PAGLIARA, Gualtiero di
PAGLIARA (de Palearia), Gualtiero di. – Nacque presumibilmente poco dopo la metà del XII secolo, da un esponente, del quale ignoriamo il nome, di un ramo della dinastia franco-longobarda dei conti di Valva.
La famiglia, che aveva preso il nome dal castello di Pagliara, posto sul versante teramano del massiccio del Gran Sasso, verso la metà del XII secolo possedeva un cospicuo patrimonio feudale nell’Abruzzo interno, i cui centri maggiori erano Carapelle Calvisio, Tossicia e Isola del Gran Sasso, e aveva avuto diversi esponenti al vertice delle strutture civili ed ecclesiastiche locali: Berardo era stato vescovo aprutino dal 1115 al 1122, Oderisio giustiziere in Penne nel 1148, un altro Oderisio abate del monastero di S. Giovanni in Venere dal 1155 al 1204.
Nulla di preciso si sa della vita di Pagliara fino al 25 ottobre 1189, quando, come nuovo vescovo di Troia, ricevette il pallium dal pontefice Clemente III.
Dopo la morte di Guglielmo II d’Altavilla (novembre 1189), nella lotta per la successione al trono di Sicilia si schierò contro Tancredi di Lecce e sostenne le operazioni militari di Ruggero d’Andria contro Foggia, città fedele a Tancredi e insofferente della dipendenza ecclesiastica da Troia, che fu sottoposta ad assedio ed ebbe i sobborghi devastati.
Fallita la prima spedizione militare di Enrico VI, Pagliara fu costretto a lasciare il Regno e a cercare rifugio presso la corte tedesca: il 3 novembre 1191 era a Piacenza fra i testimoni di un privilegio concesso dall’imperatore alla chiesa di Guastalla; sul finire di febbraio dell’anno successivo era in Alsazia, a Hagenau, dove sottoscrisse tre documenti imperiali. In Germania la sua presenza è attestata sino al febbraio 1194.
Nella tarda primavera del 1194 rientrò in Italia al seguito dell’imperatore, che ricompensò la sua fedeltà ponendolo a capo della cancelleria del Regno di Sicilia nel marzo 1195 e concedendo ai suoi fratelli, Gentile e Manerio, la contea di Manoppello in Abruzzo nell’aprile successivo.
Le funzioni di cancelliere e il ruolo politico ricoperto nel convulso periodo di passaggio dalla dinastia normanna a quella sveva tennero Pagliara lontano dalla sua diocesi, ma non gli impedirono di curarne gli interessi: nel 1195 confermò i beni del capitolo troiano e concesse allo stesso capitolo le decime sulle terre presso Montaratro che gli erano state donate da Enrico VI; l’anno successivo, in cambio della chiesa di S. Marco – presso la quale, per rispondere a una volontà dell’imperatore, intendeva costruire un ospizio per la ricezione di poveri e malati – concesse al capitolo il casale di Contessa, la metà di Vaccarizza e le decime sulle terre concesse alla sua Chiesa dallo stesso imperatore.
Nel 1196 accompagnò oltre i confini del Regno Enrico VI che, dopo aver affidato la reggenza alla moglie Costanza d’Altavilla, rientrava in Germania. Quindi tornò nella sua diocesi senza assumere una chiara funzione di governo a fianco della reggente. Dopo la morte prematura dell’imperatore (28 settembre 1197) fu rimosso dalla carica di cancelliere e posto sotto custodia per volontà di Costanza, timorosa di una sua alleanza con i cavalieri tedeschi che sotto Enrico VI avevano ottenuto feudi e cariche ed erano stati poi espulsi dal Regno dalla stessa imperatrice.
Liberato grazie all’intervento di papa Innocenzo III, fu reintegrato nel ruolo di cancelliere e nel novembre 1198 fu chiamato da Costanza a far parte del collegio dei familiares destinato ad affiancare la reggenza del pontefice in attesa della maggiore età del piccolo Federico. Morta l’imperatrice, Pagliara ricoprì una posizione dominante all’interno del consiglio di reggenza, opponendosi a Marquardo di Annweiler, che era stato uno dei più fedeli collaboratori di Enrico VI e pretendeva di esercitare la reggenza e la tutela dell’erede al trono.
Nella primavera del 1200 Marquardo assediò Palermo, difesa da Gentile di Pagliara, in soccorso del quale il papa inviò in Sicilia un piccolo esercito di mercenari guidato da un suo cugino, il mareschalcus Giacomo. Il 21 luglio le truppe del cancelliere e del papa riuscirono a spezzare l’assedio della capitale, sconfissero le milizie tedesche a Monreale e costrinsero Marquardo a una precipitosa fuga.
