GUARINO Veronese (Guarinus Veronensis o de Guarinis)
Umanista, nato nel 1374 in Verona dal fabbro Bartolomeo e da donna Libera di Zanino, morto a Ferrara il 4 dicembre 1460. A Verona ricevette, verosimilmente da Marzagaia, un'istruzione d'indirizzo non umanistico, della quale più tardi si vergognò. Desideroso di allargare il campo dei suoi studî, risolse di cercare altri maestri, e recatosi a Padova, caduta (1389) sotto il dominio dei Visconti, s'iscrisse ai corsi di notariato e dal 1392 seguì le lezioni di Giovanni di Conversino da Ravenna. Diplomatosi notaro, si trasferì a Venezia a esercitarvi l'insegnamento grammaticale: così il suo maestro ravennate da notaro s'era fatto professore. A Venezia risulta presente fino all'agosto del 1403. Nei primi mesi di quell'anno l'imperatore di Costantinopoli, reduce dal suo viaggio diplomatico in Europa, capitava a Venezia, accompagnato da Manuele Crisolora, che, dopo aver insegnato il greco a Firenze (1397-1400), s'era recato a Pavia e a Milano con una missione imperiale. In quell'incontro G. decise di seguire il Crisolora per imparare il greco; e il patrizio Paolo Zane gli fornì i mezzi. A Costantinopoli rimase cinque anni (1403-08) e dopo brevi fermate nel viaggio di ritorno a Scio e a Rodi, rimpatriò nel 1409. Ma a Verona poco si trattenne, ché il 19 febbraio 1410 arrivò a Bologna presso la curia pontificia, dove Leonardo Bruni intuì in lui un ottimo acquisto per lo Studio di Firenze e lo propose al Niccoli.
Qui comincia la sua gloriosa carriera didattica. A Firenze professò il greco cinque anni non intieri, poiché nel luglio 1414 è sulle mosse per Venezia. Ivi tenne scuola privata di greco e di latino, frequentata da patrizî, che poi diventarono dotti uomini e di stato, quali Andrea Giulian, Francesco Barbaro e Leonardo Giustinian; ivi ebbe negli anni 1417-18 uditori Giorgio da Trebisonda e Vittorino da Feltre, al primo dei quali insegnò il latino, al secondo il greco; gli elementi del greco impartì nel 1416 al collega Gasparino Barzizza, che occupava onorevolmente la cattedra di retorica nello studio di Padova. Ma, desiderato dai Veronesi, nell'aprile del 1419 trasportò in patria la sua scuola, dalla quale uscirono tanti belli ingegni, tra cui Bernardino da Siena, Ermolao Barbaro, Giovanni Lamola, Bartolomeo Facio. A Verona fu condotto per due quinquennî; ma non vi finì il secondo, perché a cagione della pestilenza si allontanò, col consenso del Comune, nell'aprile del 1429 e andò vagando da uno a un altro luogo del territorio ferrarese, finché nel dicembre del 1429 si ridusse a Ferrara.
L'intenzione di G. era di riprendere l'insegnamento veronese; ma furono tante e così insistenti le preghiere del marchese d'Este e dei maggiorenti della città, che egli finalmente s'arrese. E così si stabilì definitivamente a Ferrara, che lo ospitò per trent'anni e che per merito suo diventò la più fulgida e celebrata sede dell'umanesimo. I primi sei anni furono dedicati da Guarino all'educazione privata di Leonello d'Este, nel quale creò il modello del principe dotto e del mecenate. Col 29 marzo del 1436 ebbe la nomina ufficiale di lettore nello studio. Finché visse Leonello, la sorte dell'universia prosperò; alla sua morte (1° ottobre 1450) il successore Borso parve per un momento allentare la protezione dei letterati, ma fu un'esitazione passeggera, sicché Guarino poté proseguire efficacemente l'opera sua fino alla morte.
Tra i migliori allievi della scuola ferrarese nomineremo suo figlio Battista, Iacopo Ammannati, Basinio, Lodovico Carbone, Girolamo Castello, Tobia dal Borgo, Giampietro da Lucca, Timoteo Maffei, Tito Vespasiano Strozzi, Giorgio Valagussa, Raffaele Zovenzoni. Degli stranieri i tre Podocataro di Cipro, il fiammingo Enrico di Brugge, il boemo Giorgio, il francese Jouffroy, l'ungherese Giano Pannonio, i tedeschi Peter Luder e Karoch, il polacco Nicola Lassocki, gl'inglesi Guglielmo Grey, Roberto Fleming, Giovanni Frea, Giovanni Gunthorp.
Guarino lasciò in ombra i suoi maestri di Verona e di Padova; invece, con la Chrysolorina del 1452, esaltò l'azione del Crisolora, alla cui sapienza e dottrina attinse nuove cognizioni e nuovo indirizzo.
