PATERNÒ, Gualtiero
– Figlio di Giovanni il Vecchio, maestro razionale e vicario generale del Regno di Sicilia, nacque nella seconda metà del Trecento e si addottorò a Padova attorno al 1400, usufruendo a tale scopo anche di un sussidio di sei onze annue da parte del re Martino I d’Aragona.
A lui si riferisce Blasco Lanza nell’inedito Refugium feudorum (Palermo, Biblioteca comunale Qq.G.59, c. 169r), accennando alle sue relazioni con il viceré Niccolò Speciale e alla sua attività di docente («Gualterius in licteris ad dominum Nicolaum Speciali viceregem et in lectura cap. Volentes…», con riferimento al capitolo Volentes emanato nel 1296 da re Federico III d’Aragona, re di Sicilia, che permetteva ai baroni siciliani di alienare liberamente i propri feudi).
A questa identificazione si giunge attraverso una delicata opera di 'bonifica' dei dati eruditi, distinguendo questo Paternò da diversi omonimi e contemporanei, o successivi.
Un secondo Gualtiero, figlio di Benedetto e nipote del protonotaro, meglio noto come Gutierrez o Gualtiero il giovane, dopo avere studiato a Bologna, Padova, Siena, si laureò a Ferrara nel 1437, fu giudice della Regia Gran Corte nel 1440 e nel 1453, presidente del Regno nel 1449 e giudice della Corte capitaniale di Catania dal 1451. Secondo il Paternò Castello, biografo della famiglia Paternò, costui si era laureato una prima volta a Bologna nel 1421, ma si tratta di un’erronea identificazione con l’omonimo citato qui sotto (Paternò Castello di Carcaci, 1936, pp. 175-178).
Un terzo Gualtiero addottoratosi a Bologna nel 1421, regio consigliere e giudice della Gran Corte nel 1425, è segnalato da Catalano Tirrito, sulla esigua base di una nota di Rodolico nella sua ricerca sui siciliani studenti a Bologna («D. Gualterius de Scicilia fuit publice doctoratus…» (Rodolico, 1895, p. 164). Secondo Catalano Tirrito, costui sarebbe morto nel 1431, ma la data del 1431 è, come si vedrà, quella della morte di Gualtiero di Giovanni.
Ben poco si sa di un altro Gualtiero, figlio di Antonio, ambasciatore di Catania presso re Alfonso, morto in giovane età; non è certo che sia stato giurista; a meno che non sia da identificare col precedente.
A una generazione più tarda appartiene un altro Gualtiero, figlio di Francesco, detto Theri, più volte riformatore dell’Università di Catania (almeno nel 1469, 1485, 1486), barone d’Imbaccari e nipote di Gualtiero di Giovanni. Questi, che però nessuno (tranne Sabbadini, 1898, pp. 117 s, e Genuardi, 1909, pp. 12 s.) afferma fosse giurista, morì nel 1514. Sia Sabbadini che Genuardi identificano questo Theri col Gualtiero autore dell’Intellectus capituli Volentes.
L’erudizione più tarda non aiuta a chiarire le cose. Mongitore parla di due giuristi catanesi di nome Gualtiero Paternò, di cui uno morto nel 1531 e l’altro attivo intorno al 1515 (Mongitore, Bibliotheca Sicula, 1708, p. 265); Amico, che lo riprende, parla anch’egli di due Gualtiero catanesi e pone la data di morte del primo ora nel 1431 ora nel 1531, facendo ritenere la seconda o un refuso tipografico o un’acritica ripetizione di Mongitore. Gli altri autori (Cumia, De Gregorio, Blasco Lanza, e anche il più recente Gregorio) citano genericamente un d. Gualtiero (aggiungendo o meno il de Paternione) e senza specificare altro.
Paternò fu giudice della Gran Corte nel 1405, 1409, 1416, mentre nel 1415 era giudice della Corte patriziale di Catania. Nel 1420 era governatore della Camera Reginale di Siracusa e dal 1422 protonotaro del Regno a vita. Consigliere regio legatissimo agli ambienti di corte, da cui ricevette favori e regali, morì attorno al 1431-32. All’epoca era nobilitato dai titoli di principe di Biscari, barone d’Imbaccari, Burgio, dei porti e delle marine di Val di Noto, del portolano di Agrigento, dei supplementi di Mazzara, Trapani, Sciacca e, a quanto asserisce Genuardi (I giuristi siciliani, 1909, p. 419), della terza dogana, di Castanea e della Floresta.