La vittoria militare, però, giunse proprio quando interessi contrastanti stavano determinando una netta rottura dei rapporti tra Pagliara, sempre più proteso verso forme di affermazione personale del potere, e Innocenzo III, spesso critico nei confronti dell’operato dei familiares, ai quali aveva demandato la gestione degli affari correnti del Regno.
Le ragioni della rottura furono soprattutto la mancata approvazione da parte del pontefice dell’elezione di Pagliara ad arcivescovo di Palermo e il favore accordato dal papa a Gualtiero di Brienne, genero di Tancredi di Lecce.
Resasi vacante la sede palermitana sul finire del 1199, in seguito alla morte dell’arcivescovo Bartolomeo, Gualtiero di Pagliara riuscì a farsi eleggere dal capitolo della cattedrale e a far approvare il suo trasferimento dalla diocesi di Troia a quella di Palermo dal cardinale Cinzio di S. Lorenzo in Lucina, legato pontificio in Sicilia (marzo 1200). Innocenzo III, pur non approvando l’operato del legato, che si era attribuito una facoltà spettante al solo pontefice, per evitare una rottura definitiva dei rapporti con Pagliara gli affidò solo l’amministrazione della Chiesa di Palermo, lasciandolo titolare della sede vescovile di Troia. Il cancelliere, in vista di una futura promozione, accettò la soluzione proposta dal papa e, a partire dal maggio 1200, si intitolò «Troianus episcopus, Panormitane ecclesie minister et regni Sicilie cancellarius».
Nel frattempo, però, Innocenzo III aveva ricevuto il giuramento di fedeltà di Gualtiero di Brienne, che aveva da poco sposato una figlia del defunto re Tancredi e che, rivendicando il possesso della contea di Lecce e del principato di Taranto, non solo metteva in discussione il potere del cancelliere ma rappresentava anche una grave minaccia per la posizione del figlio di Enrico VI. La reazione del cancelliere fu decisa e immediata: dapprima si dimise da vescovo di Troia e da amministratore della Chiesa di Palermo, quindi si alleò con Marquardo di Annweiler, che in novembre fu cooptato nel collegio dei familiares e ottenne il governo della Sicilia, esclusa Palermo, affidata a Gentile di Pagliara, al quale fu demandata pure la custodia del piccolo Federico. La risposta di Innocenzo fu meno rapida, ma altrettanto decisa: nel 1201 il papa scomunicò Pagliara – che nel frattempo si era portato in Puglia per organizzare la guerra contro il conte di Brienne – e lo privò delle sue cariche ecclesiastiche; nell’aprile 1202 lo accusò di aver dilapidato il tesoro regio e di aver concesso beni demaniali e diritti fiscali a danno della Corona, accuse riprese dall’anonimo autore dei Gesta Innocentii III, secondo il quale Pagliara avrebbe usurpato l’autorità degli altri familiari e avrebbe disposto a suo piacimento di feudi, cariche pubbliche e diritti fiscali.
La resistenza armata contro Gualtiero di Brienne non ebbe fortuna: il 22 ottobre 1201 le forze del cancelliere e quelle del suo alleato Dipoldo di Schweinspeunt furono pesantemente sconfitte a Canne dall’esercito del nuovo conte di Lecce; Pagliara e suo fratello Manerio scamparono a stento alla cattura e trovarono un primo rifugio nella fedele Salpi, mentre il conte Pietro di Celano, cognato dei Pagliara, fu fatto prigioniero.
Il rapido e caotico susseguirsi degli eventi, con la cattura del giovane Federico da parte di Marquardo, l’improvvisa morte dello stesso capitano tedesco nel settembre 1202 e il colpo di mano di Guglielmo Capparone, che nel dicembre successivo si impadronì a sua volta dell’erede al trono, spinsero Pagliara a tentare una riconciliazione con il pontefice al quale furono offerte, a garanzia della sua lealtà, la consegna di ostaggi e la fideiussione dei conti Pietro di Celano e Ruggero di Chieti. Innocenzo III, lieto di recuperare un prezioso alleato, non ritenne necessarie le garanzie proposte e nel maggio 1203 assolse Pagliara dalla scomunica, non reintegrandolo però nei suoi uffici ecclesiastici.
Lentamente il cancelliere riacquistò un ruolo di primo piano nella conduzione degli affari del Regno: sul finire del 1206, grazie all’aiuto di Dipoldo di Schweinspeunt, riuscì a recuperare la custodia dell’erede al trono e il controllo della capitale del Regno, quindi fece imprigionare il pericoloso alleato tedesco e riprese il totale dominio della situazione siciliana.
