BICCHIERI, Guala
Nacque molto probabilmente intorno alla metà del secolo XII.
La sua famiglia, appartenente all'operoso ceto dei "cives", risulta strettamente legata alla Chiesa vercellese. Insieme con la feudalità maggiore e con le altre famiglie arricchitesi con le terre della Chiesa, le decime ecclesiastiche e la concessione di numerosi diritti di giurisdizione influirà massicciamente sulla vita del Comune, monopolizzandone le principali cariche sia nel sec. XII sia nel XIII.
Nulla si conosce della prima giovinezza del Bicchieri. Che avesse frequentato lo Studio vercellese o la "Schola" della canonica di S. Eusebio è tuttavia ipotesi molto verosimile. Il suo ingresso nella comunità canonicale eusebiana avvenne il 5 dic. 1187, come si può desumere da una prova testimoniale resa da un tal "presbyter Lanfrancus de Carexana" nel 1225, in occasione di una controversia tra i canonici di S. Eusebio e il Comune di Caresana per il possesso di alcune terre presso Candia Lomellina. Gli unici negozi giuridici cui intervenne a Vercelli prima del 1203 ("Wala Bicherius beati Eusebii ecclesie canonicus") sono del 5 sett. 1193, del 27 maggio e del 9 ott. 1197, del 9 genn. 1198 e del 16 febbr. 1199: tutto questo costituisce una valida riprova della precisa testimonianza del prete Lanfranco il quale, alla domanda se i dieci canonici (tra i quali il B.) eletti il 5 dic. 1187 fossero rimasti sempre a Vercelli, rispose: "quidam sic, quidam non quia Dominus Wala cardinalis stetit Romam (sic) et in aliis locis" (altrettanto ripeté un altro teste, il "presbyter Bartholomeus").
Un primo periodo di assenza del B da Vercelli va pertanto posto tra gli anni 1187-1193; un secondo tra il 1199 e il 1203. Quali fossero, oltre a Roma, gli altri luoghi nei quali il B. soggiornò in questi anni, non possiamo affermare con certezza.
Il Pastè avanza l'ipotesi, che appare non priva di probabilità, che il B., dopo aver seguito a Vercelli l'insegnamento del canonico di S. Eusebio "magister Cotta" - definito nel necrologio eusebiano "in utroque iure peritus" -, si recasse a Bologna per perfezionare la sua cultura giuridica in quello Studio generale. Egli suffraga tale ipotesi rilevando come fosse costume dei chierici del tempo recarsi a Parigi o a Bologna per ragioni di studio e nota che il B. destinò - seguendo il criterio di istituire anniversari nei luoghi dove aveva soggiornato - un lascito di 50 libbre per il suo anniversario alla chiesa e alla Congregazione di S. Caterina di Bologna. A conferma di questa ipotesi vale certo la profonda preparazione giuridica del B., testimoniata sia dalla notazione del necrologio eusebiano - "iuris canonici et civilis, et legis doctrina maximus inter magnos" -, sia dal giudizio di Rigord, monaco di S. Dionigi di Parigi e autore dei Gesta Philippi Augusti - "...Gualo... iurisperitum" -, sia dalla intensa attività legaziale in Francia e in Inghilterra con i sottili problemi canonistici che l'affare del matrimonio tra Filippo Augusto e Ingeborga e la questione della successione al trono inglese comportavano. Meno verosimile è invece l'altra ipotesi del Pastè, che tra il 1187 e il 1193 a Bologna il B. incontrasse il futuro Innocenzo III. Infatti il ritorno a Roma di Lotario di Segni, al termine degli studi, avvenne sotto il pontificato di Lucio III, probabilmente alla fine del 1187. Ciò non esclude che il B. intrattenesse rapporti con Lotario di Segni a Roma prima dell'elezione al soglio pontificio.
Il B. ricomparve ancora a Vercelli nel 1203, dove il 6 novembre aumentava la dotazione della cappellania di S. Teonesto.
Nel marzo o, come sostiene l'Eubel, nel dicembre 1205 egli veniva creato cardinale con il titolo diaconale di S. Maria in Portico. Sappiamo con certezza che tra l'aprile e il maggio 1206 si trovava a Roma dove sottoscriveva alcune bolle pontificie. L'11 luglio 1207 Innocenzo III annunziava al podestà e ai cittadini di Firenze di aver destinato il cardinale B. quale legato per comporre il dissidio scoppiato tra Senesi e Fiorentini, uno dei tanti episodi che, immediatamente dopo il giuramento della lega toscana a San Genesio (11 nov. 1197), divisero Siena e Firenze per questioni di carattere territoriale.
Questa legazione del B. si svolse tra l'11 luglio e il 15 ott. 1207 (in tale data egli era a Tuscania al seguito di Innocenzo III). Infatti Innocenzo III, il 4 ag. 1207, rimproverava i Fiorentini di non aver ascoltato il consiglio del cardinal legato; anzi essi "victoria exaltati" (si riferiva alla vittoria del 20 giugno 1207 ottenuta dai Fiorentini sui Senesi accorsi a liberare il castello di Montalto) avevano interrotto le trattative di pace con i Senesi "mediante nuntio nostro". Innocenzo III esortava i Fiorentini: "Vos autem... commonitiones nostras et cardinalis predicti, quod dolentes dicimus, pertransistis hactenus aure surda" e li minacciava che, se non avessero ascoltato il "verbum pacis", il cardinale legato avrebbe abbandonato Firenze.
Il B. era ancora in Toscana il 4 ag. 1207: ma probabilmente non vi rimase oltre il mese di agosto per l'impossibilità di concludere una pace duratura.
