Guelfi e ghibellini
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I termini “guelfi” e “ghibellini” entrano nel lessico politico italiano senza legami apparenti con il luogo, il momento e il contesto di origine: nella prima metà del XII secolo designano due fazioni tedesche in lotta per il trono; dopo cent’anni cominciano a riferirsi ai sostenitori italiani del papato o dell’impero, alle contrapposizioni fra città rivali e alle tensioni interne alle singole città. La traslazione si origina all’interno di eventi che si verificano, in territorio italiano, all’indomani dello scontro dinastico tedesco: con questi, idealmente, si collegheranno le fazioni italiane del XIII-XIV secolo.
Alla morte di Enrico V, in Germania si apre un lungo scontro dinastico fra i sostenitori dei duchi di Baviera, detti Welfen, dal nome del capostipite Welf, e i seguaci della casa di Svevia (Hohenstaufen), detti Weiblingen dal nome del castello di famiglia. Lo scontro termina con un accordo che assegna al duca di Baviera e di Sassonia Enrico il Leone quasi tutta la Germania settentrionale, ma destina la corona imperiale a Federico I di Svevia, detto Barbarossa.
I trent’anni di lotta dinastica in Germania impediscono a Lotario di Supplimburgo e Corrado III di Svevia di esercitare effettivamente la propria autorità nei domini dell’Italia centro-settentrionale, ove i Comuni hanno, nel frattempo, conseguito un’autonomia di fatto pressoché totale. Quando Federico I riesce a riportare la stabilità in Germania, si volge con decisione verso l’Italia, il cui controllo gli è fra l’altro indispensabile per ottenere l’incoronazione a Roma.
Il progetto di Barbarossa si fonda su un disegno di collaborazione con la maggiore aristocrazia, già attuato in Germania, che anche in Italia può contare sulla presenza di grandi signorie filoimperiali; le speranze di una buona riuscita, inoltre, sono alimentate dal fatto che il mondo comunale è attraversato da rivalità interne che – pur essendo segno di vitalità economico-politica – appaiono come un elemento di debolezza. Anche la posizione del papato, infine, è inizialmente favorevole: Eugenio III e poi Adriano IV chiedono l’aiuto imperiale contro il Comune di Roma e l’infiammata predicazione pauperistica di Arnaldo da Brescia, sicché la prima discesa di Barbarossa in Italia (1154) sembra destinata a buone possibilità di successo, e anzi i disordini provocati da una rivolta aristocratica contro il re normanno Guglielmo il Malo suggeriscono a Federico la possibilità di estendere il suo dominio anche all’Italia meridionale.
I progetti imperiali appaiono subito chiari nella dieta di Roncaglia (1154), ove Federico rivendica i diritti regi usurpati dopo la morte di Enrico V. Compiute solo alcune azioni dimostrative in territorio lombardo e piemontese, Federico si dirige poi a Roma, ove ottiene l’incoronazione.
Le deliberazioni di Roncaglia, però, suscitano non solo l’allarme dei Comuni, ma anche quello del pontefice, cui non sfugge il sottofondo ideologico dell’iniziativa federiciana, vale a dire la concezione universalistica e sacrale del potere imperiale (all’interno della quale non vi è posto per alcuna forma di supremazia papale), che di lì a poco si sarebbe espressa anche nella designazione imperiale dei vescovi secondo modalità in vigore prima del concordato di Worms. Anche più chiaramente si profilano i rischi dell’“accerchiamento” che sarebbe potuto derivare dalla connessione fra l’impero e il Mezzogiorno italiano.
Si creano così le premesse per un cambiamento di fronte del papato, già avviato nel 1156, quando – con l’accordo di Benevento – il pontefice si assicura il riconoscimento del proprio diritto feudale sul Regno di Sicilia, di cui investe Guglielmo il Malo, assicurandogli il suo appoggio e l’estensione dei diritti su città come Capua e Napoli, all’epoca ancora autonome.