Superate ormai tutte le divergenze con Innocenzo III, nel luglio 1208 Pagliara fu eletto vescovo di Catania, ma con il raggiungimento della maggiore età di Federico II nel dicembre dello stesso anno cominciò a perdere progressivamente potere: il giovane re, probabilmente contro la volontà del cancelliere, adottò una rigida politica di revoche dei privilegi e delle concessioni che durante la reggenza avevano impoverito il demanio regio e nel febbraio 1210 tolse a Pagliara la direzione della cancelleria e lo estromise dal collegio dei familiari, nonostante l’intervento di Innocenzo III, pronto a rimproverare l’ingratitudine dello svevo nei confronti del suo esperto cancelliere.
Ancora una volta contro Pagliara fu mossa l’accusa di aver dissipato i beni del demanio regio, senza badare al fatto che il comportamento del cancelliere, pur finalizzato al rafforzamento di una posizione di potere personale, era stato dettato anche dalla necessità di ottenere il consenso di feudatari e vescovi a una politica che aveva pur sempre come obiettivo primario la salvaguardia dei diritti del giovane erede al trono.
L’allontanamento dalla corte consentì a Pagliara di occuparsi della sua nuova diocesi e di procedere a una riorganizzazione della curia vescovile con l’introduzione dell’ufficio del magister procurator, affidato a suo nipote Oderisio de Achano, al quale fu demandata l’amministrazione finanziaria del patrimonio vescovile.
Nel 1212, in procinto di partire per la Germania, Federico II affidò la reggenza alla moglie Costanza d’Aragona e, recependo forse i consigli di Innocenzo III, reintegrò Pagliara nella carica di cancelliere e nelle funzioni di familiare.
Poche sono, però, le notizie significative relative a questo periodo: nel marzo 1213 in considerazione della fedeltà e dei meriti del vescovo di Catania, la regina Costanza gli confermò il possesso del castello di Calatabiano; nel 1215 Pagliara partecipò ai lavori del IV concilio Lateranense; nel 1217 intraprese, per ordine del sovrano, una timida politica di recupero dei beni della cancelleria e del regio demanio precedentemente alienati.
Il ritorno dell’imperatore Federico II dalla Germania e la ripresa con maggior decisione della politica delle revoche determinarono il tramonto definitivo del cancelliere.
Nel 1221, insieme con l’ammiraglio Enrico conte di Malta, egli fu posto al comando di una flotta di 40 galee inviata in soccorso dell’esercito crociato assediato in Damietta, sul delta del Nilo. La flotta giunse in vista delle coste egiziane quando gli assediati, ignari dell’arrivo dei soccorsi, avevano appena concluso un accordo con i musulmani che prevedeva, fra l’altro, la consegna della città. Ai primi di settembre, constatato il fallimento dell’impresa, la flotta rientrò in Sicilia ma Pagliara, ormai in aperta rottura con l’imperatore e temendo che l’insuccesso di Damietta potesse essere sfruttato da Federico II per sottoporlo a giudizio, si recò prima a Venezia, poi a Roma.
Quanto fossero fondati i suoi timori lo dimostra il fatto che proprio durante la spedizione di soccorso verso Damietta l’imperatore, approfittando delle lamentele dei cittadini di Catania insofferenti del governo autoritario imposto dal vescovo e dai suoi ufficiali, fece revocare alcuni diritti concessi a Pagliara (la custodia portus e una parte dei proventi del dazio) e confiscare il castello di Calatabiano.
Nel 1226 papa Onorio III intervenne, invano, in favore dell’anziano cancelliere, rimproverando all’imperatore l’arbitrario allontanamento dalle loro sedi di alcuni alti prelati del Regno, primo fra tutti il vescovo di Catania, ingiustamente accusato, secondo il pontefice, di aver dissipato i beni della Corona.
La famiglia di Pagliara non fu travolta dal tracollo delle sue fortune e mantenne il controllo della contea di Manoppello: un nipote omonimo del cancelliere fu uno dei migliori comandanti militari di Federico II, impiegato dall’imperatore in missioni e incarichi di primo piano.
Pagliara trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove morì tra il 1229 e il 1231, in età avanzata e, secondo la testimonianza di una fonte curiale tarda e non del tutto attendibile, in estrema miseria o, più probabilmente, in una condizione che tale doveva apparire se raffrontata con le grandi disponibilità economiche di cui aveva goduto nel corso della sua vita (Vita Gregorii IX, in Le Liber Censuum de l’Église romaine, a cura di P. Fabre, II, Paris 1905, p. 28).
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