Tra la fine di agosto e l'inizio di settembre egli venne delegato dal papa quale giudice nella vertenza tra un certo Monticelli e sua madre Altarocca. Il 15 ott. 1207 era a Tuscania al seguito di Innocenzo III; lo ritroviamo a Corneto l'8 nov. 1207 e a Roma il 9 genn. 1209. Quivi venne delegato dal pontefice ad esaminare le accuse formulate da un tal canonico Burcardo contro Maurizio, vescovo di Poitiers. E quivi probabilmente si trattenne fino al maggio 1208, quando venne incaricato dal papa, insieme con il cardinal Leone di S. Croce in Gerusalemme di risolvere la controversia deferita al tribunale apostolico tra i canonici di Gurk e l'arcivescovo di Salisburgo.
Tra il 1208 e il 1209 si svolgeva la seconda legazione del B., affidatagli alla fine del maggio 1208: dalle due lettere di Innocenzo III, l'una diretta agli arcivescovi, vescovi, abati e prelati delle Chiese di Francia, l'altra allo stesso B., si evince che gli scopi erano molteplici, alcuni d'interesse generale, altri riguardanti il re di Francia. I primi, espressi nella lettera ai membri della gerarchia ecclesiastica di Francia, erano innanzitutto la predicazione della crociata e poi la riforma della Chiesa; gli altri, invece, di cui si parlava nella lettera al B., riguardavano la causa di divorzio intentata da Filippo Augusto contro Ingeborga di Danimarca che si trascinava dal 1193, avvelenando i rapporti fra la corte di Francia e la Curia romana. Il pontefice delegava al B. la facoltà di discutere e di concludere la causa "si de partium processerit voluntate"; in caso contrario, al legato veniva demandato l'incarico di istruire la causa rimettendo gli atti direttamente al papa; comunque doveva essere assicurata alla regina, prigioniera di Filippo Augusto, la più ampia libertà. Il B. partì nel giugno 1208 per la Francia, ove cercò di realizzare il mandato conferitogli dal papa, per quanto concerneva il miglioramento dei costumi del clero.
Della sua azione riformatrice ci sono pervevute alcune significative testimonianze: quella dell'autore dei Gesta Philippi Augusti riguardante l'anno 1208 e quella di Vincenzo di Beauvais, il quale dipende probabilmente in parte dallo stesso Rigord, e oltre a ripeterne, nello Speculum historiale, le lodi circa la preparazione giuridica, le virtù e la diligenza del B. nell'opera di riforma e di restaurazione della disciplina ecclesiastica, ricorda come egli facesse presente a Filippo Augusto la necessità di intervenire anche con le armi contro gli eretici nelle regioni di Tolosa degli Albigesi e Narbonesi. Abbiamo anche notizie di concreti e specifici provvedimenti adottati dal cardinal legato: innanzitutto impose ai canonici di Limoges di assegnare i benefici vacanti esistenti nel Capitolo per non privare la cattedrale del servigio liturgico; inoltre convocò a Parigi e depose dalla carica abbaziale Walter, abate di Corbie, per aver sperperato i beni del monastero (come lo stesso B. aveva constatato recandosi di persona a Corbie); richiamò severamente anche l'abate di Clairvaux e altri abati a un consapevole e sollecito esercizio dei loro doveri. Infine emanò una costituzione per la riforma del clero in dieci articoli che riguardavano: i rapporti dei chierici con le donne (art. 1); le oblazioni per il ministero sacramentale (art. 2); le vesti dei sacerdoti, degli arcidiaconi, dei prevosti e dei monaci (artt. 3-5); i rapporti tra maestri e scolari (art. 8); la scomunica e le altre pene ecclesiastiche (artt. 7 e 9-10). Questa costituzione ebbe grande importanza: ripresa nei concili di Parigi (1212) e di Rouen (1214), confluì poi nel Concilio lateranense IV.
Ma lo scopo senza alcun dubbio preminente della legazione del B. era quello occulto che riguardava il problema matrimoniale del sovrano capetingio. Alla soluzione di tale problema, infatti, era subordinata la stessa realizzazione della crociata, in quanto Filippo Augusto, pacificato con il papa, avrebbe dato pieno appoggio alla spedizione in Terrasanta. Filippo Augusto, non ignaro del mandato favorevole a Ingeborga, conferito dal papa al legato, scrisse, forse tra l'ottobre e il novembre 1208, a Innocenzo III chiedendogli di accordare al B. "qui est in terra nostra" il potere "separandi matrimonium nostrum appellatione remota", ottenendo però dal papa solo una cortese risposta (lettere del 7 e 9 dic. 1208). Nulla sappiamo sull'iter procedurale della causa e sui rapporti tra Filippo Augusto e il cardinal legato; sta di fatto che l'atteggiamento di Innocenzo III non incontrò il gradimento del re, che invitò, tra il gennaio e il febbraio 1209, il B. a "non dimorare più a lungo in questo paese".
Alla fine di novembre del 1209 il B. era giunto a Roma. Nulla di preciso sappiamo, però, sulla sua dimora tra marzo e novembre 1209. Invero questo vuoto nella biografia del B. darebbe consistenza all'ipotesi di una partecipazione del cardinal legato alla lotta contro gli Albigesi, che si potrebbe ricavare dalla testimonianza di Vincenzo di Beauvais - se una attenta lettura delle fonti per la storia di questa crociata non escludesse qualsiasi suo intervento nelle luttuose vicende del Mezzogiorno di Francia.
Dal novembre 1209 al settembre 1211 il B. si trattenne a Roma. Tra il 31 maggio e il 30 sett. 1211 Innocenzo III lo trasferiva dal titolo diaconale di S. Maria in Portico a quello presbiteriale dei SS. Silvestro e Martino ai Monti. Rarissime sono le notizie sulla sua attività dalla fine del 1211 all'aprile 1214, quando dimorò prevalentemente a Roma. Nei primi mesi del 1215 si trovava a Vercelli per realizzare il suo progetto di dar vita ad una comunità canonicale regolare.
