debolezza dei partiti politici) accentuando, nell’organizzazione dei lavori, il peso dei gruppi, finisce però per dare vita ad un “circolo vizioso”4 giacché il rafforzamento del gruppo, al fine di assicurare efficienza ai lavori parlamentari, conduce di fatto ad una tensione (e quindi ad uno sfaldamento) anche all’interno dei gruppi parlamentari e dunque ad una proliferazione degli stessi, con il rischio di mettere ancora più in crisi quei meccanismi per l’efficienza dei quali ai gruppi è stato assegnato un ruolo centrale nell’organizzazione dei lavori parlamentari.
2.1 Le “componenti politiche” del gruppo misto
La tendenza (affermatasi negli ultimi due decenni) a non dar vita a “gruppi autorizzati” ha portato, nelle ultime legislature, ad una crescita del gruppo misto all’interno del quale è inoltre consentita la formazione di “componenti politiche” (di almeno dieci deputati o di almeno tre deputati che rappresentino un partito che abbia partecipato alle elezioni) le quali svolgono un ruolo importante sia nella composizione degli organi direttivi del gruppo misto (dovendo questi rispecchiare le varie componenti politiche) che nell’assunzione delle relative deliberazioni (nell’adozione delle quali bisogna tener conto della consistenza numerica delle varie componenti politiche). Inoltre per alcuni adempimenti (ad es. per la presentazione di interpellanze, art. 156-bis reg. Senato) i rappresentanti delle componenti politiche sono parificati ai presidenti dei gruppi (v. anche art. 13 reg. Camera secondo cui un rappresentante per ciascuna delle componenti politiche del gruppo misto può essere invitato a partecipare alla Conferenza dei Presidenti «ove la straordinaria importanza della questione da esaminare lo richieda») e ai rappresentanti delle componenti politiche del gruppo misto è riconosciuto il diritto di parola nelle fasi del procedimento legislativo (artt. 83 e 85 reg. Camera), nella questione di fiducia (art. 116 reg. Camera), nella sessione di bilancio (art. 118-bis) e nelle questioni comunitarie e internazionali (art. 125 reg. Camera).
La costituzione di componenti politiche risponde alla richiesta di una differenziazione all’interno dell’insieme di parlamentari presenti nel gruppo misto che, cresciuto di dimensione in ragione della mancata costituzione di “gruppi autorizzati”, ancor più avverte tale esigenza che però finisce per proiettare all’interno del gruppo misto un’ulteriore suddivisione fra aggregazioni politiche. L’assegnazione di specifiche risorse (le risorse assegnate al gruppo misto sono infatti determinate avendo riguardo al numero e alla consistenza delle componenti politiche e sono ripartite fra le stesse “in ragione delle esigenze di base comuni e della consistenza numerica di ciascuna componente”) e di visibilità a tali componenti politiche (sì da assimilarle ad un gruppo parlamentare) incentiva la crescita delle medesime e, prima ancora, la partecipazione al gruppo misto, determinando così una “ipertrofia” dello stesso5.
La responsabilità dei “fenomeni migratori” è da imputare alla frammentazione e alla instabilità del quadro politico generale. È illusorio pensare di affrontare tale situazione facendo leva sulla disciplina dei gruppi parlamentari. Se sono da evitare norme che favoriscono la frammentazione è parimenti da ribadire la portata garantistica del principio del divieto di mandato imperativo, che risponde innanzitutto ad un’istanza di tutela di quel pluralismo che è a fondamento della stessa istituzione parlamentare e che questa, a sua volta, è chiamata a preservare.
In ragione del sistema elettorale maggioritario (e della tendenza ad un sistema bipolare perseguito negli ultimi due decenni), si sono registrate nei regolamenti parlamentari innovazioni volte al riconoscimento di un momento aggregativo (quello bipolare “maggioranza-opposizione”) che tende a volte a superare la distinzione in gruppi (v. ad es. art. 16-bis reg. Camera secondo cui il Comitato per la legislazione è composto «in modo da garantire la rappresentanza paritaria della maggioranza e delle opposizioni»; v. anche: artt. 24 e 86 reg. Camera e artt. 43, 53 e 151 reg. Senato). Alla base di tali disposizioni non vi è però l’intenzione di superare il momento (peraltro costituzionalmente riconosciuto) dei gruppi parlamentari, quantunque le stesse siano orientate verso un assetto di tipo maggioritario ma deve constatarsi che gli sviluppi politici dell’ultimo anno non depongono a favore del sistema bipolare, dovendosi piuttosto registrare la presenza di un frammentato quadro multipolare.