Le incertezze biografiche complicano l’attribuzione a Paternò della lectura e delle licterae citate all’inizio, ma l’esame di alcuni manoscritti (uno trapanese, due palermitani) consente di chiarire le cose.
Giuseppe Polizzi (e sulle sue orme Genuardi, Catalano Tirrito e Paternò Castello) segnalò, nelle cc. l07v-l09r del Regesto Poligrafo della Biblioteca Fardelliana di Trapani, un Intellectus capituli Volentes dedicato da Paternò al «magnifico et strenuo militi domino Fulgo de Contarenis» (Polizzi, Su un Regesto, 1873, pp. 13 s.). Si tratta in realtà di tre diversi brani relativi a tale capitolo; di essi, l’Intellectus può essere identificato solo nello scritto compreso nelle cc. 107v-108rb, mentre la dedica a Folco de Contarenis sembra riferirsi esclusivamente al terzo brano, probabilmente excerptum di un consiglio del giurista catanese destinato al menzionato Folco. Gli scritti sono stati raccolti, dopo la morte del giurista, («ex consilio condam domini Gualterii») in una silloge sul capitolo Volentes.
Maggiori chiarimenti si possono trarre dall’esame di ulteriori testimoni dell’opera individuabili in due manoscritti palermitani. Nel ms. Qq.F.106, della biblioteca comunale di Palermo, alla carta 561v si parla di un tractatus super capitulo Volentes trasmesso al viceré Nicola Speciale su richiesta di Bartolomeo de Ioenio e di Manfredi Alagona. Alle carte 559r-561v si trova una Interpretatio capituli Volentes trasmessa allo Speciale che inizia «Clare patet quod per predictum capitulum Volentes est solus introductus consensus principis…», concludendosi: «…nam isto casu non posset ita determinat Andreas in Const. Ut de successionibus. Gualterius. Ita reperivi (reperiri text.) in libro domini Bals. (Blasci) Lancea manu sua et sic aperte (apen. text.) clare apparet hucusque sit Gualterii de Paternione…».
Gli stessi due testi sono tràditi anche dal ms. 2Qq. E. 39, rispettivamente alle cc. 61r-63r e 121r, e 1v, 56r-60r.
Abbiamo quindi non solo la prova dell’esistenza di due scritti diversi di Gualtiero sul capitulum Volentes, così come attesta Blasco Lanza, ma è noto che entrambi erano diretti al viceré Niccolò Speciale. Ciò non poté accadere che tra il 1423 e il 1429 – o al massimo il 1432 – ovvero durante il vicereame dello stesso Speciale. Il fatto che l’autore sia detto senior esclude che possa essere identificato come Gutierrez, detto iunior, e a fortiori con Theri, fiorito fra Quattro e Cinquecento.
Del resto la lettura dei testi conferma l’attribuzione. Indirizzandosi allo Speciale, Paternò fa un’esposizione cronologica della normativa, della giurisprudenza e della dottrina sulle alienazioni e successioni feudali. Prima, dice il giurista, c’erano le norme dei libri feudorum, il diritto comune feudale, poi (2°) sono venute le norme del liber constitutionum, successivamente (3°) il cap. Si aliquem e infine (4°) il cap. Volentes. Da quel momento datano diverse interpretazioni, dottrinarie e giurisprudenziali sulla complessa normativa. Innanzi tutto vi è stata (afferma Gualtiero) l’interpretatio di Bernardo Medico il Saccurafa, quindi (2°) le soluzioni delle quaestiones proposte dagli antiqui iudices della Regia Gran Corte, successivamente (3°) la soluzione della causa sul feudo di Ciminna, affidata allo stesso Gualtiero, e decisa con voto unanime di tutti i giudici, poi (4°) la causa del feudo di Vicari e infine (5°) due privilegi (recepiti dalla Magna Regia Curia) contenenti le interpretazioni del cap. Volentes del re e dell’infante Giovanni. E tale ultima interpretazione ha costituito la giurisprudenza costante a cui si sono attenuti i giudici siciliani e di cui si chiedeva ora, al Viceré, un’esplicita conferma. E al contenuto dei privilegi si erano adeguati anche Gualtiero, Ubertino de Marinis e Giovanni Ansalone tutti, da quanto sembra potersi dedurre dal contesto, a quel tempo giudici della Regia Gran Corte.
