DALL'ARZERE, Gualtiero
Figlio del pittore padovano Battista (Rigoni, 1939, p. 40; e soprattutto Sartori, 1976, p. 78), del quale non abbiamo notizie; il cognome deriva dalla contrada "dell'Argine", situata a Padova nei pressi del convento di S. Giovanni da Verdara, ove Battista aveva la casa; è probabile allora che proprio in tal luogo il D. sia nato. Purtroppo documenti non forniscono nemmeno l'anno di nascita del D.; se però teniamo conto che il padre nel 1553 era ancora vivo (Sartori, 1976) e che fra la fine del 1538 e gli inizi del 1539 il D. si sposò (Rigoni, 1953; Sartori, 1976), si può plausibilmente supporre che egli sia nato intorno all'anno 1510.
La moglie, Giulia, era figlia del fonditore di bronzi Guido Aspetti Lissaro (Lizzaro) e sorella del famoso scultore Tiziano Aspetti (Rigoni, 1953; Fiocco, 1966, pp. 18 s.; Sartori, 1976).
L'attività artistica del D. fu intensa ed economicamente redditizia, come dimostrano da una parte gli acquisti operati, ora di case ora di campi (Fiocco, 1966, p. 19; Sartori, 1976), dall'altra il suo trovarsi il 27 apr. 1546 fra i ballottati per l'elezione a conservatore del Monte di pietà (Pietrucci, 1858; Fiocco, 1966, p. 19). Il D. visse sempre a Padova, pur se in case diverse (Sartori, 1976), e quivi morì nel 1552, fra il 20 aprile, in cui risulta ancor vivo (ibid.), e il 4 ottobre allorché Giulia è dichiarata vedova (ibid.).
Il D. ebbe un solo fratello, Domenico, di lui più anziano (Sartori, 1976), quindi cade la possibilità d'una fratellanza sia con il pittore Stefano Dall'Arzere, sia con il pittore Domenico Campagnola; supposta, questa, sulla base d'un passo dello Scardeone (1560), che dichiara il D. "consanguineus" del Campagnola. Essendo scontato che lo Scardeone conoscesse bene i due artisti (il D. gli aveva addirittura decorato la casa), il "consanguineus" non può indicare allora che una parentela acquisita dal D. tramite sua moglie Giulia, considerato che, a testimonianza di Zuan Antonio da Corte, il Campagnola era "compare" del padre di Giulia (si veda L. Puppi, in Diz. biogr. d. Ital., XVII, p. 313).
L'attività prevalente del D. fu quella di pittore, in particolare ad affresco (nulla resta né vien ricordato su tela o su tavola), la tematica soprattutto profana (salvo nella decorazio ne della Scuola di S. Rocco).
Dovette però praticare, sia pure in tono minore, anche la scultura, come risulta da alcuni documenti (Fiocco, 1965; Sartori, 1976) e tenuto anche conto della sua parentela con Tiziano Aspetti, dell'amicizia con un gruppo di scultori-antiquari legati alla fonderia presso S. Giovanni da Verdara (Fiocco, 1966, p. 17); non rimangono, tuttavia, né si ricordano opere di scultura a lui spettanti.
Le opere esistenti, quelle attribuibili, quelle ora perdute ma descritte dalle fonti non sono molte, benché rilevanti, ma rimandano a un'attività assai vasta come testimoniato dallo Scardeone (1560): "Sed inter opera alia pinxit aedes iuxta S. Leonardum, et innumeras alias". Attivita dovuta non solo alla personale alacrita, ma anche al ruolo di impresario, di appaltatore, che il D. seppe avere associando a sé altri artisti (fra cui di particolare rilievo D. Campagnola e Stefano Dall'Arzere) nelle maggiori imprese civili a Padova fra il 1540-50; e non solo artisti padovani: ricordiamo la presenza di Giuseppe Porta Salviati nel palazzo Mantova Benavides e quella di Lamberto Sustris nella villa dei Vescovi a Luvigliano.
Fra il D. e l'artista olandese i rapporti dovevano essere buoni, come deduciamo dal passo di G. Vasari (Le Vite... [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1891, p. 96) che ricorda (a interpretazione del Ballarin, 1962) il D., il Sustris e lo Schiavone operosi nella villa Pellegrini ("fra Ghioggia e Monselice", oggi scomparsa) e da un documento del 28 apr. 1543 (Ballarin, 1968) riguardante un'operazione finanziaria condotta in comune dai due artisti.