Il 14 e il 15 marzo 1215 Amedeo, canonico della cattedrale di Vercelli e procuratore del B., acquistava da Bono, abate di S. Benedetto di Muleggio, un pezzo di terra e una casa murata con forno. Il 22 marzo dello stesso anno Ugo, vescovo di Vercelli, concedeva al B. la chiesa di S. Andrea con le sue pertinenze "ita quod ipse Dominus Guala cardinalis in ipsa ecclesia sicut ei placuerit possit instituere et ordinare canonicos regulares vel alios clericos ad cultum Dei servientes".
Probabilmente il B. si trattenne a Vercelli per alcuni mesi, forse fino alla vigilia del Concilio lateranense IV apertosi a Roma il 1º nov. 1215; il suo nome figura nella lista dei padri conciliari tra i cardinali preti.
Se si tien conto della successiva legazione affidata al B. in Inghilterra, non si può non rilevare il suo interesse alle decisioni conciliari. I baroni in rivolta, la sospensione di Stefano Langton dalla giurisdizione della Sede cantuariense, i tentativi di Simone Langton per ottenere l'elezione alla sede metropolitana di York, gli accordi tra i baroni inglesi e la corte di Filippo Augusto, le aspirazioni di Luigi VIII alla corona inglese, ecc. : erano, questi, problemi ampiamenti dibattuti in concilio e fuori, e con i quali lo stesso B. nella sua imminente legazione avrebbe dovuto cimentarsi. Quale parte poi egli avesse nelle decisioni conciliari (scomunica dei baroni, trasferimento di Walter Gray dalla sede vescovile di Worcester a quella metropolitana di York, scomunica di tutti coloro che si prefiggevano di invadere e occupare il regno inglese, ecc.) non sappiamo: le fonti sono scarse e parche di notizie.
Dopo la chiusura del concilio il B. si trattenne a Roma fino a quando Innocenzo III lo investì della legazione in Inghilterra: forse tra il dicembre 1215 e il gennaio 1216, dato che nel dicembre 1215 il pontefice aveva ingiunto di pubblicare l'anatema scagliato contro i baroni inglesi e i loro complici e aveva fulminato l'interdetto sulla città di Londra. Comunque alla prima metà del febbraio 1216 era ancora a Roma e certamente ai primi di aprile in Francia: infatti quivi gli pervennero due messaggi di Giovanni Senzaterra, l'uno dell'8 apr. 1216 con il quale il sovrano gli dava l'annunzio dell'avvenuta elezione del vescovo di Worcester, l'altro del 12 aprile dello stesso anno con il quale accreditava presso il legato il priore di Coventry e il camerario di Reading "qui discretionem vestram certificabunt super his quae significavimus Lodovico filio regis Francorum et aliis".
La discussione sui rapporti franco-inglesi si iniziò all'assemblea di Melun il 24 e il 25 apr. 1216, presenti il primo giorno solo Filippo Augusto, e il 25 aprile anche il figlio Luigi.
Ligio alle istruzioni ricevute e in fedeltà alle decisioni conciliari il cardinal legato si impegnò strenuamente per convincere il sovrano capetingio dell'opportunità di impedire a suo figlio la spedizione in Inghilterra, di non arrecare alcuna molestia a Giovanni Senzaterra, di non fornire aiuto ai baroni scomunicati nel sinodo lateranense, di non violare il patto di tregua stabilito con il sovrano plantageneto. La risposta di Filippo fu evasiva ed equivoca: egli ribadì la sua fedeltà al pontefice e l'assicurazione che suo figlio nulla avrebbe compiuto contro la Chiesa, aggiungendo però che era meglio che si discutesse circa il merito delle rivendicazioni avanzate dal figlio sul trono inglese e si decidesse in conseguenza. Luigi VIII, tramite un suo incaricato, fece poi presenti i suoi diritti - in quanto marito di Bianca di Castiglia, figlia di Alfonso VIII e di Eleonora sorella di Giovanni Senzaterra - al trono inglese, vacante perché il re Giovanni era stato dichiarato decaduto in seguito ad una sentenza di pari, intervenuta per l'uccisione del nipote Arturo (1194), né era valida l'investitura ricevuta dal papa; contestò inoltre al legato la legittimità di intervenire nella questione. Infine, quando questi, lungi dall'accettare tali argomenti, rinnovò la proibizione di invadere l'Inghilterra e ingiunse a Filippo Augusto di non autorizzare suo figlio a tale spedizione sotto pena di scomunica, Luigi, rivolgendosi al padre, dichiarò che riconosceva di dovergli l'homagium per l'investitura feudale, ma che i suoi doveri feudali non comportavano la rinuncia a invadere l'Inghilterra.
Non rimaneva allora al legato altra scelta che quella di domandare un salvacondotto per l'Inghilterra a Filippo Augusto che glielo accordò, aggiungendo però di non voler essere ritenuto responsabile qualora il B. fosse caduto nelle mani di Eustachio il monaco o degli uomini di suo figlio che, con le loro navi, incrociavano in quel tratto di mare.
