GUERRA DEL GOLFO
Gli antecedenti più immediati della crisi che portò nel gennaio 1991 alla guerra tra la Repubblica irachena da un lato, e gli Stati Uniti e i loro alleati sotto l'egida dell'ONU, dall'altro, possono essere attendibilmente fatti risalire alla primavera del 1990. In tale periodo si verificarono, infatti, vari episodi che sono ormai giudicati come le mosse concrete iniziali della drammatica partita che si sarebbe giocata di lì a poco. Sono da ricordare, in proposito: le dichiarazioni di Ṣaddām Ḥusayn (2 aprile 1990) che mettevano in guardia Israele dal tentare attacchi proditori; il messaggio dello stesso Ḥusayn (1° maggio) al presidente della Repubblica iraniana, H. Rafsanǧānī, che segnò l'avvio di un riavvicinamento tra i due stati che si erano affrontati a lungo in un sanguinoso conflitto; la rottura (20 giugno) dei colloqui in corso da tempo a Tunisi tra esponenti dell'OLP e l'ambasciatore statunitense, rottura che rivelò l'intenzione degli USA di rifiutare contatti e impegni, in un momento particolarmente delicato, con un'organizzazione che manteneva rapporti molto amichevoli con i dirigenti di Baghdād.
Contemporaneamente (giugno-luglio), i dirigenti iracheni svilupparono un'articolata campagna di rivendicazioni economiche e territoriali nei confronti dell'emirato del Kuwait, ricchissimo staterello petrolifero prospiciente il Golfo e incuneato tra ῾Irāq e Arabia Saudita. Tali rivendicazioni (riassunte, tra l'altro, nella nota inviata dall'῾Irāq alla Lega Araba il 16 luglio) erano un misto di storiche pretese territoriali − dal momento che mai l'῾Irāq aveva riconosciuto la specificità statuale kuwaitiana considerata piuttosto il frutto di intrighi colonialistici e post-colonialistici − e di pressanti richieste di sostegno economico. Affermatosi come considerevole potenza militare, l'῾Irāq si trovava in una pesante situazione finanziaria a causa delle spese sostenute durante il conflitto con l'Iran e del calo del prezzo del petrolio, mentre il confinante emirato del Kuwait, dotato di enormi risorse monetarie, aveva tratto solo vantaggi dall'azione di Baghdād contro l'espansionismo islamico di Teherān.
D'altro canto gli Stati Uniti, nonostante la prolungata cooperazione con Ṣaddām Ḥusayn in funzione anti-iraniana, non erano disposti, sotto la presidenza di G. Bush, a tollerare iniziative destabilizzanti, né avrebbero esitato a imporre l'ordine nel Golfo in nome di una sorta di dovere d'ingerenza. Non va trascurato al riguardo il problema di un più esteso controllo sulle risorse petrolifere dell'area, anche in relazione al vuoto lasciato dal ripiegamento strategico dell'URSS.
Le pretese irachene nei confronti del Kuwait si concretarono il 18 luglio 1990 in una serie di richieste: cancellare 30 miliardi di dollari di prestiti concessi durante la guerra; ottenere un risarcimento di 2,4 miliardi di dollari per il petrolio illegalmente estratto dai pozzi petroliferi iracheni situati lungo il confine; assumere il controllo delle isole Būbiyān e al-Warba; sostenere l'impegno per un mutamento degli orientamenti dell'OPEC. Intanto si sviluppavano concorrenti iniziative diplomatiche, che sarebbero poi proseguite sino alla fine del conflitto, degli Stati Uniti e dell'῾Irāq: a fronte del tentativo iracheno di ottenere consensi prima nella maggioranza della Lega Araba, poi almeno da parte di alcuni stati, infine tra le masse popolari arabe, c'era l'impegno degli Stati Uniti, specie attraverso il Consiglio di sicurezza dell'ONU, di creare uno schieramento il più esteso possibile contro l'iniziativa irachena.