La prima attività documentata del D. è costituita dalla decorazione del capitolo inferiore della Scuola di S. Rocco a Padova, con Storie della vita del santo.
I documenti (mutili purtroppo), pubblicati dal Moschetti (1930, pp. 64 s.), ricordano solo la sua presenza, con pagamenti continui, negli anni 1536 (3 e 9 aprile, 9 luglio, 12 agosto) e 1537 (13 luglio e 12 agosto); la tradizione e la filologia peraltro hanno individuato anche altri artisti, assegnando al D. solo le storie di sinistra meno il Transito del santo (attribuito a Stefano Dall'Arzere o più plausibilmente al Calcar); recentemente la Saccomani (1980, p. 65) attribuisce al D. anche una storia di destra, la Preghiera dei genitori, tradizionalmente assegnata a D. Campagnola.
Fra il 1539-40 il D. partecipò alla decorazione della sala dei Giganti (o meglio degli Eroi) nella ex reggia carrarese (allora palazzo del Capitanio, oggi Liviano).
Lo Zabarella (1674) scrive che la decorazione fu opera di Tiziano, del D., di Domenico Campagnola, Stefano Dall'Arzere ed altri insigni pittori; oggi si accettano i nomi tramandati ma resta il delicato problema dell'individuazione dei singoli apporti; solo il Grossato (1966) ha tentato uno sceveramento, che però non sempre ha trovato consensi; ultimamente la Saccomani (1980) ritiene genericamente di ricondurre al Campagnola la maggior parte di questi affreschi.
Nel 1541-42 il D. era all'opera nella decorazione del pal. Mantova Benavides (Fiocco, 1966, p. 19; Sartori, 1976) a capo di un'équipe cui aderiva anche il Campagnola; vi lavoravano ancora altri artisti, come il Salviati nel 1541, e forse il Tintoretto, non sappiamo però se nel gruppo del D. o indipendentemente. La quasi totale perdita della decorazione ci rimanda alla descrizione del Rossetti (1765), secondo cui il D. aveva operato nell'ingresso, ornandolo di figure simboliche, ed in una stanza del piano terreno, rappresentando il Trionfo di Cesare. Nel 1542-43, come risulta da documenti (Rigoni, 1939, p. 40; Ballarin, 1968), il D. lavorò nel palazzo dei Vescovi. a Luvigliano, ma quanto oggi rimane è assegnato per intero a Lamberto Sustris (Ballarin, 1962). Nel 1549 decorò nel palazzo degli Zabarella (oggi perduto) la famosa aula Zabarella (Scoto, 1649; Zabarella, 1670) con Personaggi illustri, Vicende rilevanti dell'antica storia patavina, la Genealogia ed i Ritratti della famiglia Zabarella. L'ultimo impegno documentato del D. è costituito dalla partecipazione alla decorazione della palladiana villa Godi Malinverni a Lonedo, dove lavorarono pure Giambattista Zelotti e Giambattista dell'Angelo (Palladio, 1570); la critica assegna al D. la decorazione dell'ala destra (Pallucchini, 1960; Crosato, 1962), salvo il soffitto della sala dei Trionfi dovuto invece allo Zelotti (Pallucchini, 1968). È possibile (Puppi, 1973) che inizialmente fosse affidata al D. l'intera decorazione e che solo dopo la sua morte fossero stati chiamati a completarla gli altri due artisti.
Per attribuzione (ma non sempre concorde né sempre convincente) viene assegnato al D. un altro gruppo di opere: le portelle e le altre decorazioni dell'organo di S. Giacomo dell'Orio a Venezia (Ballarin, 1962, p. 80 n. 24); in forma possibilista, la parte pittorica della decorazione della loggia e dell'odeo Corner a Padova, fra il 1534 e il 1540 (Fiocco, 1965 e 1966; Grossato, 1966); i sedici riquadri d'una sala dell'ex convento dei servi di Maria a Padova (ora palazzo delle Assicurazioni in via Rialto) con Episodi leggendari della Padova preromana (Grossato, 1966); la decorazione di due vasi della collezione Mantova Benavides al Liviano di Padova (Polacco, 1966); mentre i modi se non la mano del D. sarebbero riconoscibili nelle grottesche della loggia a mezzogiorno nella villa Emo Capodilista alla Montecchia (Grossato, 1966, p. 249 n. 9) e nella maggior parte della decorazione di villa Gradenigo a S. Pietro di Gambarare, con rimandi anche a Domenico Campagnola e S. Dall'Arzere (Tiozzo, 1968).
