CASTIGLIONE, Guarnerio
Nato a Cuvio (Varese) intorno al 1520, era figlio di Battista, un nobile che apparteneva a un ramo della famiglia dei Castiglioni di Olona. Nella città natale ricoprì la carica di podestà ed esercitò anche la professione di notaio.
È difficile stabilire attraverso quali canali sia entrato in contatto con le idee della Riforma protestante. Secondo una notizia risalente al Cantù e successivamente accolta da alcuni studiosi (ma rimasta sempre senza una adeguata conferma documentaria) il tramite diretto sarebbe stato il medico locarnese Giovanni Muralto che, ritornato in Italia dopo essere stato ambasciatore a Ginevra per conto del duca Francesco II Sforza, si era messo a propagandare la Riforma tra alcune grandi famiglie patrizie lombarde. In realtà il C. risulta già legato al protestantesimo svizzero fin dal 1543. La sua corrispondenza epistolare con l'umanista Konrad Pellikan, professore di ebraico ed esponente della Chiesa tigurina, era curata dal libraio-editore Andrea Calvo di Milano. Il C., d'altra parte, non si limitò ad una adesione personale alle dottrine riformate, ma si inserì nel movimento lombardo di propaganda protestante assumendo - come laico - le funzioni di predicatore evangelico ed esplicando una intensa attività pratica "in verbo dei promovendo".
Il C. cominciò ad essere sospettato di eresia probabilmente fin dal 1549. Stando ad altre testimonianze sembra invece che in Valcuvia non si nutrisse alcun dubbio sulla sua persona. Il comportamento che assunse di fronte a questo fatto sia che pensasse alla "partita" per "elezione" sia che intendesse sottrarsi con la fuga a una eventuale persecuzione cattolica - riveste un notevole interesse: il C. infatti riuscì a gestire la propria scelta confessionale garantendosi la sopravvivenza e la libertà anche dal punto di vista economico. Il 20 apr. 1551 vendette un terreno per 24 scudi d'oro a Pietro Saccomanno; il 4 giugno cedette alcuni poderi a Pietro Perusi per la somma di 353 scudi d'oro; il 1º settembre alienò alcuni beni a Bensperante Nobili per un totale di 109 fiorini. Intanto l'8 luglio aveva realizzato il più massiccio trasferimento di proprietà nelle mani di Filippo Castiglione, suo parente, incamerando 3.355 lire imperiali: si trattava di vasti territori che, partendo da Mustunate Morosolo Lissago, giungevano fino alla Schiranna in riva al lago di Varese.
Una volta trasformato in capitale mobiliare il patrimonio fondiario familiare, il C. si stabilì a Locarno (1551), dove nel frattempo - sotto la guida di Giovanni Beccaria - si era costituita una chiesa di confessione riformata. Da Locarno il C. non fece più ritorno in patria. Anzi, nel giro di qualche mese, completò la vendita dei beni lombardi che ancora gli rimanevano. A Cuvio, dove probabilmente gli era già morta la prima moglie, restarono il figlio Giacomo e il fratello naturale Alberto (investito di un canonicato), i quali non fecero trapelare alcuna notizia sulle intenzioni del loro congiunto.
Alla fine del 1552 l'assemblea delle città cattoliche della Confederazione elvetica obbligò il governo locarnese ad espellere dal proprio territorio i tre esuli lombardi di confessione riformata che aveva accolto. Antonio Mario Besozzi, Gianantonio Viscardi e il C. si trasferirono a Chiavenna (1553). Quando l'anno successivo le famiglie riformate locarnesi trovarono asilo a Zurigo, il C. si ricongiunse alla sua comunità religiosa di adozione e si sposò con Bona di Lodovico Ronchi (1555). Insieme con il suocero (e in collaborazione col Besozzi e Andrea Cevio) dette vita - investendo i capitali di cui disponeva - a una intrapresa commerciale per l'acquisto di tessuti veneziani e lombardi, il loro trasporto in Svizzera, lo smercio sul mercato di Zurigo (1557).
La società perdette nel 1563 il Besozzi, costretto a trasferirsi a Basilea dopo gli incidenti con la Chiesa tigurina, che lo aveva accusato di tenere posizioni dottrinali non conformi alla confessione di fede ufficiale. Non sappiamo se anche il C. sia stato implicato nella vicenda e se appartenesse alla stessa tendenza ideologica del suo connazionale.