I contatti e le conversazioni assunsero un ritmo incalzante dopo che il 2 agosto le truppe irachene ebbero passato il confine e rapidamente occupato il Kuwait di cui poco dopo fu proclamata l'annessione (8 agosto). Se il 6 agosto il Consiglio di sicurezza dell'ONU, sotto la spinta di Stati Uniti e URSS, votava una prima risoluzione per l'embargo contro l'῾Irāq, le sollecitazioni di Washington al vertice della Lega Araba, riunitasi al Cairo il 10 agosto, inducevano paesi quali l'Egitto e l'Arabia Saudita a scegliere l'intransigenza e a rifiutare ogni tentativo di compromesso, in particolare quelli proposti da Yāsir ῾Arafāt. Il risultato fu che in favore della linea occidentale e di una disponibilità anche militare a difesa dell'Arabia Saudita contro l'aggressione irachena, si schierarono dodici paesi, tra i quali Egitto, Siria e Marocco; mentre otto altri si opposero (Algeria, Giordania, Libia, Mauritania, OLP, Sudan, Tunisia, Yemen) con varie accentuazioni, dimostrandosi sensibili all'appello di Baghdād contro l'espansionismo di Washington sostenitore d'Israele, e rifiutando azioni repressive contro le manifestazioni popolari filo-irachene.
Nello stesso periodo − su richiesta di al-Riyāḍ − Stati Uniti, e poi Gran Bretagna e Francia, cominciarono a inviare truppe e armi in Arabia Saudita, mentre il Consiglio di sicurezza dell'ONU votava diversi documenti di condanna dell'invasione irachena. Di contro Baghdād tentava di alleviare l'embargo sviluppando le relazioni con Giordania e Iran, e tratteneva sul proprio territorio i cittadini delle ''nazioni aggressive'' dichiarando in tal modo di garantire la propria sicurezza: una misura di ritorsione che dava luogo a complesse trattative risolte tutto sommato positivamente entro il novembre. Nel frattempo proseguiva il completamento dello schieramento occidentale nella penisola arabica, nelle acque del Golfo e nelle basi della NATO in Turchia, con una concentrazione di centinaia di migliaia di uomini e un imponente spiegamento di mezzi aereo-navali soprattutto statunitensi. Nello stesso tempo alcuni contingenti siriani ed egiziani furono inviati a presidiare i confini dell'Arabia Saudita.
Per circa quattro mesi − dal settembre 1990 al gennaio 1991 − proseguirono, insistenti quanto inconclusivi, i negoziati. Ricordiamo, tra gli altri, la missione presso Gorbačëv del ministro degli Esteri iracheno Ṭāriq ῾Azīz a Mosca il 5 settembre; il viaggio dell'inviato speciale sovietico E. Primakov a Baghdād il 4 ottobre; la visita del segretario di stato statunitense J. Baker in Arabia Saudita il 3 novembre. Il 29 novembre il Consiglio di sicurezza dell'ONU approvò la risoluzione n. 678 che autorizzava, a partire dal 15 gennaio 1991, l'uso di tutti i mezzi necessari per costringere l'῾Irāq al ritiro. Dopo di essa ebbe luogo un ultimo incontro tra Baker e ῾Azīz a Ginevra (9 gennaio).
È tuttora un interrogativo irrisolto il perché non sia stato possibile addivenire a un accomodamento: si può solo presumere, in linea generale, che l'῾Irāq, puntando a un ampliamento del conflitto con il coinvolgimento d'Israele e di altri stati arabi, pensasse di riuscire a evitare una catastrofe (non si sarebbe, cioè, potuta isolare la questione dell'invasione del Kuwait dalla prolungata occupazione israeliana dei territori conquistati nel 1967), e che gli Stati Uniti, nonostante le passate intese con Baghdād, non fossero disposti a lasciar cadere l'occasione di assumere l'egemonia sull'intero scacchiere.
Due giorni dopo la data indicata dalla risoluzione n. 678, il 17 gennaio 1991, iniziarono le operazioni di guerra: la coalizione guidata da Washington diede avvio a una devastante offensiva aerea, navale e missilistica (denominata Desert storm) contro gli obiettivi militari, le industrie, il sistema stradale e i centri urbani iracheni. Subito emerse l'inferiorità di Baghdād che non fu in grado neanche di mostrare l'efficacia del proprio dispositivo di difesa terrestre (parecchi velivoli iracheni si misero in salvo in Iran). Unica risposta di qualche effetto fu il ripetuto lancio da parte dell'῾Irāq di missili di tipo Scud su località saudite e israeliane. Ma in base all'accordo militare segreto del 22 gennaio tra Israele e Stati Uniti, anche la difesa del territorio israeliano venne assunta dagli statunitensi (che fornirono gli efficaci congegni antimissilistici Patriot). Quest'ultimo fatto evidenziò il ridimensionamento strategico israeliano e agevolò la mancata risposta diretta di Tel Aviv, che avrebbe avuto effetti incalcolabili, perché rischiava di mettere a repentaglio gli accordi tra Washington e i paesi arabi ostili all'῾Irāq.