Lo scontro si fa aperto dopo la seconda dieta di Roncaglia (1158), in cui Federico ribadisce con maggior vigore i diritti imperiali (Constitutio de regalibus), e dopo la distruzione di Crema (1160) e di Milano (1162) che avevano respinto i rappresentanti imperiali: al soglio pontificio è nel frattempo salito Alessandro III, che si era già ampiamente espresso contro l’imperatore; una parte dei cardinali, filoimperiali, gli oppone un antipapa, Vittore IV, che Federico riconosce. Comincia così una nuova fase di lotte fra Chiesa e Impero, durante la quale anche le città italiane si schierano: il partito filopapale (che poi verrà chiamato “guelfo”) trova nel collegamento con la Chiesa una copertura per le rivendicazioni della piena autonomia comunale; con l’imperatore si schierano invece coloro che continuano a vedere nel legame con l’impero una garanzia di legittimità dell’autorità politica, e che saranno in seguito designati come “ghibellini”.
In questa fase della storia italiana, il fronte più intraprendente e dinamico è certamente quello antimperiale, la cui coesione è catalizzata proprio dall’intransigenza con la quale lo Svevo tenta di attuare i principi enunciati a Roncaglia, riconducendo all’impero qualunque potere di natura pubblica.
I Comuni più decisi nella difesa del proprio autogoverno cominciano ad associarsi, dando vita a diverse leghe: dapprima raccolti attorno a Cremona, poi a Verona, nel 1167 si uniscono nella Societas Lombardiae (Lega Lombarda). La lega comprende Milano, Brescia, Mantova e Cremona, poi anche Verona, Padova, Vicenza e Treviso; in seguito Venezia, Ferrara, Piacenza, Parma, Modena e Bologna. La stessa Lodi, che in passato era stata filoimperiale, ormai isolata, aderisce alla Lega; e naturalmente ne fanno parte Alessandro III e un nuovo Comune, quello di Alessandria, sorto da poco e così denominato in suo onore.
Barbarossa, trattenuto in Germania da problemi interni, non riesce a frenare il processo associativo, e quando, nel 1174, torna in Italia, non può più fare affidamento sulle discordie interne al fronte comunale. Indebolito anche dalla defezione di Enrico il Leone, viene sconfitto (battaglia di Legnano, 1176). Riesce però abbastanza rapidamente a dividere di nuovo il fronte nemico, ponendo fine allo scisma e stipulando un accordo con Alessandro III (accordi preliminari di Anagni, 1176) e poi una tregua, oltre che con il papa, anche con Venezia, il re normanno e alcuni altri Comuni (tregua di Venezia, 1177).
Consolidata la sua posizione in Germania, solo nel 1183 definisce il rapporto con i Comuni, nella pace di Costanza: i Comuni ottengono una sanzione di legittimità per l’esercizio del governo all’interno delle mura e nel contado, ma nella forma di una concessione imperiale, cui corrisponde un giuramento di fedeltà dei cittadini all’imperatore e l’istituzione di una procedura di investitura imperiale per i consoli. È dunque dubbio che il fronte antimperiale possa chiamarsi esplicitamente “guelfo”, stando al significato che il termine assumerà nel secolo successivo, poiché i Comuni, ottenendo il ripristino delle prerogative acquisite prima delle imprese di Barbarossa, accettano il principio della sovranità imperiale e si proclamano fedeli sudditi dell’imperatore.
Se, dopo oltre mezzo secolo, a questi eventi si guarderà come al trionfo dei sostenitori del papa contro l’imperatore, ciò si deve soprattutto alla storia successiva: il tumultuoso sviluppo cittadino non si arresta e non si lascia imbrigliare dall’inserimento in una gerarchia di poteri dipendente dall’imperatore, e quando – con Federico II – si aprirà una nuova fase di ostilità fra papato e impero, le città italiane sapranno cogliere l’occasione per accrescere la propria autonomia e la propria potenza a danno delle rivali.
Sarà allora che i termini “guelfo” e “ghibellino” diventeranno di uso comune: ma, all’epoca, in realtà ben poco sarà rimasto della contrapposizione originaria, poiché i due appellativi costituiranno ormai, nel XIII e XIV secolo, solo il manto ideologico di conflitti inter e intracittadini, legati a dinamiche politiche interne e regionali. Sul piano delle scelte cittadine, l’orientamento guelfo o ghibellino può essere determinato da una ricerca di autonomia che spinge le città nominalmente imperiali a volgersi verso il papato (come nel caso di Milano) e quelle sotto l’influenza papale a sostenere l’impero (come nel caso di Forlì); oppure può essere determinato dall’esigenza di militare nel campo avverso a quello privilegiato da una città rivale. A livello interno, solo in linee generalissime è possibile riconoscere un orientamento di massima delle organizzazioni popolari verso il guelfismo e di quelle nobiliari verso il ghibellinismo.