GUALTIERO
Di origine germanica, nacque intorno agli anni Ottanta dell'XI secolo. Fu canonico della cattedrale di Ratisbona e personalità di spicco se Paolo di Bernried lo nomina con gratitudine e deferenza nella sua Vita beatae Herlucae (1145). Non è chiaro come dalla Baviera egli sia giunto a Ravenna. Certo è che, quando vi venne eletto arcivescovo nel 1118, era già stato per qualche tempo canonico di S. Maria in Porto. A certificarlo restano una lettera del 1116, con cui G. chiede a Pietro Peccatore di essere accolto nel chiostro di Porto, e un documento di donazione per il priore di S. Maria in Vado, datato 1° ott. 1141, in cui G. parla di sé al passato chiamandosi "canonicus atque praepositus S. Mariae in Portu juxta mare prope Ravennam" (Fantuzzi, II, pp. 120-122). Eletto dal clero locale, la sua ordinazione avvenne certamente dopo il 30 apr. 1118, poiché un documento datato in questo giorno dell'anno 1133 parla di: "pontificatus domni Gualterii anno XV" (Amadesi, p. 127). Forse la cerimonia di consacrazione si svolse domenica 4 agosto a Roma, dove G. si era recato per ricevere il pallio dalle mani del papa. Era allora già in atto lo scisma tra Gelasio II e l'antipapa enriciano Maurizio Burdino (Gregorio VIII). Tre giorni dopo, il 7 agosto, fu firmata da Gelasio II una bolla in favore di Ravenna, a ratifica della ritrovata concordia tra le due Chiese dopo decenni di feroci contrasti: al nuovo arcivescovo venne restituita l'autorità metropolitica su numerosi vescovadi che gli erano stati tolti negli anni dello scisma guibertino, in particolare su quelli dell'Emilia, sottratti a Ravenna per volontà di Pasquale II dal concilio di Guastalla del 1106. Per contrastare l'autonoma iniziativa elettiva del clero e del laicato ravennati Enrico V s'affrettò a nominare sulla cattedra di Ravenna un suo uomo, il cancelliere Filippo. Questi, approfittando della momentanea assenza di G., ancora impegnato nel suo viaggio ad limina Petri, riuscì a insediarsi in città.
Mentre l'antipapa Gregorio VIII occupava Roma, costringendo Gelasio II a riparare in Francia (dove sarebbe morto di lì a poco), il legittimo presule ravennate venne assalito e fatto prigioniero dal genero dell'imperatore, il conte di Tuscolo Tolomeo (II). Solo quando ebbe notizia che il successore di Gelasio, Callisto II, era giunto alla scomunica di Enrico V e di Filippo (30 ott. 1119), G. fece pervenire al papa, dal luogo della sua prigionia, una lettera nella quale gli dichiarava devozione e obbedienza e si augurava di poter presto tornare a ricoprire il suo mandato. Tuttavia solamente nel giugno del 1120 Callisto II riuscì a farlo liberare, dopo quasi due anni di cattività.
Il pontefice volle allora premiare la fedeltà di G. confermandogli, con una bolla del 7 genn. 1121, i diritti già restituiti alla Chiesa di Ravenna dal suo predecessore.
Notizie eterogenee rendono indubitabile la partecipazione di G. al primo concilio Lateranense (18-27 marzo 1123). Un primo riscontro proviene da una lettera di Callisto II del 14 marzo 1124 ai vescovi di Mantova e di Verona in cui il papa ricordò loro che Ferrara era stata restituita alla giurisdizione dell'arcivescovo ravennate nel concilio quaresimale dell'anno precedente. Un secondo è costituito dalla testimonianza degli Annales Genuenses di Caffaro: G. vi viene menzionato nel ruolo di portavoce di una commissione di 24 prelati, creatasi in seno a quel concilio, incaricata di risolvere la vertenza fra Pisa e Genova per la consacrazione dei vescovi della Corsica. A voler credere, poi, alla testimonianza di Landolfo di S. Paolo, un altro episodio che coinvolse G. si verificò proprio durante il sinodo quaresimale del 1123, quando egli rivendicò per Ravenna uno dei privilegi tradizionalmente attribuiti all'arcivescovo di Milano: il diritto di occupare, nelle grandi cerimonie liturgiche plenarie, il posto immediatamente alla destra del papa. Callisto II non prese subito le parti del metropolita milanese, ma la questione fu risolta infine a suo favore.
Secondo la voce isolata di Eccheardo di Aura, alla morte di Callisto II nel dicembre del 1124 una fazione romana sarebbe stata favorevole alla candidatura di G. come successore. Ma fu eletto, con il nome di Onorio II, il cardinale Lamberto di Ostia al quale G. di lì a poco (6 maggio 1125) poté strappare un'altra conferma riguardo ai diritti già concessi alla Chiesa di Ravenna, con esplicite parole per la situazione di Ferrara.
Nel febbraio 1130, in occasione della duplice elezione a papa di Innocenzo II e Anacleto II, G. era a Roma, come testimonia una sua lettera a Corrado di Salisburgo. Ma egli dovette presto dirigersi a Nord perché nell'aprile di quell'anno, resasi vacante la sede di Bologna, il clero e il popolo avevano preteso che, nella stipulazione del documento di consacrazione del nuovo vescovo Enrico, si ponesse la clausola "salva justicia Bononiensis Ecclesie" (Fantuzzi, IV, n. 52 p. 248). G. fu fermo nel dichiarare che la Chiesa bolognese rimaneva soggetta a Ravenna a titolo di assoluta dipendenza e, infine, Enrico fu consacrato, il 13 di quello stesso mese, nel rispetto della tradizione e della supremazia ravennate. Risolta la temporanea insubordinazione bolognese, nel giugno G. fu mandato come legato apostolico in Germania, ove raggiunse il cardinale Gerardo di S. Croce, per ottenere l'adesione del neoeletto re Lotario di Supplimburgo al partito di Innocenzo II.
