Tarlati, Guccio
Membro della famiglia T. al quale, secondo il parere concorde degli antichi commentatori, D. farebbe allusione in Pg VI 15 l'altro ch'annegò correndo in caccia, in un contesto di notevole forza evocativa nel rappresentare il personaggio che, travolto dalle acque, lascia la vita mentre incalza i nemici (oppure, secondo altra interpretazione, mentre cerca di sfuggirli).
L'identificazione storica del personaggio presenta notevoli difficoltà, in quanto non disponiamo di altri elementi se non quelli ricavati dagli antichi commentatori; infatti nella famiglia dei T. non vi è alcun membro i cui dati genealogici corrispondano a quelli fornitici dagl'interpreti di Dante.
Benvenuto, che è il più ricco di particolari, dice trattarsi di un " Zutius " T., zio del vescovo Guido, il quale, mentre combatteva con i Bostoli, famiglia rivale dei T., esuli nel castello di Rondine in Valdarno, inseguendo alcuni avversari fu trascinato dal proprio cavallo nell'Arno ove affogò; e tale interpretazione è anche dell'Anonimo e del Serravalle.
Altri commentatori (Pietro, Chiose Vernon) parlano di un Guccio T. che, assalendo i Bostoli a Laterina, fu messo in fuga da questi e nella fuga annegò. Anche Lana, Ottimo e Buti parlano di un Guccio T. che dopo la sconfitta di Bibbiena fu inseguito da quelli del castello di Rondine e fuggendo annegò in Arno; il Buti suppone anche che la morte del T., che egli chiama " Ciaccio ", avvenisse dopo Montaperti, seguito in questo dal Landino. In definitiva questa disparità di opinioni dimostra come anche gli antichi commentatori non avessero molto chiaro lo svolgimento dei fatti.
La prima difficoltà che s'incontra per un'identificazione è nel nome del personaggio; infatti fra i T. si trova un solo membro il cui nome corrisponderebbe a quello fornito dai commentatori: Ciuccio di Vanni T., cugino, non zio come vorrebbe Benvenuto, del vescovo Guido, la cui vita si svolse nel sec. XIV. Tuttavia egli morì dopo D., nel 1327, mentre al seguito di Ludovico il Bavaro era all'assedio di Pisa, il che rende impossibile la sua presenza nell'opera dantesca, poiché D. ne narra la morte in modo assai preciso. Si potrebbe sempre supporre che il personaggio in questione fosse uno zio del precedente, e di conseguenza del vescovo Guido (infatti i due erano figli di fratelli), il cui nome non ci è giunto per 'una morte precoce.
In quanto al modo della morte del T., possiamo ricostruire i fatti con una certa verosimiglianza. Scartando l'ipotesi che il fatto avvenisse dopo Montaperti come vuole il Buti, il quale però aggiunge subito " o Campaldino ", o peggio il Landino che dice " nella ropta di Monte Aperto fuggendo annegò " non considerando che in quella battaglia il personaggio in questione avrebbe fatto parte delle schiere dei vincitori, possiamo accettare con una certa tranquillità il riferimento a Campaldino, ma non come avvenimento, anche perché il Villani non ricorda alcun T. caduto nella battaglia (VII 131), bensì come dato cronologico. Dal 1287 infatti i Bostoli, famiglia esponente della Parte guelfa aretina e irriducibile nemica della T. con la quale si pacificherà solo nel 1311, erano fuorusciti e si erano asserragliati in vari castelli del contado aretino, fra cui quello di Rondine, e avevano fatto varie scorrerie nel tentativo di rientrare in città, pur non riuscendovi né dopo Campaldino, né con ogni probabilità nel 1290, quando ci fu un ribandimento di guelfi. In questo periodo, in una di queste scorrerie può essere avvenuta l'uccisione del T., e ciò spiegherebbe anche il mancato ribandimento, dato che Arezzo era proprio in mano ai Tarlati. Questo episodio si può porre in rapporto con quello dell'uccisione di Federico Novello, ricordata da D. immediatamente dopo la vicenda del T. (Pg VI 17), avvenuta ugualmente per mano di un Bostoli, e si può pensare che il poeta abbia ricordato i due fatti successivamente proprio perché legati l'uno all'altro.