Il B., partito dal suolo francese senza fulminare scomuniche, approdò tranquillamente in Inghilterra: il 20 maggio era a Romney, dove si incontrò con Giovanni Senzaterra. Successivamente passò a Canterbury, dove fu ospite dell'abate Alessandro, rimasto fedele alle direttive innocenziane. Ma il sopraggiungere delle truppe di Luigi VIII costrinse il legato ad abbandonare Canterbury e a dirigersi verso Winchester. Quivi, il 29 maggio, il vescovo di Winchester, Pietro di Roches, alla presenza del B., scomunicò solennemente Luigi di Francia e i suoi complici e proibì di celebrare gli uffici divini alla loro presenza. Di fronte alla marcia vittoriosa delle truppe francesi, il cardinal legato, dopo aver lasciato Winchester, si diresse verso le contee dell'ovest: il 29 luglio si trovava a Bristol, poi a Gloucester e in ottobre a Worcester. Il legato incontrò inizialmente sul suolo inglese non poche difficoltà: ne è prova un messaggio che il B., ignorando l'avvenuta elezione di Onorio III, aveva indirizzato ancora ad Innocenzo III, forse alla fine di luglio (il messaggio giunse a Roma nel settembre), nel quale si dichiarava esasperato dai torbidi che aveva trovato e chiedeva più ampi poteri, specialmente contro il clero inglese, per assicurare il trionfo di Giovanni Senzaterra. Onorio III, che pure all'indomani della sua elezione (18 luglio 1216) aveva scritto al B. per incoraggiarlo nella sua azione, non ritenne opportuno aderire alle severe richieste, ma esortò il legato, su consiglio degli stessi cardinali "praeter admodum paucos", alla moderazione.
Non è improbabile che tra questi "pauci" vi fosse il cardinale Roberto di Courqon, nemico acerrimo dei Capetingi e della loro politica; d'altro canto non va sottaciuto che nel collegio cardinalizio la corrente filoplantageneta contava numerosissimi aderenti e che lo stesso Onorio III non nascondeva le sue propensioni per una continuità con la linea politica di Innocenzo III nei confronti dell'Inghilterra.
Molto probabilmente il B. spese le sue energie in questi mesi per riconciliare i ribelli inglesi al loro sovrano e indebolire così il fronte di Luigi VIII. Inoltre si impegnò ad aiutare anche finanziariamente Giovanni Senzaterra: durante l'estate del 1216 egli impose una tassa di 50 scudi d'oro da prelevarsi su ogni cattedrale o monastero del regno.
Morto Giovanni Senzaterra il 19 ott. 1216, il legato divenne personaggio di primo piano nelle complicate vicende della successione: subito, insieme con gli altri membri designati dallo stesso sovrano, tra i quali Guglielmo il Maresciallo, conte di Pembroke, assunse la reggenza del regno e, senza attendere ordini da Roma, dopo le esequie, procedette a Gloucester all'incoronazione del piccolo Enrico, ancora novenne, sul trono inglese (28 ott. 1216).
qNon si trattava invero della cerimonia ufficiale e solenne dell'incoronazione che doveva avvenire a Westminster ad opera dell'arcivescovo di Canterbury, ma in quelle circostanze era impossibile osservare puntualmente le formalità protocollari. Alle proteste dell'abate di Westminster e del priore di Canterbury, il legato rispose fulminando loro la scomunica. Dopo l'incoronazione di Enrico III venne designato quale "rector regis et regni" Guglielmo il Maresciallo, il quale assolverà le sue funzioni in stretta collaborazione con il legato.
L'11 novembre 1216 il B. convocava a Bristol tutti i prelati, conti e baroni inglesi rimasti fedeli ai Plantageneti per rinnovare il giuramento al nuovo sovrano. In questa assemblea, avendo Enrico III confermato un gran numero di articoli della Magna Charta del 1215, il B. per la minore età del re appose al documento il suo sigillo insieme con quello di Guglielmo il Maresciallo. Un grande successo ottenne anche con la sottomissione di undici vescovi a Enrico III, talché l'unico membro della gerarchia episcopale inglese che, sebbene solo eletto, rimaneva legato alla causa di Luigi VIII, era il vescovo di Ely. Nei mesi di dicembre 1216 e gennaio 1217, mentre il B. si tratteneva nella contea di Gloucester, una grande offensiva diplomatica venne sferrata da parte di Onorio III a favore dell'Inghilterra.
Il papa cercò con ogni mezzo di incoraggiare nella lotta il piccolo Enrico e i seguaci, rinnovando i poteri al legato e concedendogliene altri più ampi come quello di sciogliere dai giuramenti prestati a Luigi di Francia i baroni inglesi e di sospendere i chierici ribelli. Inoltre incaricò Arnaldo Amalrico abate di Citeaux e Corrado di Urach abate di Clairvaux di svolgere una missione presso Filippo Augusto e Luigi VIII al fine di ottenere una cessazione delle ostilità contro l'Inghilterra; inviò poi una lettera circolare ai baroni inglesi per esortarli a riconoscere il nuovo sovrano; scrisse infine al re di Scozia, a Livelino del Galles, ai più importanti signori ribelli e ai baroni dei Cinque Porti promettendo il suo appoggio nel caso che volessero riconciliarsi con il loro sovrano.
Dal canto suo il consiglio di reggenza non risparmiò il ricorso ad ogni mezzo - compreso anche quello coercitivo - per ottenere la sottomissione dei ribelli, senza però consistenti risultati. Si aggiunga che Luigi VIII proseguì con decisione e con esito positivo le campagne belliche. Durante la prima tregua chiesta dal consiglio di reggenza in occasione del Natale, Enrico III, presente il legato, convocò, all'inizio di gennaio, un'assemblea ad Oxford.
Intanto l'azione diplomatica sferrata da Onorio III non tardò a dare i suoi frutti: non è improbabile infatti che il ritorno di Luigi VIII in Francia, in occasione della seconda tregua stipulata tra le due parti in lotta e che doveva durare fino al 24 aprile, fosse imposta dal padre su ingiunzione di Onorio III. L'atteggiamento del legato durante questa seconda tregua è giudicato negativamente nelle fonti contemporanee: gli si muovono aspri rimproveri di non rispettare la tregua giurata e prelevare tasse irregolari sulle Chiese del regno. Né pare che il legato risparmiasse mezzi e modi per colpire i ribelli che ancora esitavano a ritornare tra le fila dell'esercito di Enrico III.
