GUAIFERIO
Principe di Salerno, nato probabilmente intorno agli anni Trenta del secolo IX, era figlio di Dauferio detto il Muto (o il Balbo).
Nell'area salernitana, da decenni interessata da sanguinosi scontri tra fazioni aristocratiche di diverso livello e provenienza, il potente gruppo parentale dei Dauferidi si era particolarmente distinto raggiungendo incarichi di prestigio nel Ducato beneventano, poi Principato, già indebolito da anni di lotte per il potere, specie dopo l'avvento del dominio carolingio in Italia. La dinastia dauferide era emersa politicamente negli anni immediatamente successivi all'omicidio del duca Grimoaldo (IV) nell'817, e Dauferio il Muto insieme con un suo parente omonimo, detto il Profeta, era riuscito in questo turbolento periodo a mantenere posizione, prestigio e potere. Il nuovo principe Sicone aveva gradualmente spostato i suoi interessi da Benevento a Salerno. Gli successe il figlio Sicardo, che mantenne e sviluppò i rapporti con Salerno giungendo in pochi anni a risiedervi stabilmente. Proprio in seguito a quegli avvenimenti, già probabilmente intorno agli anni Trenta, anche gli interessi politici ed economici dei Dauferidi si erano andati via via intensificando nel Salernitano, rafforzandosi ancor più quando Sicardo aveva innalzato all'incarico di suo ministro e consigliere Rothfrit, figlio di Dauferio il Profeta, e aveva sposato Adelchisa, figlia di Dauferio il Muto, dunque sorella di Guaiferio. Alla violenta scomparsa di Sicardo, assassinato nell'839, il padre di G. appoggiò politicamente Siconolfo, fratello di Sicardo, spingendolo a sottrarsi all'autorità e al controllo di Radelchi, nuovo principe di Benevento, per creare una nuova circoscrizione principesca a Salerno.
La giovinezza di G. trascorse perciò in anni non facili, anche se i principi di Benevento e di Salerno pervennero nell'849 a un accordo (ricordato come la divisio Ducatus) mirato sia a definire le aree di effettiva reciproca pertinenza, sia a far cessare, o almeno a limitare, le scorrerie dei rispettivi gruppi di armati. G., per motivi a oggi non chiari, venne allontanato da Salerno mentre suo fratello Maione, forse addirittura con il titolo di gastaldo e con cospicue proprietà fondiarie a Nocera, riuscì a restare a Salerno. La divisio del territorio beneventano e la conseguente formazione di una duplice sovranità locale era avvenuta con l'espressa imposizione del sovrano carolingio, Ludovico II, il quale raggiungeva così l'obiettivo di indebolire, dividendoli, i poteri dei signori longobardi dell'Italia meridionale, diminuendo altresì il loro prestigio e il loro ruolo politico nel già caotico panorama politico del Mezzogiorno, favorendo nel contempo il potenziamento e il peso politico dell'aristocrazia carolingia o filocarolingia presente sul territorio.
La difficile congiuntura politica, complicata dall'intervento di tale Pietro, che per espressa volontà di Siconolfo, nel frattempo defunto, reggeva il Principato di Salerno per conto dell'ancora minorenne Sicone, protrasse la lontananza di G. da Salerno forse fino al periodo compreso tra l'852 e l'856, quando Pietro morì (per l'autore del Chronicon Salernitanum si tratterebbe dell'856: cfr. p. 515, mentre in atti privati reperibili nel Codex diplomaticus Cavensis, nn. 35 e 36, G. nell'852 sarebbe già stato presente a Salerno e nei suoi pressi con un non meglio precisato titolo comitale). L'estrema confusione politica, che venne ancor più aumentando per la successiva compartecipazione al governo principesco di Ademario, figlio di Pietro, che si affiancò - ancorché per poco - a suo padre e al giovane e debole Sicone, non scoraggiò G. che, dall'area napoletana ove pare risiedesse, si attivò per mantenere, e se possibile migliorare, il proprio prestigio e quello della sua stirpe.
La morte, quasi contemporanea, di Pietro e di Sicone - quest'ultimo venne probabilmente soppresso su ordine del medesimo Pietro e di suo figlio (Erchemperto, p. 242) -, portarono all'avvento al trono di Ademario. Questi ottenne l'assenso dell'imperatore carolingio Ludovico II, che provvide a confermarne, nel dicembre 853, l'autorità. Nel frattempo G. acquisiva beni e terre nel Salernitano, consolidando a tal punto il patrimonio familiare da poter essere considerato il maggiore e più potente signore del Principato. La sua politica di cauta attesa ottenne infine il risultato sperato. Ragioni e fatti diversi convinsero G. ad agire; era giunto il momento di sfruttare la sua parentela con la dinastia capuana - aveva infatti sposato Landelaica, figlia di Landone (I) di Capua - in gran parte avversa al principe di Salerno, mentre aumentava il malcontento della popolazione verso Ademario, in grave difficoltà dopo la dura sconfitta subita a opera dei Capuani nella battaglia al ponte di Teodemondo (maggio 859). In tale frangente si ebbe anche l'isolata ingerenza politica di un nipote di G., anch'egli di nome Dauferio, che aveva approfittato, ma con scarsa fortuna, delle frequenti sommosse e si era autoproclamato principe di Salerno. G. seppe avvalersi della contingenza per arrivare al potere: acclamato principe nell'861, esiliò suo nipote Dauferio, liquidando al contempo anche Ademario che fece imprigionare e, in un secondo momento, accecare. Il rigore vendicativo di G. venne interpretato da Ludovico II come una ribellione longobarda al suo dominio in Italia.
