GUALPERTINO da Coderta
Nacque probabilmente intorno al 1290-95 da Monfiorito e da Odorica Collalto. Sono piuttosto scarni i dati sulla vita di G., il cui nome appare in pochi documenti d'archivio.
Importante e nota fu, invece, la sua famiglia: i da Coderta (o Caudahjrta, che è da considerare un vero e proprio cognome), erano uno fra i ceppi signorili di qualche rilievo cresciuti all'ombra dei da Camino nel Comune di Conegliano sullo scorcio del secolo XII. I primi personaggi sicuri della famiglia sono Adriano e Bonifacino, castellani nel XII secolo. I da Coderta, titolari di diritti nel Cadore (avevano chiuso e recintato la palude di San Fior, all'inizio del Duecento, e i loro diritti signorili sono attestati tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo), erano fedelissimi dei da Camino e su alcuni di essi esercitarono la tutela. Nel 1264, tuttavia, Iacopo da Coderta di Conegliano, nonno di G., appare come garante di una fideiussione per Aczola, Aica e Tommasina della famiglia ghibellina dei Castelli, rivale dei da Camino.
All'epoca della nascita di G. la famiglia, al pari di altre eminenti casate di nobiltà rurale, era stata associata alla signoria guelfa di Treviso, nel periodo del governo di Gherardo da Camino: Monfiorito era particolarmente legato a Gherardo, tanto da essere uno fra i suoi più importanti alleati.
Nel primo documento relativo a G., risalente al 1314, risulta che egli fu insultato e percosso a sangue, in contrada S. Michele di Treviso, da un Artico di Rosa degli Azzoni, il quale fu condannato a una pena pecuniaria. Evidentemente G. faceva parte di una delle fazioni destinate a svolgere un ruolo importante nella lotta politica nei turbolenti anni tra il 1318 e il 1321, nei quali prese piede, nel ceto magnatizio di Treviso, il partito scaligero che portò la città sotto la dominazione della signoria veronese: fra le varie consorterie trevigiane e i seguiti personali e di famiglia è infatti ricordato anche l'"exercitus Monfloridi de Coderta". Nel periodo successivo alla fine della signoria caminese anche i da Coderta furono attratti dalla politica espansionistica di Cangrande Della Scala e, con altre famiglie di antica tradizione ghibellina, si schierarono apertamente contro il Comune e in favore dell'alleanza fra Guecellone da Camino e Cangrande Della Scala. Monfiorito incitò i due, nel 1318, all'assedio di Conegliano: con ogni probabilità anche G. seguì lo stesso itinerario, che lo portò ad assumere cariche pubbliche durante la dominazione scaligera.
Nel 1330 G. fu nominato dal padre erede, con la clausola di non poter vendere né donare né alienare in alcun modo il patrimonio. Monfiorito lasciava al figlio la proprietà del castello nella rocca di Conegliano, dove G. risulta abitare nel 1332 insieme con lo zio Rizzardo, e alcuni possessi in "villa sancti Floris" (San Fior). Il 21 ag. 1332 a Treviso G. vendette alla scuola dei Battuti (flagellanti), per la costruzione di un nuovo ospedale, una vasta area, coperta forse di case, in contrada S. Pancrazio, per la somma di 2000 lire di piccoli. Da questa vendita ebbe origine l'ospedale di S. Maria dei Battuti in S. Pancrazio, gestito poi nel Quattrocento dalla Confraternita dei Battuti.
Nel 1336, trovandosi Treviso sotto il dominio di Alberto e Mastino Della Scala, G. è registrato fra i consiglieri in due diverse "copule": i signori del maleficio (indagatori e persecutori degli atti criminali) e gli estimatori dei beni dei debitori insolventi da pignorare. Il rapporto con gli Scaligeri, alla politica dei quali i da Coderta avevano aderito con convinzione, portò G. ad avere in seguito altre e più importanti cariche, sia a Treviso sia a Conegliano: qui appare l'8 apr. 1337 come uno dei due consoli del Comune chiamati a rispondere alle profferte veneziane di protezione e difesa in seguito alla liberazione dei Coneglianesi dal dominio scaligero e alla cacciata del presidio veronese avvenute nel marzo. G. risulta fra i censiti del castello avito ancora nel 1337. Ebbe in moglie Adeleta di Enrico, detto Panadino di Strasso. Sua figlia Odorica sposò un don Francesco di Salamone di Treviso. Fece testamento il 9 giugno 1352, nella villa di San Fior, spartendo il patrimonio in parti eguali tra i figli Bonifacio e Monflorido: ed è questa l'ultima testimonianza documentaria che lo riguarda.