In realtà, durante l'assenza di Luigi VIII, ben centocinquanta documenti attestano le defezioni di nobili dal partito francese. Il B. si adoperava soprattutto per sradicare il sentimento d'onore che legava i baroni a Luigi di Francia, sostenendo che i giuramenti di fedeltà prestati contro Giovanni Senzaterra e la sua dinastia non avevano alcun valore. Egli giudicava gli avversari di Enrico III "hostes Dei et Ecclesiae" e l'armata che veniva loro opposta "milicia Christi". Mentre Luigi VIII riorganizzava il suo esercito alla vigilia di quell'azione militare che doveva concludersi con la battaglia di Lincoln, egli non lesinò sforzo e impegno per preparare moralmente i partigiani dei Plantageneti.
Alla grande rassegna delle forze enriciane avvenuta a Newark, a sette leghe a sud-ovest di Lincoln, tra il 17 e il 19 maggio 1217, il legato era presente accanto al re, insieme con l'arcivescovo di York e i vescovi di Winchester, Hertford, Salisbury, Bath, Exeter, Winchester e Lincoln. Il 20 maggio l'armata si accinse a partire per Lincoln: il legato rinnovò la scomunica contro i ribelli e particolarmente contro l'armata di Lincoln e gli abitanti della città; poi impartì l'assoluzione alle truppe. Egli rimase con il giovane sovrano a Newark (secondo l'autore dell'Histoire de Guillaume le Maréchal il legato partì invece per Nottingham). La battaglia di Lincoln (20 maggio del 1217) segnò la disfatta dei baroni.
Dopo la vittoria le truppe di Enrico III si diressero verso Londra con una marcia graduale e non priva di successi. Il consiglio di reggenza, del quale faceva parte il B., suggerì moderazione e prudenza ed ordinò agli sceriffi di far leggere pubblicamente la carta accordata da Enrico III ai suoi sudditi e di sorvegliare che venisse rispettata. Anche le sottomissioni dei ribelli aumentarono: tra giugno e luglio il loro numero sali a centocinquanta.
Mentre Luigi di Francia si preparava alla difesa di Londra, giunse in Inghilterra una legazione guidata da Simone, arcivescovo di Tiro, e composta dagli abati delle tre grandi abbazie cisterciensi di Pontigny, di Citeaux e di Clairvaux. È incerto se si trattasse di una missione incaricata ufficiosamente da Onorio III per favorire la riconciliazione tra Luigi VIII ed Enrico III, oppure di una iniziativa intrapresa da Filippo Augusto ormai combattuto tra l'affetto per il figlio e le promesse formulate nelle trattative per un riavvicinamento con papa Onorio III. Ambedue le ipotesi sono probabili: sta di fatto che sia Enrico III sia Luigi VIII designarono alcuni loro rappresentanti, i quali giurarono di lavorare in buona fede per la conclusione di un trattato di pace. La data della prima seduta sembra sia quella del 12 giugno 1217. Il B., che a quella data si trovava a Chertsey, non poté partecipare alla riunione, ma non mancò di influire pesantemente, stabilendo le linee di condotta della rappresentanza inglese e rifiutandosi di approvare alcune clausole del trattato di pace.
Tra queste vi erano: la rottura dell'alleanza di Luigi VIII con gli Inglesi ribelli, i Gallesi e il re di Scozia (artt. 1-3), l'evacuazione delle terre conquistate a spese di Enrico III e dei suoi aderenti (artt. 4-5), l'amnistia completa sia sul piano religioso sia su quello civile in favore di Luigi di Francia e dei suoi aderenti (artt. 6-9), il pagamento dei debiti contratti verso Luigi VIII (art. 12), la liberazione di tutti gli ostaggi e dei prigionieri (artt. 13-14). In particolare il B. si rifiutava di concedere un'amnistia totale ed indiscriminata: egli voleva che fossero abbandonati alla sua mercé specialmente Simone Langton, Gervaso di Hobruges, decano di S. Paolo, Roberto di San Germano, chierico del re di Scozia, ed Elia, chierico di Stefano Langton: tutti costoro avevano diffuso tra le fila del clero inglese lo spirito di rivolta verso la Santa Sede; erano stati privati dei loro benefici per ordine del pontefice e pertanto non potevano fruire dell'amnistia. Simone di Tiro supplicò Luigi di abbandonare questi ecclesiastici, ma egli rifiutò. Su istanza dell'arcivescovo, consentì invece di demandare a quattro arbitri, due di parte francese e due di parte inglese, la soluzione del problema: ma questi, già corrotti all'insaputa di Luigi VIII, decisero che i quattro chierici fossero, privati dei loro benefici e indennizzati dai baroni inglesi.
Il legato non si accontentò di tale concessione; egli intendeva colpire tutto il clero e pertanto dichiarò che non avrebbe confermato la pace se non dietro parere favorevole di Onorio III. Allora Luigi di Francia ruppe i negoziati, adducendo come pretesto che nel testo del trattato il governo inglese si era impegnato ad ottenere la conferma di tutti gli articoli da parte del legato (art. 15). Questi volle che si mettesse l'assedio a Londra; ma gli Inglesi leali alla causa di Enrico III, irritati nel veder ritardata la conclusione della pace per l'ostinazione del legato, rifiutarono di obbedirgli e si dispersero per rientrare nei loro accampamenti. A favorire il successo dei seguaci del plantageneta contribuì anche l'atteggiamento di Filippo Augusto, il quale si era riconciliato con Onorio III e inoltre si era sempre più convinto che tanto il legato papale quanto Guglielmo di Pembroke erano uomini difficili a piegare.
