CAMINO, Guecellone da
Settimo di questo nome, secondogenito di Gherardo il "buon Gherardo" della tradizione dantesca - nacque sullo scorcio del secolo XIII, e venne inizialmente destinato alla carriera ecclesiastica. Finché il fratello Rizzardo (II) governò Treviso ed il suo distretto in qualità di capitano generale e, poi, di vicario imperiale, il C. rimase completamente in ombra: dal padre, morto nel 1306, aveva ereditato alcuni feudi dei Camino nel comitato di Ceneda, e disponeva inoltre anche di alcune proprietà in Treviso. Le sue relazioni notoriamente molto poco amichevoli con il fratello lo resero, tra i nobili guelli di Treviso scontenti del governo di Rizzardo, un candidato bene accetto alla successione di quest'ultimo. Parecchi autori del Trecento lo accusarono di complicità nell'attentato che portò all'uccisione del signore di Treviso. Rimangono comunque strane e la facilità con cui, intorno alla metà di aprile del 1312, egli succedette al fratello, e la mancanza nelle fonti contemporanee di indicazioni che il nuovo signore di Treviso abbia preso misure nei confronti dei mandanti dell'assassinio del fratello. Anzi, proprio il conte di Collalto e gli Azzoni - che la voce popolare diceva implicati nel complotto - appoggiarono il C. nella sua nuova posizione: probabilmente anche la guelfa Padova lo appoggiò quando, subito dopo la scomparsa di Rizzardo, fu eletto capitano generale di Treviso. Salito al potere, il C. rinunziò, insieme col titolo di vicario imperiale, che il fratello aveva portato a partire dal 1311, anche ad ogni legame di dipendenza dall'imperatore: Arrigo VII, per questo, aprì un processo contro il nuovo signore di Treviso. Nella costituzione della città furono rimessi in vigore gli ordinamenti esistenti ai tempi del "buon Gherardo". Alla testa dell'amministrazione cittadina tornò un podestà.
Il C. cercò di mantenere buoni rapporti con gli Stati vicini. Venezia gli concesse i diritti di cittadinanza; dal canto suo il capitano generale espulse dal territorio di Treviso le persone implicate nella congiura di Baiamonte Tiepolo. Con i Fiorentini, i campioni del guelfismo toscano, intrattenne amichevoli rapporti. Perno fondamentale della politica estera del C. furono i suoi legami con Padova: dall'inizio del suo governo il capitano generale collaborò con questa città. Pochi giorni dopo la morte di Rizzardo un imponente contingente di truppe trevigiane, di cui facevano parte membri delle più autorevoli famiglie cittadine, andò a rafforzare l'esercito padovano contro Cangrande della Scala. Insieme con i reparti del marchese d'Este si formò quindi un forte baluardo guelfo contro il signore di Verona e la sua politica espansionistica nella Marca trevigiana. Poco tempo dopo si rese necessario l'invio di un altro contingente di truppe da Treviso in aiuto dei Padovani. Le forze unite delle due città costrinsero lo Scaligero a ripiegare sopra Vicenza.
La ricompensa per questo forte e attivo appoggio non mancò, anche se, in definitiva, tornò meno a vantaggio dei Trevigiani che a quello del loro capitano generale. Il C. ottenne dal Comune alcune case in Padova e numerosi beni dei ribelli, come pure il diritto di nominare il nuovo podestà. Di questa concessione di poteri sul governo di Padova non sembra che il C. sia stato soddisfatto: egli mirava alla carica di capitano di guerra in Padova, che avrebbe comportato il pieno controllo sulle forze militari. Ma la città, benché gravemente minacciata da Cangrande, non acconsentì al desiderio del Caminese. Evidentemente la minacciosa potenza del signore di Treviso, di Feltre e di Belluno, dovette sembrare troppo pericolosa per le civiche libertà di Padova: neanche quando, in contrasto con la sua alleanza precedente, assunse un atteggiamento ostile alla città, il C. riuscì a raggiungere lo scopo desiderato. A Padova il C. poteva contare su di una sola persona fidata, il cognato Nicolò da Lozzo. Ma proprio quest'uomo ambizioso ed influente, che perseguì a lungo una politica ambigua, avrebbe dato al C. il consiglio che doveva provocarne la caduta. Il passaggio dal campo guelfo a quello ghibellino, che aveva costato la vita a Rizzardo, segnò la rovina anche di Guecellone. Con l'aiuto dell'altro cognato, il conte Enrico di Gorizia, il capitano generale intavolò trattative con Cangrande, fino allora suo nemico. Un duplice matrimonio doveva suggellare le buone relazioni tra i signori di Verona e Treviso. Rizzardo (III), il figlio del C., avrebbe dovuto sposare Verde della Scala; mentre uno dei figli di Alboino della Scala avrebbe sposato, invece, una figlia del capitano generale di Treviso.
Come già era successo a suo fratello, così anche col C. avvenne che i circoli, cui il signore di Treviso doveva la sua posizione, non furono d'accordo con questo mutamento politico. Né, d'altro canto, il capitano generale, durante il suo breve governo, aveva saputo conquistarsi il favore del popolo. Le necessità finanziarie per la costosa condotta della guerra con l'utilizzazione di truppe mercenarie non alleggerirono la pressione fiscale, già causa di proteste ai tempi di Rizzardo. Neanche i mercenari tedeschi, che erano stati inviati dal conte di Gorizia, riuscivano più a sostenere la posizione del capitano generale, sempre più debole nella sua stessa città.