G. fu poeta giocoso: della sua attività non si conoscono che due sonetti, risalenti al primo quarto del XIV secolo e presenti entrambi, insieme con componimenti di altri sette rimatori trevigiani o dimoranti a Treviso, nel ms. Barb. lat. 3953 della Biblioteca apostolica Vaticana (in cui occupano i posti 145 e 146, e sono assegnati rispettivamente a "Gualpertino de miser Mon Florito da Coderta" e "Gualpertino"), che tramanda, insieme col codice Colombino 7.1.32 della Biblioteca capitular di Siviglia, il Canzoniere di Niccolò de' Rossi.
La cultura poetica toscana si era diffusa in Veneto sullo scorcio del Duecento e nei primi decenni del Trecento con una certa fortuna, in particolare del genere realistico. G. dovette aderire alla cerchia poetica sviluppatasi a Treviso all'inizio del Trecento e che faceva capo al giurista Niccolò de' Rossi, suo coetaneo, mediocre verseggiatore ma abile diffusore della lingua e della poesia toscane nel Veneto: al suo interno G., con Pietro Faitinelli (che risiedette a Treviso fra il 1313 e il 1331), rappresenta la vena comico-realistica, che si rifà alla maniera e alle tematiche di Cecco Angiolieri, come risulta dai due sonetti conservati. In Metiamo el parentato da un lato G. compie una scherzosa profferta amorosa a una sua consanguinea, invitandola a non considerare peccaminoso l'atto sessuale proposto, la macchia del quale può estinguersi con una lieve penitenza. Il sonetto dissacra parodisticamente la spiritualità della lirica stilnovistica (secondo un tratto ricorrente di molta poesia giocosa) stemperandola in una arguzia molto garbata. L'altro componimento conservato, O padre meo, pognam che me caçassi, riprende la tipica situazione angiolieresca dell'atto di sottomissione e pentimento presente nel sonetto Chi dice del suo padre altro che onore di Cecco (trascritto anch'esso nel Barberiniano) a differenza del quale la palinodia di G. elimina i tratti marcatamente burleschi presentando il tema in un contesto di elegante ironia.
Il secondo sonetto fu pubblicato da L. Allacci, Poeti antichi raccolti da codici manoscritti della Biblioteca Vaticana e Barberiniana, Napoli 1661, p. 369, da cui derivano le edizioni in varie raccolte di rime antiche; entrambi i sonetti furono poi compresi nell'edizione diplomatica de Il Canzoniere Vaticano Barberino latino 3953 (già Barb. XLV.47), pubblicato a cura di G. Lega, Bologna 1905, p. 184, da cui derivano le edizioni commentate, con note biografiche, nei Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, a cura di A.F. Massera, nuova ed. riveduta e aggiornata da L. Russo, Bari 1940, p. 343; nei Poeti giocosi del tempo di Dante, a cura di M. Marti, Milano 1956, pp. 334 s., 339 s.; si veda ancora l'edizione che del solo primo sonetto dà F. Brugnolo, I toscani nel Veneto e le cerchie toscaneggianti, in Storia della cultura veneta, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 426 s.
Fonti e Bibl.: Conegliano, Arch. municipale vecchio, Atti civili e notarili dall'anno 1559 all'anno 1582, b. 40, f. 150, c. 20rv; Collectanea rerum antiquarium Coneglianensium et eorum civitatis, b. 560, f. 1, cc. n.n.; G. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, VIII, Venezia 1788, p. 149; XI, ibid. 1789, p. 88; G. Biscaro, L'ospedale di Treviso e i suoi benefattori, Treviso 1903, p. 312; A. Marchesan, Gaia da Camino, Treviso 1904, p. 222; A. Vital, Per le scalee che si fero ad etade / Ch'era sicuro il quaderno… (Purg. XII, 104-105), in Raccolta di studi di storia e critica letteraria dedicata a Francesco Flamini da' suoi discepoli, Pisa 1918, pp. 398, 400; A. Marchesan, Treviso medievale, II, Treviso 1923, pp. 299-301; G. Netto, Monfiorito da Coderta, in Atti e memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, XVII (1969), pp. 13-30; E. Lippi, La letteratura in volgare di sì, in Storia di Treviso, II, Il Medioevo, Venezia 1991, pp. 467, 484; E. Brunetta, Treviso in età moderna, ibid., III, L'età moderna, ibid. 1992, p. 32.