VANTH, Gruppo di
Vasi etruschi degli ultimi decennî del IV sec. a. C., o degli inizî del III (una dozzina in tutto fra crateri a volute ed anfore), la cui fabbrica sembra finora circoscritta ai soli centri di Orvieto e di Chiusi.
Il nucleo più significativo di questo gruppo è costituito dal cratere n. 20 e dalle anfore nn. 19 e 21 della Collezione Fama di Orvieto; appunto nelle due anfore è ripetuta la dea infernale Vanth (v.), la quale reca il proprio nome iscritto in un rotolo aperto tenuto nella destra, da qui la convenzionale denominazione data dal Beazley a tutto il gruppo. I tre vasi orvietani si distinguono dagli altri, oltre che per dettagli di stile, anche per la peculiarità del soggetto che li lega insieme in una sorta di trilogia. Vi è rappresentato l'Oltretomba secondo i nuovi schemi figurativi proprî della pittura etrusca sullo scorcio del IV sec. a. C.
Nel cratere n. 20 il defunto fa il suo ingresso nell'Ade, steso in un carro tirato da muli; Plutone stesso viene ad incontrarlo col suo cocchio scortato da Vanth e Charun, il dèmone dal grosso martello. Nelle due anfore è replicato, con leggere varianti, lo stesso soggetto (nel n. 21 il tratto disegnativo appare più felice che nel n. 19): il defunto, nell'aspetto di un vecchio ammantato, viene guidato nella nuova dimora da due Caronti, dalla destra gli si fanno incontro Proserpina e Plutone in un carro tirato da uccelli con testa di serpente, seguono Vanth e Cerbero. Le figure, di color mattone su fondo nero, sono delineate con un segno spesso, non eccessivamente elegante, e si arricchiscono di frequenti tocchi di color bianco; il largo uso di vernice diluita rende opaco il disegno e concorre a creare la suggestione di un'atmosfera densa e fumosa in stretta coerenza con quella particolare natura loci entro la quale i personaggi sono chiamati a muoversi.
Circa la valutazione stilistica dei vasi di questo gruppo, il Beazley ritornò sul proprio primitivo giudizio secondo il quale essi non erano da attribuirsi a fabbrica falisca, nonostante accertate analogie con i vasi del cosiddetto Gruppo Fluido; successivamente infatti lo studioso inglese manifestava la probabilità che i vasi del Gruppo di V. potessero essere ritenuti falisci con l'eccezione però dei tre vasi Fama, nei quali egli riconosceva solo delle imitazioni di quello stile, corroborando così l'opinione di coloro che ipotizzano per essi una fabbrica locale.
Bibl.: G. Körte, in Ann. Inst., 1879, p. 299 ss.; id., in Arch. Zeitung, 1884, p. 86; Mon. ined. pubbl. dall'Inst. Corrisp. Archeol., XI, tavv. IV-V, 1-3; D. Cardella, Il Museo etrusco Faina, Orvieto 1888, p. 64; P. Ducati, Storia dell'Arte etrusca, Firenze 1927, p. 512, fig. 617; id., Storia della ceramica antica, Firenze 1922-23, II, fig. 475, I; C. Albizzati, in Diss. Pont. Acc., 1921, ser. II, XV, p. 252 ss.; S. Puglisi, Studi e ricerche su Orvieto etrusca, Catania 1934, p. 73; F. De Ruyt, Charun, Roma 1934, p. 211; D. Levi, Il Museo Civico di Chiusi, Roma 1935, p. 124; G. Q. Giglioli, L'Arte Etrusca, Milano 1935, p. 50, tav. 279; J. D. Beazley, Etruscan Vase-painting, Oxford 1947, pp. 9; 169 ss.; 303; L. Banti, Il mondo degli Etruschi, Milano 1960, p. 85.