Le gravissime perdite subite, in termini di danni materiali e di vittime, indussero gli Iracheni, il 22 febbraio, a dichiarare la loro disponibilità ad accettare la risoluzione dell'ONU n. 660, che chiedeva il ritiro dal Kuwait. Ciononostante il 25 febbraio scattava un'ultima offensiva terrestre alleata che investiva lo stesso Kuwait e apriva una seria breccia nell'῾Irāq meridionale nei pressi di al-Baṣra (Bassora): il 27 febbraio il comando alleato annunziava la cessazione del fuoco. Le truppe irachene non erano infatti più in grado di proseguire i combattimenti e il Kuwait veniva sgomberato dopo che i soldati di Baghdād avevano incendiato centinaia di pozzi petroliferi ed era stata dichiarata l'accettazione di tutte le risoluzioni dell'ONU.
Le operazioni di guerra e di guerriglia su territorio iracheno si protrassero in realtà sia al Sud nelle zone abitate in prevalenza da popolazione sciita, sia al Nord nelle aree con popolazione curda: inoltre, con l'appoggio più o meno esplicito da parte dell'Occidente favorevole al collasso del regime di Ḥusayn e al prevedibile smembramento dell'῾Irāq, gruppi armati piuttosto numerosi insorsero nella speranza che la sconfitta del governo centrale permettesse la realizzazione delle aspirazioni autonomistiche. Le truppe fedeli a Ṣaddām Ḥusayn riuscirono tuttavia nel complesso a riprendere il controllo della situazione: tragiche risultarono invece le condizioni nelle quali si trovarono i Curdi che a decine di migliaia, nell'incalzare degli scontri e nell'incertezza dell'avvenire, avevano cercato riparo oltre confine in Iran o in Turchia, nonostante la tradizionale ostilità di questi paesi nei confronti dell'autonomismo curdo. Le traversie di questi profughi in Turchia e della minoranza curda in ῾Irāq si protrassero poi a lungo (v. kurdistan, in questa Appendice.
Con l'avvio a Baghdād di un relativo processo di liberalizzazione, che portò nel marzo alla formazione di un nuovo governo presieduto da Sa῾adūn Ḥammādī, al ridimensionamento del partito Ba῾th e al graduale superamento del sistema del partito unico, e con l'approvazione (3 aprile 1991) da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU della risoluzione n. 687 che imponeva quali condizioni armistiziali lo smantellamento degli arsenali, il risarcimento dei danni, e lo stazionamento all'interno del confine con il Kuwait di truppe dell'ONU, il conflitto poteva dirsi concluso e aperta la fase del dopoguerra. Con la stessa risoluzione fu mantenuto un rigido regime di embargo solo parzialmente ridotto con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza del 15 agosto, che autorizzarono l'῾Irāq, sia pure sotto controllo dell'ONU e devolvendo il 30% degli introiti al rimborso dei danni di guerra, all'estrazione e allo smercio di petrolio per 1,6 miliardi di dollari.
Difficile un bilancio delle ripercussioni del conflitto nel Vicino e Medio Oriente e su scala mondiale. Accanto al drastico ridimensionamento dell'῾Irāq e delle sue ambizioni di egemonia regionale, si devono almeno ricordare la convergenza tra Siria e Stati Uniti che, con l'estendersi dell'intesa siro-libanese e la fine dell'aiuto concorrenziale da parte dell'῾Irāq, ha propiziato il 13 ottobre 1990, in Libano, la caduta dell'enclave separatista del generale M. ῾Awn (Aoun) a Beirut Est e la conclusione della guerra civile; nonché l'iniziativa statunitense di cogliere la congiuntura favorevole per aprire il processo negoziale di pace tra Arabi e Israeliani.
Sono però problemi irrisolti la mancata apertura in senso liberale del regime del Kuwait e lo stanziamento in tale stato di almeno 5000 soldati statunitensi, oltre alla prosecuzione del pattugliamento nel Golfo da parte di imponenti mezzi navali. In contraddizione con la dichiarazione di Damasco, che subito dopo la liberazione del Kuwait impegnava Arabia Saudita, Egitto, Siria e Kuwait a un congiunto sforzo di sicurezza araba senza ricorrere ad apporti esterni, il 5 settembre 1991 fu stipulato tra Stati Uniti e Kuwait un trattato di cooperazione militare.