In tale situazione i partiti tendono a comprimere la libertà del singolo parlamentare: in tal senso si sono caratterizzate dapprima le posizioni del “Movimento Cinque Stelle” e da ultimo del Partito Democratico ove (di fronte all’episodio di tre senatori che si sono assentati nella votazione della questione di fiducia posta su un disegno di legge in materia di lavoro sul quale i medesimi avevano già espresso il proprio dissenso) è stata proposta (dal presidente del PD) l’adozione di un “codice” di regolazione del rapporto fra partito e singolo parlamentare volto a ridurre (se non ad eliminare) gli spazi di dissenso6.
3.1 La vicenda Mineo-Mauro
Nei mesi di maggio-giugno 2014 si è registrata la sostituzione, nella commissione “Affari costituzionali” ad opera dei rispettivi gruppi, di due senatori che avevano espresso dissenso sul progetto governativo di riforma costituzionale, determinando (il primo astenendosi, il secondo votando a favore) l’approvazione (il 6.5.2014) di un ordine del giorno presentato dall’opposizione. Al riguardo è stata prospettata la violazione del regolamento parlamentare e del principio del libero mandato parlamentare. A queste critiche si è replicato7 che il regolamento del Senato dispone che ad inizio legislatura sono i gruppi che provvedono a designare i propri “rappresentanti” nelle commissioni permanenti (art. 21 reg. Senato; art. 19 reg. Camera), sicché la partecipazione del senatore alla commissione avviene quale “rappresentante” del gruppo che può infatti sostituirlo “per un determinato disegno di legge o per una singola seduta” (art. 31 reg. Senato; art. 19 reg. Camera) anche senza il consenso del senatore sostituito.
L’opinione favorevole alla sostituzione pone l’accento sul ruolo dei gruppi nella formazione delle commissioni e sulla funzione della commissione chiamata a svolgere un’attività preliminare di confronto tra le posizioni politiche (non dei singoli bensì) dei gruppi parlamentari. Questa ricostruzione, basata sulla necessità di efficienza dei lavori parlamentari, assegna al divieto di mandato imperativo la valenza di principio che consentirebbe libertà di voto (e di opinione) al parlamentare esclusivamente in Assemblea.
Nella vicenda in esame si scontrano due distinte visioni del libero mandato parlamentare, quale principio che tutela il parlamentare in ogni momento o luogo di esplicazione della propria funzione o quale strumento che assicura solo la libera determinazione del voto in Aula. Ad avviso di chi scrive l’art. 67 Cost. non opera distinzioni legate al momento dell’iter legis o fra commissione e assemblea sicché deve ritenersi sempre operante il principio del divieto di mandato imperativo. Al tempo stesso può ritenersi non in contrasto con tale principio la previsione di poteri dei gruppi soprattutto nelle fasi istruttorie e nelle commissioni (pena una sovrarappresentazione del peso del singolo deputato).Deve però notarsi che negli ultimi decenni tutti i principi ed istituti aventi funzione pluralistica sono stati sottoposti a tensioni o a proposte di riforme volte a ridurne la portata garantistica.
E a tale esito appare ancor più preoccupante ove si consideri l’assenza, nel nostro ordinamento, di una effettiva trasparenza e democraticità degli assetti attuali dei partiti politici.
1 Rescigno, G.U., Gruppi parlamentari, Milano, 1969.
2 Fondamentali i lavori di Ridola, P., Partiti politici, in Enc. dir., XXXII,Milano, 1982; Id., Democrazia rappresentativa e parlamentarismo, Torino, 2011.
3 Bin, R., Rappresentanza e parlamento. I gruppi parlamentari e i partiti, in La democrazia dei partiti e la democrazia nei partiti, a cura di S. Merlini, Firenze, 2009.
4 Bin, R., Rappresentanza e parlamento, cit., 201.
5 Bin, R., op. cit., 207.
6 Corriere della sera, 11.10.2014, pag. 8, E nasce un codice per vincolare i voti, ove si riportano le seguenti affermazioni del presidente del PD: «Gli accordi presi tutti insieme nel partito si devono tradurre in voti in Parlamento» e «chi non vota la fiducia al governo si mette da solo fuori dal gruppo. …Fino ad oggi siamo stati in regime di deregulation, per cui sui mancati voti di fiducia al Senato non può essere preso alcun provvedimento. Ma oggi queste regole forse vanno messe nero su bianco».