Il fatto che il C. sopravvalutasse l'appoggio di cui godeva è dimostrato anche dal momento determinante della rivolta contro di lui. Alle trattative segrete con gli inviati dello Scaligero nel convento de' Ss. Quaranta, il C. invitò anche il vescovo di Treviso, Castellano di Salamone. Questi, guelfo convinto, si mostrava tuttavia decisamente contrario all'alleanza con Cangrande. Egli stesso si mise alla testa del movimento di opposizione al Camino. A lui si unirono i capi delle principali famiglie cittadine: Guido Tempesta, il conte Rambaldo di Collalto e molti altri, i quali del resto avevano già partecipato come parte dirigente al rovesciamento di Rizzardo. Anche Tolberto (III) e Biaquino (IV) del ramo dei Camino "di sotto" furono allora tra i nemici del capitano generale.
Nella notte tra il 14 e il 15 dic. 1312 questa opposizione aristocratica guelfa, con l'appoggio della più alta autorità ecclesiastica locale, chiamò alle armi il popolo per prevenire una pretesa e temuta cessione di Treviso a Cangrande al grido di "Contro il traditore Guecellone e per la libertà della città". Il C. venne colto di sorpresa e si diede alla fuga poiché ci fu soltanto un debole reazione in suo favore. Nei disordini di quel giorno si fecero sparire tutte le tracce della quasi trentennale signoria dei Camino sulla città. Il palazzo Caminese fu saccheggiato e distrutto. Nel gennaio dell'anno successivo il Consiglio dei trecento decise un'aggiunta agli statuti cittadini, per cui si minacciavano pene severissime contro i tentativi di mutare i liberi ordinamenti civici. Fu inoltre presa la decisione di revocare tutte le condanne emesse e le grazie concesse sotto Gherardo, Rizzardo e Guecellone.
Il rovesciamento del C. a Treviso comportò anche la perdita della carica di capitano generale di Feltre e di Belluno: anche se egli poté continuare a fregiarsi di quei titoli, in ambedue le città l'esercizio effettivo del potere venne sottratto al Caminese.
In seguito il C., da Serravalle, tentò di assumere un ruolo più importante. Egli ottenne che la Chiesa di Aquileia riconfermasse gli antichi feudi della sua famiglia (1313) e riuscì ad acquistarsi di nuovo il favore dell'imperatore Arrigo VII poco prima della morte di questo. Le lunghe trattative con Treviso per riacquistare i beni della sua famiglia nella città condussero nel novembre dell'anno 1313 ad un temporaneo riavvicinamento tra l'ex capitano generale ed il Comune. Più volte funse anche da mediatore tra la città ed Enrico II di Gorizia. Con quest'ultimo intrattenne a lungo buone relazioni. Particolarmente stretti furono i rapporti con Cangrande. Le nozze tra Verde della Scala ed il figlio del C., Rizzardo, da tempo programmate, furono celebrate il Natale dell'anno 1316. Ancor prima, il C. era riuscito a riconquistare la sua antica carica di capitano generale di Feltre. A Treviso egli chiese più volte la concessione delle rendite che erano state in altri tempi assegnate al padre e al fratello. Infine decise di unirsi apertamente ai nemici del Comune ed attaccò, insieme con Cangrande, la città ed il suo territorio. Per sei mesi assediò invano Conegliano. Nell'estate del 1320 avrebbe dovuto rinunciare a tutti i suoi possedimenti in favore del figlio Rizzardo, che si era riconciliato con Treviso e con il nuovo signore della città, il conte Enrico di Gorizia. In realtà non si giunse mai a tanto, e il C. continuò a rimanere dalla parte dello Scaligero, avversario del conte di Gorizia, sebbene tale alleanza portasse al C. tutto tranne che vantaggi. Dopo la morte violenta del vescovo di Feltre e Belluno, Manfredi di Collalto, il C. tentò di consolidare ancor più il suo potere sui due Comuni: ma Cangrande sfruttò i disordini seguiti all'assassinio - del quale alcune fonti contemporanee rendono responsabile Guecellone - per impadronirsi egli stesso delle due città (febbraio e ottobre 1321). Nell'anno 1323 il C. venne messo al bando della Chiesa per non aver osservato le condizioni prescritte dal testamento di Rizzardo (II).
Nel suo testamento del 12 ag. 1324, il C. nominò suo erede l'unico figlio ancora in vita, Rizzardo (III). Fu sepolto, come il padre e il fratello, in S. Francesco a Treviso.
Aveva sposato, non sappiamo esattamente quando, Mabilia di San Bonifacio, figlia del conte Vinciguerra e di Cappellina degli Scrovegni (Federici, p. 45). Da lei aveva avuto due figli, Gherardo, morto in giovine età, e Rizzardo (III); ed una figlia, Aica, che, già promessa a Cecchino della Scala, nipote di Cangrande, sposò poi, nel 1326, Iacopo Pappafava da Carrara (ibid., pp. 64 s.).
Fonti e Bibl.: Constitutiones et acta publica, in Mon. Germ. Hist., Legum sectio IV, a cura di I. Schwalm, IV, Hannoverae et Lipsiae 1909-11, nn. 1048 p. 1089, 1234 p. 1295; P. M. Federici, Notizie storico-genealogiche della famiglia de' signori da Camino, Venezia 1788, pp. 45 ss.; D. Barbon, IlComune di Treviso dal 1312 al 1329, Treviso 1901, pp. 28 ss.; G. B. Picotti, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283al 1312, Livorno 1905, pp. 225 ss. (con ulteriori indicazioni bibliografiche); F. Tamis, Il capitaniato di Agordo dalle origini al dominio veneto. La signoria degli Avoscano, in Arch. stor. di Belluno, Feltre e Cadore, XXIV (1953), pp. 72 s.; L. Gava, La signoria dei da Camino in Belluno, ibid., XXVII (1956), pp. 55-76;G. Fabbiani, Alcuni documenti riguardanti Sappada di Cadore, ibid., XXXIII (1962), pp. 49-66.