GUALTIERO DI PALEARIA
G. proveniva da una famiglia dell'alta nobiltà abruzzese: era fratello dei conti di Manoppello, Manerio (m. prima del 1208) e Gentile (m. dopo il 1212). Diventato nel 1189 vescovo di Troia, non appoggiò l'elezione di Tancredi di Lecce, ma si oppose a questi con le armi e, insieme al conte Ruggero di Andria, assediò la città di Foggia, che invece parteggiava per Tancredi. Dopo l'insuccesso della spedizione militare di Enrico VI contro Tancredi, che si concluse con il fallito assedio di Napoli dell'agosto 1191, G. non seguì l'imperatore in Germania; lo raggiunse soltanto nella seconda metà del 1192, o nella prima metà del 1193, quando il clero di Troia, favorevole a Tancredi, lo costrinse all'esilio (Reisinger, 1992, pp. 202 s.). Nel 1194 G. tornò in Italia con Enrico VI, che lo pose, nel marzo 1195 ‒ o, forse, già prima dell'11 luglio 1192 (Schaller, 1993, p. 507 n. 156) ‒, a capo della cancelleria del Regno di Sicilia e, nell'ottobre dello stesso anno, membro del consiglio dei familiares. Quando l'imperatore tornò nuovamente in Germania affidando la reggenza alla moglie Costanza d'Altavilla, G., insieme a Corrado di Urslingen e al vescovo Corrado di Hildesheim, prese le redini del governo. Dopo la morte di Enrico VI, avvenuta il 28 settembre 1197, Costanza lo depose dalla carica di cancelliere e lo imprigionò sospettandolo di cospirare con i tedeschi contro di lei. Su intervento di Innocenzo III G. fu liberato e non soltanto gli fu restituita la carica di cancelliere, ma Costanza, nel suo testamento, lo chiamò a far parte del collegio dei cinque familiares, ai quali fu affidato il governo del Regno durante la reggenza di Innocenzo III per il minorenne Federico II. Nel collegio dei familiares, G. era la figura dominante, e per conservare il trono al giovane svevo non esitò a distribuire beni della Corona così da guadagnare sostenitori alla sua causa.
Le aspirazioni di G. di unire alla più alta carica politica anche una più alta carica ecclesiastica portarono presto a uno scontro con il papa. Deceduto alla fine del 1199 l'arcivescovo Bartolomeo di Palermo, G. convinse il capitolo della cattedrale a eleggerlo suo successore. Il legato pontificio in Sicilia, il cardinale Cinzio di S. Lorenzo, non si oppose, e G., nel marzo 1200, prese possesso della sede arcivescovile palermitana. Il papa però sconfessò il suo legato, il quale, con l'approvazione di una translatio da una sede vescovile a un'altra, aveva superato le sue competenze ‒ un tale consenso spettava infatti soltanto al pontefice ‒, ma cercò di accontentare G. offrendogli in un primo momento di amministrare, rimanendo vescovo di Troia, la Chiesa palermitana come procuratore. Inizialmente G. accettò questa soluzione che lasciava aperta la possibilità di una sua prossima promozione sulla sede palermitana, intitolandosi infatti, nel maggio 1200, "Troianus episcopus Panormitane ecclesie minister".
Dopo che il papa aveva accolto nel maggio 1205 il giuramento di fedeltà di Gualtiero di Brienne, il genero di Tancredi di Lecce, considerato dal vescovo un pericolo per il trono di Federico II, G. si dimise, in aperta polemica con Innocenzo III, sia dalla carica di vescovo di Troia sia da quella di amministratore della Chiesa di Palermo e si alleò con Marcovaldo di Annweiler, che fu accolto, nel novembre 1200, nel collegio dei familiares. Alla fine del 1200 o all'inizio del 1201 G. probabilmente si recò sulla terraferma per prendere personalmente in mano la lotta contro Gualtiero di Brienne (Koch, 2002, p. 727). Il papa non reagì subito, ma aspettò fino alla seconda metà del 1201 per scomunicare G. e deporlo dalle sue cariche. Nel frattempo egli si era recato in Puglia, dove nei suoi feudi di Salpi e di Tressanti aveva ancora delle basi di potere per organizzare la resistenza contro Gualtiero di Brienne.
Gli insuccessi militari, la morte di Marcovaldo di Annweiler (1202) e il colpo di stato di Palermo del dicembre 1202, in occasione del quale Guglielmo Capparone si era impadronito della custodia di Federico II, costrinsero G. a sottomettersi al papa, il quale non gli restituì nessuna carica ecclesiastica. Tornato nel novembre 1206 in Sicilia, G. riuscì, con l'aiuto di Dipoldo di Acerra, a farsi affidare a Palermo la custodia sul giovane re. Prendendo poi prigioniero lo stesso Dipoldo, G. divenne di nuovo, come capo del collegio dei familiares, la figura dominante a Palermo. Nel 1207 G. respinse con successo un attacco dei pisani e dei sostenitori di Guglielmo Capparone contro Palermo, e nel luglio 1208 fu eletto vescovo di Catania.
