GUALTIERO da Foggia
Non si conosce la data di nascita di questo scultore, attivo in Puglia nel XIII secolo. Era figlio di Riccardo ("filius Riccardi de Fogia") come G. stesso dichiara in un documento del 1262 (Codice diplomatico barese) nel quale è citato come "magister comacenus" abitante a Trani.
Si è a lungo identificato (Carabellese; Bertaux, 1903, p. 672; Sorrenti) il padre di G. con il Riccardo da Foggia, prothomagister nel 1269 e nel 1280 al servizio di Carlo I d'Angiò per i lavori nella cappella del non più esistente castello di caccia di San Lorenzo vicino a Foggia e dal 1273 nel castello di Lucera (Sthamer). Poiché l'attività del padre si collocherebbe in un periodo notevolmente posteriore a quella, probabile, di G. (Calò Mariani, 1978, pp. 840 s.), lo stesso Bertaux (1905), in un saggio successivo, optò per un "legame di parentela". Meno plausibile appare la posizione di Haseloff (1920), che ipotizza l'esistenza di due "Gualterius".
L'unica opera attualmente ricondotta alla mano di G. è il ciborio dell'altare maggiore della cattedrale di Bitonto, smembrato nel 1651 per iniziativa del vescovo Alessandro Crescenzio (Mongiello, p. 88) e descritto in una Santa Visita del vescovo Giambattista Stella nel 1620 (Valente, pp. 30 s.). Come si evince dall'iscrizione pertinente allo stesso ciborio - rinvenuta nel 1744 e conservata nell'episcopio (Mongiello, p. 88) - esso fu realizzato per ordine del vescovo Domenico da un "Gualterius […] / de Fogia […] qui sic bene sculpsit annis millenis transactis bisque vicenis / insuper addendis annis plusque ducentis […]".
L'interpretazione del testo è stata a lungo controversa: parte della critica si è orientata verso la data del 1222 (Pice); ma considerazioni stilistiche sulla fattura dell'unico capitello superstite del ciborio e sulla cosiddetta "scuola di Foggia" (oltre a un più attento computo degli anni indicati dall'iscrizione) fanno più compiutamente propendere per il 1240, anche se questo termine viene a porsi dopo la morte del vescovo Domenico, avvenuta nel 1225 (manoscritto anonimo citato in Mongiello, p. 58). È più probabile pertanto che l'opera sia stata offerta in dono, come per adempiere alle ultime volontà del vescovo (Belli D'Elia, 1986, pp. 267 s.). L'operato di G. viene collocato dalla critica all'interno di quel circuito culturale sviluppatosi nei cantieri federiciani di Foggia, nel quale si avvertono echi di modelli di ambito francese e tedesco, il cui esponente più noto è Nicola di Bartolomeo da Foggia, autore del pulpito della cattedrale di Ravello firmato e datato 1272.
Dei frammenti superstiti del ciborio, l'elemento più significativo è rappresentato dal capitello conservato nel lapidario del Museo diocesano di Bitonto. Esso è caratterizzato da una raffinata decorazione in cui draghi intrecciati si annodano a cespi inframmezzati da rosette. Si tratta di un tema che si ritrova sull'opposta sponda adriatica, nei pulpiti delle cattedrali di Spalato (Bertaux, 1903, p. 673) e Traù (Toesca, p. 877; Belli D'Elia, 1991) e, nella stessa Puglia, nei più tardi episodi della tomba della famiglia Falcone in S. Margherita a Bisceglie e nella bifora rimontata sulla facciata della cattedrale di Altamura. Sul listello dell'abaco si legge parte di un'iscrizione che, per la sua frammentarietà, non offre ulteriori spunti di lettura: "Doctoris studium laudes pensando […]u has / tricatas in me studuit formare figur[as]".
Il capitello è stato collegato, a partire da Bertaux (1903, p. 672), a uno di quelli superstiti del ciborio della cattedrale di Bari (smembrato probabilmente nel secolo XVII e ricomposto dopo il 1950), realizzato tra il 1228 e il 1233 da Alfano da Termoli, la cui attività è stata anch'essa ricondotta nell'ambito della "scuola di Foggia". I due capitelli presentano infatti evidenti analogie, non solo iconografiche, con i ricorrenti draghi delle miniature manfrediane e con i mostri che si annidano su un capitello di S. Maria Maggiore a Monte Sant'Angelo, su una chiave di volta di Castel del Monte e, infine, su uno dei capitelli del già citato pulpito di Ravello (Calò Mariani, 1984, pp. 152 s., e 1990). In entrambi gli artisti sono stati rilevati, inoltre, echi di esperienze provenienti dalla Terrasanta (Buschausen, 1978). Per Aceto (1990) l'origine culturale di queste opere è ravvisabile nella produzione artistica del cantiere abruzzese di Termoli e Fossacesia, risalente agli anni Venti del XIII secolo.