Bibl.: S. Kiwan, R. Cristiano, Saddam Hussein, Roma 1991; A. Moscato, Israele Palestina e la guerra del Golfo, ivi 1991; P. Salinger, E. Laurent, Guerra del Golfo. Il dossier segreto, Milano 1991; E. Sciolino, Saddam Hussein's quest for power and the Gulf crisis, New York 1991; J.F. Dunnigan, A. Bay, From shield to storm: high-tech weapons, military strategy, and coalition warfare, ivi 1992.
Operazioni militari. - La G.d.G. è stata la più grande operazione militare dopo la seconda guerra mondiale: significativamente denominata Desert storm (''Tempesta del deserto''), ha coinvolto oltre un milione e mezzo di combattenti e ha visto un impiego di mezzi che non ha avuto precedenti. Infatti dopo l'invasione del Kuwait da parte dell'῾Irāq (2 agosto 1990), gli Stati Uniti, ottenuta la copertura dell'ONU, allestirono un poderoso apparato militare con il fine di far rientrare le forze irachene nei loro confini. Il concentramento delle forze alleate nel teatro di guerra avvenne con un ponte aereo dagli Stati Uniti e, prevalentemente per mare, dall'Europa, situando il grosso delle forze e il comando generale in Arabia Saudita. La ''coalizione'' poteva contare inoltre su un poderoso schieramento di navi. Le operazioni di guerra iniziarono nella notte del 17 gennaio 1991.
Nella tabella sono forniti i dati quantitativi delle forze alleate. Il termine ''Islamici'' comprende truppe egiziane, siriane, degli stati del Golfo, ecc.; con ''Altri'' si indicano le aliquote comprensive degli aerei da combattimento belgi, italiani, olandesi e le aliquote comprensive delle navi da guerra di vari paesi europei, nonché quelle canadesi, australiane, argentine e sovietiche.
Le forze terrestri irachene comprendevano: 350.000 uomini con 4260 carri armati, 2280 blindati, 3025 artiglierie nel teatro d'operazione del Kuwait, e inoltre 400.000 uomini con 1740 carri armati, 8450 blindati, 1250 artiglierie nel resto del territorio, al duplice scopo di contrastare eventuali attacchi provenienti da altre direzioni, e di tenere sotto controllo il fronte interno. Le forze aeree irachene ammontavano a 700 aeroplani in prevalenza di modello sovietico e piuttosto arretrati, eccettuati una cinquantina di MiG29 e un centinaio di Mirage di fabbricazione francese. Disponevano inoltre di 600 elicotteri di costruzione abbastanza recente.
Malgrado l'aeronautica irachena potesse contare su un personale migliore, per scelta e addestramento, di quello delle altre forze armate, la scarsezza di mezzi elettronici e di coordinamento e la superiorità alleata in termini di aerei, armamento, elettronica e soprattutto di addestramento fece sì che l'aviazione irachena fosse posta nella condizione di non nuocere già nei primi due giorni di combattimento. Gli Iracheni organizzarono comunque un robusto sistema difensivo in profondità con tre ordini di difesa statica: una linea di circa 200 km lungo il confine meridionale del Kuwait, prolungata sulla sinistra lungo il mare per altri 100 km; una linea di circa 100 km lungo il confine tra ῾Irāq e Arabia Saudita; un grande ridotto fortificato centrale difeso dalla riserva del ii Corpo d'armata e, in appoggio, dal i Corpo d'armata della Guardia Repubblicana situato a nord del Kuwait e incentrato sui pozzi petroliferi di Rumayla e le isole di al-Warba e Būbiyān.
Le difese erano costituite da fortificazioni campali, campi minati e, in particolare, da carri in posizione di combattimento con lo scafo interrato, in modo che sporgesse la sola torretta con relativo cannone.
Posta davanti a questo robustissimo sistema difensivo, e trovandosi nella necessità di ridurre le perdite al minimo, la coalizione fece precedere l'attacco da un'imponente preparazione aeronavale in concorso con le artiglierie terrestri a lunga gittata; inoltre fece credere al nemico che la direttrice principale dell'attacco puntasse contro il suo fianco sinistro, dalla parte del mare, mentre invece lo sforzo effettivo fu esercitato da terra con una manovra aggirante sviluppata sulla propria sinistra che, circondando il fianco destro iracheno, attaccò di sorpresa la Guardia Repubblicana impegnata con fronte a Sud.