I mesi di luglio e di agosto 1217 non registrano avvenimenti importanti: il B. si mosse da Oxford, diretto a Windsor e Kingston. Dopo la vittoria navale degli Inglesi sui Francesi, il 24 ag. 1217, si riaprirono le trattative di pace. All'assemblea del regno, tenuta a Windsor il 29 agosto fu presente il legato; non sappiamo però quale fosse la sua politica: se cioè appoggiasse la linea moderata del reggente Guglielmo di Pembroke, intesa ad ottenere una ritirata pacifica delle truppe francesi dall'Inghilterra, oppure se fomentasse la linea estremista di coloro che sconsigliavano di negoziare la ritirata e proponevano l'aperta battaglia e l'eccidio dei Francesi arroccati a Londra. Sta di fatto che Guglielmo propose a Luigi di Francia una tregua per il 5 settembre e un incontro su un'isola del Tamigi, vicino Staines, ad est di Windsor. Luigi accondiscese: all'isola lo attendevano il legato e il consiglio di reggenza di Enrico III. Il capetingio richiese invano l'amnistia per il clero inglese; ma alla fine dovette sottomettersi alle ingiunzioni del legato. Non abbiamo alcuna notizia né sulla durata né sull'andamento dei lavori. Ciò che sappiamo è che l'atto ufficiale che enumerava le condizioni del trattato non fu redatto il 5 settembre a Lambeth, ma l'11 dello stesso mese a Kingston.
Gli articoli del trattato di Lambeth ripetono quasi tutti quelli proposti nelle trattative del 12 giugno 1217.
Anche le tre clausole che prevedevano la rottura dell'alleanza tra Luigi e i ribelli inglesi permangono nel testo definitivo del trattato. Gli Inglesi furono allora solennemente sciolti dai giuramenti di fedeltà che essi avevano prestato a Luigi di Francia, il quale, a sua volta, impose ai baroni inglesi, al re di Scozia e ai Gallesi di deporre le armi: in realtà gli atti di sottomissione occupano un arco di tempo molto lungo, dal settembre al novembre 1218. Gli articoli 4 e 5 si ritrovano anche nel testo definitivo del trattato di Lambeth con qualche leggera modifica: Luigi stesso, prima di ricevere l'assoluzione, restituì solennemente nelle mani del legato i castelli che aveva occupato. Gli articoli 6 e 7, concernenti l'assoluzione degli scomunicati, non figurano nel testo dell'11 settembre anche perché in parte erano stati eseguiti. Il legato volle comunque che tale assoluzione non avesse il carattere di una convenzione diplomatica, ma quello di una concessione graziosa. La cerimonia dell'assoluzione di Luigi e del suo seguito ebbe luogo sull'isola con un particolare cerimoniale liturgico ispirato a forme penitenziali. Luigi e i Francesi giurarono di obbedire alle ingiunzioni della Chiesa di non invadere o molestare in alcun modo il regno d'Inghilterra "o ogni altro patrimonio della Chiesa romana" e di reimbarcarsi entro l'anno. Il legato inviò a Londra il penitenziere del papa per assolvere dalla scomunica gli abitanti della città di Londra e gli altri laici scomunicati. I chierici inglesi che erano incorsi in pene o censure ecclesiastiche ricevettero l'assoluzione; a molti venne data la possibilità di scegliere tra la prigione o l'esilio. Secondo le consuetudini, l'assoluzione fu accompagnata da acune pene; il 22 settembre, a Merton, il legato impose a Luigi la seguente penitenza: versare per due anni la decima di tutte le sue rendite per la liberazione della Terra Santa, ritardata per la divisione intervenuta tra Capetingi e Plantageneti. Altre pene il legato comminò ai laici ed ai chierici francesi al seguito di Luigi.
Il 13 giugno 1218 le bolle di scomunica che avevano colpito Luigi e i suoi seguaci laici vennero revocate da Onorio III a condizione che la pace giurata non fosse mai più violata. I quattro articoli proposti il 12 giugno (che sancivano l'amnistia completa e consacravano le libertà del popolo inglese) ricevettero alcune modifiche. I membri della Chiesa inglese vennero esclusi dall'amnistia generale; venne consentito solo a quelli che erano titolari di feudi laici di riprenderne il possesso. Dopo la partenza di Luigi VIII, infatti, il clero inglese venne sottoposto ad un esame minuzioso da parte degli inquirenti del legato; chi aveva contravvenuto all'interdetto venne punito; molti vennero privati dei loro benefici, come Gervasio di Hobruges e Roberto di San Germano; altri furono colpiti da cospicue ammende e gettati in prigione. Simone Langton e i canonici di Carlisle furono spogliati dei loro benefici ed esiliati.
Il 15 settembre Luigi di Francia, i conti di Bretagna e di Nevers, Roberto di Dreux ed alcuni baroni inglesi si incontrarono a Merton con il legato, la regina madre e molti vescovi e signori inglesi: la pace fu solennemente sancita dalle parti; Onorio III la confermò poi con una bolla il 13 genn. 1218. Riconciliato con Enrico III e con la Chiesa, Luigi di Francia si imbarcò a Dover il 28 sett. 1217: lo accompagnarono fin sul molo il legato e i baroni.
Quale atto di gratitudine verso il legato (la cui opera a favore della pace venne molto apprezzata anche in Francia, come risulta dalla lettera dell'abate premonstratense Gervasio) Enrico III donò alla chiesa di S. Andrea di Vercelli (8 nov. 1217) i beni della chiesa di Chesterton. La donazione fu confermata (18 nov. 1217) dal vescovo di Ely e dai maggiorenti del regno.