Il D. godette tra i suoi contemporanei di grande reputazione: "... qui suo aevo arte illa inter primos est abitus" scrive infatti lo Scardeone (1560); un giudizio che ritorna nel Palladio (1570) e continua nella tradizione storico-erudita padovana fino a tutto l'Ottocento. Quali connotazioni stilistiche già lo Zabarella (1670) adombrava l'influsso di Tiziano, come sottolineerà il Brandolese (1795), rilevando però anche quello di D. Campagnola; tizianismo mediato dai maestri bresciani secondo il Fiocco (1928), mentre il Pallucchini (1969) lo articola tra l'esemplarità delle opere giovanili e quelle del momento mediano filtrato tramite il Sustris e il Calcar. Altra componente è quella manieristica, con influssi mantovani ed emiliani (Crosato, 1962), probabilmente derivati dal Sustris (Ballarin, 1962), stimolata anche dalla presenza a Padova del Salviati (Puppi, 1976).
Il Fiocco (1966) propone una più ampia stoficizzazione del D., inserendolo attivamente nel contesto di una Padova divenuta indirizzo culturale e civile d'un mondo veneto di Terraferma, che nel campo artistico si esprime in tre fuochi: il dibattito culturale e la committenza di Alvise Corner, l'attività architettonica del Falconetto, l'attività infine del D., il quale non solo risulta responsabile delle maggiori imprese decorative in città, ma crea anche i due prototipi della decorazione di ville più latamente venete: da una parte infatti (odeo Corner) i preziosismi plastico-pittorici sul tipo delle grottesche, dall'altra (villa Godi) quella scenografia paesistica alle pareti, che tanta altezza raggiungerà con Paolo Veronese. Il Puppi (1976) preciserà la proposta del Fiocco, arricchendola con l'ipotesi di una "scuola artistica" che si forma a Padova nel quinto decennio tramite l'attivismo del D., e vede D. Campagnola quale altro massimo esponente.
Pompeo, uno dei figli dei D., nacque presumibilmente a Padova intorno al 1540, poiché il padre aveva contratto matrimonio alla fine del 1538; il 13 ott. 1573 sposò "Giulia Bellissima" (Sartori, 1976); l'ultima notizia che lo riguarda da vivo è relativa a un pagamento del 19 giugno 1575 (ibid.); il 22 ag. 1582 risulta già morto (ibid.), ma evidentemente da poco tempo perché in tale data l'ex tutore della moglie salda per lui un debito. È più che accettabile l'ipotesi della Rigoni (1936-37) che Pompeo sia stato scolaro dello scultore Agostino Zoppo, dei quale fu aiuto; alla morte di questo (1572), Pompeo ne acquistò, in parte a credito, sia materiale e attrezzature di lavoro sia varie opere d'artisti, originali o in copia, fra cui, rilevanti, pezzi di Donatello, Sansovino, Frigimelica (ibid.). Esercitò soprattutto come scultore, ma è ricordato anche come pittore; un'attività, tuttavia, la sua, prevalentemente di aiuto, senza capacità di distinguersi e ricevere commissioni di rilievo, come si deve dedurre dal silenzio al suo riguardo della antica letteratura artistica e dal poco che ci testimoniano i documenti: alle dipendenze dello Zoppo aveva eseguito delle teste per G. A. dell'Orologio, e alla morte del maestro aveva ultimato una "schiana" di bronzo che era rimasta incompiuta (ibid.); nel 1574 e 1575, risulta operoso al Santo, e per questi lavori ricevette pagamenti (Sartori, 1976).