L'informazione alleata si giovò di una massiccia quantità di dati di varie fonti: satelliti artificiali, aerei radar (AWACS e Joint STARS), rapporti di tutti i piloti di aereo e di elicottero forniti di telecamere e di apparati di registrazione. Fu svolto un numero imponente di missioni aeree (circa 2000 al giorno) su territorio desertico e nemico senza che si verificasse alcuna collisione. Va notato, inoltre, che per la prima volta nella storia della guerra, l'intero piano delle operazioni sotto il comando supremo del generale statunitense N. Schwarzkopf era stato preventivamente provato mediante simulazione, attraverso un complesso sistema di elaboratori che raccoglieva, filtrava e rielaborava tutti i dati a disposizione.
Punta di diamante dell'attacco all'῾Irāq furono gli aerei statunitensi, detti ''furtivi'' (stealth), F-117A di base nell'Arabia Saudita; essi conferirono alla guerra aerea l'elemento sorpresa: armati di missili capaci di penetrare e distruggere bersagli consistenti, attaccarono e distrussero sedi di comando, postazioni radar e centri di guida dei caccia intercettori. Gli F-117A, pur rappresentando il 2,5% della forza d'attacco, colpirono il 31% degli obiettivi senza subire perdite. Uno dei primi obiettivi dell'attacco aereo fu la distruzione delle piste di volo e dei velivoli a terra. Per questo una quota consistente degli aerei iracheni preferirono riparare in Iran fino alla fine della guerra. Nella propaganda che accompagnò la guerra e nel periodo immediatamente successivo grande rilievo fu attribuito ai cosiddetti missili e bombe ''intelligenti'' in quelle che vennero chiamate ''operazioni chirurgiche''. Ricostruzioni successive basate anche su fonti ufficiali statunitensi hanno accertato che questo tipo di bombardamenti costituì una frazione limitata del totale e che le distruzioni di obiettivi non militari e le vittime civili furono assai numerose.
Imprevisti, ed efficaci, da parte irachena risultarono soltanto i lanci di missili Scud (designazione NATO dei missili sovietici SS-1C) che, montati su rampe mobili (quelle fisse essendo state distrutte nei primi due giorni di attacchi aerei), risultarono difficili da individuare e distruggere a terra. Gli Scud, derivati da armi sovietiche degli anni Cinquanta, a propellenti liquidi, avevano tuttavia una portata massima di 600 km e seguivano una traiettoria balistica facilmente prevedibile: per di più erano facilmente avvistabili perché, in volo, portavano con sé l'involucro del razzo, caldissimo e quindi emettitore di infrarossi. Ciò consentì, come efficace contromisura, l'impiego dei missili statunitensi Patriot che, guidati dalle emissioni infrarosse, intercettarono e distrussero in volo gran parte degli Scud successivamente lanciati.
L'idea originaria che il solo potere aereo avrebbe potuto vincere la guerra, risparmiando le truppe, si rivelò tuttavia fallace. Nonostante l'enorme sforzo compiuto, la coalizione dovette ricorrere all'attacco terrestre come atto risolutivo. Cominciato alle 4 del mattino (ora locale) del 24 febbraio 1991, due divisioni di Marines e una brigata corazzata dell'esercito aprirono l'offensiva con attacchi frontali sul confine fortificato, nel frattempo attaccato, più vicino al mare, anche da truppe saudite. Sostenuta dal fuoco delle corazzate Wisconsin e Missouri, l'azione dei Marines fu un diversivo: mentre fingevano un tentativo di sbarco, nel frattempo − attraversando più a nord il confine dell'῾Irāq − un contingente di forze britanniche e la i divisione meccanizzata statunitense compiva un aggiramento delle forze irachene, appoggiato, a più largo raggio, dal vii e xviii corpo d'armata e dal contingente francese all'estrema sinistra. L'attacco terrestre fu comunque sostenuto dall'appoggio ravvicinato dell'aviazione e dagli elicotteri dell'esercito armati di missili controcarro di notevole efficacia. L'intensità dell'attacco fu notevolissima; durato solo 100 ore, si calcola che nella sua fase finale ci fosse un carro ogni 30 m e un elicottero ogni 60 m.
La resistenza irachena fu di breve durata, e l'operazione Desert Storm si concluse, dal punto di vista militare, con il raggiungimento degli obiettivi prefissati.