Secondo fonti segnalate dallo Zucchini sembrerebbe di poter dare una risposta positiva. Stando infatti a una importante lettera spedita da Zurigo il 14 apr. 1565 e indirizzata a Camillo Sozzini emergono strette relazioni di carattere personale con tutto il gruppo radicale degli eretici italiani in Svizzera (Francesco Betti, Niccolò Camogli, Niccolò Lumaga, Girolamo Turriani). Si tratta di un documento relativo all'eredità delle "carte" di Lelio Sozzini che furono inizialmente inventariate da Dario Scala e che, dalle mani del Besozzi, erano passate a quelle del Castiglione. Un impegno, questo, che non poteva essere assolto se non da una persona fidata e appartenente all'entourage ereticale italiano. Non risulta che il C. per queste sue amicizie abbia subito persecuzioni da parte della Chiesa tigurina. Sta di fatto però che a un certo momento egli abbandonò la comunità locarnese di Zurigo per trasferirsi a Basilea con tutta la famiglia (risulta iscritto alla locale università nell'anno accademico 1572-73). Nel 1575 frate Gaspare Sacco, inquisitore di Como, di fronte al fatto che non era più rientrato nel proprio paese, che aveva venduto i suoi beni, che si era stabilito in terra riformata dove praticava la nuova fede, citò il C. a comparire insieme con sua moglie davanti al tribunale del S. Uffizio (28 gennaio). Non essendosi i due coniugi presentati nei termini prescritti, venne emanata una sentenza di scomunica per eresia (15 aprile). Nel 1578 il nuovo inquisitore, Stefano Guaraldi di Cento, sfruttando il fatto che il predecessore non aveva inviato al magistrato delle Entrate straordinarie dello Stato di Milano la notificazione della condanna, dichiarò la confisca delle proprietà del C. e annunciò il loro incameramento da parte del S. Uffizio. Siccome faceva risalire le accuse di eresia a un periodo precedente l'alienazione dei beni (1549) annullava i diritti dei compratori, che cercarono di offrire somme in denaro per tacitare le pretese inquisitoriali (Girolamo di Filippo Castiglione versò 400 scudi).
La vicenda non avrebbe alcuna importanza storica se non fosse stata alla base di un grave conflitto giurisdizionale tra il potere civile e quello ecclesiastico. Una volta, infatti, che il luogotenente e il fiscale di Como informarono il competente magistrato milanese dell'azione inquisitoriale, si aprì una vertenza che ebbe una prima provvisoria risoluzione nel 1579. Sulla base della sentenza di scomunica il tribunale civile determinò che tutti i beni che erano appartenuti al C. spettavano (a norma di legge) al S. Uffizio, al vescovado, alla comunità. Ovviamente i compratori si appellarono alle istanze superiori (forti del fatto che tutti i trasferimenti erano avvenuti prima del 1575) e finalmente nel 1602, dopo alterne vicende, videro riconosciuti pienamente i loro diritti di proprietà.
Il C. visse, insieme con la moglie e con le figlie Ester e Isabella, il resto della sua vita a Basilea, dove morì intorno al 1601. Fu sepolto nella chiesa di S. Pietro e sulla sua tomba venne murata una lapide in cui si ricordava la decisione di scegliere volontariamente la vita dell'esilio per causa di religione piuttosto che sottostare all'"empia superstizione del cattolicesimo romano.
Bibl.: I. Toniolae Basilea sepulta retecta continuata, Basileae 1661, p. 179; F. Meyer, Die evangelische Gemeinde in Locarno, Zürich 1836; C. Cantù, Gli eretici d'Italia, III, Torino 1866, p. 85; L. Fumi, L'Inquisizione romana e lo Stato di Milano, in Archivio storico lombardo, XXXVII(1910), p. 387; P. Rivoire, Contrib. alla storia della riforma in Italia, in Boll. della Società di studi valdesi, LV (1936), 66, pp. 56-58; E. Camenisch, Gesch. der Reformation und Gegenreformation in den italien. Südtalern Graubünden und den ehemaligen Untertanenlanden Chiavenna, Veltlin und Bormio, Chur 1950, p. 109; Die Matrikel der Universität Basel, a cura di H. G. Wackernagel, II, Basel 1956, p. 215; G. Busino, Italiani all'Università di Basilea dal 1460 al 1601, in Bibliothèque d'humanisme et renaissance, XX (1958), p. 509; F.Chabod, Per la storia relig. dello Stato di Milano durante il dominio di Carlo V, Roma 1962, pp. 116 s.; G. Zucchini, Contributi agli studi sulla giovinezza di Fausto Sozzini, in Boll. della Società di studi valdesi, XCII(1971), 130, p. 37 (dove, per un errore tipografico, silegge Castelvetro al posto di Castiglione).