Il riferimento cronologico al vicereame dell’infante Giovanni di Peñafiel (1415-16) conferma una volta di più l’attribuzione dei testi a Paternò, che nel 1416 era appunto giudice della regia Gran Corte; allo stesso modo la menzione del fatto che l’autore dello scritto fosse giudice ai tempi della causa di Ciminna (che precede la causa derivante dalla vendita della baronia di Vicari, databile al 1416) è cronologicamente congruo.
Quanto sopra vale per le licterae-tractatus; meno incontrovertibilmente dimostrabile è l’attribuzione a Paternò senior dell’interpretatio, visto che si tratta di opere differenti per impostazione, natura e finalità, ma essa è comunque probabile. L’epoca di composizione può forse anche essere collocata con maggior precisione attorno alla metà degli anni Venti, in base all’affermazione che «iam sunt anni decem et ultra quo tempore dominus Iohannes regis frater et locumtenens» (c. 108ra del manoscritto trapanese), visto che il vicereame dì Giovanni data al 1415-16.
Sulla base del confronto testuale è anche lecito ipotizzare che il giurista in un primo momento abbia scritto le littere responsales al viceré in forma piana e prive di rinvii a leggi e giuristi, e che abbia aggiunto questi in un secondo momento proponendo lo scritto in forma di tractatus. Le due redazioni documenterebbero così due momenti della vita della medesima opera: la trapanese, riproducendo la lettera al viceré con la richiesta di declaratio cap. Voìentes; la palermitana documenterebbe il trattato, con una riutilizzazione di propri scritti non rara nei giuristi dell’età di mezzo.
Attraverso un’attenta analisi comparativa si ricava infatti che l’esemplare trapanese conserva un testo più essenziale e comunque privo delle parti non strettamente necessarie e dei rinvii dottrinari e legislativi. Esso manca in effetti sia del titolato (Tractatus sequens est … Nicolao Speciali tunc Viceregi) che delle righe introduttive (Ad petitionem … Manfredi de Alagona) e conclusive (unde sicut Magnifici … vestre bone memorie) e omette, al tempo stesso, alcune frasi contenenti rinvii a testi normativi (Libri feudorum, Liber constitutionum) e dottrinari (citazioni di Andrea d’Isernia e Baldo degli Ubaldi). Ad esempio: «de hoc est in text. … c. i. in prin.» (rr. 14-17), «de feudo novo … feudi paterni» (rr. 19-22), «additio, ad tuos possit … Si aliquem» (rr. 35-38), «Sed latius quam … fratres ». (rr. 41-53). In compenso lo stesso manoscritto aggiunge due frasi, di cui una con una nota certamente del Paternò, di un certo interesse: «Iam sunt anni decem et ultra quo tempore dominus infans Iohannes … Magna Curia in sua opinione persistebat in contrartum» (rr. 85-91); «et superstitiosis … perpetua» (rr. 9-10).
Probabilmente non si tratta della versione originale. A favore della redazione palermitana (i due testimoni della quale sono quasi coincidenti e, se non esemplati l’uno dall’altro, probabilmente originati da un medesimo archetipo) sta una formale e sostanziale sua maggiore completezza. Nel contempo alcune frasi omesse nel manoscritto trapanese (inizio, fine) sono certamente di Paternò. Sembrerebbe così ipotizzabile che il raccoglitore trapanese abbia voluto filtrare un testo essenziale operando tagli di quanto riteneva superfluo. A favore del testo palermitano starebbe anche l’elemento che esso è detto ricopiato manu sua da Blasco Lanza, riproduttore degno di fede.
