guaio
Parola, in D., di uso esclusivamente poetico; ricorre quasi sempre in rima, e sempre al plurale, tranne che nella locuzione punge a guaio. Nella Vita Nuova e nelle Rime l'uso è ancora vago nei riferimenti, in quanto i " lamenti " di cui si tratta sono attribuiti ora a entità astratte, gli spiriti visivi del poeta percossi da Amore (li guai de li scacciati tormentosi, Vn XIV 12 14); ora alle donne viste in sogno, che si lamentano per la morte di Beatrice, qual lagrimando, e qual traendo guai (XXIII 23 47); ora al poeta dolente per lo stesso motivo (convenemi parlar traendo guai, XXXI 8 6). Nelle Rime il riferimento va al sentire (del poeta), che è più presso al terminar de' guai (LXVII 56; " la morte, con cui cesserà questo dolore ", Barbi-Maggini); ad Amore, che ha guai e pensero (LXXII 13); alle parole che D. invia alla donna, con l'incarico d'invocarla sì ch'ell'oda i vostri guai (LXXXIV 6); agli uccelli, che d'inverno non fanno sentire la loro voce se non per lamentarsi, se ciò non fosse per cagion di guai (C 32). Nell'ultimo esempio e in qualche altro precedente alcuni interpreti spiegano g. per " tormenti ", " danno ", " molestia " (senso che il vocabolo ha per es. in Chiaro In voi mia donna 51 " da poi ch'io 'namorai / di guai / m'è fatto il nodrimento ", Orato di valor 22, Greve cosa 27); ma è senso che si ricava per estensione da quello primario, che è in ogni caso " lamento ".
Va notato che altre volte, per significare " canto lamentoso di uccelli ", D. userà lai (If V 46, Pg IX 13). Questa differenza è confermata anche in Pg IX 13-15, dove si accenna al mito di Filomela mutata in rondine: Ne l'ora che comincia i tristi lai / la rondinella presso a la mattina, / forse a memoria de' suo' primi guai; una puntuale e coerente lettura del passo intende tristi lai come le " voci querule della rondine " e primi guai i " lamenti " di Filomela prima della sua metamorfosi: " [a memoria] de' suoi primi lamenti ", dice infatti il Buti; ma Pietro: " forte in commemorationem sui primi doloris ". Su questo tratto cfr. Ovid. Met. VI 532 " lugenti similia, caesis plangore lacertis ". Si aggiunga a questa prima serie di esempi Rime dubbie XII 2 Io sento pianger l'anima nel core / sì che fa pianger li occhi li soi [dell'anima] guai.
Nella Commedia, l'uso di g. si specializza, riferendosi unicamente ai lamenti dei dannati. In If V 3 [il secondo cerchio] cinghia / ... tanto più dolor, che punge a guaio, la locuzione ha il valore modale-consecutivo di " tormenta sì da strappare gemiti ", e per l'idea va messa in relazione con IV 26 non avea pianto mai che di sospiri, e con Pg VII 30 i lamenti / non suonan come guai, ma son sospiri. Quest'ultimo passo fissa la differenza di significato tra ‛ lamento ', che è espressione generica di dolore, e perciò di volta in volta si precisa in qualche determinazione (duri, strani, diversi, feroci) e g., che è voce, ‛ suono ' di lamento e comporta di rado la necessità di qualche specificazione o per sottolineare un crescendo distinto di dolore, dal sommesso all'acuto (quivi sospiri, pianti e alti guai, If III 22), o per significare la somma rimbombante di tutti i lamenti dell'Inferno, che 'ntrono accoglie d'infiniti guai (IV 9). Il modulo verbale ‛ trarre g. ' per " lamentarsi ", già annunziato nella Vita Nuova, ricorre, oltre che nei passi citati, anche in If V 48 vid'io venir, traendo guai, / ombre, e XIII 22 Io sentia d'ogne parte trarre guai. Il termine ricorre inoltre in Fiore CLVIII 11 e' n'andranno con pene e con guai.