Diverse lettere trasmesse dal Codex Udalrici permettono di seguire le tappe di questa missione: una di G. a Norberto di Magdeburgo (n. 245); due epistole commendatizie a Lotario, la prima di Innocenzo II datata 11 maggio 1130 (n. 247) e la seconda dei cardinali romani, del 20 giugno (n. 248); ancora una, datata sempre al giugno, di G. e Gerardo a Ottone di Bamberga (n. 249); un'ultima, inviata da Würzburg all'inizio di ottobre, di G. e Giacomo di Faenza nuovamente a Ottone (n. 253). Le ricerche di Mario da Bergamo hanno sufficientemente ribadito l'autenticità del gruppo di lettere, già messa in dubbio dallo Schmale. In occasione del soggiorno tedesco G. fu chiamato a esprimere il suo giudizio, in veste di legato della Santa Sede, a proposito della sorte da riservare al polemista Gerhoh di Reichersberg, che a Ratisbona era stato accusato di eresia. L'intercessione di Corrado di Salisburgo e dello stesso G. gli evitò la condanna. Gerhoh subì solo l'ingiunzione del silenzio.
Dalla Germania G. tornò in Italia solo nel 1132 e quando, poco dopo, vi giunse Lotario, egli si unì alla sua spedizione alla volta di Roma.
Tradite da un codice duecentesco (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Codices Latini, 2507) sono tre lettere che potrebbero attribuirsi a questo periodo (1132) ma che, con ogni probabilità, almeno secondo il Wattenbach, non sono altro che esercitazioni scolastiche. Si tratta di una lettera, datata al 17 apr. 1132, di Innocenzo II a G. (in cui il papa, rientrato in Italia dal suo esilio francese, prega l'arcivescovo di raggiungerlo senza indugio a Pavia), di un'epistola di G. a Giacomo di Faenza e della risposta di quest'ultimo (Amadesi, pp. 120 s.).
Già alla fine del 1132 si riaccese la questione dell'esenzione tra Ravenna e Ferrara. Il 16 dicembre Innocenzo II, nonostante le proteste del vescovo Landolfo, ribadì la soggezione di Ferrara alla metropolitana. Imprevedibilmente, tuttavia, l'epilogo della controversia fu favorevole a Ferrara: all'inizio del 1139 il papa ordinò all'arcivescovo ravennate e agli stessi Ferraresi che al sinodo in Laterano, previsto per il 3 aprile successivo, mandassero "sapientes ac discretos viros cum instrumentis authenticis" per dirimere finalmente la questione (Migne, CLXXIX, col. 455). Dopo l'esame della documentazione, nonostante l'opposizione decisa di G., Innocenzo decise per l'indipendenza di Ferrara da Ravenna: il nuovo vescovo Griffone venne eletto e consacrato direttamente dal pontefice romano.
Fu cura di G. una capillare opera di riforma attuata attraverso la restaurazione della vita comune del clero e l'energico riassestamento dei possessi temporali usurpati in passato dalla nobiltà laica.
Il collegio dei canonici cardinali (uno dei due collegi, oltre a quello dei canonici cantori, componenti il capitolo) fu integrato e già nel 1125 gli furono concessi titoli, diaconie e diritti relativi a numerose chiese della città e del territorio circostante (Archivio capitolare di Ravenna, cap. IV, 7, cartone 5). Tre anni dopo (15 marzo 1128) ai cardinali abitantibus et canonice viventibus nella basilica Ursiana furono donati un mulino e alcune terre situate nella pieve di S. Pancrazio. La ripresa del capitolo dei cantori appare invece più lenta: solo nel 1143 gli furono elargiti alcuni beni nel Ravennate e confermate le cospicue donazioni dei predecessori.
G. seppe inoltre mettere a segno numerosi successi politici nel campo del contenzioso giudiziario con feudatari e Comuni circonvicini.
Nel 1122 gli furono restituite le terre indebitamente detenute da Guido Traversari e da un conte Ugo figlio di Ugo; nel 1127 i capitanei e i consoli di Ferrara furono costretti a rendergli molti beni di cui si erano appropriati nel periodo della sua prigionia; nel 1136 i figli del defunto Arardo di Ridolfo, in risarcimento dei danni provocati dal padre e da loro stessi, in diversi territori posseduti dalla Chiesa di Ravenna, donarono a G. tutti i loro beni posti nel Cesenate e al di qua del Rubicone; nel 1142, alla morte del conte di Bertinoro Cavalcaconte (I), che aveva in precedenza assalito e invaso parecchi castelli di proprietà dell'arcivescovado, G. si dichiarò disposto a rinnovare l'investitura a suo figlio Raniero e ad appoggiare il suo matrimonio con una parente del papa, Aldruda Frangipane, solo a patto che costui gli giurasse fedeltà.
G. morì nel 1144: il 14 marzo, come riporta il necrologio del monastero benedettino di Ratisbona, oppure, più probabilmente, il 13 febbraio, secondo quanto riferisce l'anonimo continuatore del Liber pontificalis di Agnello, il quale segnala come periodo di episcopato 24 anni 6 mesi e 8 giorni. Se, con l'Amadesi, si mutassero i 24 anni in 25, sarebbe così corretto il calcolo del tempo intercorso tra la consacrazione di G. del 5 ag. 1118 e la sua morte.
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