Il governo di G. fu inizialmente improntato a una politica di assestamento e di allargamento del proprio potere, grazie in primo luogo all'appoggio di una fitta rete di parentele e di amicizie. Un gruppo vasto e coeso questo, in cui i più fedeli compagni di G. pervennero, in breve, a incarichi di rilievo, inserendosi nella clientela funzionariale. La documentazione, in prevalenza privata, pervenutaci (cfr. Codex diplomaticus Cavensis, passim e le notizie in Delogu, 1988, p. 271, che si avvale dei più accurati studi di Petrucci e Romeo; v. anche i due contributi della Taviani-Carozzi) permette di valutare i vincoli di solidarietà tra il principe e questo gruppo sociale, vincoli che si mantennero anche durante il principato di Guaimario (I), associato dal padre al trono nell'877.
Il suo potere si consolidò, oltre che per un'oculata distribuzione di incarichi funzionariali e di beni fondiari, per una lungimirante gestione del patrimonio familiare in un ambito territoriale spazialmente più ristretto e controllabile, e attraverso un'attenta politica a favore della Chiesa. Tale espediente, con il duplice scopo di assicurarsi la fiducia del clero secolare e regolare locale e di garantire un elevato prestigio dinastico, portò all'edificazione del monastero dedicato a S. Massimo, fondato nell'865, riccamente dotato nell'868 e reso esente, poco dopo la morte di G., dall'eventuale ingerenza della locale autorità episcopale. Nel patrimonio del fiorente monastero salernitano confluirono numerosissime donazioni di privati di ogni condizione sociale. Un segnale questo certamente non insolito, ma significativo, che la storiografia attuale ha in più occasioni sottolineato: le offersiones di laici ed ecclesiastici al monastero non erano infatti solo richieste di protezione divina e di garanzie per l'aldilà bensì, più concretamente, richieste di attenzione per ottenere il patronato della potente dinastia principesca, cui il monastero faceva capo.
Non mancarono, negli ultimi anni di principato e di vita di G., dissensi con la litigiosissima dinastia comitale capuana e in specie con il vescovo, in un secondo tempo anche conte di quella città, Landolfo, tanto bellicoso quanto fermamente intenzionato ad allargare i confini della circoscrizione politico-territoriale in suo potere. La crisi dei rapporti con i conti di Capua (ammonimenti sulla sua condotta vennero anche dal papa Giovanni VIII, cfr., per tutti, Kehr, nn. 9, 11-13, pp. 335 s.) non giunse a una soluzione, ma anzi sfociò, sotto il regno di Guaimario (I), nel definitivo distacco di Capua dalla tutela dei principi di Salerno.
Al momento della morte di G., avvenuta, stando ai cronisti, nell'880 per malattia (Erchemperto, p. 252; Chronicon Salernitanum, pp. 537 s.), il Principato salernitano, oltre alle limitazioni territoriali dovute alla perdita della sovranità su Capua, era stato inoltre eroso di parte delle zone orientali (Taranto, Matera) a causa di reiterate spedizioni saracene, tra le quali va rammentata almeno quella dell'871-872, durante la quale Salerno stessa subì un lungo assedio.
Calde esortazioni a combattere i Saraceni erano giunte negli ultimi anni a G. da parte di Giovanni VIII (Kehr, nn. 7-9, p. 335), probabilmente a causa di una sospetta, temporanea "non belligeranza" di G. contro i musulmani, peraltro non ben documentata; di un'alleanza, foedus, parla invece esplicitamente Erchemperto (p. 250).
L'intenzione di G. di farsi inumare presso l'abbazia di Montecassino non riuscì a compiersi, nell'immediatezza del decesso, proprio a causa di una delle ormai frequenti incursioni di bande musulmane, per cui le sue spoglie dovettero essere momentaneamente deposte presso la chiesa del castrum di Teano.
Dal matrimonio con Landelaica, dettato con ogni probabilità da ragioni di mero interesse politico - pare infatti che la sposa fosse semicieca - G. ebbe, oltre Guaimario, anche Arechi, Dauferio, Grimoaldo e Guaiferio. Stando al Chronicon Salernitanum (pp. 513 s.), Landelaica fu poi uccisa dal marito, cui era giunta voce fosse stata violentata.
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