La partenza dei Francesi dal suolo inglese permise al legato di attendere all'applicazione delle clausole del trattato di Lambeth, alla riforma della Chiesa inglese, alla provvisione dei vescovadi vacanti (come Winchester) e a una ristrutturazione di quelle comunità che avevano fatto causa comune con Luigi di Francia contro Enrico III.
Il B. incaricò l'arcivescovo di Canterbury e il vescovo di Hereford di ricevere la sottomissione dei signori del Galles e di assolverli dalla scomunica. Il 17 e il 18 dic. 1217 il legato si trovava insieme con la corte a Northampton, dove giunse anche Alessandro di Scozia per prestare omaggio a Enrico III. Alla fine di dicembre egli si trovava a Gloucester e nei primi mesi del 1218 nell'est dell'isola. Questi mesi furono occupati dalle intense trattative con Livelino e con i signori del Galles per indurli a rendere omaggio al re. La cerimonia per Livelino avvenne alla presenza del legato a Worcester, il 17 marzo 1218; per gli altri nobili gallesi il 25 maggio 1218.
Un altro problema occupò il B. e gli altri membri del consiglio di reggenza: l'Irlanda. Il loro intento era quello di vincolare sempre più strettamente l'Irlanda alla corona inglese. Con il consenso esplicito del legato, il re inviò lettere patenti con le quali proibiva l'elezione di indigeni alle cariche ecclesiastiche nei possedimenti irlandesi appartenenti al re. Nel caso di vacanza, tali cariche dovevano essere ricoperte da monaci inglesi o da altri onesti cittadini con l'approvazione dell'arcivescovo di Dublino.
Il 6 maggio 1218 il legato si trovava a Westminster per la questione dei prigionieri e degli ostaggi: numerosi documenti di questo periodo provano che il governo inglese, aderendo al consiglio del B., eseguì lealmente l'articolo 13 del trattato di Lambeth relativo ai prigionieri. Molto intensa fu anche l'azione del legato per ottenere da Roberto di Gaugy la restituzione del castello di Newark al vescovo di Lincoln. Nei mesi di luglio e di settembre il legato fu quasi sempre insieme con gli altri membri del consiglio di reggenza, spostandosi da York a Oxford, a Winchester.
Sul finire del secondo anno di reggenza il legato (forse convinto dell'imminente rientro a Roma) e il conte di Pembroke, già vecchio, cercarono di avviare intense trattative per assicurare validità agli atti compiuti e agli ordini emanati a nome del re. Per tali motivi venne dato incarico a Walter of the Hithe di fabbricare un nuovo sigillo, che venne usato per la prima volta il 3 o il 4 nov. 1218 per autenticare un'ordinanza che salvaguardava l'uso di tale sigillo contro ogni abuso che se ne fosse potuto fare durante la minore età di Enrico. Furono diramate lettere patenti per avvertire che nessuna concessione in perpetuo sarebbe stata accordata durante la minore età del re: se si fosse trovata qualche concessione di tale natura, essa sarebbe stata dichiarata apocrifa. Nella stessa occasione il vescovo di Winchester, il cancelliere del regno, il giustiziere e il consiglio di reggenza giurarono nelle mani del legato che avrebbero fatto il possibile per mantenere il re nel possesso delle terre che erano state già di suo padre. La lettera patente che riguardava l'uso del sigillo recava la firma del Bicchieri. Tale attestazione deve considerarsi uno degli ultimi atti della sua legazione in Inghilterra.
Il 12 sett. 1218 Onorio III, accogliendo la richiesta del B. di essere esonerato dal peso della legazione, lo aveva sostituito con Pandolfo vescovo eletto di Norwich. Comunque il 6 nov. 1218 il B. era ancora a Westminster e il 18 novembre a Paddington. Si imbarcò per la Francia molto verosimilmente nell'ultima decade di novembre del 1218. Sostò a Parigi per buona parte del mese di dicembre nell'abbazia di S. Vittore, cui confermò - stando alla testimonianza di Jean de Thoulouse - "annualia semipraebendarum Ecclesiae Parisiensis ab Odone Parisiensi episcopo concessa".
Nel gennaio 1219 era certamente a Vercelli insieme con alcuni membri della canonica vittorina - tra i quali il teologo Tommaso Gallo - destinati alla nuova fondazione di S. Andrea. Vi rimase nel febbraio, come risulta dall'atto relativo alla posa della prima pietra della nuova chiesa di S. Andrea (19 febbraio) e da un altro documento del Comune di Vercelli (21 febbraio).
Dopo alcuni mesi, su cui mancano notizie, il B. è alla corte pontificia: sottoscrive infatti le bolle papali emanate dal 14 sett. 1219 al 15 dic. 1220. Per gli anni 1221-1222 non possediamo notizie precise: gli unici elementi, quant'altro mai esili, sono desunti dalle sottoscrizioni alle bolle papali: il 3 marzo e il 27 apr. 1221 egli era a Roma, dove lo si ritrova anche tra maggio e giugno 1222.
Il 1223 è completamente privo di notizie: certo è che il B. dovette seguire da vicino gli incerti rapporti tra Federico II e Onorio III specialmente per quanto riguardava l'affare della crociata, se si pensa alla parte che egli avrà, più tardi, nell'incontro di San Germano.
Nel maggio 1224 il B. era a Roma e alla fine di maggio si dirigeva verso Vercelli, dove arrivò prima dell'11 giugno 1224: in tal giorno infatti ricevette il podestà Rainero de Centoriis e gli ambasciatori del Comune di Casalmonferrato.
