GHERARDINI, Guelfo
Nacque a Firenze nella prima metà del XIV secolo da messer Giovanni di messer Filippo (discendente da Cece Gherardini, cavaliere fiorentino vissuto intorno alla metà del XIII secolo, ricordato da Giovanni Villani per essersi opposto alla spedizione militare di Montaperti) e, pare, da Ansualda di messer Rosso Buondelmonti.
Appartenente a una famiglia di lunga tradizione magnatizia, si dedicò all'attività militare. Nel 1345 faceva parte dell'esercito di Francesco d'Este, capitano di guerra dei Ferraresi per conto del marchese Obizzo (III) e collegato con Fregnano di Mastino (II) Della Scala, nella guerra contro Luchino Visconti. Il 26 luglio, in una pausa delle operazioni militari, il G. fu creato cavaliere, insieme con molti altri, da Francesco d'Este. Questo riconoscimento gli dette in seguito la possibilità di prendere parte con una certa frequenza agli incarichi riservati tradizionalmente alle persone del suo ceto: le ambascerie all'estero per conto di Firenze e l'ufficio di podestà o capitano in altre città collegate. Nel 1350 fu inviato a Bologna come ambasciatore dalla Signoria, probabilmente insieme con Tommaso Dietaiuti e Zanobio di Guido Dell'Antella. Il 25 sett. 1351, designato come "Guelfus de Gherardinis sive de Montici", si trova fra i cittadini del quartiere S. Croce, gonfalone Carro, che avevano prestato malleveria, per la notevole somma di 1000 libbre, a favore di cittadini eletti o tratti per l'ufficio di podestà, capitano o castellano. La designazione "de Montici", che ricorre anche in altre menzioni del G., è legata a una chiesa (S. Margherita a Montici) posta in prossimità delle mura meridionali cittadine, sulla quale la famiglia del G. deteneva il patronato. Nel 1352 sarebbe stato di nuovo utilizzato come ambasciatore per recarsi a Perugia, Siena e Arezzo. A questa data era già sposato con Bandecca di Albizzello Buondelmonti, come risulta nel 1351 dallo spoglio di un registro di gabella.
L'episodio più noto della vita del G. risale al 1358 e riguarda il suo ruolo come capitano di Parte guelfa durante la lotta politica che oppose le fazioni dei Ricci e degli Albizzi fra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta del Trecento. Degli otto capitani, il G. era uno dei quattro rappresentanti dei grandi, insieme con Geri de' Pazzi, Simone de' Bardi e Uguccione Buondelmonti, mentre i quattro "popolani" erano Tommaso Brancacci, Migliore Guadagni, Simone Siminetti e Massaiozzo Raffacani. I primi quattro erano membri dell'ala magnatizia più intransigente e reazionaria (Geri de' Pazzi era amico personale di Piero degli Albizzi); i secondi, in parte membri di famiglie di medio rango del patriziato, erano ugualmente animati da ostilità nei confronti della "gente nuova" di cui i Ricci erano i maggiori rappresentanti. Nel gennaio di quell'anno gli otto capitani, fra cui il G., presentarono una petizione che richiedeva il richiamo in vigore di tutti i provvedimenti emanati dal Comune contro i ghibellini. Questi provvedimenti comprendevano l'esclusione dei ghibellini dagli uffici, a meno che non avessero prestato giuramento di fedeltà alla Parte guelfa, e anche in quel caso non prima di quindici anni dal giuramento; i sospetti di ghibellinismo potevano inoltre essere denunciati sulla base di dichiarazioni di sei testimoni ritenuti fededegni dalla Parte.
La petizione, che non aggiungeva molto alla legislazione già esistente, aveva come scopi principali da un lato quello di rinfocolare l'odio fra le fazioni, dall'altro quello di limitare l'accesso alla Parte guelfa e consentire una più agevole sanzione degli avversari politici. La legge, a cui si opposero la Signoria e i Collegi, rappresentò l'inizio del noto periodo delle ammonizioni, che caratterizzò la vita politica fiorentina negli anni successivi, e in cui il G. svolse evidentemente un ruolo assai attivo.
Nel frattempo il G. continuava la sua partecipazione sia all'attività cerimoniale della Parte, sia agli incarichi di ufficiale forestiero e di ambasciatore. Il 13 dic. 1360 presenziava, come cavaliere, all'investitura cavalleresca di Lodovico Ciccioni da San Miniato e Francesco da Collegalli da parte del Comune. Nel marzo 1362, insieme con Giovanni Mangiadori, "bagnò solennemente" Luca di Totto da Panzano, la cui personalità è stata felicemente delineata da G. Salvemini, prima della sua investitura ufficiale a opera di Pandolfo Malatesta. Un anno e mezzo più tardi, l'8 nov. 1363, fu scelto per l'importante carica di podestà di Bologna. Secondo i coevi cronisti della città, il G. si rifiutò di ricoprire l'ufficio se non gli fosse stato assegnato il personale (la "famiglia") che normalmente accompagnava il podestà, dato che il podestà uscente aveva ricevuto un salario e un seguito ridotti. Per indurlo ad accettare l'ufficio, il suo desiderio fu esaudito.
Nel giugno 1367 partecipò infine, con Geri de' Pazzi, Michele Castellani e altri, all'ambasceria inviata a Viterbo a papa Urbano V per rallegrarsi con lui del suo arrivo in Italia da Avignone, per ottenere l'assoluzione dalle censure ricevute a causa della guerra con Pisa e per stringere lega con lui.
Non si hanno ulteriori notizie del G., il quale nel 1397 era certamente già morto. A quella data Lionarda di messer Alamanno de' Medici risultava essere, secondo uno spoglio di un registro di gabella, sua vedova: segno anche che in data imprecisata il G. si era sposato una seconda volta.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, Mss. Passerini, 188; Mss. Magliabechiani, XXV.43, c. 120; XXV.398, c. 14; XXVI.133, c. 4; XXVI.142, c. 181; Poligrafo Gargani, 937, nn. 26-29; M. Villani, Cronica, Firenze 1825-26, IV, p. 35; G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, p. 375 (per Cece); S. Ammirato, Istorie fiorentine, I, 2, Firenze 1647, pp. 584, 660; Chronicon Estense, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, col. 420; Bartolomeo della Pugliola, Cronica di Bologna, ibid., XVIII, ibid. 1731, col. 397D; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, p. 174; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, parte II, Bologna 1657, pp. 169, 271, 274; C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, VI, Piacenza 1759, p. 284; E. Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, III, Firenze 1839, p. 569; F.-T. Perrens, Histoire de Florence depuis ses origines jusqu'à la domination des Médicis, Paris 1877-83, IV, p. 490; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Firenze 1896, pp. 79, 114 s.; G.A. Brucker, Florentine politics and society, 1343-1378, Princeton 1962, pp. 165, 230.