Fonti e Bibl.: Padova, Bibl. d. Seminario vescovile, ms. 557: A. Monterosso, Effemeridi di Padova [1638]; B. Scardeoni canonici Patavini De antiquitatibus urbis Patavii, Basileae 1560, p. 373; A. Palladio, I quattro libri dell'architettura, Venetia 1570, I, 2, Cap. 15 p. 65; C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. v. Heikamp, I, Berlin 1914, p. 93; A. [ma F.] Scoto, Itinerario overo nova descrittione de' viaggi Principali d'Italia, I, Padova 1649, pp. 18v-19r; G. Zabarella, Aula Zabarella sive elogia illustrium Patavinorum conditorisque urbis Patavii 1670, pp. 2 s.; Id., Aula Heroum siveasti Romanorum, Patavii 1674, Introductio, p. 1; G. B. Rossetti, Descrizione delle Pitture, sculture ed architetture di Padova, Padova 1765, ad Indicem; P. Brandolese, Pitture, sculture ed altre cose notabili di Padova nuovamente descritte, Padova 1795, ad Indicem; L. Lanzi, Storia pittor. della Italia, III,Bassano 1809, p. 56; G. A. Moschini, Della origine e delle vicende della pittura in Padova, Padova 1826, p. 77 s.; N. Pietrucci, Biografia d. artisti padovani, Padova 1858, pp. 144 s.; G. Fiocco, Piccolimaestri, VI, La pittura del Cinquecento a Padova, in Boll. d'arte, VI (1926-27), 7, pp. 317 s.; A. Moschetti, La scuola di S. Rocco…, in Padova, IV (1930), 1, pp. 52-56, 64 s.; E. Rigoni, Intorno ad un altare cinquecentesco nella chiesa dei Carmini di Padova, in Atti e memorie della Real Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, cl. di sc. mor., n. s., LIII (1936-37), pp. 51-69 passim (anche per Pompeo); Id., L'architetto A. Moroni, Padova 1939, pp. 40. 72 (doc. XVIII); Id., Notizie sulla vita e la famiglia dello scultore T. Aspetti detto Minio, in Arte veneta, VII (1953), pp. 119-22 (anche per Pompeo); C. Gasparotto, S. Maria del Carmine di Padova, Padova 1955, pp. 326 ss.; R. Pallucchini, Gli affreschi di Paolo Veronese, in Palladio, Veronese e Vittoria a Maser, Milano s. d. [ma 1960], p. 72; A. Ballarin, Profilo di Lamberto d'Amsterdam (L. Sustris), in Arte veneta, XVI (1962), pp. 70 s., 80 n. 24; L. Crosato, Gli affreschi nelle ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, pp. 54 s., 122-26; G. Fiocco, A. Cornaro..., Vicenza 1965, p. 52 n. 10; Id., Presentazione, in L. Grossato, Affreschi..., Milano 1966; L. Grossato, Affreschi del Cinquecento a Padova, Milano 1966, pp. 171-74, 201-16, 241-49; A. Ballarin, Una villa interamente affrescata da L. Sustris, in Arte veneta, XX (1966), pp. 247 s.; L. Polacco, Il museo di M. Mantova Benavides e la sua formazione, in Arte in Europa. Scritti di storia d. arte in on. di E. Arslan, I, Milano 1966, p. 673 n. 31; C. B. Tiozzo, Gli affreschi delle ville del Brenta, Padova 1968, p. 64; A. Ballarin, La decorazione ad affresco... la villa di Luvigliano, in Boll. d. Centro internaz. di studi di architettura A. Palladio, X (1968), pp. 115-26; R. Pallucchini, G. Zelotti e G. A. Fasolo, ibid., pp. 208 ss.; Id., Tiziano, I, Firenze 1969, pp. 207 s., 216; R. Cevese, Ville d. Prov. di Vicenza, I, Milano 1971, pp. 83 s., C. L. Ragghianti, Pertinenze francesi nel Cinquecento, in Critica d'arte, XXVII (1972), 122, pp. 10, 59 ss. n. 11; L. Puppi, A. Palladio, Milano s. d. [ma 1973], II, pp. 238 s.; Id., in Dopo Mantegna. Arte a Padova e nel territorio nei sec. XV e XVI (catal.), Milano 1976, pp. 69-72; L. Olivato, ibid., pp. 80 s.; E. Merkel, La mostra... (recens.), in Arte veneta, XXX (1976), pp. 263-65; A. Sartori, Docum. per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 53, 78 s. (p. 79 per Pompeo); P. Carpeggiani, in Padova. Case e palazzi, Vicenza 1977, p. 89 n. 106; L. Puppi, ibid., pp. 126 s.; Id., Il "Colosso" del Mantova, in Essays Presented to M. P. Gilmore, II, Florence 1978, pp. 314 s.; E. Saccomani, D. Campagnola: gli anni della maturità, in Arte veneta, XXXIV (1980), pp. 65, 75 n. 7, 77 n. 59; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 163 (s. v. Gualtieri, con inesattezze; altra bibl.).