Dopo che Federico II raggiunse la maggiore età nel dicembre 1208, G. rimase cancelliere del Regno, cioè in pratica svolse quasi il ruolo di primo ministro del giovane re. In poco tempo però i rapporti tra il cancelliere e il sovrano svevo si deteriorarono: nel febbraio 1210 G. fu escluso dal collegio dei familiares e gli fu tolta la direzione della cancelleria. Il motivo era probabilmente legato alla politica delle 'revocazioni', cioè del recupero dei beni e diritti regi, messa in atto da Federico II che non voleva in una posizione influente un personaggio che sembrava legato a gruppi dell'alta nobiltà ostili alla Corona. In particolare, è possibile che il fratello di G., Gentile, e suo cognato, Pietro da Celano, fossero già allora sul punto di prendere le parti di Ottone IV. Il papa difese invano G. e rimproverò il re di ingratitudine, ma soltanto dopo che Federico II, nel 1212, in una situazione per lui molto precaria, era partito per la Germania, G. fu ammesso dalla regina Costanza, rimasta in Sicilia, nel collegio dei familiares e riprese, almeno temporaneamente, la direzione della cancelleria.
Nel 1215 G., che amministrò energicamente la sua diocesi, partecipò al IV concilio lateranense. Probabilmente era presente anche all'incoronazione imperiale di Federico II a Roma (1220). Nel settembre 1221 ricevette, insieme all'ammiraglio Enrico da Malta, il comando della flotta che doveva espugnare Damietta, dove erano assediati i crociati. L'insuccesso di questa operazione fece cadere G. nuovamente in disgrazia presso Federico II, che espulse il vescovo dal Regno. Trovò allora asilo dapprima a Venezia e poi a Roma, dove continuò a percepire le entrate della sua diocesi. Onorio III cercò invano di convincere l'imperatore a perdonare G., ma Federico II rimase irremovibile di fronte a un personaggio che, a suo avviso, aveva dissipato durante la sua minorità i beni della Corona.
G. morì poco tempo dopo il 1229, lasciando ingenti debiti che Federico II riuscì ad estinguere, almeno in parte, soltanto dopo il 1239 (Kamp, 1975, I, 3, p. 1215).
Fonti e Bibl.: H.M. Schaller, Die Kanzlei Friedrichs II. Ihr Personal und Sprachstil, "Archiv für Diplomatik", 3, 1957, pp. 207-286, in partic. pp. 210 ss.; T. Kölzer, Urkunden und Kanzlei der Kaiserin Konstanze, Königin von Sizilien (1195-1198), Köln-Wien 1983, pp. 46 ss.; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prosopographische Grundlegung. Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 2, Apulien und Kalabrien, München 1975, pp. 509-513; ibid., I, 3, Sizilien, ivi 1975, pp. 1210-1216; R. Neumann, Parteibildungen im Königreich Sizilien während der Unmündigkeit Friedrichs II. (1198-1208), Frankfurt a.M. 1986, passim; C. Reisinger, Tankred von Lecce. Normannischer König von Sizilien 1190-1194, Köln-Weimar-Wien 1992, pp. 93, 202, 203, 250, 251, 269; W. Stürner, Friedrich II., I, Die Königsherrschaft in Sizilien und Deutschland 1194-1220, Darmstadt 1992, pp. 53, 81, 84, 86, 89, 94-97, 101, 103, 105-108, 114, 118, 119, 125, 132, 133, 136, 141, 192 (Federico II. Il potere regio in Sicilia e in Germania 1194-1220, Roma 1998, pp. 55, 83, 84, 87, 88, 91, 92, 96-100, 102, 104-106, 108-110, 112, 120, 123, 124, 130, 137, 138, 141, 142, 147, 200); H.M. Schaller, Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, Hannover 1993, pp. 479-523, in partic. pp. 490, 503, 507 (ediz. orig. Die staufische Hofkapelle im Königreich Sizilien, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 11, 1955, pp. 462-505); W. Koch, Zur Kanzleiarbeit in der Frühzeit Friedrichs II. (1198-1212), in Von Sacerdotium und Regnum. Geistliche und weltliche Gewalt im frühen und hohen Mittelalter. Festschrift für Egon Boshof zum 65. Geburtstag, a cura di F.-R. Erkens-H. Wolff, Köln-Weimar-Wien 2002, pp. 721-741, in partic. pp. 726 ss.