Potrebbe anche esser vero, tuttavia, l’inverso: essendo infatti le frasi mancanti nel codice trapanese quasi esclusivamente delle citazioni, esse potrebbero essere state aggiunte al testo da un giurista (forse lo stesso Blasco) per completarlo e che, dapprima sui margini, siano state poi ricomprese nel trattato. Il che parrebbe avvalorato dalla considerazione che almeno uno di tali brani è certamente una glossa facilmente isolabile (additio, ad tuos possit … Si aliquem). In tale caso la redazione più attendibile sarebbe la trapanese.
Fonti e Bibl.: Blasco Lanza, Refugium feudorum, Palermo, Biblioteca Comunale, Mss., Qq.G.59, cc. 169r-272v; Qq. F. 106, cc. 561v-56r; 2Qq. E. 39, cc. 1v, 56r-60r, 61r-63r, 121r; 3.Qq.C.45, cc. IVrv, VIrv; Archivio di Stato di Palermo, R. Cancelleria di Sicilia, 44, c. 359r, 47, c. 38r; Trapani, Biblioteca Fardelliana, Regesto Poligrafo, c. 107r.; Lucca, Biblioteca Capitolare Feliniana 162 (seconda metà del secolo XV); per l’elenco dei consilia attribuiti a Gualtiero si veda http://www.mirabileweb.it/calma/galterius-de-paternione-senior-m-1432-ca-/2647 (17 febbraio 2017).
A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive de scriptoribus Siculis…, I, Panormi 1708, p. 265; V.M. Amico, Catana illustrata, sive sacra et civilis urbis Catanae Historia, II, Catania 1741, pp. 282-284, 317, 331; R. Gregorio, Introduzione allo studio del diritto pubblico siciliano, Palermo 1794, pp. 60 s.; Id., Comento sopra l'intelligenza dei capitoli XXXIII Si aliquem… del re Giacomo e XXVIII Volentes…del re Federico …, Palermo 1847, pp. 609-655; G. Polizzi, Su un Regesto Poligrafo dei secoli XIV e XV presso la Biblioteca Fardelliana, Trapani 1873, passim; N. Rodolico, Siciliani nello Studio di Bologna nel Medio Evo, Palermo 1895; V. La Mantia, Consuetudini di Trapani nelle quali è contenuto il testo antico delle consuetudini di Messina, Palermo 1895-1897, p. XV; R. Sabbadini, Storia documentata della R. università di Catania, I, Catania 1898, ad ind.; L. Genuardi, I giuristi siciliani dei secoli XIV e XV anteriormente all'apertura dello Studio di Catania, in Studi storici e giuridici dedicati ed offerti a Federico Ciccaglione, I, Catania 1909, pp. 413-429; G.E. Paterno di Sessa - F. Paternò Castello di Carcaci, Dell'origine regia e aragonese dei Paterno di Sicilia, in Rivista del Collegio Araldico, VI (1913), pp. 330-335; M. Catalano Tirrito, L'università di Catania nel secolo XV. Appendice, Catania 1913, p. 45 nota 1; F. Paternò Castello di Carcaci, I Paternò di Sicilia, Catania 1936, ad ind.; F. Marletta, I siciliani nello studio di Padova nel quattrocento, in Archivio storico per la Sicilia, II-III (1936-1937), pp. 147-212 (in partic. pp. 155 s.); A. Romano, Giuristi siciliani dell'età aragonese: Berardo Medico, Guglielmo Perno, G. P., Pietro Pitrolo, Milano 1979, pp. 145-176; Id., Un "consilium" di Gualtiero Paterno' conservato nel MS. 162 della Biblioteca Capitolare Feliniana di Lucca, in Istituzioni, diritto e società in Sicilia, a cura di A. Romano, Messina 1988, pp. 117-138; D. Novarese, "De aqua Sancti Cosmani", quattro consigli inediti di Niccolò Tedeschi, G. P. e Paolo Mazzone, in Rivista di storia del diritto italiano, LXIV (1991), pp. 99-155 (in partic. pp. 124-130); A. Romano, Studenti e professori siciliani di di diritto a Ferrara tra medioevo ed età moderna, in Diritto e Società in Sicilia, a cura di A. Romano, Soveria Mannelli 1994, pp. 97-134 (in partic. pp. 104, 113); I. Mineo, Nobiltà di stato. Famiglie e identità aristocratiche nel tardo Medioevo. La Sicilia, Roma 2001, pp. 103 s.