Nella pratica della scuola accolse dalla tradizione medievale e sviluppò la consuetudine del convitto, e dalla tradizione classica, come già fin dal 1403 teoricamente il Vergerio, gli esercizî ginnastici, la caccia, il nuoto, la danza. Ma fu tutta sua la costituzione di un triplice corso graduale di studî: il corso elementare, il grammaticale bipartito, il rettorico. Nel corso elementare s'insegnavano la pronuncia del latino e le flessioni regolari con l'aiuto di un manualetto, chiamato la Ianua. Nella prima sezione (metodica) del corso grammaticale s'impartivano le flessioni irregolari, i principî fondamentali della sintassi, alcune nozioni di prosodia e di metrica e gli elementi del greco: manuali per la flessione e la prosodia il Doctrinale, per la sintassi le Regulae di Guarino, per il greco gli Erotemata del Crisolora; nella seconda sezione (storica) dai manuali si passava all'applicazione con la lettura dei testi: poeti e prosatori, storici, mitografi, poligrafi. Il terzo corso (rettorico) era consacrato all'interpretazione di Cicerone (opere rettoriche, oratorie e filosofiche), di Quintiliano e dei filosofi greci, Platone e Aristotele. In questo sistema G. abbandona risolutamente la consuetudine medievale del trivio e quadrivio, isolando il trivio e imprimendogli funzioni nuove e più elevate.
La sua produzione scolastica e letteraria fu abbondante e molteplice. Per la grammatica greca compendiò gli Erotemata del Crisolora e per la latina compose le Regulae, alle quali la chiarezza e la semplicità procacciarono larga divulgazione. All'ortografia greca provvide con la traduzione del trattatello crisolorino sugli spiriti, e alla latina con un suo compendio alfabetico dei dittonghi. Nella lessicografia compilò egli per primo in doppia redazione un vocabolario di un singolo autore, scegliendo il commento di Servio a Virgilio. Illustrò molti autori latini, ma eccetto Persio e Cicerone pro Rosc. Amer., degli altri ci rimangono solo le "recollectae" compilate dagli scolari. In questi commenti G. si attiene strettamente all'interpretazione del testo, scevra dell'ostentazione dotta e dello spirito polemico che vennero in uso tra gli umanisti della generazione successiva. Attese assiduamente all'emendazione dei testi e allestì edizioni di Cesare, di Cornelio Celso, di Gellio, della Natur. Hist. di Plinio il Vecchio e delle Epistole di Plinio il Giovine. Dagli emendamenti, condotti su uno o su pochi esemplari, non ci si poteva attendere molto frutto; ma egli è assai guardingo nelle congetture. La sua edizione di Gellio diventò la volgata; degli otto libri dell'epistolario di Plinio fu egli lo scopritore nella Biblioteca capitolare di Verona. Maggior copia di codici greci aveva raccolta a Costantinopoli nei cinque anni che vi trascorse. Tradusse dal greco alcuni opuscoli di Luciano e d'Isocrate, parecchie vite di Plutarco e tutto Strabone. Nel tradurre rende scrupolosamente il testo, ma non raggiunge l'eleganza. Mise insieme, sull'esempio di Gellio, una collezione di Commentarioli, che comprendono note filologiche e storiche di argomento vario, brevi e piacevoli a leggere, desunte ora dalle letture, ora dai conversari con gli amici e coi discepoli. Compose molte orazioni, più di sessanta, alle quali porgevano materia l'inaugurazione dei corsi, i matrimonî e le morti degli amici, gli arrivi e le partenze dei pubblici magistrati e le lodi dei principi. Scrisse anche versi, metricamente esatti, ma privi di eleganza, perché la maggior parte memoriali a scopo didattico.
Tutta questa vasta produzione fu di grande merito per l'incremento degli studî d'allora; per noi è materia morta. G. invece rivive in tutta la sua bonaria umanità nell'epistolario (ed. a cura di R. Sabbadini, 3 volumi, Venezia 1915-19) e con lui rivivono i suoi tempi. Le novecento lettere, fra proposte e risposte, non furono raccolte da lui, ma trasmesse, quali isolatamente quali in gruppi, dai suoi corrispondenti, non alterate perciò dagli accomodamenti che gli autori vi sogliono introdurre. Esse abbracciano un periodo di 55 anni, dal 1405 al 1460, e illustrano le vicende pubbliche e private di quell'età, ma soprattutto la varia operosità degli umanisti, che lavoravano a risuscitare e coordinare la cultura antica.
Bibl.: R. Sabbadini, La scuola e gli studi di G., Catania 1896; id., Doc. guariniani, in Atti dell'Accad. di agric. sc. e lett. di Verona, XVIII (1916), pp. 211-86; G. Bertoni, Guarino da Verona, Ginevra 1921.