Secondo Petrucci (1960, p. 8) altri elementi del ciborio che, peraltro, potrebbero appartenere all'ambone della stessa cattedrale (in parte ricomposto), opera di "Nicolaus Sacerdos", furono utilizzati dopo il 1651 nella balaustra del cenotafio del vescovo Fabrizio Carafa. Del ciborio si conservano (Bitonto, Museo diocesano) anche alcune colonnine - già individuate da Bertaux (1903) - e due architravi; sono pure conservati uno degli scalini decorati e, forse (Pice, p. 5), il paliotto, appartenenti all'altare sottostante.
Non si conosce la data di morte dell'artista.
Un figlio di G., Paolo, continuò probabilmente il mestiere paterno; nominato nel citato documento del 1262, nel quale il padre lo emancipa, compare come "magister comacenus" in un altro documento del 1285, anno in cui probabilmente morì (Prologo; Bertaux, 1903, p. 672).
Fonti e Bibl.: Codice diplomatico barese, III, Le pergamene della cattedrale di Terlizzi, a cura di F. Carabellese, Bari 1903, p. 301 n. CCLXXVIII; A. Prologo, Primi tempi della città di Trani, Giovinazzo 1883, p. 36; F. Carabellese, Della storia dell'arte in Puglia e più particolarmente nella Terra di Bari fino ai primidel sec. XIII, in La Terra di Bari, I, Trani 1900, p. 113; G. Valente, La cattedrale di Bitonto, Bitonto 1901, pp. 30-35; É. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1903, pp. 672-674; Id., Les artistes français au service des rois Angevins de Naples, II, Les châteauxde Charles Ier, in Gazette des beaux-arts, XXXIV (1905), pp. 95 s.; E. Sthamer, Dokumente zur Geschichte der KastellbautenKaiser Friedrichs II. und Karls I. von Anjou, I, Capitanata, Leipzig 1912, pp. 5 n. 8; 131 nn. 55 s.; A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, Leipzig 1920, p. 171; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Il Medioevo, Torino 1927, p. 877; A. Petrucci, Cattedrali di Puglia, Roma 1960, pp. 7 s.; G. Mongiello, Bitonto nella storia e nell'arte, Bari-Pavia 1970, pp. 58, 88-91; N. Pice, Il ciborio e l'epigrafe dell'architrave, in Studi bitontini, 1971, n. 4, pp. 6, 8; M.S. Calò Mariani, Aspetti della scultura sveva in Puglia e Lucania, in Arch. stor. pugliese, XXVI (1973), p. 473; H. Buschhausen, Die süditalienischeBauplastikim Königreich Jerusalem von König Wilhelm IIbis Kaiser Friedrich II, Wien 1978, pp. 394-397; M.S. Calò Mariani, in Aggiornamento all'opera di Émile Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, V, a cura di A. Prandi, Roma 1978, pp. 838-844; Id., L'arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, pp. 152 s., 160 fig. 223; P. Belli D'Elia, Italia romanica. La Puglia, Milano 1986, pp. 267 s. e passim; F. Aceto, "Magistri" e cantieri nel "Regnum Siciliae": l'Abruzzo e la cerchia federiciana, in Bollettino d'arte, LIX (1990), pp. 58-63; P. Sorrenti, Pittori, scultori, architetti pugliesi, Bari 1990, p. 248; M.S. Calò Mariani, Architettura e arti figurative: dai Bizantini agli Svevi. L'età sveva, in Storia di Bari, II, a cura di F. Tateo, Roma-Bari 1990, p. 324; P. Belli D'Elia, Presenze pugliesi nel cantiere della cattedrale diTraù. Problemi e proposte, in Vetera Christianorum, XXVIII (1991), p. 417; Enc. dell'arte medievale, I, Roma 1991, p. 385, s.v. Alfano da Termoli; S. Mola, ibid., VI, Roma 1995, p. 270, s.v. Foggia; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 165.