Si trattava di un intervento molto verosimilmente sollecitato dai Vercellesi per dirimere la controversia tra il conte Guido di Biandrate e i Comuni di Vercelli e di Novara, relativa ai possessi della Valsesia, e che era sfociata nel corso del 1223 in aperti scontri tra le due parti.
Al B. erano stati conferiti altri incarichi da parte di Onorio III: quelli cioè di iniziare la visita apostolica e di emanare provvedimenti per ristabilire la disciplina ecclesiastica ("visitationem et correctionem omnium Ecclesiarum Virorum civitatis Vercellensis et eiusdem Diocesis"). Il 14 nov. 1224 egli promulgò speciali statuti per i canonici dei capitoli di S. Eusebio e di S. Maria e per l'Ospedale degli Scoti, confermati poi da Onorio III il 27 nov. 1226.
Ma l'opera maggiore del B. venne rivolta alla canonica di S. Andrea da lui fondata, cui il 24 genn. 1224 Onorio III aveva accordato la protezione apostolica stabilendo che i vittorini conservassero i possessi loro conferiti dal B. in Vercelli e in Costanzana, San Germano, Viverone e Caresana.
Il 26 ott. 1224 il B. conferì al priore Tommaso Gallo il possesso reale dei beni di Costanzana e il 30 ottobre quello di San Germano. Il 1º nov. 1224 concesse in feudo a Musso de Roppolo alcuni beni posti in San Germano a nome della chiesa di S. Andrea e ne ricevette il giuramento di fedeltà. L'11 nov. 1224 dichiarò di aver ceduto tutti i suoi beni in Vercelli, Caresana, San Germano, Villaregia e Viverone alla chiesa di S. Andrea, riserbandosene l'usufrutto vita natural durante. Il 17 nov. 1224 a Novara il cardinale B. investiva Tommaso Gallo della sua casa posta "in porta Ursona ante casam et turrim Centurionum"; Tommaso concedeva tale casa a Manfredo, fratello del B., a Pietro, figlio di Manfredo, e a Guala, figlio di un altro fratello.
Alla fine del 1224 o all'inizio del 1225 il B. ritornò a Roma; probabilmente si trattenne alla corte pontificia fino a quando venne incaricato da Onorio III insieme con il cardinale Pelagio, vescovo di Albano, di una legazione presso Federico II a San Germano. Il 18 luglio il papa indirizzava all'imperatore una lettera con la quale accreditava i due legati, cui si riferisce con espressioni di grande stima, esprimendo anche la grande attesa della cristianità per la crociata, la delusione per la mancata partenza di Federico per la Terrasanta nel "terminum prefixum" del 24 giugno 1225 (tale data era stata stabilita durante le trattative di Ferentino nel marzo 1223) e per le voci di un successivo e lungo ritardo nell'esecuzione. Da qui lo scopo della legazione che era quello di indurre Federico a fissare una nuova data per la partenza in Terrasanta. All'assemblea di San Germano (22 luglio 1225), ove intervennero molti prelati del Regno, venne fissata la partenza per la crociata all'agosto del 1227 e fu anche ribadito l'impegno di Federico II di sposare Isabella di Brienne, figlia di Giovanni, re di Gerusalemme. Il 28 luglio 1225 Federico II indirizzava una lettera a Onorio III nella quale affermava di aver accolto benevolmente i legati pontifici.
Nel settembre 1225 il B. raggiunse la corte pontificia a Rieti; al seguito del papa lo si ritrova anche nel dicembre dello stesso anno. Nel gennaio e nel febbraio 1226 era a Roma: a lui e al cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, e a Gregorio di S. Teodoro Onorio III affidò l'affare relativo all'assoluzione del conte di Tripoli. Nello stesso mese di gennaio - in aperto contrasto con l'adesione del Comune di Vercelli alla lega lombarda e probabilmente in appoggio alla politica filoimperiale dei suoi familiari - il B. faceva chiedere all'abate Tommaso Gallo la protezione imperiale per i beni di S. Andrea: ciò che Federico concesse da Catania nel 1226 con un diploma imperiale nel quale si fa cenno all'intervento del cardinale presso l'imperatore.
E non è un caso che nello stesso anno 1226 dai rettori della lega lombarda convenuti a Bologna vengano costituiti, insieme con altri, Pietro Bicchieri e Ugo de Bondonis "procuratores pro pace et concordia cum Friderico imperatore facienda". Si andava cioè chiaramente definendo quel fronte ghibellino che avrà il suo fulcro nell'abbazia di S. Andrea e che sfocerà nei decenni successivi in aperti scontri con le altre fazioni vercellesi e nel bando dei Bondoni e dei Bicchieri dalla città.
Un altro intervento a favore della chiesa di S. Andrea è attestato al 2 maggio 1226: il cardinale inviava a mezzo di maestro Pietro di Bourges alcuni paramenti sacri e due candelabri di Limoges. Non si hanno altre notizie sull'attività del B. durante gli ultimi mesi del 1226.
Nel 1227 partecipò al conclave per l'elezione di Ugolino di Ostia (Gregorio IX) al soglio pontificio (19 marzo 1227).
Dal nuovo pontefice, il 29 maggio dell'anno 1227, il B. otteneva la facoltà di fare testamento. Nominò allora erede universale dei suoi beni la chiesa di S. Andrea di Vercelli; fondò nella cattedrale di Vercelli la cappellania della B. Vergine e di S. Onorato e lasciò un cospicuo legato all'Ospedale di S. Andrea. Istituì numerosi anniversari per la sua anima. Esecutori testamentari vennero designati il cardinale Stefano di Fossanova del titolo dei SS. Apostoli e il maestro Giacomo de Carnario, canonico di Vercelli. Lasciò anche una preziosa e ricca biblioteca.
Morì il 30 maggio 1227; la salma venne traslata a Vercelli nella chiesa di S. Andrea.
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